domenica 28 febbraio 2010

La vocazione moderna

Sempre sulla Domenica del Sole 24 Ore di oggi si legge con tenerezza una recensione della giornalista cattolica Lucetta Scaraffia¹ “Anticonformismo: padri perché preti”¹, al libro di Massimo Camisasca, Padre. Ci saranno ancora sacerdoti nel futuro della Chiesa?, Edizioni San Paolo 2010.
L'attacco è formidabile:
«Nella società di oggi il vero “diverso”, quello che vive in modo differente e non fa nulla per diventare uguale agli altri è il sacerdote cattolico: in un mondo dove la libertà di scelta è ritenuta un bene supremo, prende una decisione che lo vincola per la vita, in un mondo in cui la realizzazione individuale è l'obiettivo primario, sceglie l'umiltà e l'obbedienza per dedicarsi agli altri, e soprattutto rinuncia a ciò che è considerato la principale fonte di piacere, la sessualità».
Con un mio carissimo amico, tempo fa, discutevamo delle nostre paure infantili. Una, comune a entrambi, era quella che ci pigliasse la vocazione di diventare preti, proprio in virtù del fatto che i preti, sulla carta, non dovrebbero trombare. Per restare poi in tema sessualità (e lascio perdere tutti i casi estremi di pedofilia), mi son spesso domandato come considerare il fatto che, fisiologicamente, anche i preti devono, volenti o nolenti, scaricare le proprie palle piene ogni tanto (anche con relative polluzioni notturne). Se poi, come è capitato anche a me qualche anno fa, una prostatite gli imponesse la frequenza eiaculatoria (a me l'urologo la prescrisse, e io assolsi - e assolvo - di buon grado), come si rapporterebbero i sacerdoti con la sfera sessuale? Sono volgare, lo so, ma la Scaraffia m'impone questo discorso col suo parlare di “rinuncia” a quella ch'è considerata la “principale fonte di piacere” del mondo moderno. Purtroppo per i preti e per la Scaraffia, la sessualità è una delle componenti del nostro esserci, e quella di isolarla dal contesto vita è una forzatura abnorme che conduce o alla pace dei sensi (sessuali) o alla massima perversione. Relegare la sessualità solo alla procreazione e condannarla al di fuori di essa è uno dei massimi “errori” che la Chiesa (la religione tout court) continua a commettere.
La recensione della Scaraffia comunque parla anche d'altro, soprattutto rilevando che sarebbe riduttivo dare la responsabilità della scarsità di vocazioni al fatto che i sacerdoti non si possono sposare, o al fatto che alle donne è proibito diventarlo: questo, veniamo informati, è il pensiero di monsignor Camisasca per il quale «le difficoltà del sacerdote oggi non nascono dalle condizioni di vita in un mondo secolarizzato ed estraneo, se non addirittura ostile, ma da quello che è la ragion d'essere della scelta: il rapporto con Dio, di cui il sacerdote è rappresentante sulla terra».
Altro problema. La vocazione a farsi rappresentante in terra della volontà divina passa, oggi, piuttosto da altri canali: il canale dell'amplificazione mediatica è uno di quelli e il sacerdote in pectore per eccellenza, con difetti enormi, però, dal lato sessuale, è oggi Silvio Berlusconi, autoproclamatosi senza timore unto del Signore e uomo della Provvidenza. Lo so, esistono preti che ancora forniscono alla Chiesa ottimi alibi per restare a galla e non perdere quel poco di umano che ancora le resta.
Una speranza di vocazioni potrebbe venire se la Chiesa aprisse le porte a tutti quegli uomini sfavati di mezza età, ultracinquantenni, disoccupati improvvisi, incerti di futuro, con alle spalle matrimoni sfasciati e che magari, per orgoglio, si ritrovano a dormire nelle stazioni o nei dormitori comunali. Applicare una vera opera di evangelizzazione, un corso accellerato di ordinazione serale, con teologismo à la Mancuso, potrebbe colmare quel vuoto fisiologico di vocazioni che la secolarizzazione ha imposto. Altrimenti bussare alle porte dei foglianti: qualche suggerimento potrebbe venire da questi neo guelfi d'accatto.
Non credo, quindi, come crede monsignor Camisasca che la vocazione possa ritornare soltanto da un ritrovato contatto con Dio, stabilito attraverso la solitudine, il silenzio, l'obbedienza, l'umiltà, la povertà e la misericordia lontani dalle cose mondane, soprattutto quelle di internet e dei media. No. La Congregazione per la Educazione Cattolica deve fare uno sforzo in più: delegare la Endemol per inventare un format che promuova il sacramento dell'ordinazione.


¹Non son sicuro, ma è il suo primo articolo qui? Se sì, sarà occasionale o diverrà anch'ella una firma stabile dell'inserto culturale? Controllerò, dacché se così fosse vorrei mi si spiegasse il motivo di “arruolare” due intellettuali cattolici integralisti (Rondoni prima, Scaraffia poi) nel più prestigioso inserto culturale del panorama giornalistico italiano. Ché Riotta abbia qualche debito verso la CEI?

Un birbante sospetto.

Nella sua rubrica In che verso va il mondo (“I toscani smemorati” Domenica del Sole 24 Ore di oggi) Rondoni ricorda il poeta Mario Luzi con lodi sperticate.

«Come pochi poeti ci fa "risentire" la nostra appartenza misteriosa al vivente, a un accadere del mondo che ci supera e genera. Poeta di pensiero e di sorprese, di adesione con lingua umile e speciale alla minima gloria della vita. Poeta di domande. Di inquietudini e di lode e di mistero».

Ognuno, per carità, ha diritto ad avere (e manifestare) i suoi gusti poetici. Personalmente, Luzi non mi entusiasma. Posseggo solo un suo libro, Dal fondo delle campagne, Einaudi, 1965. Ma non voglio parlare di questo. Voglio parlare, invece (perdonate la pedanteria) di come anche in questo articolo Rondoni colpisca a freddo qualcuno senza dirci chi.

«Della sua opera [di Luzi] qualche critico che si sentiva "il futuro" della poesia italiana scrisse negli anni Sessanta che si trattava di "una pagina conclusa, da voltare". Dopo cinquantanni l'opera di Luzi continua a parlare, a incuriosire anche i più giovani. Altro che pagina da chiudere: fila di finestre da aprire, porte da spalancare, scale e saliscendi a picco avventurosi sul mondo».

Senza dubbio, belle parole, belle similitudini. Ma perché a noi piccoli inesperti di provincia non ci dice chi sarebbe quel critico-poeta che si sentiva il futuro della poesia? Sarebbe bello saperlo, anche per confrontare la di lui opera con quella di Luzi e vedere se chi dei due riesce meglio a spalancare le finestre sul mondo. Io immagino, ma è un'ipotesi, possa essere Edoardo Sanguineti. Ma ora non ho in casa la sua raccolta di poeti del Novecento per dirlo.

Tuttavia, il momento clou dell'articolo rondoniano arriva quando si riesce a capire le ragioni del titolo. Rondoni, infatti, a un certo punto rimprovera le istituzioni toscane (Regione, Comune di Firenze, Banche) che non hanno dato seguito alcuno alla nascita di una fondazione pubblica in onore del poeta fiorentino.

«A cinque anni dalla morte non mi pare che tutte quelle istituzioni toscane [...] che negli estremi suoi giorni promisero con banda e grancasse di onorare la sua presenza feconda abbiano ancora messo mano a nulla di preciso. Speriamo che anche all'ultimo dei grandi toscani non tocchi d'emigrare».

Come se fosse questo l'elemento fondamentale per far vivere la voce di un poeta. Come se Dante fosse ancora tra noi perché c'è la Società Italiana Dante Alighieri. Ma forse un motivo c'è in tale reclamo: di solito, quando vengono organizzati convegni pubblici extra-accademici, le istituzioni si rivolgono a dei cosiddetti esperti. Ora, è ovvio che tali esperti siano "pagati" e per organizzarli e per conferirvi. Mi viene un birbante sospetto.

