lunedì 31 agosto 2009

Uno sguardo allo specchio

*

Io credo che se Berlusconi fosse colto davanti a un'opera d'arte in una disposizione simile a quella che ha qui Juan Carlos, si noterebbe sicuramente la sua essenza di parvenu.

Io sono un adelphiano



... contrariamente a Feltri.

Grazie Aubrey per la segnalazione

domenica 30 agosto 2009

Solidarietà

Un lettore di questo articolo si chiede: «Perché questi sè [?] dicenti insegnanti invece di fare i precari per 10 anni non si sono cercati un altro lavoro?».
Perché la scuola ha avuto bisogno del loro lavoro precario per funzionare. E ne ha avuto bisogno anno dopo anno, perché tutti gli anni, e anche quest'anno scolastico, si ripresenterà lo stesso bisogno di docenti e personale ATA. Solo quest'anno la scuola, pardon, il Ministro Gelmini ha deciso per incanto che non c'è più questo bisogno. Abracadabra, Tremonti, la caverna è vuota, vedremo se la scuola funzionerà.

Omaggio al Vernacoliere



A margine di una dichiarazione di Marcello Dell'Utri, riportata dal Corriere di oggi, dove il senatore cita una favole di Goethe
:

«Il re chiese al serpente: "Che cosa è più vivificante della luce?"
E quello rispose: "La topa"».

Domanda al prof. Galli della Loggia

Esimio Professor Ernesto Galli della Loggia,
a margine del suo limpido e puntuale articolo mi sarebbe piaciuto sapere in quale parte di schieramento (gabbia o stia) Ella si senta dislocato. Io mi situo, se la cosa può interessarLa, tra coloro che pensano che «la Chiesa non debba possedere un carattere istituzionale di segno forte» e che sono quindi «contrari al riconoscimento del carattere istituzionale della Chiesa», ovvero tra coloro che sono nella «parte [che è] contro la Chiesa ufficiale considerata [nel senso] “autoritaristico-temporale”».

Isotta


D'accordo, il petrolio non si sa quando finirà, le previsioni sono incerte, forse non finirà mai, ma diverrà economicamente insostenibile estrarlo. Che il petrolio non stia per finire si vede dall'affarismo dei vari stati arabi, a condotta dispotica, che fanno affari ovunque. Comunque, non sono un esperto e mi fermo qui. Quello che in realtà volevo sottolineare è come faranno un giorno questi beni preziosi a poter funzionare senza benzina. Ma soprattutto, come fanno a essere considerati dei “beni rifugio” visto che il giorno prima, sempre il Sole 24 ore, riportava la notizia del prossimo collasso energetico previsto dal CNR per il 2065. Queste due notizie, o insigni economisti, non sono in contraddizione? O forse vanno considerati ottimi investimenti perché, tali autovetture, sono in fondo diventate le nostre cattedrali?

sabato 29 agosto 2009

Un eremo di speranza



DIO Che mi dovevi dire stasera?

IO Niente di particolare, salvo il fatto che, davanti allo specchio, durante il massaggio dopobarba, improvvisamente, un dèmone s'è impossessato di me facendomi tendere tutte le corde del collo, diventare paonazzo, gridare: ma porcamadosca (variante), quanto durerà ancora questa presa mentale, quest'ingombro permanente del cervello che Berlusconi è? Ma perché non muore e non se ne parla più, così, d'improvviso, di morte naturale, una sincope, zacchete! e via dentro il mauseleo pieno di confort.

DIO Sì, come quei bischeri dei faraoni. Ma la tua è una torbida speranza o un pio desiderio?

IO No, è un'incazzatura. Io voglio pensare ad altro, vorrei vivere in un paese dove ci si occupa di cose più serie, dove la politica è solo una funzione di servigio alla nazione, dove la Chiesa prega e aiuta i poveri e non rompe i coglioni alla politica e alla cittadinanza, dove l'intelligenza, il merito, il fascino ritrovino una denotazione artistica, scientifica, estetica. Ma non è l'ora, in fondo, di farla finita davvero, o italiani, di questa pantomima vergognosa che la maggior parte di noi ha sostenuto e messo in atto? Possibile che - a parte i diretti interessati dell'indotto, figli, nipoti, parenti, direttori di telegiornali e giornali, escortine, grandifratelli, dipendenti sparsi, quanti siete? trentamila, centomila? quanti? - gli altri, quelli che l'hanno voluto e votato senza alcun interesse che il rancore/risentimento verso la sinistra, quelli che odiano la barca di D'Alema e il radical-chic, quelli che Prodi, quelli che hanno avuto paura che gli fossero levati i privilegi spicci tipo vassallaggio come la liberalizzazione delle farmacie, eccetera, insomma, o popolo, possibile che dopo tutti questi anni tu sopporti dentro te questo pharmakon trasformatosi ormai totalmente in veleno?

DIO E sicché, in soldoni, tu vuoi che Lui muoia. Muoia un solo uomo, mi pare che lo disse anche qualcun altro, ma mi sfugge il nome. Bagnasco?

IO No, non fare l'ironico, o Altissimo: era Caifa, il politico-sacerdote par excellence.

DIO Già, il furbone che praticamente dette il via alla tre giorni di Gerusalemme. Ma io gliel'avevo detto a quel bischero di mi' figliolo: st'attento, che quei preti laggiù ne sanno una più di' diavolo.

IO Sì, ma ora non ti mettere a rivangare, o Signore.

DIO D'accordo, ma anche te non potresti sforzarti di pensare a qualcos'altro? Possibile che tu, persona a modino, ti faccia trascinare in questo vortice provocato da un uomo che solo a guardarlo mi verrebbe di nuovo voglia di far l'interventista, alla teocon, per dargli un solenne capaccione, ma forte, altro che come quel buffetto in piena crapa che prese su a Bruxelles. Vedi di rilassarti: leggi, scrivi, fai di conto, fai la raccolta differenziata per bene alla Weissbach, chiedi lo scontrino col sorriso senza fare lo scontroso, occupati delle tue figlie invece di star qui davanti a questo schermo a bacarti i' cervello, vai su in cima al bosco e ridimmi a mente, come una volta facevi, tutti i mottetti montaliani e vedi un po' se te li ricordi senza sbagliare...

IO Va be', ci proverò. Purtroppo però ogni riflessione - filosofica, poetica, artistica in genere - mi rimanda alla questione. L'aria è satura del suo sorriso ebete, dei suoi megafoni, delle sue distrazioni di massa. Mi occorrerebbe uno psicanalista, tipo Paul Weston.

DIO Faresti meglio a riposarti un po'. Vedrò di fare del mio meglio per non trascinare troppo in quest'uggia questo paese che amo tanto, ma così tanto, che per dispetto vi ho costruito una Santa Sede permanente. Fossi te prenderei alloggio in una cella dei frati su all'Eremo di Camaldoli; pare che affittino, per meditare tra faggi e abeti secolari, alloggi confortevoli. Va' lassù una settimana senza internet, senza giornali, senza nulla.

IO E se trovo Boffo?

DIO Salutamelo, e digli che faccia meno i' bischero.

Reaz.

I figli dei ricchi
hanno un tale rimorso
che noi figli dei poveri
siamo fuori concorso.

