lunedì 31 maggio 2010

I have got thirteen channels of shit on the T.V. to choose from


«Il mondo è ancora pieno di muri. C'è un muro che separa i ricchi dai poveri, un muro tra il primo, il secondo e il terzo mondo, ci sono muri che dividono la gente a causa del loro credo e della loro ideologia. Il motore di The wall fu il ricordo di mio padre morto in guerra, ma ci sono ancora tanti papà impegnati nei conflitti, molte famiglie, soprattutto negli Usa, che hanno perso parenti in Medio Oriente e anche tante famiglie che piangono vittime civili. Oggi chi ha alle spalle una storia come la mia non scrive The wall, va a raccontarla nei reality show, in cerca di quindici minuti di celebrità. Si diventa famosi senza saper far nulla, non c'è più bisogno di saper recitare, cantare o che so io. Al contrario, è la totale mancanza d'immaginazione a creare il personaggio. La tv... il vero oppio dei popoli. Foraggia consumismo e propaganda. Crea dipendenza». Roger Waters

Il Cortile di quasi tutte le genti

Pare che Monsignor Ravasi, su diretta commissione del Pontefice, sia intenzionato a organizzare, a Parigi, un incontro aperto e cordiale con “i fratelli atei e agnostici”. Tuttavia, la fondazione pontificia Il Cortile delle genti sarebbe interessata a incontrare solo un certo, nobile, tipo di ateismo e agnosticismo [quello degli atei devoti, immagino], «non il tipo polemico - quindi non quegli atei come Piergiorgio Odifreddi in Italia, come Michel Onfray in Francia, o come Christopher Hitchens e Richard Dawkins in Inghilterra». Per farla breve, insomma, gli atei e gli agnostici se li scelgono loro, i cattolici, di tipo mansueto, calmo, accomodante, conciliante in modo che se la cantino e se la suonino sulla necessaria esistenza del Creatore e dei suoi perfetti attributi. Mah. A questo punto sarebbe più interessante se invitassero teologi cristiani un po' bastian contrari, à la Vito Mancuso, à la Adriana Zarri, à la Hans Küng.

domenica 30 maggio 2010

Magisteri dell'Aldifuori

Leggendo questo articolo di Francisco J. Ayala (nella benemerita ma imperfetta traduzione offerta da Google) capisco come l'illustre genetista riproponga l'idea gouldiana dei magisteri non sovrapponibili: i NoMa (qui ho trovato un ottimo post di hronin sull'argomento). Non sono tanto esperto in materia, ho letto solo alcuni libri sulla questione, e quasi tutti di quei dèmoni di Dawkins e Dennett. Ma, se ho ben imparato da loro la lezione (non intendo ora riportare i luoghi perché non ho tempo per un'esaustiva ricerca bibliografica), riproporre questa idea dei magisteri non sovrapponibili comporta uno stallo, una tregua armata, ma non risolve la questione fondamentale: e cioè quanto hanno di serio, di concreto, di fondato da dirci le religioni circa i temi cardine della vita umana (i valori, il senso della vita) che non siano mere illusioni o soluzioni aprioristiche? Niente di nuovo sul fronte occidentale. Può essere vero che, come dice Ayala

outside the world of nature, however, science has no authority, no statements to make, no business whatsoever taking one position or another.

Ma, mi chiedo, cosa c'è di meno al di fuori della natura delle religioni? Il fatto che esse parlino, grazie ai buoni uffici della tradizione del Libro (Bibbia, Corano, o altro), di un non ben identificato aldilà? Certo

molto tempo prima che esistesse la scienza, e anche la filosofia, esistevano le religioni. Sono servite a molti scopi [ed esse] hanno ispirato molte persone che hanno contribuito in modo immisurabile alle meraviglie del nostro mondo e hanno ispirato molte più persone e condurre un'esistenza che è stata, date le loro condizioni, più significativa e meno dolorosa di quanto avrebbe potuto essere altrimenti [...] Le religioni hanno portato il conforto dell'appartenenza comune e della fratellanza a molti che altrimenti avrebbero attraversato questa vita completamente soli, senza gloria né avventure. Nel migliore dei casi, le religioni hanno attirato l'attenzione sull'amore, l'hanno reso reale per persone che altrimenti non avrebbero potuto conoscerlo, hanno nobilitato gli atteggiamenti e rinvigorito lo stato d'animo degli abitanti di un mondo assediato dalle difficoltà. Le religioni hanno conseguito un altro risultato, senza per questo che ciò ne costituisse la raison d'être: hanno mantenuto Homo sapiens in una condizione di civiltà sufficiente, per un tempo sufficiente, affinché noi imparassimo come riflettere in maniera più sistematica e rigorosa sulla nostra posizione nell'universo¹.

Non dico con questo che voglio solo affidarmi alla scienza e al bieco scientismo per la ricerca dei valori e del senso della vita (considerato altresì che essi non possono essere dati scientifici). Ma se, come per ogni persona di buona volontà, essere felici e allontanare da sé e dagli altri il dolore del mondo, è il principale scopo della propria esistenza, allora per realizzarlo (ovvero per diminuire il dolore del mondo e rendere più felice questo transito terrestre a scapito della natura indifferente) è meglio affidarsi alla narrazione scientifica che a quella religiosa; questo perché la narrazione scientifica parte sempre dal presupposto che un giorno possa essere arricchita, modificata, smentita, falsificata, accresciuta; Mentre le narrazioni religiose non mettono mai in dubbio i loro fondamenti, i loro assoluti, anche quand'essi sono manifestamente sbagliati in quanto portatori di dolore e infelicità nel mondo. Le vie della religione sono preordinate e immodificabili, nessuna prevede particolari deviazioni dal testo scritto. Le religioni insomma vivono di dottrina, mentre la vera scienza e la vera filosofia vivono di ricerca, di cammino.

Per concludere, il discorso di Ayala è un tentativo di dare legittimità ai Magisteri dell'Aldifuori, i quali però, contrariamente alla scienza, continuano a invadere il campo avverso per far valere anche e soprattutto qui, dentro questo mondo, la loro autorità.

¹Daniel C. Dennett, L'idea pericolosa di Darwin, Bollati Boringhieri, Torino (pag. 662-3)


Era meglio Ciro Ferrara



Il mio interesse per lo sport calcio è pari allo 0,5% della totalità dei miei pensieri quotidiani legati all'attualità. Purtuttavia ogni tanto uno sguardo ve lo getto nel mondo pallonaro, anche perché sarebbe difficile non farlo data l'esposizione mediatica di cui esso gode. Di quello 0.5% fa parte anche una mia moderata propensione per la Fiorentina, squadra del quasi cuore. Per tali ragioni, in questo blog difficilmente troverete mie opinioni sul mondo del calcio. Tranne oggi, nel dirmi totalmente d'accordo con quanto scrive Adriano Sofri nella sua Piccola Posta prima, e in un articolo pubblicato nella Repubblica di Firenze di oggi poi. Insomma, avrei preferito che ad allenare la squadra viola fosse stato chiamato un allenatore gobbo come Ciro Ferrara e ho detto tutto.