A margine. Ernesto Ferrero, scrittore e direttore editoriale del Salone del Libro di Torino, oggi interviene nel dibattito inaugurato domenica scorsa da Rondoni, esordendo, con l'articolo “Scommettere sui neonati, così: «Condivido alla lettera quanto ha scritto D. Rondoni». Mi viene da piangere.

sabato 27 febbraio 2010

Una stretta di mano mancata


«Niente stretta di mano. Nessuno scambio di sguardi tra Wayne Bridge e John Terry pochi minuti prima dell'inizio di Chelsea-Manchester City. Il terzino del Manchester City e della nazionale inglese, distrutto dallo scandalo che ha coinvolto il suo ex compagno di squadra e grande amico, John Terry, e la sua ex fidanzata Vanessa Perroncel, non ha voluto stringere la mano tesa dal calciatore del Chelsea, ignorando anche lo sguardo dell'avversario ed è sfilato via durante il tradizione saluto a centrocampo tra i giocatori delle due squadre».*

Questo episodio mi fa venire in mente questo passaggio di René Girard, tratto dal suo Celui par qui le scandale arrive, Desclée de Brouwer, Paris 2001 (pag. 26 e seguenti)¹.

«Si un personnage nommé B se détourne de A qui lui tend la main, A se sent tout de suite offensé et, à son tour, il refuse de serrer la main de B. Dans le contexte du premier, ce second refus vient trop tard et il risque de passer inaperçu. A va donc s'efforcer de le rendre plus visible en appuyant un peu, en forçant très légèrment la note. Peut-être tournera-t-il le dos spectaculairement à B. Loin de lui la pensée de déclencher une escalade violence. Il désire simplement “marquer le coup”, faire comprendre à B que le caractère insultant de sa conduite ne lui échappe pas»².

Chiaramente, siamo qui nel campo della doppia imitazione (mediazione), in pieno conflitto mimetico. A mio avviso però, dei contendenti, la figura migliore la fa oggi Terry, giacché (lo si nota a mio avviso dall'espressione della sua faccia) egli s'aspettava questo gesto. Terry infatti "tende" mano e, contrariamente a quanto Girard sopra descrive, la lascia lì, sospesa, come a rimarcare il gesto che la scortesia, questa volta, è del suo rivale. Bridge doveva quindi stringere la mano di Terry per farlo sentire una merda. Di più: mentre gli stringeva la mano, avrebbe dovuto guardarlo negli occhi; e questo avrebbe sicuramente impedito a Terry di tenere quell'espressione un po' così, a presa di culo, come di chi s'aspettasse quel plateale rifiuto. Terry, infatti, sentiva che Bridge gli avrebbe deliberatamente fatto mancare la stretta di mano e, sotto sotto, contava che ciò avvenisse perché questo sarebbe stato un toccasana per la sua “vanità”, per il suo “orgoglio”.
Il fatto che poi la partita l'abbia vinta la squadra di Bridge non medica certo l'orgoglio suo ferito. Sola riconciliazione, solo la stretta di mano vis-à-vis avrebbe prodotto in lui quel di più d'essere di cui si sente privato e di cui l'altro, Terry, gli sembra fornito.

¹ In Italia il libro è stato tradotto da Giuseppe Fornari per i tipi di Adelphi col titolo La pietra dello scandalo. Se volete, riporto la traduzione, ma volevo far sentire la voce originale del mio Girardone.

venerdì 26 febbraio 2010

Novità editoriali



Martedì prossimo, 2 marzo, sarà in libreria, per i tipi di Mondadori (ma tu guarda) L'amore vince sempre sull'invidia e sull'odio, di Silvio Berlusconi (€ 15,00. Il ricavato sarà interamente devoluto in beneficienza). Antonio Palmieri (responsabile internet del PdL) m'informa «che esso sarà un libro che raccoglie una parte dei messaggi di sostegno pervenuti qui su Forzasilvio.it nei giorni immediatamente seguenti l'aggressione subita da Berlusconi in piazza Duomo a Milano, con una riflessione-appello di Silvio scritta appositamente per l'occasione». In tal volume vi saranno, inoltre, «il testo del discorso della "Discesa in campo", la parte del discorso del presidente Berlusconi al congresso fondativo del PDL del 27 marzo 2009, la sintesi delle realizzazioni del governo da maggio 2008 a gennaio 2010».


Son tutto un fremito. Ho come il sospetto che, nei secoli a venire, tale testo costituirà un ottimo plot narrativo che s'inserirà, a giusto titolo, nella tradizione della fiaba europea. Vi saranno sicuramente genitori o nonni che leggeranno ai figli o ai nipoti tale leggenda italiana nata a cavallo tra il finire del XX° e gli inizi del XXI° secolo.

Interviste immaginarie

Bisognerebbe sapessi creare un generatore automatico di interviste fasulle a personaggi famosi per fargli dire ciò che non dicono dacché non lo pensano.
Per esempio, suggerirei i seguenti titoli.

Richard Dawkins: «I religiosi hanno ragione; l'Orologiaio non era cieco, ma ci vedeva benissimo».

Guido Ceronetti: «La rivalutazione della bistecca: la deforestazione dell'Amazzonia è necessaria per la produzione intensiva della carne bovina».

Roberto Saviano: «La malavita organizzata è un elemento indispensabile per il concreto rilancio, civile ed economico, del Mezzogiorno».

Salman Rushdie: «Mahmud Ahmadinejad è l'uomo giusto per la pacificazione nel Medio Oriente».

Paolo Conte: «Ho scritto una canzone per il trio pupo, principe, tenore».

... continuate voi.

giovedì 25 febbraio 2010

Lettera al Governatore della Libia

Vedremo se il nostro Governo prenderà ancora le difese del Colonnello Gheddafi dopo questa sua ennesima sparata. Soprattutto i componenti leghisti che plaudivano gli svizzeri per il referendum anti-minareti e che proposero persino di imitarli, che faranno? Io una soluzione ce l'avrei: manderei in missione diplomatica quest'uomo.


L'impossibilità di una nuova Arcadia

«Quale che sia il sistema politico e sociale che si riesca a imporre loro, gli uomini non giungeranno né alla felicità e alla pace che i rivoluzionari sognano, né alla belante armonia che i reazionari temono. Essi si intenderanno sempre abbastanza per non intendersi mai. Si adatteranno alle circostanze che appaiono le meno propizie alla discordia e inventeranno instancabilmente nuove forme di conflitto».

René Girard, Menzogna romantica e verità romanzesca, Bompiani, Milano 1965

Volevo trovare qualcosa di adatto a questo notevole post malviniano. Ho cercato nel capitolo “Il padrone e lo schiavo” del libro suddetto (edizione 1981) e ho trovato questo passaggio, altrettanto notevole, ma poco pertinente con la vicenda Di Gerolamo. O forse no.

mercoledì 24 febbraio 2010

Dissenti senza vie di fuga

«Nessuno conosceva la letteratura e la storia meglio di queste persone, nessuno sapeva scrivere in russo meglio di loro, nessuno disprezzava più profondamente i nostri tempi. Per questi personaggi civiltà non voleva dire soltanto il pane quotidiano e qualche effusione notturna. La loro non era, come potrebbe sembrare, un'altra generazione perduta. Era l'unica generazione di russi che avesse trovato se stessa, l'unica per la quale Giotto e Mandel'štam fossero più essenziali del destino privato di ciascuno. Mal vestiti ma non privi di una certa eleganza, strapazzati dalle mute mani dei loro diretti padroni, costretti a correre come conigli per sfuggire agli onnipresenti cani e alle ancor più onnipresenti volpi dello Stato, scassati, non più giovani, quasi vecchi, conservavano ancora il loro amore per quella cosa inesistente (o esistente soltanto nelle loro teste spelacchiate) che è chiamata “civiltà”. Tagliati fuori senza speranza dal resto del mondo, credevano che almeno quel mondo fosse come loro; adesso sanno che è come gli altri, solo vestito meglio. Mentre scrivo queste parole, chiudo gli occhi e quasi li vedo, in piedi nelle loro cucine scalcinate, con un bicchiere in mano e una smorfia ironica sulla faccia. “Laggiù, laggiù...”. Sorridono amaramente. “Liberté, Ègalité, Fraternité... Perché nessuno aggiunge Cultura?”».