Giancarlo Majorino, Le trattative (1963-1967), da Autoantologia, Garzanti, Milano 1999

venerdì 28 agosto 2009

Donna di province



Berlusconi è il figlio prediletto di questa serva Italia; è la maschera perfetta della relativa maggioranza che ci compone e ci porta alla deriva. Berlusconi è il furbastro dietro la scrivania che dispensa crediti e redditi e progetti, il funzionario che ci assume con una pacca sulla spalla o una mano sul culo a seconda dei gusti. Berlusconi è la noia della quieta moglie che garantisce il focolare e la frizzante suggestione dell'amante ansiosa delle nostre pessime prestazioni. Berlusconi è il cuore pulsante di un'Italia che straripa e contagia l'Europa e il mondo col proprio squallore; un'Italia che non riesce a vivere libera da stemmi, da bandiere, da tradizioni del cazzo e si perpetua in un folclore eterno e sterile, chiuso, pieno di muffa, portatore di scandalo e di scisma.
Purtuttavia, dentro questo bordello Italia in cui ognuno di noi è un numero e gioca nella propria posizione di dominante o di dominato, è altresì vero che, per chi lo desidera, esiste uno spazio di gioco in cui è possibile disalienarsi, rompere le catene che ci legano alla schiavitù dell'eterno italiano, e gridare, o parlare amichevolmente, solidarizzare, non sentirsi solo. Per me lo spazio è questo, nella mia solitudine rumorosa unita a quella di altre efficaci solitudini. È lo spazio del pensiero trovato da qualche anno in questa parte di mondo ch'è la rete. Sapere che aldilà di questo schermo c'è qualcuno che parla e comprende la mia stessa lingua è una gioia impareggiabile. Come conversare con donna di province.

giovedì 27 agosto 2009

Il linguaggio è sempre lo stesso



«Si sente sempre ripetere l'osservazione che la filosofia non farebbe mai un vero progresso, che ancora ci occupiamo degli stessi problemi filosofici di cui già si occupavano i greci. Chi dice questo però non capisce la ragione per cui così deve essere. La ragione è dunque che il nostro linguaggio è rimasto lo stesso e ci seduce sempre di nuovo verso gli stessi interrogativi. Finché vi sarà un verbo “essere” che sembra funzionare come “mangiare” e “bere”, finché vi saranno aggettivi come “identico”, “vero”, “falso”, “possibile”, finché si continuerà a parlare di uno scorrere del tempo e di un estendersi dello spazio, ecc., ecc, sino allora gli uomini si arresteranno sempre di nuovo di fronte alle stesso enigmatiche difficoltà e continueranno a guardare fisso qualcosa che nessuna spiegazione sembra poter eliminare. E questo soddisfa del resto una sentita aspirazione al trascendente, perché, credendo di vedere i “limiti dell'intelletto umano”, essi credono naturalmente di poter vedere al di là di esso».

Ludwig Wittgenstein, Pensieri diversi, Adelphi, Milano 1980 (pag. 38)

mercoledì 26 agosto 2009

Una speranza per la perdonanza



da Wikipedia

«Controversi sono i pareri sulle dimissioni di Celestino V. Se si dà credito ad una interpretazione molto popolare, ma contestata dai critici moderni e contemporanei, Dante Alighieri è quello che, forse, si espresse nella maniera più critica nei suoi confronti. Secondo questa ipotesi, infatti, il personaggio nel III Canto dell'Inferno di cui si dice che:

« Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto,

vidi e conobbi l'ombra di colui

che fece per viltade il gran rifiuto. »

sarebbe proprio Celestino V; ma occorre precisare che per Dante il concetto di viltà era riposto in tutt'altra categoria di personaggi. Tuttavia, vi sono diverse interpretazioni della frase dantesca (ad es. Esaù e Ponzio Pilato).
Francesco Petrarca, invece, diede di questo gesto una interpretazione diametralmente opposta, ritenendo che una persona come l'Angeleri, dotata di alta spiritualità, non avrebbe mai potuto attendere ai doveri papali se quei doveri, come succedeva a quei tempi, andavano a prevalere sui principi morali. In altri termini, Celestino V, uomo di alti principi morali, non tollerava che la Chiesa nel corso della gestione temporale potesse fare compromessi».


Sia che si dia ragione a Dante (si onora un pavido?) sia che dia ragione a Petrarca (come si può essere indulgenti verso chi, come Berlusconi, dichiara di non aver colpe da farsi perdonare?) l'unica speranza della perdonanza è che Celestino (ultimo pontefice ad essersi dimesso tale) ispiri le dimissioni del nostro Presidente del Consiglio (purtroppo pare che non vi sia l'ombra di nessun Bonifacio politico alle spalle del Cavaliere).

Cazzocomunista


Stasera sono stato altruista:
al bar ho lasciato servire prima una turista
eritrea arrivata dopo di me. Il barista
perplesso m'ha detto, con aria trista:
«Non sarai mica un cattocomunista?»
«No» ho ribattuto da perfetto tennista
«ho soltanto il cazzocomunista».

Desiderati scontri

Piccola notazione veloce: lo so che per Repubblica il nemico va combattuto con ogni mezzo, ma a me dà fastidio questo rimarcare i piccoli attriti tra Vaticano e Governo mettendo in rilievo con esagerati titoli le critiche della Chiesa, come se queste rischiassero d'intaccare la solidità della compagine governativa. Anche il buffetto che Andreotti fa a Bossi in un'intervista al giornale di oggi (non ancora reperibile in rete) sottolinea tra le righe che basta non nominarlo, il Vaticano, e non criticarlo apertamente; e poi, suvvia, la Santa Sede non vorrà certo far cadere una compagine governativa che le garantisce tutto quanto le sta a cuore in fatto di temi bioetici, d'influenza sociale, di finanziamento scolastico eccetera.

martedì 25 agosto 2009

La poesia è un farmaco


Matt Mullican, City as a Map (of Ideas), 2003 - 2008 (Detail). Photo: Jens Rathmann.

Tu pensi poesia potere qualcosa
mòvere movimentare operare
costruire ponti e acquedotti?
Povera poesia privata che
non riesce più a prendere a schiaffi
il reale, la cosa con dentro la vita.
Poesia che sfugge al presente
ché d'esso ha vergogna si sente
e cerca clivi ad oriente
impossibili nuove Cindie.
Il poeta poetante scrupoloso si fa e si sfa
timidamente apre la bocca e suono non esce
il grido si strozza, la rabbia s'ingozza
e i propri versi si vomita in faccia.
Il popolo scarso di niente s'accorge:
la poesia più non esiste nessuno la canta
e il domani presenta abitudini spente.
La poesia non è più un farmaco
non scava più impronte nel corpo
affaticato d'uomo che rincasa privo
di poesia di amore e di grazia graziella e grazie
dottore la prego mi curi: «Prenda
tre Pasolini al giorno prima dei pasti
in versi sciolti mi raccomando, e uno Zanzotto
prima di coricarsi, sublinguale», ma la cura
non basta, non fa scattare la rivoluzione.
L'unico destino farmacologico della poesia
è l'effetto purgante, liberatorio di un corpo
bloccato dalla stupidità dilagante.

Isabella



Isabella Rossellini in Green Porno: Bon Appétit - Shrimp.

La dolce violenza della ragione

(seguito del precedente post)

SAGREDO (grida) Come ha detto il condannato al rogo? [Giordano Bruno]

GALILEO Come ha detto il condannato al rogo!

SAGREDO Ma proprio per questa ragione l'hanno bruciato! Nemmeno dieci anni fa!

GALILEO Perché non è riuscito a darne le prove! Perché lo ha solo affermato! [...]

SAGREDO Galileo, ti ho sempre conosciuto per uomo assennato. Pazientemente, a centinaia di scolari, per diciassette anni a Padova e per tre a Pisa, hai insegnato il sistema tolemaico, proclamato dalla Chiesa. Lo hai ritenuto erroneo, concordando con Copernico: però lo hai insegnato.

GALILEO Perché non avevo nessuna prova.

SAGREDO E credi che questo basti a far cambiare le cose?

