lunedì 28 gennaio 2008

Punto e superficie

Stasera
non ho superficie.
Sono ridiventato un punto.
Là fuori, sulla ringhiera,
s'è posato un beccofrusone.
M'ha detto: "ma che pensi,
coglione,
coi tuoi discorsi melensi?"
Ha ragione.
Allora mi smonto e rimonto
risalgo e ripiglio possesso
de' miei intendimenti.
Riconto le ombre lasciate
in ognidove da me stesso
e ricordo le gambe levate
di lei in maschera e la fonte
del suo sesso.
E bevvi e ebbro divenni,
mancò poco che svenni:
e venimmo.
Il piccolo velo di trina
che oscurava la sua faccia
bambina
Beccofrusone perché
m'imponi ricordi particolari
che furono dolci
che sono amari
perché ora non sono
presenti a quest'uomo
che cerca, che spera,
di ripigliare il volo
in primavera?

domenica 27 gennaio 2008

Tra boschi e Montale

Il freddo abbaia sugli sterpi
e tu mi segui in questi passi
tra rami secchi e scarsi sassi:
nella belletta ghiacchia m'inerpico

e mormoro:

"Ti libero la fronte dai ghiaccioli
che raccogliesti traversando l'alte
nebulose; hai le penne lacerate
dai cicloni, ti desti a soprassalti.

Mezzodì: allunga nel riquadro il nespolo
l'ombra nera, s'ostina in cielo un sole
freddoloso; e l'altre ombre che scantonano
nel vicolo non sanno che sei qui."*


* XII mottetto di Eugenio Montale

domenica 20 gennaio 2008

Vincenzo Riccardi di Lantosca

Melopéa

Libero Stato! Libera baldoria

Di zoccolanti in scuola obbligatoria!

Ecco una melopea liberalesca,

Intuito-positiva a faccia fresca.

V'ha liberali e liberali. Noi

Non s'è del bronzo onde si fan gli eroi,

Ma d'essere di quel non ci fa schifo

Che pòrta su due facce Croce e Grifo.

Positivismo che vuol dir? scïenza

Che si destreggia coll'esperïenza.

Dommatismo? scïenza-monopolio,

Crassa, untuosa, gialla come l'olio.

Cattolicismo? il diavol pauroso.

Protestantismo? il diavolo nojoso.

Darwin? un bel cognome. Darwinismo?

L'educazione col cavicchio in ismo.

Patrïottismo? è l'affarismo in trono,

Se ci si mette noi di buzzo bono.

E il meccanismo dell'umana prole

Gira sull'ismo d'alcune parole,

Che han lor corsi e ricorsi, e ad ogni sosta

Mutano tiro come fa la posta,

Per risolversi tutte in un finale

Sincronominchionismo universale.

15 marzo 1882.

Ringrazio l'amico Matteo, studioso e massimo esperto contemporaneo del suddetto poeta, d'avermi segnalato questa composizione.