Iosif Brodskij, Fuga da Bisanzio, Adelphi, Milano 1987 (pag. 39-40)

Riporto questo brano dopo aver terminato di scrivere un articolo didascalico che, forse, domani sarà pubblicato da Giornalettismo. Sarebbe stato bene come epigrafe, ma già l'articolo contiene lunghe citazioni tratte da questo appello. Brodskij è stato (ed è) uno dei miei fari nel mio navigare letterario senza meta. Scomparso prematuramente nel gennaio del 1996, ricordo il dispiacere che provai. E una fortuna. Nel marzo di quell'anno, ero a New York, in vacanza da un mio caro amico che abitava a Manhattan, vicino alla Columbia University. Bene, camminando nei dintorni, davanti alla Cattedrale di Saint John the Divine, mi accorsi da un annuncio che vi si stava tenendo un omaggio funebre al poeta russo. Entrai, e vidi un piccolo gruppo di persone riunito a sentir leggere in inglese ricordi e sue poesie. Tra di essi, se la memoria non m'inganna, mi pare vi fossero Czeslaw Milosz e Charles Simic. Non capii una parola, data la mia scarsa conoscenza dell'inglese, ma fu un'esperienza di immersione, di partecipazione, di essere lì in qualche modo approdato in un mondo che avevo sempre sentito vicino. Ma la realtà chiamava. La sera stessa, l'Istituto Italiano di Cultura offriva un party per la visita di Francesco Rutelli a N.Y. in qualità di sindaco di Roma. Il mio amico, non so come, aveva degli inviti. Plis vizit aur cauntri: si mangiò e bevve alla salute der major stringendogli la mano. L'incanto di estraniamento s'era spezzato: l'Italia è antimetafisica.

martedì 23 febbraio 2010

Cose 6.

rovesciato il bicchiere con la mano, e riversato il vino rosso, io, rosso, ho detto
(all'Evoè di Urbino, o al Ragno d'Oro, piuttosto, credo, il giorno dopo): ma scusatemi
tanto, me, voi due: capitò, poi, però, questa cosa:
che le due donne, con me,
in simultanea, mi parlarono, a me, in questo modo: che l'una, forse la nota vedova,
disse che portava l'allegria e la fortuna, come è ovvio, quel mio niente di stupido
accidente: e che l'altra, al contrario (quella biancovestita, che, salvo errore,
fa indagini accurate, per diletto, sopra il colore bianco, coerentissimamente: e forse
era la mezza inglese, invece, che era venuta a sostituirla a tavola) -
l'altra disse,
comunque (la pratica, la realistica, la prosaicamente concreta): me ce n'è ancora un po'
(nella bottiglia, ben inteso, di vino):
sono così, ho pensato, le donne, allora:
(e l'ho detto, a quelle due) (e, in fondo, è cosiffatto tutto il genere umano, donne
e non donne):
si vive qui a metà, sospesi e sballottati, tra un tipo A, diciamo,
e un tipo B (tra gli euforici semiminisogni e le caute minisemiverità):

Edoardo Sanguineti, Cose, Pironti, Napoli 1999

Alé Viola


Garrisca al vento il labaro viola,
sui campi della sfida e del valore
una speranza viva ci consola
abbiamo undici P.M. ed un solo cuore.

lunedì 22 febbraio 2010

Tra i libri e la realtà

In seguito al mio post di ieri su un articolo di Rondoni, riporto questi brani di Hans Blumenberg, La leggibilità del mondo, Il Mulino, Bologna 1989.

«Fare esperienza del mondo nella maniera in cui se ne può essere debitori a un libro o a una lettera, non presuppone soltanto l'alfabetismo, o il fatto che scritto e libro abbiano già impresso la loro forma sui desideri di accesso al senso; ma presuppone l'idea culturale del libro stesso, nella misura in cui questo non è più semplicemente uno strumento per accedere ad altro. Una volta però che l'esperienza del libro si sia resa autonoma in una propria esperienza di totalità - come esemplarmente nell'epos greco arcaico o nel Libro dei libri - essa comincia a competere con l'esperienza del mondo» [pag. 29].
«Tra i libri e la realtà è posta un'unica inimicizia. Lo scritto si è sostituito alla realtà, nella funzione di renderla - in quanto definitivamente inventariata e accertata - superflua. La tradizione scritta, e infine stampata, si è costantemente risolta in un indebolimento dell'autenticità dell'esperienza. Esiste una sorta di arroganza dei libri in forza della loro pura quantità: già dopo un certo periodo di una civiltà che pratichi la scrittura, essa suscita l'impressione opprimente che nei libri debba esservi tutto e che non abbia senso, nel lasso di vita che è comunque troppo breve, tornare a guardare e percepire un'altra volta ciò che già una volta era stato registrato e portato a conoscenza» [pag. 35].

domenica 21 febbraio 2010

Motivazioni, Rondoni

Non conosco l'opera letteraria (poetica, narrativa e saggistica) di Davide Rondoni. Conosco qualche suo intervento da polemista dai tempi del caso Eluana; ed essendo la sua posizione diametralmente opposta alla mia non ha aiutato la mia curiosità nel cercare e leggere i suoi scritti (e ammetto che il mio pregiudizio possa essere sbagliato). Da quando settimanalmente scrive per la Domenica del Sole 24 Ore, lo seguo con maggiore frequenza. Di solito si occupa di un poeta facendone ascoltare la voce. Oggi, invece, il suo articolo affronta il tema della lettura. «L'aridità uccide la lettura» è, infatti, il titolo del suo intervento. Leggiamo:
«Per leggere ci vuole un buon motivo. Questo è il problema. Non è per nulla scontato leggere. In Italia si legge poco (o meglio pochi libri) perché mancano le motivazioni. Si possono fare mille centri per il libro, e distribuire libri in ogni pertugio [...] ma se non si lavora sulle motivazioni alla lettura non cambierà niente. Occorre un pensiero sulle motivazioni. Vedere se tengono quelle che pensavamo buone. È caduta la vecchia motivazione di stampo illuminista. Un uomo informato, un uomo di cultura, secondo i dettami illuministi, gode di uno status di maggiore coscienza. Questo è stato smentito clamorosamente dai fatti. Molti uomini ben informati e cultori di libri hanno accettato, a volte incitato o partecipato alle peggiori brutture del Novecento».
Dato che qui non fa nessun esempio concreto, immagino parli di Marcello Dell'Utri uno dei più raffinitati collezionisti e cultori dell'arte libraria in Italia. Infatti, prosegue Rondoni «meglio un uomo buono che ha letto un solo libro che un amico dei tiranni che ne ha letti o scritti cento» e questa frase ha un vago sapore à la Catalano.
Di seguito, senza un punto a capo, Rondoni scrive:
«E l'uomo di cultura ha di certo perso ogni appeal sociale, tranne che in ristrettissime fasce di popolazione italiana. Sono altri i tipi che "tirano". Colpa della televisione e dei modelli che impone? Può darsi. Ma non solo. Mi aspetterei qualche mea culpa dagli intellettuali. Che però tacciono su queste cose».
È vero, il fascino del poeta è in disuso. Tira più un pelo depilato dal petto di un Fabrizio Corona. Gentile Rondoni, dato che anche lei è un intellettuale a tutti gli effetti, si faccia una ceretta.
La seconda motivazione chiamata in causa e criticata dal Rondoni è quella di stampo cattolico che, a suo dire, manca di offrire ai giovani di oggi «il senso critico. In molti casi si assiste a una educazione tutta sentimentalismo e volontarismo. Come dire: niente libri, o solo devozionali, niente ragione, basta un po' di emozione, mormorando il nome “Gesù” e un po' di volontariato. Il senso critico conta poco». Qui non saprei bene a quale corrente ecclesiastica si rivolga. Certamente Monsignor Ravasi sarà d'accordo; ma quanto lo saranno, per esempio, i "reggenti" di Comunione e Liberazione?
Ma proseguiamo la lettura, con la critica alla terza motivazione che riguarda - e ti pareva - la scuola.
«A scuola, poi, si consuma il vero grande disastro. Quando chiedo a un professore a cosa serve la letteratura, trovo quasi sempre la stessa risposta aberrante: “A esprimere sentimenti profondi”. Perché un sms non può esprimerli? Allora perché complicarsi la vita leggendo Dante? La letteratura non nasce tra gli uomini per esprimere sentimenti, ma per conoscere se stessi e la realtà attraverso l'uso di parole accese¹. Si legge per conoscere, appunto. L'espressione di sentimenti è implicita e inevitabile. Perché nell'atto stesso del conoscere la vita esprimiamo anche noi stessi. Ma i prof. non lo dicono quasi mai. Toccherebbe loro l'onere di essere autorevoli non solo su date e canoni, ma sulla tensione alla conoscenza. Così nelle nostre scuole va in scena il più grande scialo, il più grave spreco di occasioni per imparare il gusto di leggere. E nessuno che se ne lamenti. Altro che scandalo Alitalia o Protezione civile. Non si sente in Italia nessun uomo di cultura, di università, di editoria scolastica recitare il minimo “mea culpa” per tale situazione».
Qui mi ci vorrebbe l'aiuto, e la competenza, di Galatea. Comunque, da par mio, mi domando: a quali e a quanti professori Davide Rondoni ha fatto la domanda "a cosa serve la letteratura"? Ammesso poi, e non concesso, che coloro ai quali egli ha fatto tal domanda abbiano risposto in tal modo, come si fa a generalizzare così spudoratamente facendo credere al lettore che tutti i professori di letteratura rispondano così? Che mezzucci retorici son questi? E poi, via proseguendo di generalizzazione in generalizzazione, facendo di tutto per incolpare la massa docente e salvare il ministro innocente che cerca da solo, il poverino, senza collaborazione degli uomini-di-cultura, di salvare la nave-scuola che affonda.
Continua Rondoni: «L'esperienza del leggere a scuola viene “massacrata” tra deliri storicisti, omelie neostrutturaliste, e libroni già di per sé fisicamente ostili alla lettura [...] e poi ci si lamenta che ai ragazzi sfugge il gusto di leggere. Si abbia coraggio. Qualche intellettuale che ha sparso a piene mani verbo strutturalista prenda esempio da Todorov che ha riconosciuto i suoi errori. E altri che hanno instaurato programmi storico-nazionalisti abbiano la umiltà di dire: ci siamo sbagliati».
Perché Rondoni non ci dice dove e in quali termini Todorov si è pentito? E ancora: quali sono i programmi "storico-nazionalisti"? Ci faccia i nomi, prego. E poi: lo strutturalismo va confutato con delle argomentazioni non solo nominandolo come se il suono della parola fosse uno spauracchio. La scuola strutturalista è una delle più importanti e penetranti scuole di pensiero del Novecento con la quale fare continuamente i conti, anche criticandola ma non ignorandola.
Ecco ora Rondoni illustrare una "sua" buona motivazione:
«Occorre scommettere sulla motivazione per leggere. Sulla motivazione esistenziale. Questo dovrebbero trasmettere insegnanti e genitori. Dovrebbero essere esistenzialmente autorevoli [sic!]. Per ho questo ho lanciato [ri-sic!] l'idea che l'insegnamento della letteratura sia reso "facoltativo" alle Superiori. E sia un insegnamento a leggere. Sia proposto all'inizio, per un mese o due con lezioni esemplari dai docenti come si legge ai ragazzi. E poi scommettiamo sulla libertà, sulla motivazione. Se un insegnante non è in grado di farsi seguire dai ragazzi sulla motivazione a leggere, sia invitato fermamente a cambiar mestiere».
Meno male che Rondoni non è un insegnante. Io credo che uno scrittore come Giulio Mozzi sappia fornire una motivazione migliore.
Ma ora, prepariamoci al gran finale.
«Si possono e si devono creare centri per aiutare la lettura. Quello del ministero - il Centro per il Libro e la Lettura - è stato inaugurato da ben due ministri (Mariastella Gelmini e Giorgia Meloni), dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Paolo Bonaiuti e da un gran presidente [ultra-sic!] Gian Arturo Ferrari. Spero lavorino sulle motivazioni del leggere, non solo sulla distribuzione del prodotto, che peraltro sta cambiando parecchio. Occorre coraggio per andare contro i luoghi comuni. È proprio la forza dei luoghi comuni il maggior nemico della lettura».