GALILEO Totalmente cambiano! Guarda qui dentro, Sagredo! Io credo nell'uomo, e questo vuol dire che credo alla sua ragione! Se non avessi questa fede, la mattina non mi sentirei la forza di levarmi dal letto.

SAGREDO Allora stammi a sentire: io non ci credo. In quarant'anni di esistenza tra gli uomini, non ho fatto che constatare come siano refrattari alla ragione. Mostragli il pennacchio fulvo di una cometa, riempili di inspiegabili paure, e li vedrai correre fuori dalle loro case a tale velocità da rompersi le gambe. Ma digli una frase ragionevole, appoggiala con sette argomenti, e ti rideranno sul muso.

GALILEO Non è vero. È una calunnia. Non capisco come tu possa amare la scienza, se sei convinto di questo. Solo i morti non si lasciano smuovere da un argomento valido!

SAGREDO Ma come puoi confondere la loro miserabile furbizia con la ragione!

GALILEO Non parlo della loro furbizia. Lo so: dicono che un asino è un cavallo quando vogliono venderlo, e che un cavallo è un asino quando vogliono comprarlo. E questo per la furbizia! Ma la vecchia donna che, la sera prima del viaggio, pone con la sua mano rozza un fascio di fieno in più davanti al mulo; il navigante che, acquistando le provviste, pensa alle bonacce e alle tempeste; il bambino che si ficca in testa il berretto quando lo hanno convinto che pioverà, tutti costoro sono la mia speranza: perché tutti credono al valore degli argomenti. Sì: io credo alla dolce violenza che la ragione usa agli uomini. A lungo andare, non le sanno resistere. Non c'è uomo che possa starsene inerte a guardarmi, quando io (prende un sasso e lo lascia cadere a terra) lascio cadere un sasso e dico: questo sasso non cade. Non c'è essere umano in grado di far questo. Troppo grande è il potere di seduzione che emana dalla prova pratica; i più cedono subito, e alla lunga tutti. Il pensare è uno dei massimi piaceri concessi al genere umano.

Bertolt Brecht, Vita di Galileo, (trad. Emilio Castellani), Einaudi, Torino 1963


SAGREDO
(scostando il telescopio) Vuoi smetterla di strillare come un ossesso?

GALILEO E tu vuoi smetterla di startene lì come un citrullo, quando abbiamo scoperto la verità?

SAGREDO Non sto affatto qui come un citrullo: semplicemente, il pensiero che possa essere la verità, mi fa tremare.

GALILEO Che?

SAGREDO Hai proprio perso ogni barlume di raziocinio? Davvero non ti rendi conto dei guai in cui ti cacci, se quello che hai visto è vero? Se ti metti a gridare sulle pubbliche piazze che la terra è una stella e non il centro del creato?

GALILEO Sì, e che l'intero, smisurato universo con le sue stelle non gira affatto intorno alla nostra minuscola terra, come tutti hanno potuto credere!

SAGREDO E dunque, che esistono solo delle stelle? Dov'è Dio, allora?

GALILEO Che vuoi dire?

SAGREDO
Dio! Dov'è Dio?

GALILEO Lassù, no! Allo stesso modo che non sarebbe quaggiù sulla terra, se gli abitanti di lassù venissero qui a cercarlo!

SAGREDO E allora dov'è?

GALILEO
Io non sono un teologo! Sono un matematico.

SAGREDO
Tu sei un essere umano, prima di tutto. E io ti domando: dov'è Dio, nel tuo sistema dell'universo?

GALILEO In noi, o in nessun luogo!
(continua)

Bertolt Brecht, Vita di Galileo, (trad. Emilio Castellani), Einaudi, Torino 1963

lunedì 24 agosto 2009

Uno shock positivo



Passera: per uscire dalla crisi serve uno «shock positivo»

Mangiare la verità

ad Alex, L'amorale

«A prima vista, pareva che mio fratello Joshua avesse ragione. La natura non dimostrava alcuna religione. Non parlava né predicava. In apparenza, non la preoccupava il fatto che gli scannatori del Mercato di Yanash uccidessero ogni giorno centinaia o migliaia di pennuti. Né l'agitava il fatto che i russi facessero dei pogrom contro gli ebrei, o che turchi e bulgari si massacrassero a vicenda, portando attorno bambinetti infilzati sulle baionette. Insomma, come aveva fatto la natura a diventare ciò che era? Dove aveva trovato il potere di governare le stelle più lontane e i vermi della fogna? Cos'erano quelle leggi eterne secondo le quali operava? Cos'era la luce? Cos'era l'elettricità? Cosa succedeva nel profondo della terra? Perché mai il sole era tanto caldo e luminoso? E cos'era ciò che nella mia testa doveva stare continuamente a pensare? A volte mia madre portava a casa dal mercato un po' di cervella: costava meno della carne. La cucinava e io la mangiavo. Si poteva cucinare e mangiare anche il mio cervello? Sì, certo, ma finché non lo cucinavano, continuava a pensare e a voler sapere la verità»

Isaac Bashevis Singer, Ricerca e perdizione, Longanesi, Milano 1982 (pag. 12-13)

Visita a un'écrivain



Giovedì scorso son stato a trovarli. Lo faccio da anni ormai, dal giorno in cui colei che poi sarebbe stata mia moglie (che è nata a Montreux) mi regalò La vera vita di Sebastian Knight. Il cimitero di Clarens è un giardino vero e proprio, panchine incluse poste all'ombra di alberi secolari. Il mio preferito è un possente cedrus atlantica, gigante buono. Mi ha stupito trovare (non so se si vedono bene) alcune monete di euro, di franchi, di rubli posati in fondo alla tomba; la cartolina poggiata è un'immagine di San Pietroburgo con una dedica in cirillico. Quest'anno il troppo caldo mi ha impedito di star lì a lungo, seduto, a leggere alcune pagine dell'écrivain. Lo faccio ora e le prendo da quel capolavoro che è Il dono

«La formula triadica dell'esistenza umana: irreversibilità, irrealizzabilità, inevitabilità» (p. 131)

«La costante sensazione che i nostri giorni terreni siano solo argent de poche, monetine che tintinnano nel buio delle tasche, e che da qualche parte esista il vero capitale da cui finché siamo vivi dobbiamo saper riscuotere i dividendi in forma di sogni, lacrime di felicità, montagne lontane» (p. 209)

«Vide venire in direzione opposta alla sua una ragazza con una bottiglia di latte; somigliava un po' a Zina, o meglio: aveva una particella di quel fascino al tempo stesso peculiare e vago che Fedor Konstantinovic trovava in molte donne, ma con una pienezza particolare in Zina, di modo che tutte loro avevano con Zina una misteriosa affinità che lui solo conosceva, anche se non riusciva assolutamente a formulare i segni di quell'affinità [...] - e ora, voltandosi a guardare la ragazza e cogliendo una linea da tempo familiare, dorata, volatile, che si dileguò subito e per sempre, provò l'urto fugace di un desiderio disperato, il cui incanto e la cui ricchezza stavano proprio nell'impossibilità di soddisfarlo. Banale demone degli ardori da boulevard, non tentarmi con l'orribile cliché “è il mio tipo”. Non è questo, non è questo è qualcosa che sta dietro questo. La definizione è per sua natura finita, è il limite e confine, mentre io voglio il lontano, e al di là degli ostacoli (delle parole, dei sentimenti, del mondo) cerco l'infinità in cui tutto, tutto si riunisce» (p. 408).