Una traduzione poetica 3

Io sono un blogger fortunato. Fortunato perché se due fari del pensiero europeo quali Giulio Mozzi e Luigi Castaldi seguono una mia idea di tradurre un sonetto di Pierre de Ronsard contestualizzato alla situazione politica italiana, beh, allora il sorriso mi si allarga sulla faccia a esprimere la gioia e la contentezza di averli trascinati in questo divertissement, e mi fa sentire a loro fratello (minore, molto minore). Mi permetto di pubblicare quindi anche la versione castaldiana, ehm...


Je veux pousser par la France ma peine,

Plus tôt qu'un trait ne vole au décocher;

Je veux de miel mes orelles boucher,

Pour n'ouïr plus la voix de ma Sereine.


Je veux muer mes deux yeux en fontaine,

Mon cœur en feu, ma tête en un rocher,

Mes pieds en tronc, pour jamais n'approcher

De sa beauté si fièrement humaine.


Je vuex changer mes pensers en oiseaux,

Mes doux soupirs en Zéphyres nouveaux,

Qui par le monde éventeront ma plainte.


Je veux du teint de ma pâle couleur,

Aux bord du Loi enfanter une fleur,

Qui de mon nom et de mon mal soit peinte.


Pierre de Ronsard, Amours

Per te, o Italia, ho un dardo in cocca:

voglio scagliarti tutta la mia pena.

Non voglio udire più quella Sirena,

tappate a me le orecchie o a lei la bocca.


Brucia, o coronaria, e tu, o safena,

scoppia! Tempie, mutate in dura rocca!

Verserei gli occhi miei in una brocca,

per non vedere più questa gangrena!


Trasformerei in piccione ogni pensiero

a scacazzare questo monumento nero,

o in corvo per gracchiare il mio dolore.


E pianterei l’esangue mio orrore

in riva a un fiume, a farsi pianta e fiore,

simbolo di quel che sono – pardon! – ero.


Traduzione di Luigi Castaldi.


sabato 29 maggio 2010

Flatulenze teologiche

Qualcuno mi aiuta a capire questa frase?

«"Sarebbe davvero meglio" per i sacerdoti colpevoli di abusi sessuali su minori che i loro crimini fossero "causa di morte" perché per loro "la dannazione sarà più terribile"».

Cioè, ditemi che non capito se ho capito davvero che Monsignor Scicluna intende che per i sacerdoti colpevoli di abusi sessuali sarebbe davvero meglio che i loro crimini fossero causa di morte (dei minori) affinché i colpevoli meritino una dannazione eterna. Cioè ancora: è meglio che il minore muoia per dannare eternamente chi lo uccide? Mi sembra un pensiero talmente contorto, talmente fondamentalista, da fare il paio con quello dei predicatori delle madrasse pakistane che istillano l'idea che uccidersi per il Profeta sia cosa buona e giusta e soprattutto ricompensata nell'aldilà.

La differenza qui è invece che la colpa è castigata nell'aldilà.

Ancora una volta con questo pensiero di Dio giudice.

Il Dio unico giudice possibile è il Salomone che è pronto a tagliare il bambino in due nella contesa delle due madri per provocare nella vera madre la scelta decisiva di esser pronta ad abbandonare la causa della contesa affinché il bambino viva.

Ancora con questa idea di Dio che premia o punisce. Quest'idea buona per il popolino. Dio chiamato in causa senza ragione.

Quest'idea che vede Dio impotente di fronte ai mali reali del mondo ma che dopo, solo dopo, nell'aldilà e nell'aldipoi rimedia, giudica, premia o castiga o purga. Quest'idea è talmente malsana che immagina un Dio osservatore imparziale dell'abuso, un Dio che magari spera addirittura che venga commesso un omicidio affinché la punizione dopo possa essere eterna.

Un Dio che dall'alto (o dal basso?) lascia che tutto il male (o tutto il bene) si compia, che tutto venga liberamente recitato (senza regista, altro che deus ex-machina) da noi umani peccatori o benefattori, protagonisti o comparse, tutto per dopo. Dopo. Comincio a preoccuparmi seriamente non ci sia nessun dopo, anche perché se esso dev'essere come se lo immagina il Monsignore mi rifiuto di partecipare alla recita. Via, aver la presunzione di pensare che tutto questo universo o multiverso sia stato “creato” apposta da Qualcuno solo per la nostra misera recita periferica in questo pianetino periferico è veramente umiliante per noi, ma soprattutto per Dio. Già. Tutto questo indubitabile percorso evolutivo di vita e morte tutto in funzione della commedia umana. Divina Commedia Umana.

«Ed elli avea del cul fatto trombetta» (Inf. XXI, 139): ecco, se io fossi Dio, cosa farei fare alle vittime di abusi per smerdare l'uccello pedofilo.

Una traduzione poetica 2

Giulio Mozzi mi ha fatto l'onore, con un suo commento, di proporre anch'egli una versione poetica (molto più efficace della mia) del sonetto di Pierre de Ronsard. Lo ringrazio pubblicamente (e lo pubblico... ehm...).


Je veux pousser par la France ma peine,

Plus tôt qu'un trait ne vole au décocher;

Je veux de miel mes orelles boucher,

Pour n'ouïr plus la voix de ma Sereine.


Je veux muer mes deux yeux en fontaine,

Mon cœur en feu, ma tête en un rocher,

Mes pieds en tronc, pour jamais n'approcher

De sa beauté si fièrement humaine.


Je vuex changer mes pensers en oiseaux,

Mes doux soupirs en Zéphyres nouveaux,

Qui par le monde éventeront ma plainte.


Je veux du teint de ma pâle couleur,

Aux bord du Loi enfanter une fleur,

Qui de mon nom et de mon mal soit peinte.


Pierre de Ronsard, Amours

Che a freccia in tutt’Italia
giunga la mia pena;
che il miele negli orecchi
zittisca 'sta sirena:

e in fontanelle gli occhi,
in forno il cuore, in pietra
la testa e in tronco i piedi
mi si trasformino, affinché

io mai mai mi appropinqui
a un uomo tanto iniquo.

E in cazzi volanti i pensieri,
in peti parlanti i sospiri
si mutino, e portino ovunque
'sto fetido lamento.

E nasca un fiore
dal mio pallore:
abbia il colore
e del mio male
e del mio nome.