Ora, a parte che l'espressione "gran presidente" mi fa venire in mente "quel gran pezzo dell'Ubalda", mi domando: come si fa a chiudere un articolo di invettive generalizzate a destra e manca con un peana ministeriale di tale portata?
No, non è un caso che da quando Rondoni scrive per la Domenica del Sole 24 Ore la rubrica Le Vespe sia scomparsa: non avrebbero potuto pungere una simile congerie di infondatezze, banalità e ruffianaggine senza rischiare di essere mangiati; meglio fuggire il volo dei Rondoni.

¹Parole accese da spengere, subito. Buonanotte.

Letterina festivaliera

Anche a volerlo ignorare, del Festival Sanremo si viene sempre a sapere qualcosa, dacché esso gode di un'attenzione mediatica enorme; per cui, anche a tapparsi le orecchie, si percepisce lo stesso il suo rumore di sottofondo. Naturalmente, le mie fonti informative privilegiate sono i miei link (qui elencati a sinistra), più qualche giornale online, più Blob.
Bene, leggendo questo post del mio scrittore-filosofo prealpino di riferimento, subito sono andato nella di lui casella per postare un commentuccio. Purtroppo però ho sbagliato a digitare il codice di verifica e la mia letterina è andata persa nel vuoto della rete. La riproduco qui, esercitandomi in un cattivo stile romanesco (per tentare una modesta imitazione del Gadda der Pasticciaccio).

caro Formamentis,
vorrei da te un parere a margine der voto teleffonico der ppoppolo. Ovvero, se oggiddì ce fosse de nuovo un referendumme monarchia repubblica chi vincerebbe? Avremmo de nuovo un savoja (quelo puttaniere) ar Quirinale? Eppoi er fijio che farebbe? Ne l'attesa de diventà rre, come Carlo d'Enghilterra si darebbe a l'eccologismo invece de rompe' li cojoni cor balletto e le canzoni? E poi ancora: er vincitore, Scannu, par sia sardo, come er precedente Cartacanta. Bene: che me dici der fatto che la Sardegna sia na fucina de' cantanti piuttosto che de politici, com'era na vorta? Penzo a Segni (padre fijio e spirito scannu), penzo a Cossiga, ar Berlinguerre etcetera etcetera. Come? Me so' scordo Pisanu? Ma se manco fa ppiù er ministro, er povero Beppe!

sabato 20 febbraio 2010

Serendipità poetica

Stamattina, nella vetrina di una libreria di un centro cittadino, ho trovato questa poesia esposta e sapientemente incorniciata:

poiché la questione è sempre
come
fra possibilità e cambiamenti
selezionare
gli elementi davvero fondamentali
e fare
della confusione
un mondo che duri
come ordinare
i segni e i simboli
così che continuino
a formare nuovi disegni
sviluppandosi
in nuove totalità armoniche
così da tenere viva la vita
con la complessità
e la complicità
di tutto ciò che esiste –
c'è solo la poesia¹.

Allora sono entrato e ho chiesto di vedere il libro in oggetto. «Purtroppo è terminato» mi risponde laconicamente il libraio. Pazienza. Mi compro allora un breve saggio di T.W. Adorno, Teoria della Halbbildung, Il Nuovo Melangolo. Ricevendo lo scontrino, tuttavia, scrivo il nome dell'autore e il titolo dell'opera e, cercando nella rete - meravigliosa scoperta - trovo che il libro è reso disponibile dall'editore Amos in formato pdf: di questo sia ringraziato pubblicamente, anche per il resto del suo notevole catalogo.
Via ora, è tempo di viaggare dentro questo mirabile poemetto,
Lungo la costa «periplo costiero, peregrinazione pelagica, itinerario mentale, geopoetica in atto».

¹Kenneth White, Lungo la costa, Amos Edizioni, Mestre 2005

venerdì 19 febbraio 2010

Big Mother

*
Patricia Piccinini, "Big Mother", 2005, Melbourne. Silicone, fibreglass, leather, human hair 175.0 cm (high). Gift of the Art Gallery of South Australia Contemporary Collectors 2010.

Eccola qua, la Grande Madre, la nostra ombra, il nostro cominciamento. Da lei abbiamo avuto scaturigine, a lei dobbiamo la nostra riconoscenza (perlomeno gliela debbono coloro i quali credono che la vita e l'esserci, qui e ora, sia qualcosa di prezioso: sono tra questi).
Spesso mi domando se noi umani ci siamo definitivamente stabilizzati, o se i nostri corpi subiranno ulteriori, graduali trasformazioni. Mi piacerebbe aprire un finestra e vedere il mondo e i suoi abitanti fra centomila anni. Ammesso che ci sarà ancora qualcosa di noi là fuori.