«Provi a sentire il futuro fremito retrospettivo di un cuore altrui... Le si rizzeranno i più piccoli peli dell'anima! E in genere bisognerebbe farla finita con la nostra barbara percezione del tempo; sa, io mi diverto quando la gente comincia a dire che tra un trilione di anni la terra si congelerà, che tutto scomparirà se le nostre tipografie non verranno trasferite per tempo su un pianeta vicino. Oppure prenda la vecchia tiritera sull'eternità... Dio mio, all'universo è stato ormai concesso tanto di quel tempo che la data della sua fine sarebbe già dovuta arrivare: non ci si può ragionevolmente immaginare in nessun singolo segmento di tempo un uovo intero su una strada per cui passano all'infinito eserciti. Che sciocchezze! Il nostro fallace sentimento del tempo come di qualcosa in continua crescita è una conseguenza della nostra finitezza: trovandosi sempre al livello del presente, ne dà per scontato il costante innalzamento tra l'abisso d'acqua del passato e l'abisso d'aria del futuro. È per questo che l'esistenza ci appare come un'eterna trasformazione del futuro in passato (processo in realtà illusorio), come un mero riflesso delle metamorfosi materiali che hanno luogo in noi. In queste circostanze il tentativo di capire il mondo si riduce al tentativo di capire ciò che noi stessi abbiamo deliberatamente reso incomprensibile. L'assurdo a cui perviene il pensiero avido di sapere non è che un segno naturale della sua appartenenza alla specie umana, e sforzarsi di ottenere a tutti i costi delle risposte è come pretendere che un brodo di gallina dica coccodè. La teoria a mio giudizio più seducente - che il tempo non esiste, e tutto è una sorta di eterno presente, una luce radiosa che sfugge ai nostri occhi ciechi, - è un'ipotesi altrettanto estrema e disperata delle altre». (pp. 424-5)

Vladimir Nabokov, Il dono, Adelphi, Milano 1991

domenica 23 agosto 2009

Corriere della Domenica bis

In un servizio a pagina due del quotidiano di via Solferino di oggi v'è un'intervista al direttore dell'Osservatore Romano Gian Maria Vian chiamato in causa per rispondere alla provocazione lanciata dal leader leghista che, ieri, ha detto a chiare lettere al Vaticano di accogliere loro per primi gli immigrati irregolari che arrivano in Italia. Il titolo è di tal intervista è: «Aprire le porte? Il Vaticano è uno Stato piccolo». Leggiamo un passo:

All'inizio il direttore dell'Osservatore Romano, Gian Maria Vian, parla di semplice battuta: «Non mi sembra il caso di rispondere a un ministro della Repubblica italiana che invita il Vaticano ad aprire le porte ai clandestini per dare il "buon esempio". Tutti sanno bene che il Vaticano è uno Stato minuscolo». Anche se avanza risposte «per assurdo» alla provocazione di Umberto Bossi: «Si potrebbe pensare per assurdo al piccolo ed antichissimo collegio etiopico. Può ospitare al massimo una ventina di sacerdoti fra etiopi ed eritrei.

Ora, leggendo tali parole, anche oggi mi tocca dare ragione a Bossi, sia per le ragioni esposte qui (al punto 2), sia perché è chiaro che non tanto al perimetro dello Stato Vaticano la bestia si riferisse, ma alla copiosa quantità di conventi, refettori, fraternità, comunità, arcivescovadi, seminari, ostelli, colonie, case vacanza e altri siti religiosi di cui l'Italia è piena. Hai voglia a ospitare e a praticare in concreto una preziosa carità alla Fra Cristoforo contro questi Bravi governanti: basta volerlo, basta dare l'esempio.

Corriere della Domenica

Ho comprato il Corsera. Ho letto il fondo di Ernesto Galli della Loggia che invoca la politica nostrana di non abbandonare l'idea di nazione, di patria, in vista del venturo anniversario dell'Unità d'Italia; inoltre egli fa una critica a quel variegato sentimento vittimistico di ogni fazione che accusa, da sempre, il potere e il potente di turno che si trova alla guida dello Stato, di essere la causa di ogni male italico. Certo, bene o male, dopo quasi 150 anni, da Cavour a Berlusconi, l'Italia è ancora in piedi, nonostante la Lega, nonostante il Vaticano, nonostante eccetera. Per quanto ancora? Per sempre? Tra trecento anni l'Italia esisterà come nazione?

Altro articolo da segnalare per la sua vacuità è quello di Armando Torno, «Verità, la fede che sfida il nulla» che pubblicizza un libro edito, ehm, da Rizzoli e scritto a quattro mani da Alessandra Borghese e il cardinal Caffara. Io mi chiedo come il giornale di riferimento dell'editoria italiana possa ospitare un simile articolo, anche pensando alla tradizione delle firme che hanno onorato tale testata: penso a Montale, a Pasolini, a Sciascia, e altri ancora. Per elogiare tal libro il Torno parte con un discorso a pera sulla verità per criticare certi “filosofi da intrattenimento televisivo” senza dire a chi si riferisce (i nomi, Torno, i nomi non sia pavido) anche se si può intuire chi siano (penso a Vito Mancuso). Poi c'è questo passaggio:

«Eppure tutti abbiamo bisogno di una verità. Piccola, grande, magari banale, comunque necessaria anche per le semplici scelte. Tra i pensatori ci si può allenare a definirla più che a trovarla, giacché la filosofia è una palestra ma non va confusa con la vita. L’unica verità che ci resta addosso, che cambia, giunge dalla fede. Lo sanno i rivoluzionari e ben lo capisce chi crede in una rivelazione. Per questo il libro di Alessandra Borghese e del cardinale Carlo Caffarra, La verità chiede di essere conosciuta (Rizzoli, pp. 176, 18 euro), merita la massima attenzione e giacché aiuta o avvia un confronto con coloro che si pongono domande sull’argomento. Lo scrivente non desidera nascondersi dietro il dito e ammette di essere cattolico, pur con dubbi e problemi. E tra le poche cose che ha capito vivendo c’è l’importanza della fede: vale più un errore commesso per credere di tutti i ragionamenti politicamente corretti degli ultimi decenni».

Dicendo che “la verità viene dalla fede” si poteva anche nascondere dietro una sequoia, egregio Torno, e fermarsi lì.

Infine: mi accorgo che, come da tempo vedevo sulla Domenica del Sole 24 Ore, anche gli articoli a firma del Corriere sono corredati, a calce, della scritta ©RIPRODUZIONE RISERVATA. Perché? Temono che diffonda a gratis il loro verbo?

Il sapere è un prodotto del dubbio

«Non credo che la pratica della scienza possa andar disgiunta dal coraggio. Essa tratta il sapere, che è un prodotto del dubbio; e col procacciare sapere a tutti su ogni cosa, tende a destare il dubbio in tutti. Ora, la parte della popolazione è tenuta dai suoi sovrani, dai suoi proprietari di terra, dai suoi preti, in una nebbia madreperlacea di superstizioni e di antiche sentenze, che occulta gli intrighi di costoro. Antica come le rocce è la condizione dei più, e dall'alto dei pulpiti e delle cattedre si suole dipingerla come altrettanto imperitura. Ma la nostra nuova arte del dubbio appassionò il gran pubblico, che corse a strapparci di mano il telescopio per puntarlo sui suoi aguzzini. Cotesti uomini egoisti e prepotenti, avidi predatori a proprio vantaggio dei frutti della scienza, si avvidero subito che un freddo occhio scientifico si era posato su una miseria millenaria quanto artificiale, una miseria che chiaramente poteva essere eliminata con l'eliminare loro stessi; e allora sommersero noi sotto un profluvio di minacce e di corruzioni, tale da travolgere gli spiriti deboli. Ma possiamo noi ripudiare la massa e conservarci ugualmente uomini di scienza? I moti dei corpi celesti ci sono divenuti più chiari; ma i moti dei potenti restano pur sempre imperscrutabili ai popoli. E se la battaglia per la misurabilità dei cieli è stata vinta dal dubbio, la battaglia della massaia romana per il latte sarà sempre perduta dalla credulità. Con tutt'e due queste battaglie [...] ha a che fare la scienza. Finché l'umanità continuerà a brancolare nella sua nebbia millenaria di superstizioni e di venerande sentenze, finché sarà troppo ignorante per sviluppare le sue proprie energie, non sarà nemmeno capace di sviluppare le energie della natura che le vengono svelate».

