martedì 17 agosto 2010

Due "studenti" canaglie

Ecco qua, in «metro d'operetta», una traduzione di Meriggiare pallido e assorto di Montale scritta da Giulio Mozzi. Egli (comunicazione personale) non pare esser troppo soddisfatto del risultato. Io penso il contrario. A me piacciono questi ludici tentativi di tradire la tradizione, dacché la tengono in vita. Montale stesso sarebbe contento, credo, considerando anche certi suoi versi dell'VIII lirica di Mediterraneo («Potessi almeno costringere») ove si può leggere:

Non ho che queste parole
che come donne pubblicate
s'offrono a chi le richiede;
non ho che queste frasi stancate
che potranno rubarmi anche domani
gli studenti canaglie in versi veri.

Con il suo consenso pubblico dunque la “traduzione” di Giulio. Di poi, stimolato dalla sua prova, riporto anche una mia “traduzione infedelissima” dettata dalla mia presente vacanza. Chi avesse voglia di essere abbastanza canaglia tenti a sua volta. Anche domani.

Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

Saltando il pisolino
girellar per l’orticello,
sbirciare il serpentello
frusciare e scomparir;

spiar sul muricciolo
rosse le formiche
mai stanche i loro intrichi
sciogliere e annodar;

guatar tra il tremolio
di ulivi e di cicale
come un gran pesce il mare
argenteo tremolar;

e poi nell’orto chiuso
vagando, con stupore
sentire in me l’orrore:
volermi suicidar.

[versione di Giulio Mozzi]


Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.


E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

Dopo pranzo l'abbiocco sale
se fuori il caldo cuoce il suolo;
del poco traffico mi consolo:
ma scoppia una marmitta irrazionale.

Esco allora per fumare scuotendo
cenere tra le crepe dell'asfalto
si bruciano formiche e rompendo
si vanno le lor file. Faccio un salto

tra larghe foglie di kiwi e vedo
il lago smosso dal vento alpino
e cigni lontani che stridono, credo,
per contendersi pansecco di un bambino


Camminare controsole in questo
giorno è insieme bello e triste
come la vita – con tutto quel che costa
far le ferie da brava gente onesta
che paga la sua camera con vista


[versione mia]


2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ragazzacci! ;)

luigi castaldi ha detto...

Nel sole immergersi pensoso,
un muro a secco, e rovi, e cespi,
e qui striscia una biscia, lì un merlo fischia,
abbacinato porgervi l’orecchio.

Lasciare l’occhio a seguitare su uno stelo
o in uno spacco riarso e aspro
le frenesie improvvise di formiche,
il loro subito rifarsi fila,

o fra le foglie, in lontananza,
i lapislazzuli di mare,
nel tremulo basso continuo
di grilli su cime spelacchiate.

Nell’accecante luce, qui, esser presi da stupore
del quanto e come (del come e quanto)
la vita e ogni sua pena
sian come versi di Montale,
che più li leggi e meno sai ridirli.