P.S.
La vedrei bene sul palco dell'Ariston tal Big Mother.

«Come fango* gettato nelle pale di un ventilatore»



Giornalettismo ha pubblicato questo mio breve articolo [?] (a cui accennavo ieri).
Buona lettura, se vi va.

*Ringrazio Giulio Mozzi di avermi segnalato che tale espressione è di origine statunitense; di più, gli americani al posto di ‘fango’ usano ‘merda’.

giovedì 18 febbraio 2010

Divagazioni

Sono stanco. Ho mandato un pezzo a Giornalettismo. Vedremo se domani sarà pubblicato. Mi ha colpito una frase della lettera pubblica di Bertolaso. «Come fango gettato nelle pale di un ventilatore». Chissà dove ha estratto questa frase estremamente suggestiva. Sempre che sia di suo pugno. Non ho motivo di escluderlo, anche perché di fango, quello vero e non metaforico, Bertolaso se ne intende. Come sempre, però, per me Bertolaso è una scusa per riflettere sulla condizione dell'io nella nostra epoca. Discorsi fatti a occhi mezzi chiusi. Come questi ora, che vanno avanti così, per forza di inerzia.
A margine, ho letto che Berlusconi ha respinto le dimissioni anche di Cosentino. Che respingitore. Forse, un anno fa, Veltroni doveva presentare a lui le sue dimissioni: chissà, forse sarebbe ancora segretario del PD. In fondo, per il Presidente del Consiglio è normale difendere i posti di lavoro: se non ricordo male, quando ancora non si era avventurato in politica, correva fama ch'egli, da imprenditore, non avesse mai licenziato alcuno. Chi era da lui fuggito lo aveva fatto solo di sua spontanea volontà.
Infine, ho letto che Mara Venier appoggia Brunetta: «se mi chiama, corro [...] siamo due cani sciolti». Facile dire la razza del ministro, un po' meno quella dell'insulsa conduttrice.

Quartetto per una voce sola

Un Malvino in splendida forma in questo quartetto di post[i]: 1, 2, 3, 4.
I social network non potranno mai essere in grado di sostituire simili voci.
La blogosfera ringrazia.

mercoledì 17 febbraio 2010

La nostra commedia è tutta qui



«Sì, i servi sono la nostra vera continua autobiografia. Noi ridiamo dei loro vizi e difetti, dei loro guai e disastri, perché sono tutti nostri, li riconosciamo, e il ridere finisce per farceli vedere sotto una luce non soltanto accettabile, ma persino lusinghiera. Il riso assolve; e noi abbiamo bisogno di una ininterrotta assoluzione. La denuncia [...] ci inorgoglisce. La satira ci rende fieri, come se ci riconoscesse uno stato civile artistico, un diploma che ci sollevi dalla mediocrità e dal grigiore delle parti secondarie. Questo spiega il piacere che prova un italiano nel raccontarvi le sue avventure, spesso atroci, e spesso immorali. Quel che importa non è la conclusione morale, o sentimentale o filosofica, ma il fatto: che sia avvenuto e che risulti divertente. L'inferno italiano è popolato di maldestri peccatori che al rifiuto del concetto di colpa e di peccato uniscono la capacità di ridere dei guai in cui si trovano. E poiché il Diavolo laggiù è il padrone, ne deriva la necessità di imbrogliarlo. La nostra commedia è tutti qui».

Ennio Flaiano, Tempo di uccidere, Rizzoli, Milano 1970 (pag. 103-4)

martedì 16 febbraio 2010

Tecnica della sfrontatezza

«Prima di tutto, figlio mio... L'immoralità della menzogna non consiste nella violazione della sacrosanta verità. Il diritto di richiamarsi a quest'ultima spetta meno che mai ad una società che sollecita i suoi membri coatti a parlare con franchezza per poterli poi più facilmente acciuffare. La falsità universale non ha il diritto di pretendere la verità particolare, che essa, del resto, perverte subito nel suo opposto. Eppure la menzogna ha qualcosa di ripugnante, e se la coscienza che ne abbiamo ci è stata inculcata a colpi di frusta, essa dice qualcosa anche sul conto dei carcerieri. L'errore è nell'eccessiva sincerità. Chi mente si vergogna, perché, in ogni menzogna, è costretto ad avvertire l'indegnità dell'assetto universale che, mentre lo costringe a mentire se vuol vivere, non cessa di ripetergli di “esser sempre leale e sincero”. Questa vergogna toglie ogni forza alle bugie degli individui più sottilmente organizzati. Essi mentono maldestramente, e solo così la menzogna diventa veramente un'immoralità verso l'altro. Essa mostra di considerarlo uno stupido, e serve all'espressione del disprezzo. Tra gli scaltriti pratici di oggi, la menzogna ha perso da tempo la sua onorevole funzione di ingannare intorno a qualcosa di reale. Nessuno crede più a nessuno, tutti sanno il fatto loro, Si mente solo per fare capire all'altro che di lui non ci importa nulla, che non ne abbiamo bisogno, che ci è indifferente che cosa pensi di noi. La bugia, un tempo strumento liberale di comunicazione, è diventata oggi una tecnica della sfrontatezza, con cui ciascuno spande intorno a sé il gelo di cui ha bisogno per vivere e prosperare».

T.W. Adorno, Minima moralia, Einaudi, Torino 1979

lunedì 15 febbraio 2010

Voglio fare l'ostetrico

«Voglio scordare [l'Italia]¹. Voglio scordare gli [italiani]². Avrei dovuto lasciarli perdere da un pezzo. Esibisci il pene in pubblico e, naturalmente, arriva la polizia... Ma, realmente, questo dura da troppo. Ho cercato di liberarmi da tutti gli impacci che mi tenevano prigioniero da ragazzo, ma a quarant'anni mi ritrovo più che mai incatenato. Basta, non scrivo più. Non ne posso più, dei loro rimbrotti, Ribellione, obbedienza - disciplina, dinamite - ingiunzioni, resistenza - accuse, discolpe - sfida, vergogna... no, è stato tutto un colossale errore, dal principio alla fine. Non è questo il posto che intendevo occupare nella vita. Voglio fare l'ostetrico. Chi ci litiga con un ostetrico? Persino l'ostetrico che ha aiutato [Capezzone]³ a nascere va a letto, alla sera, con la coscienza tranquilla. Prende quel che vien fuori, e tutti gli vogliono bene. Quando il neonato viene alla luce, nessuno si mette a gridare: "Quello non è un bambino! Lo chiami un bambino, quello?" No, qualunque cosa lui gli consegni, quelli se lo portano a casa. Gli sono grati per la sua assistenza. Immagina[te] quei bambini coperti di burro, con gli occhietti da cinesini, immagina[te] che effetto fa allo spirito vederli - e così ogni giorno - anziché scrivere altre due pagine di dubbio valore. Concepimento? Gestazione? Doglie? Affari della madre. Tu te ne lavi le mani, semplicemente. Vent'anni nelle alte sfere letterarie... non ne posso più. Viva l'allegria delle fogne. I liquami, le porcherie... la robaccia. Non più parole, solo la materia. Tutto ciò di cui la parola fa le veci. Il più basso dei generi: la vita stessa. Giusto, avrò cinquant'anni appena mi rigiro. Non più parole! In sala parto, su, prima che sia troppo tardi. A pesce nella Cloaca Massima, a sguazzare nel pattume».

Philip Roth, La lezione di anatomia, Bompiani, Milano 1986

¹Israele
²Gli ebrei

³Bugsy Siegel

domenica 14 febbraio 2010

La differenza tra democrazia e autocrazia

A margine della nausea malviniana, come mio promemoria.

«La democrazia è relativistica, non assolutistica. Essa, come istituzione d'insieme e come potere che da essa promana, non ha fedi o valori assoluti da difendere, a eccezione di quelli sui quali essa stessa si basa: nei confronti dei principî democratici, la pratica democratica non può essere relativistica. La democrazia deve cioè credere in se stessa e non lasciar correre sulle questioni di principio, quelle che riguardano il rispetto dell'uguale dignità di tutti gli esseri umani e dei diritti che ne conseguono e il rispetto dell'uguale partecipazione alla vita politica e delle procedure relative. Ma al di là di questo nucleo, essa è relativistica nel senso preciso della parola, cioè nel senso che i fini e i valori sono da considerare relativi a coloro che li propugnano e, nella loro varietà, tutti ugualmente legittimi. Democrazia e verità assoluta, democrazia e dogma, sono incompatibili. La verità assoluta e il dogma valgono non nelle società democratiche, ma in quelle autocratiche».