Bertolt Brecht, Vita di Galileo, (trad. Emilio Castellani), Einaudi, Torino 1963

sabato 22 agosto 2009

Ritorno a casa


Ho salutato oggi questo panorama preso dalla casa di vacanze in Svizzera, da un balcone sul Lemano. Rispetto a Malvino che ha fatto indigestione di immagini, io ho invece ingoiato pressoché solo orizzonti. Senza connessione ho sporcato solo poche pagine di un elegante cahier quadrettato: speriamo di ricavarne qualcosa. Per stasera, veloci letture degli amici linkati (da segnalare l'ottima forma del Forma, frigo permettendo - un frigo a quartabono?). Cos'altro dire di veloce? Bah, fatto buon viaggio di ritorno, salvo un'ora di coda a Visp, nel Vallese, cittadina che ha dato i natali a Blatter; procedendo a passo d'uomo, davanti a un cartello che pubblicizzava non so bene cosa della Fifa e che riportava l'immagine sia di Blatter, appunto, che di Platini, ho fatto il dito a entrambi per il disagio. Poi, 18 gradi sul Sempione, pensare a come fanno a vivere a Gondo o al confino di Paglino, e se lavorassi a Trasquera, poi via con la temperatura in rialzo e la splendida fornace padana (38 gradi: friggi Bossi? Comunque oggi mi sei piaciuto, nella prima parte del discorso).
Questo il viaggio d'oggi detto in breve. Ieri son stato a salutare Vladimir e Véra N. di cui racconterò qualcosa, magari domani.

sabato 15 agosto 2009

La vocazione

Queste sere, prima di partire per le vacanze, ero al bar con dei cari amici. Tra vari discorsi affrontati ci sono state anche alcune reminiscenze su alcune paure della nostra infanzia. Io e S. abbiamo ricordato la stessa paura di diventare prete. Io avevo meno pericoli non essendo la mia famiglia molto “religiosa”, ma comunque abbiamo riso sul fatto che, in un certo senso, temevamo entrambi di essere presi dalla vocazione sacerdotale, come dicevano i nostri catechisti.
Bene, col senno di poi, oggi (e solo oggi), mi piacerebbe essere un parroco per mandare a fanculo questo inguaribile pezzente.

giovedì 13 agosto 2009

Un bieco illuminista



Disapprovo ciò che dite, mi viene quasi il vomito; ma visto che quel che dite ci tenete così tanto a dirlo, ditelo pure, ne avete diritto e difenderò tale diritto, tanto il fatto stesso che dite certe cose vi copre di ridicolo da soli. Sono le stesse vostre parole che vi giudicano.

mercoledì 12 agosto 2009

Cronache bernesi 2

Non c'è niente da fare: se l'Italia vuole diventare davvero una Repubblica indipendente (o perlomeno, nutrirne l'ambizione) occorre rivedere i Patti Lateranensi. Altrimenti rassegnarsi a essere uno Stato a responsabilità limitata. Il Vaticano, la CEI in particolare, fanno il suo mestiere, per carità. Ma tale esercizio di potere è talmente pervasivo che, o se ne diventa proni (come accade all'attuale governo) oppure avviene (m'illudo che avvenga) una necessaria ribellione anche, e soprattutto, da parte dei cattolici “adulti”. Ormai l'intromissione è arrivata a tal punto che “soltanto un dio ci potrà salvare”. Non so quale, però.

Cronache bernesi


Campagna bernese. Passeggio tra campi da pascolo e da barbabietole. Poche gente dintorno, le scuole son ricominciate già lunedì. Si galoppa in questo Cantone. Parlando con mio cognato, ch'è ingegnere presso una compagnia di produzione elettrica, mi ricorda che qui vicino v'è una centrale nucleare (cazzo!); che a pochi chilometri v'è anche una centrale idroelettrica sull'Aar; che vicino vi sono anche le pale eoliche; che Berlusconi pare abbia avuto molte simpatiche coquines con le quali ha passato piacevoli ultimi mesi. È un uomo energetico Berlusconi, mi giustifico. È un uomomaltina. Il fuoco in fondo al cuore che lo anima risolverà in breve i problemi energetici del nostro paese, spiego a mio cognato che, giuro, per la prima volta in quindici anni mi ha parlato di “politica” italiana. Cerco di difendere l'onore della patria come posso.

lunedì 10 agosto 2009

Desiderata (ovvero, pseudo sogno di una notte di mezza estate)

Ferragosto 2009.
Berlusconi telefona a Fini e a Gianni Letta e li convoca d'urgenza a Palazzo Grazioli. Dopodiché chiama anche D'Alema e Casini, chiedendo loro di recarsi al più presto in tal loco, facendo cura della massima discrezione.
Berlusconi, senza tanti preamboli, va subito al punto coi suoi interlocutori, dichiarando che governare con la Lega è, di fatto, diventatato insostenibile: il prossim'anno ricorrono 150 anni dall'Unità d'Italia e, continua, non può più tollerare una forza secessionista, antiunitaria, antitaliana tout court alla guida della Repubblica. «È una contraddizione in termini che la Lega governi l'Italia e io non voglio più essere responsabile di questa situazione».
«Meglio tardi che mai» sentenzia Casini.
«E ora che si fa?» domanda D'Alema, «O meglio, che intenzioni avete?».
«Innanzitutto vorrei che qui tra i presenti» riprende Berlusconi «sia trovata una “certa” unità d'intenti su questo tema di escludere la Lega da qualsiasi accordo di governo attuale e futuro (non fare il furbo Massimo). Le modalità di attuazione saranno, invece, discusse e deliberate insieme. Per intanto, alla prossima richiesta di stampo leghistico io dirò di no e consentirò di far cadere il mio governo. Dopo si ritorna alle elezioni. Io mi gioco tutto. Io non voglio più continuare a essere sotto ricatto da questi antitaliani. Io non vorrei essere ricordato per aver sfaldato quello che resta del nostro sentimento nazionale. Se cadrò in Parlamento andremo subito alle elezioni. Prima però concorderemo insieme una più decente legge elettorale. In una settimana si trova un accordo se c'è la volontà politica. E poi, tutti alle urne e chi ce l'ha più lungo se lo tira. Che ne pensate?» conclude rivolgendosi direttamente a Casini e a D'Alema.
E loro, all'unisono: «Aspettiamo settembre».

