mercoledì 30 giugno 2010

La separazione delle parti

S'ïo avessi le rime aspre e chiocce,
come si converrebbe al tristo buco
sovra 'l qual pontan tutte l'altre rocce,

io premerei di mio concetto il suco
più pienamente; ma perch'io non l'abbo,
non sanza tema a dicer mi conduco;

ché non è impresa da pigliare a gabbo
discriver fondo a tutto l'universo,
né da lingua che chiami mamma o babbo.

Dante Alighieri, Inferno, XXXII, 1-9

Stamattina ho letto gli articoli de la Repubblica e de Il Foglio sulla vicenda giudiziaria di Dell'Utri.

Ciò che più mi ha colpito è vedere come di fronte a un dato certo, oggettivo (la condanna del senatore del PdL a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa fino al 1992) si possano assumere due posizioni così diametralmente opposte: l'una che sottolinea con forza il mero dato della condanna riservandosi di leggere le motivazioni della sentenza per quel che riguarda l'inconsistenza degli addebiti dopo il 1992; l'altra che, invece, mettendo in secondo piano i 7 anni di pena e la gravità per il quale sono stati prescritti, saluta con soddisfazione che «dal 1992 in poi il senatore e collaboratore di Berlusconi è assolto. Il fatto non sussiste: il mandato di strage, la famosa “entità” mafiopolitica, tutte calunnie. Dei 7 anni per “concorso in mafia” ci libererà la cassazione» (Il Foglio).

Marginalmente, come fa Giuseppe d'Avanzo, è bene ricordare ai “corifei” de Il Foglio che la Cassazione

«Non giudica sul fatto, ma sul diritto, è giudice di legittimità: ciò significa che non può occuparsi di riesaminare le prove, bensì può solo verificare che sia stata applicata correttamente la legge e che il processo nei gradi precedenti si sia svolto secondo le regole (vale a dire, che sia stata correttamente applicata la legge processuale, anche in relazione alla formazione e valutazione della prova, oltre che quella del merito della causa)»[*]

Dunque il “fatto” (la condanna) rimane ed è un fatto talmente clamoroso che chi lo accetta di buon grado e non gli dà il minimo valore farebbe meglio, secondo me, a chiamare direttamente la mafia per partecipare a concorrere esternamente alla risollevazione delle finanze nostrane: in fondo, come sa far cassa la mafia Tremonti se lo sogna la notte.

Ma non è questo il punto sul quale volevo concentrare l'attenzione.

Il punto è, secondo me, che siamo di fronte all'ennesima dimostrazione dell'incomunicabilità tra le parti e questo conferma la situazione tragicomica della politica italiana.

Certo, io non sono un terzista, e nemmeno vorrei diventarlo. Vorrei solo proporre che ogni parte, partito, fazione smettesse di convincere l'altra delle proprie ragioni e che pensasse fin dal principio a elaborare il proprio discorso politico e intellettuale solo per coloro, dei propri, che hanno orecchie per intendere, rinunciando così, di fatto, al tentativo di trovare una lingua comune dove mamma e babbo hanno lo stesso significato. Sarebbe così facile chiudersi nelle proprie stanze, nei propri salotti, nei propri giardini e, beati, raccontarsi quanto siamo più buoni, bravi, belli e giusti di quei rintronati malevoli della porta accanto! Se non fosse per quella dannata faccenda del Potere come tutto questo davvero sarebbe auspicabile! Sarebbe possibile solo se ogni parte fosse autenticamente liberale e libertaria e tenesse sempre presente che, tutte le volte ch'è chiamata a esercitare il diritto-dovere di governo della Repubblica, debba avere sempre, come unica guida, le ragioni dell'altro, anche se dell'altro non conosce la lingua. Così non è. La lotta continua. Da questi parti si fa ragionando, la lotta, anche perché non ho la forza né la voglia di imporre le mie ragioni. Ma le teste di cazzo che ci stanno governando (coi loro corifei al seguito) non la pensano esattamente come me.