Traduzione di Giulio Mozzi


Terzismo ultimativo

«Prendiamo il caso degli enti locali. I tagli indiscriminati, dice giustamente Luca Ricolfi (La Stampa, 28 maggio), trasmettono un senso di iniquità perché colpiscono allo stesso modo gli enti virtuosi e quelli viziosi. Verissimo, ma il fatto è che misure mirate, concentrate proprio là dove si annida lo spreco, sarebbero politicamente destabilizzanti: ovviamente, i tagli selettivi colpirebbero prevalentemente (non solo, ma prevalentemente) le istituzioni locali del Mezzogiorno. Tenuto conto che il consenso del Sud è decisivo al fine di vincere le elezioni, quale governo se li può permettere? Questa è la ragione per la quale da sempre (non solo oggi), quando si tratta di varare manovre di austerità, si ricorre a tagli e blocchi indiscriminati (alle università, agli enti locali, eccetera). Si ritiene (probabilmente, con ragione) che sia politicamente meno pericoloso permettere che un senso di iniquità si diffonda fra i virtuosi che scatenare la furibonda reazione dei viziosi. Se i tagli, infatti, si concentrassero su quei territori ed enti ove sono più forti gli sprechi dovrebbero colpirli ancor più pesantemente. È politicamente più accorto spalmare le misure restrittive su tutti, diluendone così l’impatto».


Nella fine analisi di Angelo Panebianco sul Corsera di oggi (di cui sopra è riportato un brano) m'è parso di leggere, tra le righe, l'attestazione del completo fallimento pedagogico della politologia applicata: ovverosia, la rinuncia del politologo a credere, non dico possibile, ma almeno auspicabile che la politica possa immaginarsi non solo come semplice esercizio di potere del partito (pardon, popolo) di maggioranza ai danni di un altro partito di minoranza, ma altresì come arte del governo nell'interesse generale dello Stato. Per carità, Panebianco non sbaglia a rinchiudere la politica italiana odierna in questi squallidi giochi di potere; quello in cui Panebianco, a mio avviso, pecca è nel dare legittimità a tale lotta politica, come se una delle fazioni contendenti (in questo caso il centrodestra berlusconiano) fosse pienamente legittimizzato a fare i suoi miseri interessi di parte di salvaguardia e mantenimento del potere. Insomma, (ripeto: tra le righe) il professor Panebianco mi pare dia l'avallo alla politica degli interessi particolari rinunciando in partenza a qualsivoglia forma critica dello status quo della politica così com'è anziché come essa dovrebbe essere. Panebianco non giudica né deplorando né elogiando; egli si mette in una posizione terza e consta, da superbo spettatore, lo stallo in cui conduce tale tipo di politica. Anche quando, in chiusa d'articolo, prova a offrire soluzioni, la sua proposta si fa talmente timida che subito la giudica «impraticabile».

Ecco, a me questi soloni supposti imparziali, che dalle loro torri d'avorio esaminano l'agone in cui il cittadino (l'unico, vero padrone della repubblica, almeno a parole) è fatto a pezzi e messo in disparte da coloro che invece dovrebbero servirlo (i governanti maggiordomi, appunto) e non dicono nulla in sua difesa, più che essere terzisti, mi sembrano ultimativi dacché lasciano cadere ogni speranza di salute – intesa come salvezza – pubblica.

venerdì 28 maggio 2010

Commessi viaggiatori

[A Gians e a Malvino, con ritardo]

«La religione è il tentativo maldestro di render docili gli uomini come massa dominata dal caos e poi: quando la Chiesa si esprime, si esprime sempre attraverso il linguaggio dei suoi rappresentanti, quando ascoltiamo un cardinale ci sembra sempre di sentir parlare un commesso viaggiatore e così via».

Thomas Bernhard, La fornace, Einaudi, Torino 1984 (pag. 137)


giovedì 27 maggio 2010

Una traduzione poetica

Je veux pousser par la France ma peine,

Plus tôt qu'un trait ne vole au décocher;

Je veux de miel mes orelles boucher,

Pour n'ouïr plus la voix de ma Sereine.


Je veux muer mes deux yeux en fontaine,

Mon cœur en feu, ma tête en un rocher,

Mes pieds en tronc, pour jamais n'approcher

De sa beauté si fièrement humaine.


Je veux changer mes pensers en oiseaux,

Mes doux soupirs en Zéphyres nouveaux,

Qui par le monde éventeront ma plainte.


Je veux du teint de ma pâle couleur,

Aux bord du Loi enfanter une fleur,

Qui de mon nom et de mon mal soit peinte.


Pierre de Ronsard, Amours

Voglio spandere per l'Italia la mia pena,

Più veloce di una freccia scoccata che vola;

Voglio del miele che tappi le mie orecchie,

Per non udir più la voce della berlusconiana Sirena.


Voglio mutare i miei due occhi in fontana,

Il mio cuore in fuoco, la mia testa in una roccia,

I miei piedi in un tronco, per non avvicinarmi mai

Alla sua stronzaggine così fieramente umana.


Voglio cambiare i miei pensieri in uccelli,

I miei dolci sospiri in nuovi Zefiri,

Che per il mondo sventaglieranno il mio lamento.


Io voglio che dal mio pallido colorito,

Sulle rive dell'Arno far nascere un fiore,

Che del mio nome e del mio male sia il ritratto.


Libera mia traduzione

Estorsioni finanziarie


Non per essere populisti (siano essi veterocomunisti o veterofascisti); ma quando un singolo individuo dispone di una così ingente mole di denaro come non parteggiare, a volte, per i “cattivi”, così, tanto per credere alla favola bella che essi possano seguire le gesta di Robin Hood. Poi chiaramente rifletti e sai che non è così, che la polizia ha fatto uno stupendo lavoro d'indagine e che, per il povero finanziere turco-americano, tutto è finito bene.

Ma questa storia del "silenzio" e del "riserbo più assoluto" intorno al rapimento mi fa immaginare un'altra cosa: se la manovra economica non fosse stata approvata e Berlusconi avesse puntato i piedi e avesse voluto una finanziaria leggera (di fragole e champagne anziché lacrime e sangue), cosa avrebbe fatto Tremonti? Avrebbe ordinato alla polizia, tramite il ministro Maroni, di sostituirsi ai rapitori?

mercoledì 26 maggio 2010

Dài tocca qui

«48. Non si può tenere stati secondo conscienza, perché – chi considera la origine loro – tutti sono violenti, da quelli delle repubbliche nella patria propria in fuora, e non altrove: e da questa regola non eccettuo lo imperadore e manco e preti, la violenza de' quali è doppia, perché ci sforzano con le arme temporale e con le spirituale».

Francesco Guicciardini, Ricordi.

Berlusconi dice che saranno presi «provvedimenti equilibrati e inevitabili: equilibrati perché si chiede di più a chi ha evaso di più; inevitabili perché l'Italia, al pari di altri paesi della vecchia Europa, sta vivendo al di sopra delle proprie risorse», confermando così la versione ufficiale del governo (per la verità: di vari governi europei), la quale sostiene che finora noi italiani (e gli europei in generale), a partire dal dopoguerra, abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità, come allegre cicale. E in tutta questa urgenza l'importante però è convincere l'opinione pubblica della verità di questo assunto. Piano piano ci riusciranno, soprattutto giocando sulla leva di “rassicurare” la maggioranza benestante che non saranno “toccati” dentro le loro tasche.

P.S.

«Si chiede di più a chi ha evaso di più»: ché per caso li conosce di persona?