sabato 12 gennaio 2008

Cenere

Cenere sei e cenere ritornerai, pensavo tra me e me vicino alla finestra, guardando un cielo giustamente grigio, parlandoti e ascoltandoti, felice di esserti, di averti accanto.
Eppure in questo frangente corporale, in questo miscuglio di memi e geni, cellule e pensieri vari che ci caratterizza, in questi istanti in cui al vivere, al basso fruscìo dell’esistenza, all’adagio della quotidianità, si mescola e si frappone un senso forte di appartenenza – ecco che sentivo un brivido scendere lungo la spina dorsale, un fremito. Attimi in cui dicevo a me stesso – possibile sia io capace di cogliere un nesso, un frangente della mia unità col mondo, nel momento stesso in cui la vivo, senza girarmi indietro, senza aspettare che il momento, appunto, sia passato e lo rifletta nella mia mente?
Allora giunse il momento del commiato. Io costretto a un lavoro triste, tu esitante avviarti verso le scale, trascinando dietro te una scia di dubbi e di incertezze. Petali, forse, erano quelli che avrei voluto veder scivolare dietro il tuo paltò, come un tappeto da corpus domini, nelle calde sere di giugno, copre i mattonellati dei paesi di provincia. Petali di sette colori diversi, tutti impressi come un arcobaleno nel tuo cuore.
Petali petali amatamente dissolti
Nelle alte dilavate erbe
E laggiù, tra i meli,
stralunati presagi di sera.
Sapevo che la tua presenza si sarebbe protratta anche nell’assenza; e questo mi calmava, sedava quasi, e rendeva docile lo scorrere del tempo.
Fu l’invito a non perdersi d’animo, a non dar troppo peso alla pesantezza della collega, a lasciar perdere, perché perdere significava diventar leggeri. E chi, come me, ambisce a camminare sulle punte dei piedi per non far rumore, o a concedermi salti sui campi incolti di fine inverno, non potevo far sì che la gravezza mi piombasse a terra, mi opprimesse.
– Via via, correre via lontano, la mente sgombra. I petali sono ancora là nel corridoio, incalpestabili. Solo io ne farò scia, scivolando, libero, contento.
Chissà se ti dispiacerà se faccio un po’ di letteratura con la propria miseria. Esiste una frase, una frase dogma, che si è scolpita indelebile nel mio costato: l’ha scritta Danilo Kis, in Clessidra immenso capolavoro, ed essa dice: è meglio trovarsi tra i perseguitati che tra i persecutori.
Siccome credo che il Vangelo si sia continuato a scrivere oltre l’Apocalisse, e si scriva tuttora nelle pagine di sofferenza, dolore, amore e carità che gli umani ancora sono capaci di vivere, ebbene, ecco che tale frase può, anzi deve essere inserita nel canone, e letta ad alta voce non solo dagli altari.
Ma oggi ti ho visto seria, nera a tratti, incazzata (scusa le zeta) e questo mi ha fatto male; negli occhi tuoi si leggeva il rimprovero come di chi dica, forza, prendi le armi contro il mare di guai. E adesso sì, ho l’armatura pronta; ma, contrariamente ad Amleto, non voglio pugnalare nessuno, solo acquisire un briciolo di follia che mi spinga a sputarle addosso tutta la verità nient’altro che la verità, senza infingimenti. Questo presente vissuto bene, dopo una piccola crisi del turigliatto deve passare. Ho visto la fiducia tua e in altri (altre) e l’animo mio è pronto. Gloria del disteso mezzogiorno. Leggi. Pensa. Scrivi. Corri nel bosco. Bosco ad alto fusto. A colpi d’ascia.
E poi un piccolo rifugio nei Mottetti montaliani mi ridona freschezza e spirito. Pensarti mi libera la fronte dai ghiaccioli che raccolsi traversando le alte nebulose.
E infine questa perla letta domenica di Leonard Cohen e che ho subito fatto mia (oh come avrei voluto scriverla, pensarla io, ma è lo stesso, qualcuno l’ha fatto per me, per noi, per il mondo):
INFASTIDITO STAMATTINA
Ah. È questo
È questa la cosa da cui
Ero tanto infastidito stamattina:
il mio desiderio è tornato,
ti voglio di nuovo.
Stavo così bene,
lo dominavo completamente.
Ragazzi e ragazze erano belli
E io ero un uomo vecchio, che ama tutti
E adesso, di nuovo, voglio te,
voglio la tua totale attenzione,
la tua biancheria che scivola giù in fretta
e resta appesa a un piede,
e nella mia testa niente
se non essere dentro
l’unico luogo
che non ha
un dentro e non ha un fuori.
Dunque. I tuoi petali distesi, il sereno nei tuoi occhi, e cercare di guardarti senza far capire troppo quanto mi piace guardarti. Così devio spesso lo sguardo, attenuo spesso il riso, e il piacere che mi dà l’averti accanto, per il timore di metterti (e mettermi) in imbarazzo.
Ma guardate qui, a giocare a rimpiattino coi sentimenti, come se non fosse giusto confessarli a chi ne è l’artefice. Questo mi dico, ma in fondo non è vero. Non nascondo nulla. Basta contare fino a tre e son scoperto, a mani aperte, pronto. Mi piaci e ti voglio bene. Questo è tutto. È troppo? Troppo cosa? Mi piace esserti accanto e basta. Sapere che ci sei. O che sei passata di là dove io sono a vederti passare lo stesso. Cammino, ripeto, tra i tuoi petali. Con piglio deciso ho deciso. A domani.