Vacanze

Vacanze in Svizzera. Prima cinque giorni a Berna, poi altri sette in un'amena cittadina del Lavaux. Porto con me il compùtero portatile: spero di trovar qualche connessione.

domenica 9 agosto 2009

sabato 8 agosto 2009

Per una retorica antirondista

«La strada non era troppo ben tenuta, ma questa circostanza o contrattempo non m'impediva in alcun modo di elogiarla, ossia di stimare felice la strada e il viandante che vi camminava sopra di buonumore, cioè me stesso. Malauguratamente, però, non piacqui altrettanto a un occhiuto e vigile gendarme che incontrai in un villaggio e al quale per mia sfortuna, ovverosia come Dio volle, non feci la stessa ottima impressione che facevo a me. La sorprendente apparizione del giovane giramondo parve sbalordirlo e lo costrinse o indusse a fermarmi e a pregarmi di volerlo gentilmente seguire. Mi portò in un degno locale o sede di pubblico ufficio, dove venni presentato al suo superiore - uomo all'apparenza piuttosto burbero che benigno, ma che tuttavia mi sembrò piuttosto simpatico che pericoloso e assai più bonario che terribile - quale sospetto e presumibile perdigiorno.
Con voce cavernosa fui invitato a prendere cortesemente posto, dopodiché cominciò a interrogarmi sul perché me ne andassi a piedi per l'aperta campagna.
"A quanto pare, da loro non sono visto in buona luce" dissi; ed ebbe il coraggio di rispondermi: "Proprio per niente".
"Lei però molto probabilmente è in errore," ardii ribattere "se nel mio caso suppone di aver a che fare con un comune vagabondo. Mi permetterei di consigliarla di volermi esaminare un po' più attentamente. Forse allora perverrà alla sensazione, certamente gradevolissima per lei come per me, che io possa essere, altrettanto se non più facilmente, una persona onesta e retta piuttosto che uno scioperato e un mariuolo. Io sono convinto di non essere proprio per nulla quello che lei forse si sentirebbe in dovere di ritenermi. Avrei potuto benissimo, come chiunque altro, viaggiare in treno. Ma poiché sono un fervido amatore del girovagare per giorni e del camminare per miglia, ho preferito andare a piedi, cosa che però non dovrebbe essere considerata un peccato, e per conseguenza neppure generare senz'altro sospetti. Può forse la gioia del viaggiare a piedi, e quelll'amore per la natura che vi è così felicemente connesso, apparirle in qualche modo sospettabile? La prego di volersi gentilmente spiegare".
"È lei che sembra abbastanza sospettabile, caro signore" mi rispose senza riguardi; ma dopo una mezz'ora interamente spesa nella solerte compulsazione di ogni sorta di documenti e di carte e nella diligente assunzione di informazioni, venni congedato con queste parole: "Può andare".
Decisione altamente benvenuta, carina e gentile!»

Robert Walser, Vita di poeta, Adelphi, Milano 1985

Una cortesia ne attira sempre un'altra


Alfred Sisley, La Seine à Argenteuil, 1870

«Ripenso a quando, parecchi anni fa, partii - era d'estate - per la mia prima lunga gita, nella quale rammento di aver visto una quantità di cose straordinarie e belle. Il mio equipaggiamento consisteva in un modesto abito chiaro che avevo addosso, in in cappello blu scuro che avevo in testa e in un fagotto da viaggio che tenevo in mano. Cuciti nella tasca dle panciotto, in forma di un nitido assegno bancario, portavo con me i miei risparmi verso il vasto mondo fresco e luminoso. Da un gruppo di baldi giovanotti che incontrai per la strada, uno mi gridò dietro beffardo: "Dove va quel perticone col suo sacchetto?". Alludeva al mio misero, assurdo fagottello da viaggio, che allo stesso suo portatore e proprietario faceva un effetto un po' ridicolo. Ma io, senza curarmi di quelle beffe che non potevano avere grande importanza, proseguii allegro, e mi pareva, così camminando, che tutto il mondo rotondo avanzasse leggero con me. Ogni cosa sembrava viaggiare col viandante: prati, campi, boschi, colture, montagne, e perfino la stessa strada maestra. Mi sentivo l'animo divinamente libero e il cuore lieto. Continuavo ad andare avanti di buona lena, passavo tranquillo eppure spedito accanto a ogni sorta di gente che di tanto in tanto salutava con simpatia quel giovane e spensierato viaggiatore, quel goliardo vagabondo; e ciò mi obbligava a mostrarmi altrettanto gentile. Una cortesia non ne attira sempre un'altra?»

Robert Walser, Vita di poeta, Adelphi, Milano.

Costruire l'edificio


Harry Callahan (American, 1912-1999), Eleanor, Chicago, 1949. Gelatin silver print, 7 5/8 x 9 5/8 inches (19.4 x 24.4 cm) The Museum of Modern Art, New York

«Noi pubblicisti, noi uomini politici non siamo stati educati a fare il mestiere degli agricoltori, degli industriali, dei commercianti. Il nostro mestiere è un altro: quello di costruire l'edificio giuridico entro il quale e nei limiti del quale agricoltori, industriali e commercianti debbono operare e muoversi affinché l'opera dei singoli sia feconda di beni ad essi ed alla collettività e contribuisca all'elevazione dei meno fortunati»

Luigi Einaudi, Le prediche della domenica. «Lo stato imprenditore e il mezzogiorno», 16 aprile 1961. Torino 1987.


venerdì 7 agosto 2009

Letture agostane

Due post di Malvino [1, 2] più due di Formamentis [1, 2], più la lettera di Claudio Magris in coincidenza con una mia ritrovata lettura ceronettiana (L'occhiale malinconico). Tout se tient, il mondo è grigio, chi trionfa è un certo tipo di umanità di cui mi ostino a credere di non farne parte. O meglio, più che ostino, mi illudo di percepire segnali che fanno pensare a una realtà altra, una specie di sopramondo in cui il pensiero travalica l'azione e i desideri sono frenati dall'argomentazione. Un parlare a bassa voce, su frequenze di difficile sintonizzazione, come queste parole succitate che si susseguono resistenti, veritative, consolatorie. Non è questione di stare qui a rodersi, a risicare, a contorcersi nelle spire del risentimento verso la maggioranza beota e vincente, crassa di prole e puttane di regime: cacano perle per caso? Lo provino, i merdosi potenti pretenziosi di guidare le sorti del mondo. Da queste parti dell'impero spira un vento gelido nonostante sia agosto: il vento della stupidità, della presunzione, dell'impunità. Un vento che provoca un graduale indebolimento delle difese immunitarie laiche e repubblicane di cui i primi a goderne saranno gli Irridemibili Ecclesiastici, i quali vedono crepe solo là nei luoghi più saldi in cui una repubblica laica si riconosce o dovrebbe riconoscersi: saranno contenti che questo Stato vada a rotoli e cada tra le loro braccia pseudoconsolatorie: in fondo non hanno mai digerito Porta Pia e hanno perfettamente capito che la vera vittoria non consiste nel possedere territori, ma le menti dei sudditi. Ma tutto questo, ripeto, non importa: esiste per me un sopramondo, questo, fatto da una piccola (o grande?) comunità di parlanti questa lingua bistrattata che resistono, pensano, parlano, scrivono e danno joie de vivre.

giovedì 6 agosto 2009

I fornicanti

E là i furtivi fornicanti
Ascesi dall'ascensore
L'ultima rampa a piedi sospiranti
Speranzosi chissà se mai l'amore -

Lui discreto ma pimpante
Architetto del grande piano
Lei col cuore già alle gambe
Lui sussurrante ecco ci siamo

Giovanni Giudici, Lume dei tuoi misteri, Mondadori, Milano 1984

mercoledì 5 agosto 2009

Amicizia

L'amicizia è uno dei più preziosi doni che la vita riserva. Scusate questa massima da baci perugina, ma stasera ho poco tempo per scrivere. Stasera e questi giorni saranno tra i pochi giorni dell'anno in cui amici veri saranno in carne e ossa qui in mia compagnia. E i racconti di vita si dilateranno in sonore risate o nella tristezza che un giorno, tra molti giorni, tutto questo non sarà più. Ma il legame forte con pochi amici veri è un'essenza e una dedica, una particolare forma d'amore, un lusso e un privilegio. Non esistono analisti migliori, non esiste vendemmia pregiata che quella che deriva dalla cura che si dedica alle persone care. Per la verità anche molte e molti degli amici linkati, conosciuti solo qui tra le pagine scritte, tra la tenue e forte voce da loro pronunciata, danno ancora la speranza che l'amicizia possa un giorno rendere partecipi di un grande sogno e ora basta, basta sì che non so più bene quel che dico perché ho bevuto in compagnia mezza bottiglia di Castello di Ama 2005 tenuto apposta, nascosto, per stasera. Brindo anche a voi amici cari, qui. Buon sera agostana.

martedì 4 agosto 2009

Arte riciclata



Quanti ettari occorrerebbero se si dovesse allestire tutti tale “opera d'arte”?