L'intelletto (in certuni) è separato dalla ragione

«Mancanza d'intelletto si chiama stupidità; mancato impiego della ragione nel campo pratico riconosceremo in seguito per insania; così anche mancanza di giudizio, per scempiaggine; e infine parziale o completa mancanza di memoria per follia. Ma di ogni cosa si tratterà a suo luogo».

Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, Laterza, Bari 1989 (pag. 56).

Confitto nell'interesse

A mio avviso, una delle ragioni maggiori del disaccordo tra Tremonti e Berlusconi, è questa norma prevista fra i vari tagli della manovra economica:

«Spese di sponsorizzazione. Divieto per gli apparati amministrativi di effettuare spese per sponsorizzazione».[*]

martedì 25 maggio 2010

Il Pesce puzza dalla testa

Stasera ho guardato un pezzettino di Ballarò ed era tanto che non lo facevo (e l'ho sempre fatto poco: troppi ospiti che si parlano uno sopra l'altro, troppo poco spazio per ragionare, molto per abbaiare come Lupi). La manovra in tempi di crisi e i sacrifici che devono esser fatti a partire dalla classe politica. Convincente l'esempio di Boldrin: «il pesce puzza dalla testa, dalla testa si comincia a tagliare». Di cadavere sempre si tratta.

«Anche la coda è scomparsa ora. Uno di quelli si sbriga presto un uomo. Ripuliscono le ossa senza guardare in faccia a nessuno. Ne mangiano tutti i giorni di questa carne. Un cadavere è carne andata a male. E allora cos'è il formaggio? Il cadavere del latte. Ho letto in quei Viaggi in Cina che i cinesi dicono che un bianco puzza di cadavere. Maglio la cremazione. I preti ce l'hanno a morte. Cucina alla diavola per l'altra ditta. Grossisti di bruciatori e graticole. Al tempo della peste. Fosse di calce viva per consumarli. Camera a gas. Ceneri in ceneri. O seppellire in mare [...] Pasto in piena regola per loro. Le mosche arrivano prima che sia ben morto [...] Non gliene importa dell'odore. Pappa di cadavere biancosale che si sfalda: odore, sapore come di rapa bianca cruda»¹.

Ma la vera testa che dice? Cosa se ne fa Lui del suo stipendio da Presidente del Consiglio dei Ministri, Lui, ch'è uno degli uomini più ricchi der monno? (Testa di tonno. Tagliare, via). Bruscolini gettati alla scorta privata. 'Scolta me, Testa di, prìvatene del tuo stipendio in toto e gettalo ogni primo lunedì del mese in una fontana pubblica, diviso in moneta altisonante, per nutrire il plancton che dopo ingoierai, pescecane che non sei altro. Dicci dei tuoi soldi pubblici quanti sono e come li spendi. Ché li dài per caso al pesce siluro del Baltico Ghedini? A proposito: è in ferie l'avvocato milanese? O è stanco? Anch'io lo sono. È tardi, sempre più tardi.

¹James Joyce, Ulisse, trad. Giulio De Angelis, Meridiani Mondadori (pag. 158-9)

Descolarizzare se stessi



Galatea mi fa tornare in mente uno dei pensatori più straordinari del Novecento: Ivan Illich, troppo rivoluzionario, troppo alternativo e coinvolgente, destabilizzante, radicale, eretico, anarchico e comunitario insieme, soprattutto: libero, che leggerlo è come mettere spine sui nostri corpi assuefatti a questa vita minima occidentale. In buona sostanza: leggere Illich è illuminante ma anche demoralizzante per me che non sono capace, prima di tutto, di compiere un'autentica rivoluzione interiore.

Qui si trovano sia il suo Descolarizzare la società che altri testi notevoli.

Come i nodi duri del legno

«Ci sono io, per intanto. Sto dentro la mia grande bara. Sono al buio, chiuso. Le voci che si sentono di fuori, che arrivano qui, che parlano di me, a me, sono le voci dei visitatori. Con la faccia girata tutta da una parte, con tanta fatica, ne vedo qualcuno, lì dei visitatori, da una fessura del legno, tra un'asse e l'altra della parete, che mi passa davanti, che si ferma. Poi qualcuno mette anche l'occhio, lì nella fessura, e si vede che non ci vede niente. Ci sono i personaggi, tutti, qui nella bara. Sono fatti di legno, un po' come nei tiri al bersaglio, ci sono dei personaggi che ci sono soltanto con la testa, che è appesa lì, al soffitto, che pende. Ma ci sono dei personaggi che ci sono per intiero, grandi come sono davvero, nudi. Sono come ombre un po' spesse, di cm. 5 circa. Sono messi in fila, con la spina dorsale attaccata alla parete, con il corpo mobile, tutto di profilo. Se allungo le dita, me li sfoglio come si sfogliano le pagine di un libro, i più vicini. Li riconosco così, toccandoli. Tocco quella ragazza rosa, per esempio, che è subito lì. Me la volto dalla mia parte. È lì con la bambina ballerina, che se la tiene per mano. Poi dice alla bambina di andarsene un po' a spasso, via, a giocare, lì nel corridoio, fuori. Sento i passi della bambina che si allontana nel corridoio, che salta. Poi quella ragazza rosa viene lì, adagio, lì da me, in punta di piedi. Si siede per terra, lì da me, piangendo. E così, piangendo, canta. Canta Mir läuft ein Schauer, che è una sua vecchia canzone. Ma la bambina, intanto giuoca lì con la palla, fuori. Arrivano i colpi della palla, da corridoio. La sento che batte contro la parete della bara, la palla, che cade, che rimbalza. Poi sento la bambina che grida. Giro sempre tutta la faccia, guardo nella fessura. Vedo la bambina, la palla, i visitatori che passano. Vedo anche i giardini, là in fondo, con i viali alberati, con i padiglioni. Tocco la bambina di legno, con le dita, come si tocca una bambola. Poi tocco quella ragazza rosa di legno. Sento le sue lacrime, dure, come i nodi duri del legno, lì, che sporgono».

Edoardo Sanguineti, Il giuoco dell'oca, Feltrinelli, Milano 1967

[*]

lunedì 24 maggio 2010

Intercettazioni paratattiche

Di quanto scrive oggi Ilvo Diamanti su Repubblica, a proposito della legge sulle intercettazioni, mi lascia perplesso questo passaggio:

«L'altra tendenza indesiderata di questo regime mediocratico, soprattutto per chi lo guida, riguarda la "svalutazione del potere" e di chi lo esercita. Rendere pubblico il privato "vero", senza finzioni: manifesta il volto mediocre della politica e di chi governa. Il confine tra i rappresentanti e i rappresentati, tra i leader e i cittadini: scompare. Anzi, i leader politici, gli uomini di governo imitano e giustificano gli istinti più bassi della società. In questo modo, però, perdono autorevolezza, ma soprattutto legittimità, credibilità, consenso».