venerdì 11 gennaio 2008

E se per un attimo

E se per un attimo mettessimo Dio tra parentesi? Per un attimo ogni uomo potesse vivere e pensare come se Dio non ci fosse, non esistesse – cosa succederebbe? Se venisse proclamata insomma una giornata mondiale senza Dio, senza pensarlo per un giorno intero: ne saremmo capaci?
Per un giorno ogni uomo avrebbe su di sé ogni responsabilità, non avrebbe nessun appiglio trascendente, sarebbe qui solo, su questo pianeta, con altri sei miliardi di persone più o meno a giusto titolo capaci di credere.
Solo un giorno. Un giorno di preghiera immanente. Sforzarsi di “credere” (per coloro che non ne sono capaci) di essere soli nell’universo.
Che lo vogliamo o meno, dovremmo abituarci a quest’idea. Fare a meno dell’idea di Dio, o meglio, dell’idea che noi abbiamo su Dio. Dicono che possiamo solo credere in Dio senza dimostrarlo. D’accordo. Dio in fondo è un’idea che ci accompagna dagli albori della nostra storia e, come non siamo capaci di vivere senza il fuoco, così non siamo capaci di vivere senza Dio. Ma è giunta l’ora di provarci. Perché è l’unico modo affinché Dio possa (dio voglia) manifestarsi, se c’è. Ho come l’impressione che Egli attenda che noi deponiamo le armi. Tutte le armi brandite in nome della fede, in nome dello scettro di avere ragione senza ragione.
Così come abbiamo appreso che la Terra non è piatta e non è al centro dell’universo, e che questo è regolato da leggi fisiche e matematiche universali più o meno comprensibili; così come abbiamo appreso che la vita sul nostro pianeta è frutto anch’essa di meccanismi naturali e noi stessi siamo figli di questo meccanismo – ecco che adesso è giunto il momento di comprendere che Dio non c’è. Perlomeno quel Dio che abbiamo costruito e che è frutto della nostra immaginazione storica sull’argomento. Questo Dio che rimbalza e che facciamo rimbalzare nelle nostre menti bambine ancora poco pronte a compiere quest’ennesimo salto in avanti della conoscenza. Lo so, è il salto più difficile e arduo che dobbiamo ancor compiere e io stesso, confesso, non so quanto sia pronto. Ma se ci facessimo coraggio, se tutti, e dico tutti gli uomini e tutte le donne di questo pianeta, per un giorno soltanto facessero a meno di Dio, penso che non cadremmo nel baratro, non sprofonderemmo assolutamente in alcun precipizio, ma cadremmo dolcemente nelle braccia del Figlio dell’Uomo.

Io penso che se Gesù fosse qui tra noi sarebbe giocoforza ateo; non potrebbe credere a ciò che noi crediamo, alla prevalenza di un Dio sull’altro, alla sottomissione, all’obbedienza, alla “fede”. Non si rivolgerebbe al Padre, se non come ci si rivolge al Mistero ultimo. Farebbe crollare ogni Chiesa dalle fondamenta, scaccerebbe ancora ogni mercante dal tempio, compirebbe insomma tutto ciò che ha compiuto, nell’immane, ancora inutile (forse) impresa di ripulire la nostra mente dalle false idee su Dio. “Dio non c’è, Dio non c’è, siamo soli, fratelli”, griderebbe in piazza san Pietro e sarebbe preso per pazzo. Certo se tornasse noi non lo riconosceremmo; anzi, lo “crocifiggeremmo” di nuovo come inquisitori timorosi. Perché il messaggio è chiaro: Dio, nessun Dio che noi glorifichiamo, che edifichiamo, che elaboriamo e osanniamo come se fosse l’unico e il vero, esiste. Ma abbiamo una possibilità, l’unica di poterlo far “essere”, di farlo affacciare alla finestra del mondo. Amarsi l’un l’altro, riconoscersi, abbracciarsi senza nessun timore, senza nessuna pretesa, quasi sicuri della nostra sconfitta. Amarsi senza aspettarsi niente in cambio.




lunedì 7 gennaio 2008

Fili

Ho visto dei fili
intrecciarsi
tra il viso e le mani
tracciare nel cielo dei veli
tra il rosa e l'azzurro
sfiorare gli umani intendimenti
i sentimenti compressi –
veli di nuvole tra volti
dove leggi l'intreccio dei sessi
dove senti il vuoto riempirsi
due metà riunirsi.
Fili su ali librarsi
in questi giorni dal sole riarsi
dici e ridici ai fili sulle pendici
delle velate montagne:
– scrivete queste vite
scorrete nelle vene d'ognuno
un calligramma
che colleghi il bambino alla mamma
e dalla mamma alla sera
e alle lacrime perché la mamma non c'era,
fili a sciogliere il groppo in gola
fili per non essere troppo sola.
Fili, mi dite che mani sono queste
attaccate alle mie
che mi scrivono venti poesie
una per dito, una per unghia,
fili che allungano vite
che accorciano distanze
fili tra me, te, la luna e un ponte.
Fili: le mani sono pronte
a liberare a sussurrare a tenere in volo
l’aquilone bifronte coi nostri profili
da Federico e Battista[1] lanciati
su un formidabile orizzonte.
Vorrei essere un ragno
che compone una tela
tra il braccio e l’ascella,
una tela dorata
a forma di stella.

Fili su ali al vento

ma non al caso

fili che ti sfiorano il naso

che annusano il mento
che tessono volti
che intrecciano i corpi,
le menti, i fili che senti
cucire nel cuore
un ricamo:
fili d’amore
che scrivono t’amo.
Fili di pioggia
che scendono piano
che confondono lacrime e gioia
fili di noia madreperlacei
che lasciano una traccia
fili che incollano
la mia alla tua faccia.



[1] Mi riferisco ai celebri ritratti di Piero della Francesca di Federico da Montefeltro e Battista Sforza, soprattutto al paesaggio che fa loro da sfondo