Gustavo Zagrebelsky, Imparare la democrazia, Einaudi, Torino 2005 (pag. 15-16)

sabato 13 febbraio 2010

Chi sei?


Max Ernst, Testa d'uomo irretito dal volo di una mosca non euclidea (1947)

Chi sei? Un lemure, una lepre, una remora, un'arpa
sonora al vento, un cucchiaio affondato nella crema
irrancidita dopo una notte, uno straccio da
weekend, intriso e subito lasciato lì, emblema

in mezzo all'ortica, il grido attiguo, lo scolorarsi
sempre dalla parte delle parole, il collasso
in due momenti successivi, salvezza affidata
a un terzo momento di cui non ricordi il prefisso.

Toti Scialoja, Ada ride (1987-1989), da Poesie, Garzanti, Milano 2002

Il corpo di una donna

A mio modesto avviso, chi scrive simili post (1, 2) di carriera ne ha fatta (e ne farà) eccome. E l'ha fatta dando solo una splendida parte di sé: il pensiero, parte del corpo.

Desiderio ontologico

Càspita! Non mi ero accordo che Giornalettismo ieri ha pubblicato questo mio articolo. In esso si parla di desiderio mimetico triangolare che, a volte, rende noi umani degli assetati d'essere. In buona sostanza: sono degli appunti a margine delle mie reminescenze girardiane.
Buona lettura, se vi va.

P.S.
L'articolo era scritto, in realtà, sotto forma di elenco puntato. Purtroppo la caporedattrice li ha fatti sparire i piccoli pallini sul margine sinistro che davano una cadenza di scrittura (contr)appuntistica.

Fonte Etica: sorgente di vita


I dilemmi del Presidente dello Stato Pontificio.
Sta parlando per sé, spero (ma temo di no).

venerdì 12 febbraio 2010

Segnalazioni scientifiche

I dottori Castaldi e Bressanini offrono, da differenti posizioni e con diversi contenuti, un'analoga interpretazione del rapporto uomo-natura.
Una decina d'anni fa non avrei apprezzato post come questi, nel senso che l'avrei pensata, rispettivamente, come Carlo Petrini e come i sostenitori della naturalità del parto. Nel corso di un decennio ho cambiato, gradualmente, avviso. Son stato protetto dalla stella di Ignazio Semmelweis.

P.S.
Spero non mi direte d'esser della stessa scuola capezzoniana o dallavedoviana.

giovedì 11 febbraio 2010

Eclisse italiana


George Grosz, Eclisse di sole, 1926

«Quello che è successo qui, è successo secondo il piano di far regredire l'umanità, mantenendo un apparato colpevole della sua degenerazione allo stadio anteriore al peccato originale; di portare la vita dello Stato, dell'economia, della cultura alla formula più semplice: quella dell'annientamento. E nel miracolo di questa semplicità si include anche il dubbioso che, per una volta, vorrebbe concedersi una pausa di tranquillità. Egli avverte come a torto si attribuisca la capacità di soccombere solo ai credenti e ai convertiti, per i quali ciò è naturale e sa quali siano diventati i “valori da invidiare” che aumentano ogni giorno».

Karl Kraus, La terza notte di Valpurga, Editori Riuniti, Roma 1996 (pag. 8-9)

In difesa del pubblico dipendente

Piccola microstoria personale blogghistica. Ho cominciato a frequentare il mondo dei blog grazie a Beppe Grillo, oramai cinque anni fa (o giù di lì). Per un anno non ho fatto altro che seguirlo, pressoché quotidianamente, commentando di tanto in tanto. Gradualmente mi sono da lui allontanato, tanto che non lo leggo più. Una delle ragioni di fastidio, ricordo, era il suo continuo rivolgersi ai politici, in modo sprezzante, chiamandoli in continuazione dipendenti pubblici. Secondo me i politici, regolarmente eletti tramite elezioni democratiche, non sono dipendenti pubblici: sono qualcosa d'altro. Ma di questo più avanti.
Bene, ieri Berlusconi si è rivolto ai magistrati così: «Non si può governare attaccati da pubblici dipendenti quali sono i giudici». Il tono mi pare lo stesso di quello usato da Beppe Grillo, e cioè un tono denigratorio e sprezzante. Se seguissi la logica del comico-politico genovese sarebbe facile replicare a Berlusconi: anche tu sei un dipendente pubblico, in quando anche tu stipendiato per svolgere il tuo lavoro di premier (a proposito: quanto guadagna al mese il primo ministro?).
Ma come dicevo dianzi, a mio avviso i politici non sono dipendenti pubblici. Il dipendente pubblico, infatti, non è eletto dal popolo ma lo diventa, normalmente, superando un concorso per titoli e/o esami (o attraverso particolari graduatorie di merito: disabili, orfani di caduti di guerra o di vittime del terrorismo o della mafia, eccetera). Questo vale per tutte le professioni pubbliche, dal magistrato al necroforo comunale, dal medico di base al poliziotto, dall'insegnante al giornalista Rai, eccetera. Dando per buono (perlomeno nella maggior parte dei casi) che tali concorsi siano stati svolti secondo le regole, tutti i cittadini, avendo particolari requisiti (titoli di studio o altre certificazioni) possono partecipare a qualsiasi tipo di concorso pubblico. Lasciamo da parte per un attimo il fatto che, storicamente, in Italia il servizio pubblico è scadente, che ci sono sprechi, che l'arruolamento è avvenuto e avviene in barba alle regole, e via discorrendo. Il punto è che il dipendente pubblico, una volta assunto, andrà a operare nel suo particolare settore d'azione cercando di svolgere il proprio dovere secondo le regole che la professione esige e solo ad esse dovrà rendere conto. Chiaramente, l'azione della sua professione ha un impatto pubblico: ma se per esempio un medico sbaglia diagnosi, non deve essere il cittadino a giudicare ed, eventualmente, licenziare il medico, ma i criteri e i regolamenti interni, in questo caso, all'azienda sanitaria (il cittadino deve però essere tutelato e risarcito, va da sé).
È chiaro che il politico, quindi, non rientra in questa categoria, perché l'unico criterio di giudizio su di lui ce l'hanno gli elettori (e giudici, se commette - o ha commesso - reati). Con questo però i politici non si sentano deresponsabilizzati, tutt'altro; essi non saranno dipendenti pubblici, d'accordo, ma sono qualcosa di diverso, di tremendamente più impegnativo e moralmente gravoso in rapporto alla comunità: essi sono i primi servi, servitori del cittadino, essi sono i nostri maggiordomi, i nostri governanti. Cos'è in fondo la politica se non l'arte di governare la città, lo Stato? Dei tre poteri fondamentali che regolano la nostra repubblica (lascio da parte il quarto e il quinto, anch'essi capitali), soltanto uno, in realtà, viene eletto dal popolo: il potere legislativo. È il parlamento che poi elegge il governo, o sbaglio? E Berlusconi, Brunetta, la Lega con questa falsa retorica moralizzatrice che tende a far sentire il dipendente pubblico un pezzo di merda sono, riguardo alla posizione di servigio al cittadino, ancora più servi e maggiordomi dell'impiegato all'anagrafe. Per questo, se la politica fosse ciò che dovrebbe essere, fare il politico sarebbe soltanto una missione, una fatica, un impegno ad alto costo che molti fuggirebbero al solo pensiero. La politica non dovrebbe essere un modo per innalzarsi socialmente, ma per abbassarsi (e per questo elevarsi in virtù dei propri buoni servigi). Ma dato che così non è, mi associo a quanto Paolo dice in questo suo post di etologia politica minima, facendogli notare, però, che lo sciopero elettorale alle elezioni politiche (o amministrative) non ha lo stesso effetto quorum del referendum: basterebbe l'un per cento degli elettori per prendere il potere, ahimè!

P.S.
Uh, mi sono accorto che Giglioli (tramite Gramellini) si occupa anch'egli della questione.

mercoledì 10 febbraio 2010

Ah sì?