La malaise des présidents

Vengo a sapere da Le Figaro che, dopo il lieve malore, il Presidente francese Sarkozy ha guadagnato il 12% di favore popolare rispetto a un mese fa.
Se il nostro Presidente del Consiglio dovesse di nuovo svenire pubblicamente potremo indovinare già le ragioni.

Complimenti Bill...



...però mi raccomando, in aereo, durante il viaggio di ritorno, non ti far ringraziare troppo affettuosamente.

Nuovi pascoli

Dal Libro del Profeta Ezechiele [Qui “pastori” sta per “politici”]
34
1
Mi fu rivolta questa parola del Signore: 2 «Figlio dell'uomo, profetizza contro i pastori d'Israele, predici e riferisci ai pastori: Dice il Signore Dio: Guai ai pastori d'Israele, che pascono se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? 3 Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge. 4 Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza. 5 Per colpa del pastore si sono disperse e son preda di tutte le bestie selvatiche: sono sbandate. 6 Vanno errando tutte le mie pecore in tutto il paese e nessuno va in cerca di loro e se ne cura. 7 Perciò, pastori, ascoltate la parola del Signore: 8 Com'è vero ch'io vivo, - parla il Signore Dio - poiché il mio gregge è diventato una preda e le mie pecore il pasto d'ogni bestia selvatica per colpa del pastore e poiché i miei pastori non sono andati in cerca del mio gregge - hanno pasciuto se stessi senza aver cura del mio gregge - 9 udite quindi, pastori, la parola del Signore: 10 Dice il Signore Dio: Eccomi contro i pastori: chiederò loro conto del mio gregge e non li lascerò più pascolare il mio gregge, così i pastori non pasceranno più se stessi, ma strapperò loro di bocca le mie pecore e non saranno più il loro pasto. 11 Perché dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura. 12 Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine. 13 Le ritirerò dai popoli e le radunerò da tutte le regioni. Le ricondurrò nella loro terra e le farò pascolare sui monti d'Israele, nelle valli e in tutte le praterie della regione. 14 Le condurrò in ottime pasture e il loro ovile sarà sui monti alti d'Israele; là riposeranno in un buon ovile e avranno rigogliosi pascoli sui monti d'Israele. 15 Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. 16 Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all'ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia.

O Altissimo, non ti sembra il caso di far un salto anche qui in Italia? Di persona però, ché il tuo Sommo rappresentante ci fa pascolare in delle zone impervie e aride e poi, sia detto per inciso, l'è vicino a te quanto io son vicino alle curve di Shakira. No, non promettere che tanto questi pascoli saranno per dopo... Israele è qui e ora o non è. Anche Ezechiele ha capito così, e io pure. Dopo è troppo facile, dopo non c'è partita. E io mi sono rotto a giocare sempre dalla parte della pecora. Soprattutto con questi rincoglioniti di pastori, buffoni presuntuosi, unti e bisunti, ammiccanti e sorridenti. E che nemmeno sanno contare e, dalla vergogna, lo nascondono pure. Sì, Altissimo l'Italia urge di una tua benedizione vera. Se tu ci fossi sarebbe incredibile come tu ci faccia ancora sopportare così tanto questo insopportabile stato di cose. Politico intendo. Privato, va bene così. Ho la fortuna di non essere invischiato in giochi di potere. Dici che se tu, o Altissimo, fossi Dio - come diceva Gaber - ti ritireresti in campagna come ho fatto io? Troppo facile. Mi piacerebbe ci fosse ancora qualche redattore biblico in giro per il mondo, qualche uditore della tua voce, un altro Ezechiele, un Isaia, un Geremia e via e via. Già, perché nel corso dei secoli s'è interrotta questa tradizione di Scrittura? Tu hai bell'e detto tutto? Sicuro sicuro? Qui l'è tutta un'interpretazione, un'esegesi, un citare versetti, di Ravasi che fanno scender i cosiddetti a livelli plantari. O Altissimo, fa' un cenno, un saluto, un marameo, un severo monito, una semplice rimbrottata. Qualcosa insomma che infonda speranza che tutto questo sciame infame d'imbecillità e cattiveria che ci circonda non sia il fine ultimo di questa sciagurata umanità. Meglio di tutto sarebbe che tu venissi una sera in diretta, a reti unificate, in un'ora di punta planetaria di massimo share, per dirci: «Ragazzi, non ho la barba né i baffi e quasi tutto ciò che leggete e sentire pregare e comandare su di me non è vero. Fate finta che io non ci sia ché io vi confondo, vi faccio perdere in un mare di precetti cazzata che infondono timore e paura ai tre quarti dell'umanità. Ragazzi, il paradiso è qui se sarete capaci di costruirvelo, soprattutto non sulle spalle e contro altri come voi. Ragazzi, mi avete caricato di troppe responsabilità, a cominciare dalla superballa della creazione. Io sono un sogno, io sono un desiderio. Io sono, o meglio, vorrei essere solo una lieve carezza sul viso estremamente soave che rinfranca tutti i dolori del mondo. E adesso basta, non vi fidate troppo di coloro che mi pronunciano spesso cercando d'imporre se stessi e le proprie ingiunzioni. Io sono un solitario, lasciatemi in pace. Buon anno, ci risentiremo a capodanno».

Pioggia di razzi



Per molte cose, probabilmente, sono un ingenuo. Ma qualcuno sa dirmi dove questi talebani afgani prendano le armi? (Usa, Russia, Europa, Cina, organizzazioni criminali?) Come le pagano? (Narcotraffico?). Non sarebbe più facile, alla Comunità Internazionale, bloccare le fonti di rifornimento bellico a tali combattenti teocratici? Secondo me lo fanno apposta: il macabro gioco della guerra si fa in due e ora poi che, in pratica, sono tutti contro uno, il gioco deve continuare. Non si deve far mancare al PIL di alcuno gli introiti di questo "capitolo".

lunedì 3 agosto 2009

I vizi dell'Unto Non Santo

Dietro la frase «non sono un santo» si nasconde l'abietto scopo di considerare i propri vizi meritevoli di comprensione e indulgenza: una strizzatina d'occhio per ritrovare la complicità e la compiacenza del popolo. Ma questi simili, questa gente comune, era prima (e certamente anche ora) considerata dall'alto del proprio piedistallo o predellino, come mandria da guidare col piglio di Uomo della Provvidenza che si dichiarava, spudoratamente, Unto del Signore. Questa è a mio avviso un'ulteriore prova della bassezza morale, della vera e propria pusillanimità del soggetto che, per paura di rotolare giù dal trono, scende metaforicamente da esso di sua spontanea volontà per abbracciare i vizi di noi poveri ladri di cavoli e di noi si rivuole fratello. Leggiamo Montaigne...