«Per la contraddizion che nol consente»

Christian Rocca, dalle pagine de Il Sole 24 Ore, ricordando l'amico Pietro Taricone, a un certo punto scrive:

«Un paio di giorni dopo l'uscita dalla casa del Grande fratello, gli ho regalato una copia del Marziano a Roma di Ennio Flaiano».

Io mi domando come uno che abbia letto e regalato Flaiano possa sostenere le stesse tesi socio-politiche di George W. Bush e Giuliano Ferrara.

Mi viene in mente un'idea, non originale, e da sviluppare ulteriormente. Dato che tutti gli spazi intellettuali dell'antiberlusconismo sono (ed erano) occupati, allora faceva e fa più figo e tendenza (e forse dava e dà più pecunia) occupare gli spazi lasciati liberi nel deserto berlusconiano: deserto di idee, di decenza, oserei dire d'intelligenza minima svincolata dall'ingenuità o dalla furbizia. Perché leggere Flaiano e avere simpatie per Berlusconi, Bush e affini è come andare in Vaticano e credere di trovare Dio su un'astronave.


martedì 29 giugno 2010

Il ritorno delle lucciole

Non ci crederete, ma fuori casa, ora, al primo buio, ci sono centinaia e centinaia di lucciole (quelle vere). Mi piacerebbe telefonare a Pier Paolo Pasolini.

L'orrendo pasticcione

Mettiamo l'ipotesi, assurda ipotesi, che Berlusconi impegni la prossima futura azione di governo a perseguire una “vera” rivoluzione liberale cominciando con delle operazioni a costo zero, tipo:

  • la cancellazione degli ordini professionali;
  • una legge che regoli in modo serio il conflitto di interessi;
  • una riforma elettorale più democratica dell'attuale;
  • la revisione del sistema bicamerale e l'abbattimento dell'attuale numero di deputati;
  • una legge più seria e dignitosa riguardante il conflitto di interessi;
  • una legge che consenta il riconoscimento pieno delle unioni civili, soprattutto tra persone dello stesso sesso;
  • una legge che permetta la procreazione assistita eterologa superando così di fatto l'attuale, illiberale, legge 40;
  • la revisione dei Patti Lateranensi e la modifica del sistema dell'8 per mille che avvantaggia in modo smaccato la confessione Cattolica.

Bene, se davvero il governo facesse tali riforme (o parte di esse) pensate che Giuliano Ferrara continuerebbe a salvare tutto di Berlusconi, persino «i pasticci più orrendi»?


lunedì 28 giugno 2010

Sciopero degli italiani

«Bisognerebbe fare uno sciopero degli italiani per insegnare ai giornali a non prendere in giro i loro lettori».S. Berlusconi, San Paolo, addì 28 giugno 2010 [fonte Ansa]

Sbaglierò e faccio ammenda se qualcuno, più ferrato ed esperto di quanto io sia, me lo farà notare –, ma io nel sintagma «degli italiani» più che un complemento di specificazione (di chi?) vedo un complemento di partizione (tra chi?). Vale a dire: se alcuni tra gli italiani scioperassero un giorno in quanto lettori, allora essi potrebbero insegnare ai giornali a non prendere in giro (chi?) quella minima parte di italiani (uno sciopero di otto ore?) che si ostinano a non leggere i giornali. Ma chi avrebbe mai la contezza di scioperare per una siffatta causa? Chi legge i giornali nonostante siano stati da questi male informati. Ma quali giornali potrà mai leggere chi eventualmente sciopererà se non, per es., La Repubblica, Il Corriere della Sera, La Stampa, L'Unità, Il Manifesto, Il Fatto Quotidiano?