Volevo scrivere qualcosa su Bertolaso, ma a me Bertolaso non fa venire in mente niente. Che forse dietro tutto questo ci sia l'incazzatura della Clinton? Certo che dopo le villane dichiarazioni haitiane l'avrei mossa anch'io la Zia per fargli qualche dispettuccio.
Comunque sia gli dedico questa storiella Zen. Dedica estensibile a tutto il governo di centrodestra, soprattutto al Presidente del Consiglio dei Ministri.

Il maestro di Zen Hakuin era decantato dai vicini per la purezza della sua vita.
Accanto a lui abitava una bella ragazza giapponese, i cui genitori avevano un negozio di alimentari. Un giorno, come un fulmine a ciel sereno, i genitori scoprirono che era incinta.
La cosa mandò i genitori su tutte le furie. La ragazza non voleva confessare chi fosse l'uomo, ma quando non ne poté più di tutte quelle insistenze, finì col dire che era stato Hakuin.
I genitori furibondi andarono dal maestro.
«Ah sì?» disse lui come tutta risposta.
Quando il bambino nacque, lo portarono da Hakuin. Ormai lui aveva perso la reputazione, cosa che lo lasciava indifferente, ma si occupò del bambino con grande sollecitudine. Si procurava dai vicini il latte e tutto quello che occorreva al piccolo.
Dopo un anno la ragazza madre non resistette più. Disse ai genitori la verità: il vero padre del bambino era un giovanotto che lavorava al mercato del pesce.
La madre e il padre della ragazza andarono subito da Hakuin a chiedergli perdono, a fargli tutte le loro scuse e a riprendersi il bambino.
Hakuin non fece obiezioni. Nel cedere il bambino, tutto quello che disse fu: «Ah sì?».

101 storie Zen, Adelphi, Milano 1973

martedì 9 febbraio 2010

E se le suore rispondessero?

«Tra l'altre distinzioni e privilegi che le erano stati concessi, per compensarla di non poter esser badessa, c'era anche quello di stare in un quartiere a parte. Quel lato del monastero era contiguo a una casa abitata da un giovine, scellerato di professione, uno de' tanti, che, in que' tempi, e co' loro sgherri, e con l'alleanze d'altri scellerati, potevano, fino a un certo segno, ridersi della forza pubblica e delle leggi. Il nostro manoscritto lo nomina Egidio, senza parlar del casato. Costui, da una sua finestrina che dominava un cortiletto di quel quartiere, avendo veduta Gertrude qualche volta passare o girandolar lì, per ozio, allettato anzi che atterrito dai pericoli e dall'empietà dell'impresa, un giorno osò rivolgerle il discorso. La sventurata rispose».

Alessandro Manzoni, I promessi sposi, cap. x

Un pronostico

Dopo l'esclusione di Morgan, il vero favorito a vincere il Festival di Sanremo è lui.

Una splendida lettura

Uno scritto degno delle migliori pagine dei Cahiers di Simone Weil. Brava Federica

(Consiglio di scaricare il file pdf)

lunedì 8 febbraio 2010

Domande phastidiose

Mi unisco, da profano, alla seguente, phastidiosa, domanda:

Perché il reddito italiano cresce così meno degli altri e così meno di quanto cresceva nel passato?



Piccola risposta, forse fuori tema: perché cresce soltanto quello di un italiano.
A proposito: chissà se in tale reggia-ateneo saranno invitati quei libera-lacci di Phastidio e di noiseFromAmerika. O forse l'invito l'avrà solo quel libera-lone di Jimmono? Io comunque tifo per Formamentis che, in compagnia di M.J. Clerici, formerebbero davvero una coppia perfetta, forse l'unica in grado di far capire a Berlusconi che lui liberale non è.

domenica 7 febbraio 2010

Dov'è il tuo tesoro?

Non sono un esperto, ma penso che lo IOR sia uno degli Istituti di Credito che ha a disposizione più fondi di cassa in assoluto nel mondo. Bene, allora perché tale Banca Vaticana non investe nell'occupazione, per esempio rilevando dalla Fiat lo stabilimento di Termini Imerese, foss'anche per costruire, oltre alla Papa-Mobile, anche la Vescovo-mobile e via discorrendo? Possibile che quest'enorme accumulo di denaro non spaventi la gerarchia vaticana? Come disse, infatti, Gesù?

Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. Perché là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore. (Matteo, 6, 19-21).

Via su allora, caro Benedetto 4x4: fate uno sforzo in Vaticano, rimettete in circolo tutto il vostro capitale al fine di risollevare le sorti degli ultimi. Come dite? Dopo si crea troppo benessere e con la pancia piena l'uomo pensa e crede meno e comincia a sentirsi padrone di sé? E per voi questo rischio è peggiore della povertà e della disuguaglianza sociale, vero? Molto meglio che questo pericolo lo affrontino soltanto quei dannati dei ricchi che tanto, dopo, rispetto ai poveri, hanno la possibilità di riscattarsi concedendo donazioni o eredità al suddetto Istituto delle Opere Religiose.

La vita ora



La mia vita potrebb'essere diversa
ma io non voglio, tengo questa
ci sono affezionato.
Sperimentarne a fondo una
è sufficiente per sapere se la vita
valga la pena di essere vissuta
dato il tempo dato
alle nostre cellule ballerine
di venire a capo di se stesse.
Inutile per me parlare a vuoto
seduto di fronte a un dottore
che mi prende più di quanto io possa
ricevere: sono io che do, sono io che offro
sono io che mi metto in piazza
che traduco in una lingua
nuova la questione dell'essere.
Già, l'essere - il mio, di meno
che si svuota come un piccolo palloncino
annodato male e si disperde
nell'aria fredda dove merli
cercano di diffondere i loro geni
secondo le istruzioni stabilite.
Io quanto sono diverso da loro?
Quanto sono libero da me stesso
dalla mia scrittura interiore
dai miei dati interni così unici
così uguali a tutti, a tutto,
soprattutto a questa vita tutta
nel continuo imponderabile del tempo?
Chissà quale combinazione
memetica e genetica impone
queste domande aggrovigliate.
Chissà poi perché sono state espresse.
Ma sono qui, sono state dette,
e rendono complicato il mio cammino.
Ma se d'incanto io smettessi
di cercare nel mio abito di abisso
quel foglio d'appunti in cui scrissi
la formula magica che diceva chi sono
che razza d'uomo diverrei? Altra domanda.
Vado avanti soltanto con quelle.
Le risposte le trovo sempre
negli occhi degli altri che ridono
felici sicuri pieni di vita e soddisfatti.
O in chi s'impegna e parte in Africa
per dare per dare per dare e scordarsi
di sé. Io non parto, resto, sono poco umano.
Intanto i tuoi capelli
non mi convincono ma non importa
devo concentrarmi sugli occhi
e quelli sono molto infelici
di me di te di noi qui davanti.

Promotrici



Venerdì mattina son stato a far la spesa al solito supermercato Coop. Una bella guagliona campana mi ha convinto - premiandomi con una mela omaggio contenente un buono sconto pel prossimo acquisto - a comprare una confezione di mele annurca. Beh, credo che nemmeno Afef mi convincerebbe a comprare carne Halal.

sabato 6 febbraio 2010

Presenza di spirito

«Notevole presenza di spirito ha dimostrato a Rutzenmoos un uomo che, come scrive il Linzer Tagblatt, ha salvato un bambino di tre anni da un toro inferocito. L'uomo, un operaio del cementificio Hatschek che da decenni dà lavoro a migliaia di lavoratori e continua a offrire in tutta la regione esempi visibili di sensibilità sociale costruendo asili e ospedali e concedendo sovvenzioni per ospizi e manicomi, avrebbe allontanato il toro dal bambino servendosi di una giacchetta di lana di un rosso brillante. Il bambino aveva potuto mettersi in salvo mentre il toro si era avventato contro l'uomo e l'aveva ridotto in condizioni così pietose che il giorno dopo questi era morto nella clinica traumatologica di Vocklabruck fondata dal cementificio Hatschek. Il Linzer Tagblatt sottolinea la felice circostanza che l'operaio di Rutzenmoos, nel momento in cui il toro si era lanciato contro il bambino, portasse la giacchetta di lana rossa che la moglie gli aveva fatto per Natale e che proprio con l'aiuto di questa giacchetta rossa avesse distratto l'attenzione del toro dal bambino e l'avesse attratta su di sé. Al funerale dell'operaio avevano assistito centinaia di suoi colleghi e logicamente, come sempre in casi analoghi, anche la direzione del cementificio Hatschek al completo. Per non parlare del resto della popolazione, che va sempre volentieri a funerali del genere perché essi sostituiscono il teatro con le sue continue premières, che da queste parti non esiste. Il Linzer Tagblatt pubblica oggi la fotografia del bambino di Rutzenmoos e la fotografia dell'uomo che l'ha salvato, lui pure di Rutzenmoos, la fotografia della moglie del salvatore del bambino e la fotografia della giacchetta di lana rossa fatta dalla moglie al marito per Natale, nonché la fotografia del luogo dell'accaduto e la fotografia del toro che l'operaio di di Rutzenmoos aveva distratto dal bambino di Rutzenmoos e aveva attratto verso di sé, verso l'operio di Rutzenmoos. Quanto al quel toro malvagio, esso, come scrive il Linzer Tagblatt, è stato macellato».

