sabato 29 maggio 2010

Terzismo ultimativo

«Prendiamo il caso degli enti locali. I tagli indiscriminati, dice giustamente Luca Ricolfi (La Stampa, 28 maggio), trasmettono un senso di iniquità perché colpiscono allo stesso modo gli enti virtuosi e quelli viziosi. Verissimo, ma il fatto è che misure mirate, concentrate proprio là dove si annida lo spreco, sarebbero politicamente destabilizzanti: ovviamente, i tagli selettivi colpirebbero prevalentemente (non solo, ma prevalentemente) le istituzioni locali del Mezzogiorno. Tenuto conto che il consenso del Sud è decisivo al fine di vincere le elezioni, quale governo se li può permettere? Questa è la ragione per la quale da sempre (non solo oggi), quando si tratta di varare manovre di austerità, si ricorre a tagli e blocchi indiscriminati (alle università, agli enti locali, eccetera). Si ritiene (probabilmente, con ragione) che sia politicamente meno pericoloso permettere che un senso di iniquità si diffonda fra i virtuosi che scatenare la furibonda reazione dei viziosi. Se i tagli, infatti, si concentrassero su quei territori ed enti ove sono più forti gli sprechi dovrebbero colpirli ancor più pesantemente. È politicamente più accorto spalmare le misure restrittive su tutti, diluendone così l’impatto».


Nella fine analisi di Angelo Panebianco sul Corsera di oggi (di cui sopra è riportato un brano) m'è parso di leggere, tra le righe, l'attestazione del completo fallimento pedagogico della politologia applicata: ovverosia, la rinuncia del politologo a credere, non dico possibile, ma almeno auspicabile che la politica possa immaginarsi non solo come semplice esercizio di potere del partito (pardon, popolo) di maggioranza ai danni di un altro partito di minoranza, ma altresì come arte del governo nell'interesse generale dello Stato. Per carità, Panebianco non sbaglia a rinchiudere la politica italiana odierna in questi squallidi giochi di potere; quello in cui Panebianco, a mio avviso, pecca è nel dare legittimità a tale lotta politica, come se una delle fazioni contendenti (in questo caso il centrodestra berlusconiano) fosse pienamente legittimizzato a fare i suoi miseri interessi di parte di salvaguardia e mantenimento del potere. Insomma, (ripeto: tra le righe) il professor Panebianco mi pare dia l'avallo alla politica degli interessi particolari rinunciando in partenza a qualsivoglia forma critica dello status quo della politica così com'è anziché come essa dovrebbe essere. Panebianco non giudica né deplorando né elogiando; egli si mette in una posizione terza e consta, da superbo spettatore, lo stallo in cui conduce tale tipo di politica. Anche quando, in chiusa d'articolo, prova a offrire soluzioni, la sua proposta si fa talmente timida che subito la giudica «impraticabile».

Ecco, a me questi soloni supposti imparziali, che dalle loro torri d'avorio esaminano l'agone in cui il cittadino (l'unico, vero padrone della repubblica, almeno a parole) è fatto a pezzi e messo in disparte da coloro che invece dovrebbero servirlo (i governanti maggiordomi, appunto) e non dicono nulla in sua difesa, più che essere terzisti, mi sembrano ultimativi dacché lasciano cadere ogni speranza di salute – intesa come salvezza – pubblica.

1 commento:

Giuseppe Lipari ha detto...

Sei stato anche troppo buono con Panebianco.

Vorrei notare che questa sorta di "analisi disincantata" viene fatta solo nei conronti del centrodestra, perché basta che un Bersani qualunque dica una cosa leggermente sopra le righe che ecco che arrivano i "consigli" su cosa dovrebbe fare e come si dovrebbe comportare una "buona opposizione".