«Gli uomini non sono che varietà e dissomiglianza. I vizi sono tutti uguali in quanto sono tutti vizi, e così forse la pensano gli stoici. Ma, benché siano ugualmente vizi, non sono tuttavia vizi uguali. E colui il quale ha oltrepassato di cento passi i limiti,

Quos ultra citraque nequit consistere rectum
[«Al di là e al di qua dei quali non può trovarsi il bene». Orazio, Satire, I, 1, 107]

non sia di peggior stampo di colui che ne è soltanto a dieci passi, non è credibile; né che il sacrilegio non sia peggiore del furto di un cavolo del nostro orto;

Nec vincet ratio, tantumdem ut peccet idemque
Qui teneros caules alieni fregerit horti,
Et qui nocturnus divum sacra legerit
[«Né la ragione potrà persuaderci che colui che ruba cavoli novelli nell'orto altrui commettta un crimine altrettanto grave di colui che di notte ruba nei templi degli dèi», Ibid, I, 3, 115-117]

C'è in questo tanta diversità quanta in qualsiasi altra cosa.
Confondere l'ordine e la misura dei peccati è pericoloso. Gli assassini, i traditori, i tiranni ci guadagnano troppo. Non è giusto che la loro coscienza si consoli del fatto che un altro è ozioso, o dissoluto, o meno assiduo nella religione. Ognuno esagera il peccato del suo compagno, e attenua il proprio».

Michel de Montaigne, Saggi, Libro II, Capitolo II, Adelphi, Milano.

Letteratura e politica

a devarim: «marciare divisi per colpire uniti»

La letteratura serve per fare politica?

Altroché. Io direi: soltanto la letteratura può avere una funzione politica. Lo scrittore porta squilibri, questo è vero. Ma non dimentichiamo che il più perfetto e stabile degli equilibri è la morte. Vede bene che lo squilibrio è un fattore di vita. Anche se sarà vita dura.

Secondo lei esiste la fuga nel privato di cui tanto si parla come l'ultima versione del qualunquismo?

Io dico di no. Questa scoperta del privato mi sembra un'immagine pubblicitaria. Direi addirittura un invito: si vuole, si cerca di spingere la gente nel privato. Il privato come altro polo rispetto alla criminalità. L'unanimismo ci vorrebbe tutti concordi nel rinunciare al diritto di opposizione. La criminalizzazione serve per liquidare il reato del dissenso. La fuga nel privato serve per non vedere, per non sapere, non rifiutare. Questo gioco va spezzato prima che sia troppo tardi.

Leonardo Sciascia (La Repubblica, maggio 1929), La palma va al nord, Gammalibri, Milano 1982.

domenica 2 agosto 2009

La vetta dell'albero

Stasera ci vedremo. Ci diremo
parole che potrebbero portarci
per sempre lontani da noi. Ma anche è possibile
che dopo il sonno o dopo molti sonni
si venga a una notte chiarissima, a un'altra
giornata da intraprendere.
E ora mi chiedo
dov'è la forza che prego per noi.

Se tra i miei occhi alla radice della fronte
o sotto lo sterno dove il sussulto si ostìna
o nella vetta dell'albero che spia la pioggia
o in te che patisci sulle piccole spalle

il peso del dio senza conoscerlo

4 giugno 1981

Franco Fortini, Paesaggio con serpente, Einaudi, Torino 1984

A volte mi chiedo quale forza faccia sì che io continui questo esercizio. Perché una forza, come una spinta, c'è, la percepisco. Non amo troppo, si sarà capito, far di questo blog il luogo deputato delle proprie confessioni, di una scrittura diaristica privata. Anche, e soprattutto, perché se mi guardo dentro scorgo spesso il vuoto, ma il vuoto non lo voglio perché io non sono io, io sono ciò che leggo. Vivo, forse al 5% (come diceva Montale), ma non è questo il punto. Il punto è ricollegarsi alle vite altrui, agli altri 5% per cento che hanno lasciato e lasciano una traccia, un segno, un senso. Leggo forte allora questa poesia. E la confusione che stasera mi annebbiava sparisce d'incanto. Perché mi sono detto parole che mi hanno portato lontano, lontano da me. Tra l'altro, ma questo è un caso, stasera è spiovuto e dagli alberi intorno sgoccialano gocce tiepide. La luna lumeggia: che la notte sia chiarissima.

Sopra la panca la capra, ovvero la logica del Cardinale



Se con «la libertà di scelta [si] finisce per affermare solo il diritto del più forte» (democrazia), pare ovvio che senza libertà di scelta si afferma il diritto del più debole (dittatura, totalitarismo, ecc.).
E ancora: se con la libera scelta democratica si determina «una crepa nella civiltà» è chiaro che senza libera scelta si restaura la suddetta crepa.
Quindi, restauratori di tutto il mondo unitevi (non solo all'Opificio delle Pietre Dure), non avete da perdere altro che le vostre crepe.

Contro i poeti postprandiali

Una stupenda lezione di G.O.D critico letterario.

sabato 1 agosto 2009

La virtù del nulla




«[...]
quale ti sembra il compito della ragione? Dove vedi, per l'uomo d'oggi, un impegno possibile - al di là di ogni immediata necessità o convenienza?

«La ragione dovrebbe illuminare continuamente tutto, dovrebbe illuminare il disordine e il dolore. C'è molto dolore, nel mondo, ce n'è più che in tutti i tempi, perché l'irreale - il non conosciuto - è assai più profondo. Mille ragioni, di Stato o pratiche, vi si oppongono. Non per malvagità, ma perché a quelle condizioni, che mantengono il disordine, su cui cresce il dolore, sono legati innumerevoli interessi, anche di cultura, o vecchia cultura; quindi di autorità. Quando, per esempio, dài il mondo come spiegato - per così dire: naturale - ci edifichi sopra le cose degli uomini. Quando lo dài come inspiegabile, cioè innaturale, e lo definisci come visione del fuggevole, ci edifichi l'uomo. Non è una differenza da poco. Edificare l'uomo è gratuito. Edificare le cose (dell'uomo e sull'uomo) porta compensi molto alti, non solo economici. Ma perde l'uomo.

C'è qualcosa che detesti particolarmente, nel mondo moderno?

Non so se la detesto, perché è molto imponente, e si può appena osservare: la virtù del nulla. Più una cosa è nulla, o male addirittura, più vanificante o vanificata, più viene accettata e celebrata. Sembra uno scherzo, dapprima: poi, a poco a poco, ti convinci che è una realtà (sebbene dell'irreale, cioè del nulla). Ma questo gran giocare e inchinarsi delle società moderne intorno a uomini da nulla, opere da nulla, cose del nulla [...], questa cosa ti tiene desti: come un incanto, un prodigio»

Anna Maria Ortese, Corpo celeste, Adelphi, Milano 1997 (pag. 103-4)

Sopprimere il linguaggio come comunicazione

«Perché il pubblico è così insolente verso la letteratura? Perché possiede il linguaggio. La gente oserebbe affrontare nello stesso modo le altre arti se fossero un mezzo di comunicazione per cantarsi, impiastricciarsi di colore o coprirsi di gesso a vicenda. Il guaio è appunto che l'arte della parola lavora con un materiale che passa continuamente per le dita della canaglia. Perciò non c'è modo di venire in aiuto alla letteratura. Quanto più essa si allontana dall'intelligibilità, tanto più petulantemente il pubblico reclama il suo materiale. Il meglio sarebbe ancora tener nascosta la letteratura al pubblico finché non si vara una legge che proibisca alla gente la lingua corrente e le permetta soltanto di servirsi, in casi di emergenza, di un linguaggio di segni».

Karl Kraus

[traduzione del brano di Cesare Cases da un saggio di questi su K.K. Credo che tale brano si trovi anche in Detti e contraddetti, Adelphi, ma ora non vo a controllare].