Soprattutto quest'ultima frase, per quanto riguarda il Mediocrate, non mi sembra abbia molto fondamento; infatti, nonostante la mole di materiale compromettente che lo riguarda, Berlusconi non ha visto scendere di molto il consenso nei suoi confronti; anzi: ha vinto per tre volte le elezioni politiche e, pur subendo un calo alle ultime regionali in termini di voti complessivi, la “legittimità” e la “credibilità” che trasmette ai suoi elettori non hanno subìto alcun crollo nonostante Noemi Letizia, Patrizia D'Addario, David Mills e Gaspare Spatuzza.

Comunque, l'articolo è complessivamente degno di nota nel resto dei suoi contenuti. Ma è la forma che non va. Lo so, dipende dai gusti. Secondo me l'eccessivo uso di una sintassi paratattica è stucchevole. So benissimo, tuttavia, che questo è lo stile scelto da Diamanti ad ogni suo articolo. E lo stile non si contesta, si può apprezzare o meno. Mi preme segnalare che il suo libero uso incorre talvolta in qualche abuso paratattico. Per esempio, in chiusa d'articolo, si legge:

«Cambiare le regole. A dispetto dei magistrati, del governo Usa. E perfino dell'opinione pubblica.
La legge sulle intercettazioni. Serve a impedire che si spezzi la magia della "Storia italiana"
».

Ora, io non sono un linguista, né un purista, né un accademico della Crusca. Ma mi sembra che la frase, anche minima, per reggersi in piedi abbia bisogno di un soggetto e di un predicato. Se però soggetto predicato e complementi vengono ostacolati dalla fermezza del punto (volevo dire: murati) come fanno a comunicare tra loro? Che senso ha, per esempio, scrivere “La legge sulle intercettazioni” mettere un punto e poi scrivere il predicato “serve” dopo il punto? Nemmeno il compianto Edoardo Sanguineti si concedeva siffatte libertà.

domenica 23 maggio 2010

Esseri Capaci

Mi fa male vedere la vita pubblica sciupata in tali squallidi termini, mi fa male pensare che il buco profondo al centro della terra di Capaci non sia stato ancora vendicato (così come quello di via d'Amelio). Fa male vedere l'impunità, l'impudicizia, la sfrontatezza avere la meglio, vedere come gran parte delle persone sfiorate dal terribile sospetto di commissione e complicità stia lì saldamente al comando, apertamente e senza vergogna, senza la minima preoccupazione che un giorno dovrà pagare e patire per tale attentato alla libertà, alla democrazia. E mi chiedo perché ogni anno non ci sia il ricordo forte di quell'Italia spezzata, un ricordo necessario, un minuto di lutto assoluto, di fermo immagine della nazione. Per questo vorrei che le autorità principali fossero lì, in quel tratto marcio di autostrada, lì ferme, in quel punto preciso dell'esplosione a guardare a testa alta come se ancora fossero lì i vigliacchi assassini, guardarli per farli uscire dalle tenebre. La strage di Capaci è il nostro 11 settembre e il ricordo della nazione dovrebb'essere totale, costante, per non dimenticare la sconfitta subita e l'eccidio perpetrato dal potere mafioso. Il 23 maggio dovrebbe essere ufficializzato come giornata di "lutto" nazionale.

Docente Melanconia



Bersani ha ragione, ha solo sbagliato participio passato. Infatti la Gelmini e l'Aprea i coglioni non solo li hanno rotti, ma li hanno tritati sì finemente da aver reso quasi impotente il corpo docente, tanto che esso a ogni collegio, ascoltando le nuove direttive ministeriali, assume la stessa parvenza melanconica illustrata sopra da Albert Dürer.

Macelleria sociale*

Con un'ascia,
affetto carne
non kasher.

- Due chili, prego...
mormora una massaia moglie e madre
di uomini affamati che tornano a casa dal lavoro.

Un colpo di lascivia:
- Son venti chili: devo togliere signora?
E lei: - Lasci, via.

sabato 22 maggio 2010

Galatea nel bosco

Riflusso, non riflusso... è chiaro, cara Galatea, ciò che scrivi è vero, è il sentire comune a chi ha questa minima passione di offrire in pasto i propri pensieri, i propri ragionamenti a un certo numero di potenziali lettori. Ma l'importanza di tenere duro deriva non tanto dalla smania incresciosa di aver sempre qualcosa da dire su tutto; quanto, ogni tanto (chi più, chi meno) far confluire il proprio pensiero in una sorta di condivisione che non si limita a dire “mi piace” come sotto i piccoli messaggi di FriendFeed o Facebook, ma in maniera che il suo dire partecipi e accresca il pensiero del mondo stesso. Siamo individui che sommati offrono un tutto che più è grande di loro stessi: è Resistenza, dal verbo resistere, una delle poche azioni che rendono degna la vita di essere vissuta. In questo particolare periodo storico una delle forme più acute di Resistenza è qui, ognuno singolarmente dal proprio avamposto a controllare che il mondo (leggi: il potere) non ci sovrasti e faccia credere ciò che vuole e desidera. Certo, noi rispetto a tanta parte di mondo siamo fortunati, privilegiati di poter lottare con queste forme a basso rischio per la propria incolumità personale: in breve, non siamo eroici come i blogger dissidenti iraniani, afgani, cinesi, cubani, russi, birmani... Tuttavia, a noi italiani contemporanei è stato dato in sorte di vivere in quest'epoca tardo berlusconiana-leghista-clericofascista del cazzo e in qualche modo – di necessità – dobbiamo pur esporci, dir la nostra, soprattutto per ricordare ai nostri posteri (se ce ne saranno o se non saranno completamente rincoglioniti) che una moltitudine di pensanti non è stata complice di tale sfacelo morale, civile, culturale. Io non voglio sembrare uno che tace e acconsente (o sta zitto) di fronte a ciò che dicono un Quagliarello, un Calderoli, una Roccella, o un prelato vaticano.

Lo so lo so, non saremo noi coi nostri pensieri a far schiantare tal regime. Ma in fondo cosa importa? Per me è già una vittoria sapere che non sono un Capezzone, dacché se lo fossi o lo diventassi non saprei con quale mano cominciare a prendermi a schiaffi. E dire, scrivere questo per me è già una vittoria.

Qualcuno che la sa lunga dirà: che consolazione, che vittoria di Pirro del proprio risentimento. Prevengo: risentimento di che? Il risentito è colui che prova invidia, o rivalsa, nei confronti di coloro che occupano una posizione che egli stesso vorrebbe occupare. Ma simili argomenti non hanno fondamento perché nessuno di noi blogger (credo nemmeno Jimmono) vorrebbe essere un portavoce di chicchessia, né tantomeno della Voce del Padrone.