Thomas Bernhard, L'imitatore di voci, Adelphi, Milano 1987

venerdì 5 febbraio 2010

L'utilità delle differenze

«Come è utile che fino a quando l'umanità non sarà perfetta vi siano differenze d'opinione, così lo è che vi siano differenti esperimenti di vita; che le diverse personalità siano lasciate libere di esprimersi, purché gli altri non ne vengano danneggiati; e che la validità di modi di vivere diversi sia verificata nella pratica quando lo si voglia. In breve, è auspicabile che l'individualità sia libera di affermarsi nella sfera che non riguarda direttamente gli altri. Quando la norma di condotta non è il carattere individuale ma le tradizioni o le consuetudini degli altri, viene a mancare uno dei principali elementi della felicità umana, e l'elemento sicuramente principale del progresso individuale e sociale».

John Stuart Mill, Saggio sulla libertà, Il Saggiatore, Milano 1981 (pag. 85)

Verrà un giorno in cui la finezza di simili ragionamenti potrà passare direttamente all'azione ed essere forza, diritto che si afferma, baluardo di libertà e giustizia? Tutte le piste dello spazio evolutivo è lecito esplorare purché “gli altri non vengano danneggiati”.
Quando il pre-giudizio sarà relegato a rottame argomentativo? Quando il giudizio sarà esercitato solo dopo l'esplorazione di vita (e durante per verificare che non vi siano danni): lasciare libera ogni “personalità” di esprimersi, questo è il più alto compito di un moderno Stato di diritto (e di doveri).
Che senso ha per uno Stato negare l'unione civile di due persone dello stesso sesso? Nessuna. E ancora: che senso ha negargli poi il diritto di avere un figlio? Perché il figlio crescerebbe ‘male’ senza la figura paterna o materna? L'equilibrio, l'unità, l'affetto, il rispetto, la tolleranza, la fiducia, l'amore, l'educazione non sono elementi sessuati è l'ora di capirlo. E se non lo si capisce, la perfezione si allontana.

giovedì 4 febbraio 2010

Di chi la colpa?

Giovanni Fontana, riprende una notizia che volevo anch'io commentare stamani (poi ho glissato). Provo a rifletterci stasera, a margine delle sue opportune considerazioni, complimentandomi con la sua ultima considerazione di cosa sarebbe successo se tali giovini fossero stati figli di coppie gay.
Due cose: il primo pensiero è che sono favorevole alla sentenza perché mette in risalto il danno provocato alla vittima e stabilisce un cospicuo risarcimento; il secondo invece è: fino a quanto i genitori sono responsabili delle stronzate dei figli? come stabilirlo, o meglio: a stabilirlo è solo il fatto che sono minori di 18 anni? Se avessero avuto 19 anni e fossero stati disoccupati "chi" ripagava la vittima? Quando si entra in un meccanismo di branco, di orda, è terribilmente difficile uscirne, lasciare la presa, mettersi a scrivere sulla sabbia a testa bassa. Se, per esempio, un ragazzino di quindici, sedici anni viene preso con della droga, che fanno dopo tale sentenza? Arrestano i genitori per spaccio?

Alla nascita di un figlio

(dal cinese di Su Tung-p'o, 1036-1101)

Quando nasce un bambino, le famiglie
lo vorrebbero intelligente.
Io che per intelligenza
mi sono rovinato l'esistenza
posso solo sperare che mio figlio
riesca a dimostrarsi
ignorante e un po' pigro di cervello.
Perché allora, al Consiglio dei ministri,
se ne vivrà tranquillo.

Bertolt Brecht, Poesie di Svendborg [trad. Franco Fortini], da Poesie, Einaudi, Torino 1992

Stella variabile

Quest'articolo, lo confesso, è debitore delle voci “Adattamento” (Richard C. Lewontin) e “Anthropos” (Edmund Leach) della Enciclopedia Einaudi, vol. 1 (ma non ho copiato, solo preso appunti & spunti).
Buona lettura, se vi va.

mercoledì 3 febbraio 2010

Un altro monarca



«Se fosse altrettanto facile comandare alla coscienza quanto alla lingua, ognuno regnerebbe in piena sicurezza e nessun governo degenererebbe nella violenza, perché ognuno vivrebbe secondo le intenzioni dei governanti e soltanto in conformità alle loro prescrizioni giudicherebbe del vero e del falso, del bene e del male, dell'equo e dell'iniquo».
[...]

«Mosè, il quale, non per astuzia, ma per divina virtù, era riuscito a influenzare al massimo il giudizio del suo popolo, come quegli che era ritenuto uomo divino e che nulla diceva né faceva se non per divina ispirazione, non poté tuttavia sfuggire alle calunnie e alle sinistre interpretazioni del popolo stesso; e meno ancora poterono sfuggirvi gli altri monarchi: e se questo potesse essere in qualche modo concepito, lo sarebbe soltanto in un regime monarchico, ma non in quello democratico, dove il potere è esercitato collegialmente da tutti o dalla grande maggioranza dei cittadini. E credo che la ragione di ciò sia evidente a tutti
».

Baruch Spinoza, Trattato teologico-politico (cap. xx), Einaudi, Torino 1972 (pag. 480-1)

Ancora domande

Solo per capire: quand'egli tornerà a trovare l'amico Gheddafi, cosa gli racconterà?
Ch'era tutto un scherzo di carnevale?

Domande ipotetiche

Chissà che tipo di nazione sarebbe l'Italia se ogni Governo, nel corso della storia, avesse assunto un tono di riprovazione o d'indifferenza tutte le volte che i presidenti degli Stati Uniti d'America* hanno incontrato un Pontefice: una dittatura comunista o, più semplicemente, una repubblica autenticamente indipendente dal Vaticano?

martedì 2 febbraio 2010

«Remember them»



In Iran continuano le condanne a morte del regime teocratico.
Spero solo che un giorno, tra non molto, tutto questo possa essere raccontato con lo stesso sarcasmo col quale è stata affrontata la veramente vera verità di Adolfo Hitler.

Ho visto stasera il film in locandina. Era tanto che non ridevo così drammaticamente.

Oggi mi sento così

«Quanto più [l'uomo]* si consuma nel lavoro, tanto più potente diventa il mondo estraneo oggettivo, che egli si crea dinanzi, tanto più povero diventa egli stesso, e tanto meno il suo mondo interno gli appartiene. Lo stesso accade nella religione. Quante più cose l'uomo trasferisce in Dio, tanto meno egli ne ritiene in se stesso».

Karl Marx, Scritti politici giovanili, Einaudi, Torino 1975

*Ho sostituito “operaio” con “uomo”.

lunedì 1 febbraio 2010

L'isola degli intellettuali

Gli intellettuali «oscillano tra il programma massimo della repubblica platonica governata dai sapienti, che non sembra aver esaurito il suo fascino, e il programma minimo della funzione critica e stimolatrice dei “philosophes” del Settecento. Ma tra questi due ideali la realtà è ben diversa: la realtà è sovente l'angustia della conventicola, l'inattività forzata della solitudine, l'inaridimento della segregazione. Credono di galleggiare sui flutti come i signori della tempesta, e sono respinti, senza che se ne accorgano, in una isola disabitata».

Norberto Bobbio, Il dubbio e la scelta, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1993