lunedì 17 maggio 2010

Finanza religiosa

In questi giorni sono un po' confuso dalle notizie economiche. Le seguo con distacco e ingiustificata ignoranza, come se fossero corse di cavalli. La domenica compro il Sole 24 Ore per la Domenica (inserto culturale) ma è chiaro che, prima di passare le pagine gialline alla stufa (son quelle che bruciano meglio per appiccare il fuoco rispetto alle coloratissime pagine del Corsera e Repubblica), sfoglio anche il malloppo del giornale base. Ecco che ieri a pag. 22 (Finanza e Mercati) vi sono pubblicati due speculari articoli sulla finanza religiosa: uno di M. Cellino («Italia alla sfida della finanza islamica. Cresce il peso dei fondi che osservano la Sharia, ma mancano ancora leggi adeguate») ove si viene informati che «in tutto il mondo il valore dei capitali amministrati dai servizi finanziari che osservano i principi di base del Corano sono stimati fra gli 800 e i 1000 miliardi di dollari», cifra destinata a salire nei prossimi anni della quale, lamenta l'articolista, l'Italia riesce a intercettare poco o nulla (ma siamo sicuri che sia un male? Da noi non basta e avanza la potenza Vaticana dello IOR?) contrariamente alla Gran Bretagna, alla Francia e alla Germania, paesi ove è stata varata una legislazione ad hoc in grado di recepire i dettami della Sharia in materia finanziaria (a tal proposito v'è un interessante e preoccupante glossario di base che spiega i termini coranici legati alla finanza. Là dove non è riuscito Marx vi riuscirà Maometto a regolare il capitalismo?); l'altro articolo, a firma di G. Vegazzi («Tel Aviv lancia i “kosher found”») parla di come le regole della finanza islamica abbiano ispirato anche la finanza ebraica; infatti, tra le file degli haredi (gli ebrei ultra-ortodossi «famosi per uno stretto rispetto dei precetti religiosi che, oltre al cibo, riguardano anche la completa astensione da ogni tipo di attività durante il sabato») ha preso consistente corpo l'idea di emettere «prodotti finanziari “kosher”, cioè conformi alle regole di vita stabilite dalla “halacha”, la legge ebraica»). Anche qui si viene a sapere che, nonostante il giro d'affari sia di minore entità rispetto a quello islamico, gli investimenti che seguono tale precettistica religiosa offrono agli “integralisti” investitori cospicui guadagni (si stima che «le circa 50mila famiglie ebree ultra-ortodosse» abbiano «un'elevata propensione al risparmio, che porta ogni anno alla creazione di un tesoretto da oltre 100 milioni di euro»).

E dunque, che lezione trarre da tutto questo? Che la laica Europa secolarizzata dovrebbe ripensare i propri fondamenti e affidarsi a qualche collante religioso che formuli norme integraliste volte a controllare il mercato? Chissà se qualche notista economico tra i foglianti potrebbe trovare macabra ispirazione da tale sfacelo ideologico. Tremonti sicuramente ha già fatto orecchi da mercante. Sono perciò sicuro che al prossimo Meeting di Comunione e Liberazione questi argomenti saranno toccati. Per tali ragioni, spero che decine di Soros (ma anche di Madoff) intervengano presto a sanare la situazione riportando tale ingente messe di denaro a terra, tra noi poveri diavoli desacralizzati.

1 commento:

Weissbach ha detto...

Noi poveri diavoli non possiamo.
Dobbiamo scegliere: o Dio o Mammona.
Noi.