Ecco, provo a formulare: il blogger vuole solo essere una voce, e come tale a volte canta, a volte urla, a volte parla pacatamente, altre con livore; a volte è rauca, a volte va via ma poi ritorna. È la stagione, è questa perturbazione artica che impedisce alla primavera di essere ciò che deve, cara Galatea. Tra poco esploderanno fiori e pollini, le ciliegie saranno mature come si deve e torneremo a raccogliere le fragole nel tuo bosco: e sarà confettura per tutti.

venerdì 21 maggio 2010

giovedì 20 maggio 2010

Prime impressioni



A me sembrano due capezzoli blu [*] [*]

È la Lega signori

Aiutiamo Federica a non scendere dal suo avamposto di piccola (grande) vedetta del Nord. La Lega è proprio ciò che viene da lei, con disgusto, descritto. La Lega è livore, è la faccia paralitica della ferocia. La Lega è assenza di futuro, è muro alzato, è regime bastardo, è la nostra piccola Cina dirigenziale, è chiusura, libertà levata, tolta, nel nome assurdo della loro libertà. La Lega è complicità con un piccolo despota bubbonico che pur di gonfiare potere e ricchezza venderebbe anche quei quattro peli reimpiantati sulla crapula rasa. La Lega è un fascismo riuscito, voluto, liberamente espresso da una massa di affamati tiratori di funi, di guelfi neri. La Lega è bile trasformata in ghigno vincente. È il sorriso di un vampiro. La Lega è territorio, terriccio, concime, e dunque: merda al potere. Il colore marrone che vedete in quelle facce non è cerone: è merda spalmata, diplomata. Sentiamo l'odore, un odore che non va via con una lavata. Il verde, guardate quel verde come fa da pendant al marrone. Non è un caso, no. È il destino.

Pubblicità & regresso

Giornalettismo ha pubblicato questo mio articolo che balbetta qualcosa intorno al fenomeno della pubblicità.
Buona lettura, se vi va.

mercoledì 19 maggio 2010

Un dito sul petto

In memoria di un fotoreporter e di due soldati (grazie a Milleorienti)

«I due sono in un soi sperduto, lungo le nere acque mortifere di un klong (tra poco spieghiamo tutto). Se il calore si potesse liquefare, sarebbero immersi fino alle caviglie nell'acqua bollente, invece ti sta appiccicato addosso come una cosa stretta e calda. Uno dei due è un viaggiatore, si vede subito. I thailandesi non si portano dietro niente, lui sì. Ha una specie di borsa da postino, ci tiene le sue cianfrusaglie. La carta geografica di Bangkok (Bangkok è un paese), il passaporto (in modo da poter verificare ogni tanto la propria identità), il suo quaderno per appunti rilegato in lino rosso (in cui deve annotare quel viaggio), un po' di questo, un po' di quello, di tutto un poco. È troppo ingombrante, quel tascapane, e dà molto nell'occhio. I poveri che gli passano accanto o stanno graziosamente adagiati per terra (i ricchi viaggiano in automobile) lo guardano con desiderio. Nel soi [via trasversale di una grossa arteria trafficata] la grande città sembra improvvisamente molto lontana. I due sono fermi sotto un albero dal colore verde intenso. Dietro uno steccato di legno cadente si leva una musica incantatrice, una musica thailandese. Parole di misteri, suoni di velluto. L'odore non è buono, da qualche parte c'è una botola aperta sul mondo degli inferi. Il viaggiatore indietreggia un poco perché l'altro gli ha puntato un dito sul petto. Ma... è proprio un dito? Al sole sembra una punta di freccia dorata. E quando le foglie spesse e grasse dell'albero tropicale si spostano davanti al sole, somiglia a un lucido pennino per incidere. O qualcosa del genere. A ogni modo è puntato dritto sul petto del viaggiatore. Ma l'uomo che minaccia in realtà ha un viso simpatico. Facile, tanto non esiste».

Cees Nooteboom, Il Buddha dietro lo steccato, Feltrinelli, Milano 1997

martedì 18 maggio 2010

Sanguineti serviva

«A 1. Insegnare è impossibile. Imparare, invece, no. Dal punto di vista squisitamente (e genericamente) didattico, non si può fare, e non si è fatto in effetti, un passo oltre il Socrate. Il docente è maieuta, levatore, ostetrico. Sterile, non ingravida niente e nessuno.

A 2. Insegnare è possibile. Questa attività appartiene, teste sempre il Socrate, all'arte erotica, capitolo della seduzione. Teste soprattutto la socratica cicuta, il docente valente corrompe il giovine discente. Lo spinge a ingravidarsi di corsa, lo induce ad amorazzare immaltusianamente con questa o con quella pratica intellettuale. Per esempio, per l'appunto, con la storia letteraria. L'importanza della lezione, del seminario, della discussione, è tutta qui. Occorre, al possibile, scatenare una specifica libido disciplinare. E suscitare immane vergogna per ogni possibile debolezza relativa dell'eros cognitivo. E produttivo. Oltre Adamo, in proposito, non si è fatto, e non si può fare in effetti, un passo in più. Si può stimolare demonicamente (anche nell'accezione socratica) alla perdita dell'innocenza e dell'ignoranza, indurre una casta mente a sverginarsi, non altro. Provocarla a procreare. La seduzione è commessa all'oralità (lectio, oratio, dialogus). L'arte maieutica interviene dopo, a cose fatte, è ovvio, in condizioni di avanzata gravidanza. Il docente valente assomma in sé le virtù del corruttore e del levatore. Il docente sufficiente possiede l'una delle due virtù. Gli altri docenti non servono».

Edoardo Sanguineti, La missione del critico, [Appunti di didattica letteraria], Marietti, Genova 1987.


Mi rincresce proprio che Sanguineti sia morto. Mi rincresce perché un'altra decina d'anni almeno (prima di un eventuale aggravamento karmico) la sua intelligenza avrebbe dato lustro a questo paese decadente e reazionario. Chissà se Napolitano l'avesse fatto senatore a vita forse sarebbe ancora vivo.
Un ricordo, mi pare fosse il 1987. Un mio caro amico mi portò ad ascoltare una lezione del prof. Sanguineti alla Facoltà di Lettere di Firenze; io non ero iscritto a nulla (avevo abbandonato gli studi e ancora dovevo prendere la maturità) ma ero già stato catturato (lontano dalla scuola) da varie sirene letterarie (e filosofiche). Bene, la lezione sanguinetiana mi catapultò in un mondo sconosciuto fatto di rimandi e interconnessioni, frammenti, letture, battute, versi sciolti. Capii poco, se non che mi venne sete, tanta sete, a sentirlo parlare con quel leggero biascichìo tipico degli sdentati (ciò nonostante, a mio avviso, era un fine dicitore) nobilmente camuffato da frequenti sorsate di acqua. L'argomento era, mi pare, il ricordo, Giacomo De Benedetti, Proust e la madeleine e gli stivali dello zio di Vittorio Alfieri. Ecco fatto, non ho potuto evitare questo ricordo. Io a Sanguineti volevo bene.

