giovedì 8 novembre 2007

Le dimissioni del poeta

L’utilità sociale del poeta chissà dove confina:
Il poeta risponde ai bisogni oppure è
Uno scarto della ferrea disciplina produttiva?
Egli schiva ogni overdose di luoghi comuni
Scivola sulle principali questioni, non sta sulle soglie
Del duemila, non si china a suggestioni patetiche.
Il poeta è in disistima; non è più rappresentativo;
E poi quando di chiunque si possa dire ch’è stato un poeta
È già finita la distinzione, il salto elettivo.
Il poeta non più s’abbandona alle emozioni:
È duro e forte e ferreo. Più poca musica
Trascinano le sue parole, terreo scandire di sillabe
Masticate male dallo stesso durante cenacoli
Di sparute presenze. Il poeta non conquista più
Le masse: ha rotto il patto con Belzebù;
È solo, in disparte; e frigge rabbia, odio, rancore
Contro orecchie insensibili al suo dolore
Di mancato mercenario o fallita meretrice.
Il poeta non sa più cosa dice:
È privato di spessore, di ascolto, di rilevanza.
Chiuso in sé nella sua famosa e logora stanza
Ha perfino smesso di fumare e di decidere.
Non aspetta più la maga ispirazione,
S’imprigiona in una vaga accidia
E muove pochi passi verso compassione
Di sé o di sé perfidia. Si scioglie il poeta come strutto,
Aspettando un’intervista televisiva dove si gioca tutto.
Il poeta è uno stolto, il poeta è un buffone
Il poeta è un vigliacco presuntuoso e cialtrone.
Il poeta è un pallido pavido spento
Che grida nel deserto la rabbia e il proprio spavento.
Il poeta è un assetato d’essere
Poiché d’essere privo.
Il poeta vuole soltanto una mano sul viso:
Che sia schiaffo o carezza, fa niente
L’importante è sentirsi per l’altro presente.
                                                    Urla il poeta:
«Toccate il mio corpo, smembratelo, fatelo a pezzi
Sentitelo vostro che di vostra terra sono
Assaggiate il mio sangue e dite se è buono:
Se sa di petrolio oppure di vino
Di merda o di rosa, ditemi se sa di qualcosa
Il poeta ha bisogno di aiuto, di un aiuto
Per l’amore che non riesce più a dare
Per il suo fallimento, per il suo non essere
«Mano de mujer que se posa sobre la frente dolorida»¹.

¹Questo verso castigliano l'ho rubato a Ceronetti che lo riporta nella sua introduzione alle sue Compassioni e disperazioni, Einaudi, Torino 1987, senza dirmi da qual poeta l'abbia anch'egli rubato. Cercandolo su google offre questo risultato. Chissà.

1 commento:

Anonimo ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.