lunedì 17 maggio 2010

Finanza religiosa

In questi giorni sono un po' confuso dalle notizie economiche. Le seguo con distacco e ingiustificata ignoranza, come se fossero corse di cavalli. La domenica compro il Sole 24 Ore per la Domenica (inserto culturale) ma è chiaro che, prima di passare le pagine gialline alla stufa (son quelle che bruciano meglio per appiccare il fuoco rispetto alle coloratissime pagine del Corsera e Repubblica), sfoglio anche il malloppo del giornale base. Ecco che ieri a pag. 22 (Finanza e Mercati) vi sono pubblicati due speculari articoli sulla finanza religiosa: uno di M. Cellino («Italia alla sfida della finanza islamica. Cresce il peso dei fondi che osservano la Sharia, ma mancano ancora leggi adeguate») ove si viene informati che «in tutto il mondo il valore dei capitali amministrati dai servizi finanziari che osservano i principi di base del Corano sono stimati fra gli 800 e i 1000 miliardi di dollari», cifra destinata a salire nei prossimi anni della quale, lamenta l'articolista, l'Italia riesce a intercettare poco o nulla (ma siamo sicuri che sia un male? Da noi non basta e avanza la potenza Vaticana dello IOR?) contrariamente alla Gran Bretagna, alla Francia e alla Germania, paesi ove è stata varata una legislazione ad hoc in grado di recepire i dettami della Sharia in materia finanziaria (a tal proposito v'è un interessante e preoccupante glossario di base che spiega i termini coranici legati alla finanza. Là dove non è riuscito Marx vi riuscirà Maometto a regolare il capitalismo?); l'altro articolo, a firma di G. Vegazzi («Tel Aviv lancia i “kosher found”») parla di come le regole della finanza islamica abbiano ispirato anche la finanza ebraica; infatti, tra le file degli haredi (gli ebrei ultra-ortodossi «famosi per uno stretto rispetto dei precetti religiosi che, oltre al cibo, riguardano anche la completa astensione da ogni tipo di attività durante il sabato») ha preso consistente corpo l'idea di emettere «prodotti finanziari “kosher”, cioè conformi alle regole di vita stabilite dalla “halacha”, la legge ebraica»). Anche qui si viene a sapere che, nonostante il giro d'affari sia di minore entità rispetto a quello islamico, gli investimenti che seguono tale precettistica religiosa offrono agli “integralisti” investitori cospicui guadagni (si stima che «le circa 50mila famiglie ebree ultra-ortodosse» abbiano «un'elevata propensione al risparmio, che porta ogni anno alla creazione di un tesoretto da oltre 100 milioni di euro»).

E dunque, che lezione trarre da tutto questo? Che la laica Europa secolarizzata dovrebbe ripensare i propri fondamenti e affidarsi a qualche collante religioso che formuli norme integraliste volte a controllare il mercato? Chissà se qualche notista economico tra i foglianti potrebbe trovare macabra ispirazione da tale sfacelo ideologico. Tremonti sicuramente ha già fatto orecchi da mercante. Sono perciò sicuro che al prossimo Meeting di Comunione e Liberazione questi argomenti saranno toccati. Per tali ragioni, spero che decine di Soros (ma anche di Madoff) intervengano presto a sanare la situazione riportando tale ingente messe di denaro a terra, tra noi poveri diavoli desacralizzati.

Volevo comprare la Moto Morini



Nella pagina di affari e finanza di Repubblica di qualche giorno fa ho letto una breve notizia che m'ha fatto tornare in mente una famosa canzoncina da osteria che, da adolescente, solevo cantare coi miei amici.

P.S.
Io non sapevo che Paolo Berlusconi fosse proprietario della Garelli.
«Ho comprato la moto Garelli,
l'ho comprata amore per te
ma da quando tu succhi gli...
la moto Garelli la tengo per me».
Perdonate la caduta di stile, ma non ho saputo resistere.

domenica 16 maggio 2010

Un illecito ai danni di me stesso

Stasera m'è venuta un'improvvisa voglia di commettere un illecito contro la mia dignità umana. Così ho cominciato a contare tutti i peli dei miei coglioni e a tirarli uno a uno chiamandoli per nome. I peli Roberto, Paolo e Silvio li ho strappati e quindi rimossi in modo potenzialmente lesivo. Ora son quasi glabro, ma molto più libero.

sabato 15 maggio 2010

iJob

«Ma il sovvertimento che oggi subisce il lavoro non si segnala in modo esauriente con la sola indicazione della razionalizzazione. Perlomeno altrettanto fondamentale della rivoluzione prodotta dall'automazione è quella che consiste nel fatto che oggi mezzi e fini sono invertiti. [...] È vero che oggi avviene ancora che ogni singolo consideri il proprio lavoro come mezzo (per l'acquisto di beni di sussistenza, in senso lato). Ma mentre prima lo scopo del lavoro consisteva nel fatto di soddisfare i bisogni mediante la produzione di prodotti, oggi il primo bisogno è la produzione di posti di lavoro; la creazione di lavoro diventa il vero compito, lo stesso lavoro diventa un prodotto da produrre; diventa lo scopo, che può essere raggiunto solo così, con la produzione di prodotti intermedi. Questi nuovi prodotti si chiamano “nuovi bisogni”, che, a loro volta, vengono prodotti per mezzo di un lavoro che si chiama “pubblicità”. Quando questi nuovi bisogni sono stati prodotti, diventa anche necessario e possibile nuovo lavoro come prodotto finale.
Tuttavia, non ad libitum. Non soltanto perché il nostro “poter aver bisogno” non è illimitato (che cosa dovremo ancora desiderare dopo l'acquisto di [un iPod, di un iPhone e di un iPad?*]); bensì, soprattutto, a causa dell'inarrestabile ascesa della tecnica. A causa dell'inarrestabile perfezionamento della razionalizzazione e dell'automazione, il numero dei lavoratori necessari un tempo per una determinata mansione va continuamente diminuendo. Il postulato della piena occupazione sarà dunque tantomeno realizzabile, quanto più è lo status tecnologico di una società. Se certi politici mitteleuropei fanno credere di voler accrescere il livello tecnologico dei loro paesi perché solo così potrebbero garantire la piena occupazione, essi sono o incapaci di pensare o demagoghi. Non è possibile programmare la più alta razionalizzazione che fa diminuire il numero dei lavoratori richiesti, e al tempo stesso la piena occupazione. In nessun altro luogo tranne che nella politica ci si potrebbe permettere un tale strafalcione logico. La dialettica odierna consiste in questa contraddizione tra razionalizzazione e piena occupazione. Ma nessun politico ha il coraggio di ammetterlo pubblicamente».

Günther Anders, L'uomo è antiquato, Bollati Boringhieri, Torino 1992 (pag. 89-90).

*Mi sono permesso di sostituire con tali prodotti odierni la «macchina per scrivere utilizzabile sott'acqua» dell'autore; da ricordare, infatti, che la prima edizione italiana (sempre curata da B&B) è del 1963.

venerdì 14 maggio 2010

Produzione negativa

«Ma le società umane, facendo uso del lavoro, del capitale e delle risorse naturali, danno luogo anche a una produzione negativa. Essenzialmente vi sono due tipi di produzione negativa, e cioè:
  • a) la distruzione volontaria di uomini e di ricchezza;
  • b) l'inquinamento e la distruzione dell'ambiente.
Analizziamo questi due tipi di produzione negativa separatamente. Vi sono in tutte le società umane degli squinternati mentali che traggono piacere dalla distruzione di vite umane o di beni reali. Ci sono i sadici, i masochisti, i piromani e altri maniaci del genere dichiarati come tali. Ci sono coloro che appartengono alle stesse categorie e ammantano le stesse tendenze perverse con l'ideologia, la religione, l'arzigogolo giuridico. Sostanzialmente sono tutti artefici di distruzione. L'assassino è “lavoro” che facendo uso di “capitale” (per esempio la pistola) attua una produzione negativa, cioè distrugge capitale umano. Il piromane che provoca un incendio è “lavoro” che in combinazione con del “capitale” (fiammifero e latta di benzina) distrugge del capitale fisico. Il dinamitardo è “lavoro” che facendo uso di “capitale” (bomba) distrugge capitale umano e capitale fisico insieme. La massa dei perversi che con una scusa o con l'altra o senza scusa alcuna distruggono, invece di costruire varia ovviamente da società a società e da epoca a epoca. Il loro numero potenziale è comunque sempre più elevato di quello attuale perché la società si difende destinando risorse - lavoro e capitali - alla delimitazione del fenomeno. Se in una data società si potenziano le attività di “produzione negativa” mentre si affievolisce la produttività delle attività positive, ne risulta un processo che a livello macro-economico-sociale equivale al suicidio».

Carlo M. Cipolla, Storia economica dell'Europa pre-industriale, il Mulino, Bologna 1990 (pag 159-160).

P.S.
Vorrei che qualcuno mi convincesse che gli speculatori che guadagnano cifre pazzesche dai ribassi borsistici non facciano parte della produzione negativa.

giovedì 13 maggio 2010

Pesciolini cinesi

In questi momenti di crisi finanziaria ed economica internazionale (bolle, controbolle, deficit, disavanzi, risanamenti, tagli strutturali eccetera) parlare di una vita, semplice vita, e della relazione vita-libertà appare scandaloso, oltraggioso. Tanto facile è sacrificare vite sugli altari della macroeconomia che sembra vano prestare orecchio occhio e voce davanti a tanta insignificanza. Ma l'orrore si vede nelle pieghe, nei ritagli, negli scorci di notizie defilate. È una breve dall'estero che Internazionale riporta ieri riprendendola da Le Monde. Parla di Wu Lihong, «un ambientalista cinese che negli ultimi tre anni ha vissuto da detenuto speciale nella prigione di Dingshan, a Yishing, nella provincia di Jiangsu», in Cina. Leggere il suo breve racconto fa male, fa rivoltare. Osservare che ancor oggi in qualche parte del pianeta una persona sia condotta in carcere e torturata solo perché la pensa diversamente dalla dottrina del potere è una cosa aberrante. D'accordo che «governare un grande paese è come far cuocere dei pesciolini¹»; ma, allo stesso tempo:

«Un paese si governa con la rettifica, la guerra si conduce con gli stratagemmi. Ma l'Impero si conquista con l'inazione.

L'impero si conquista restando costantemente nell'inazione. Dal momento in cui si diventa attivi, non sì è in grado di conquistare l'Impero.

Come posso sapere io che le cose stanno così? Da questo:

Quanto più ci sono divieti e proibizioni dell'Impero, tanto più popolo si impoverisce. Quanto più il popolo possiede strumenti utili, tanto più il paese e la dinastia sono sconvolti. Quanto più ci sono operai ingegnosi, tanto più vengono prodotti oggetti bizzarri. Quanto più si pubblicano leggi e decreti, tanto più si moltiplicano ladri e briganti.

Perciò un Santo ha detto:

Se io pratico il Non-agire, il popolo si trasforma da solo.

Se io amo la quiete, il popolo si rettifica dal solo.

Se io mi astengo dall'attività, il popolo si arricchisce da solo.

Se io sono senza desideri, il popolo tornerà da solo alla semplicità”²».


Parole “sante”. Anche per l'Italia.


Tao-tê-ching, Adelphi, Milano 1990 [cap. LVII].

¹Ibidem, LX

Quella era la dimora


«Quel che chiamava la sua capanna era una specie di baracca di legno. Avevano tolto la porta per accendere il fuoco, o per qualche altro scopo. La finestra era senza vetro. Il tetto era sfondato in parecchi punti. L'interno era diviso in due parti diseguali dai residui di un tramezzo. Se c'erano stati dei mobili non ce n'erano più. Per terra e contro le pareti, la gente si era data agli atti più vili. Il suolo era cosparso di escrementi di uomo, di vacca, di cane, di preservativi e di vomito. In uno sterco di vacca avevano disegnato un cuore, trafitto da una freccia. Eppure non era monumento nazionale. Notai dei resti di mazzi di fiori abbandonati. Colti avidamente, portati in giro per lunghe ore, avevano finito col buttarli, pesanti, o già appassiti. Quella era la dimora di cui m'era stata offerta la chiave.
Tutt'intorno la scena era quella solita di grandezza e di desolazione».

Samuel Beckett, La fine, da Primo Amore, Novelle, Testi per nulla, Einaudi, Torino 1967

mercoledì 12 maggio 2010

Giornata mondiale senza denaro


Lo so, il mio è un pensiero ingenuo e inutile; ma ogni tanto provo a figurarmi, per celia, che il denaro sparisca improvvisamente dal gioco (balordo) delle relazioni umane, ovvero che esso perda la sua ragion d'essere, la sua necessità. Se questo accadesse, cosa succederebbe? Potremmo vivere uno, due, dieci giorni senza alcun contatto coi soldi? Nella nostra società occidentale solo chi sta ai margini riesce a vivere senza denaro: i clochards (i senza tetto né legge) e... i super ricchi: avete mai visto, infatti, un magnate prendere in mano un portafogli? Un borsellino con le monete? Avete mai visto uno sceicco, un berlusconi, un re toccare la vil pecunia? Insomma: solo chi è completamente senza soldi e chi invece ne ha così tanti da non saperli nemmeno misurare, è in grado di vivere come se il denaro non esistesse. Non dico che esso non sia presente nelle loro menti e per ragioni contrapposte; dico solo che essi vivono senza toccarlo, senza passare al bancomat, senza strisciare la carta di credito, senza che esso diventi l'attore principale nella mediazione tra il desiderio e la cosa.

Di contro, pur nella varietà delle gradazioni (cioè: tra i miei mille euro e i quindicimila di Straguadagno) il denaro occupa una posizione predominante nel rapporto tra l'io e il mondo. Per questo – butto là tale provocazione senza nemmeno tentare di giustificarla – credo che per far riacquistare al maggior numero degli individui (della società occidentale allargata) la coscienza che il denaro è un mezzo e non un fine, è un mediatore e non il modello da raggiungere, occorra proporre una giornata mondiale senza denaro in cui la maggior parte della popolazione s'impegna a non spendere un dollaro o un euro o altra moneta.