Dacché in fondo non ho ben capito se tra i giornali criticati dal presidente del consiglio sono altresì contemplati i quotidiani Il Giornale, Libero, Il Foglio, il QN (La Nazione, Il Resto del Carlino, Il Giorno) Il Gazzettino, Ciociaria Oggi (eccetera); o anche i settimanali come Chi, appunto, o Panorama (eccetera).

Oppure Berlusconi intende dare, involontariamente, la patente di “giornali” solo a quelli che osano criticare la sua “azione di governo”? No, forse il fine berlusconiano è molto più fine e cioè screditare fin dal principio, agli occhi della massa di italiani ancora non contaminati, quelle testate accusate di controinformazione. Però, che preoccupazione malsana! In vent'anni di potere pressoché ininterrotto avere ancora lo spauracchio (o il fastidio) delle critiche della stampa a lui avversa.

Una telefonata credibile

Una volta ero più uggioso e pignolo. Adesso meno. Ma stamani non ho potuto fare a meno di telefonare alla sede della provincia, ufficio viabilità, per capire se e quando taglieranno l'erba ai margini della carreggiata che collega il tratto di strada da casa mia al paese. L'altezza di tale erba ha infatti raggiunto e quasi superato la segnaletica verticale; e inoltre limita la visibilità in prossimità delle curve. Gli anni passati, in questo periodo, gli addetti alla manutenzione stradale avevano già provveduto al taglio, ne sono sicuro.

Dunque, telefono. Risponde il tecnico responsabile di tale ufficio, segnalo il disagio. Il tecnico mi risponde:

«Mi scusi, sa: sono momenti difficili. Abbiamo una sola macchina operatrice, non ci sono più soldi per pagare degli operatori privati convenzionati».

«Beh, però la strada che collega più sotto il paese alla pieve di ..., di minor transito, è già stata “pulita”, nel senso che hanno già tagliato l'erba venerdì scorso».

«Eh, i preti hanno gli accosti, o forse hanno telefonato prima di lei».

«Va be', adesso tenga presente anche la mia segnalazione».

«Sì, ma è un casino comunque. Se continua così mi sa che tra poco dovremo chiudere. Pensi, dovevo fare l'ordine del sale per il ghiaccio d'inverno. Di solito abbiamo sempre ordinato tre tir che arrivavano il mese di ottobre, sa, la provincia è grande. Sa che mi ha detto l'ingegnere responsabile? Che quest'anno dovremo fare senza o far sì che ogni automobilista provveda, in caso di neve, ad avere, oltre alle catene a bordo, anche un ballino da dieci kg di sale».

«Insomma, una finanziaria di merda».

«Io non lo posso dire, ma mi trovo d'accordo con lei. Tanto finché non avranno rotto del tutto, mi perdoni l'eufemismo, i coglioni alla gente questi qui porteranno l'Italia alla rovina».

«Pensa davvero che, nonostante tutto questo, se ci fossero nuove elezioni Berlusconi, Tremonti e la Lega non rivincano?»

«Non lo penso affatto. Anzi. Questi tagli generalizzati che colpiscono sia chi ha rimesso a posto i conti sia chi invece li ha peggiorati, che, insomma, colpiscono la sanità, la scuola, i servizi pubblici regionali, provinciali e comunali in modo indifferenziato, siano la garanzia della loro futura rielezione. Il mio non è né vuole essere un discorso leghista. Ma quando vedo che i tagli colpiscono nello stesso modo sia chi ha razionalizzato la spesa sia chi l'ha mantenuta a livelli irrazionali, be', allora non posso far altro che credere che questo governo abbia serie chanches per rivincere le prossime elezioni».

«Infatti. “Parlare di crisi finale di Berlusconi e del berlusconismo è senz’altro azzardato. Niente lascia credere, infatti, che se tra sei mesi ci fossero le elezioni politiche il Cavaliere non riuscirebbe per l’ennesima volta a riportare la vittoria. In un modo quale che sia, ricorrendo alle offerte elettorali più irreali, radunando le forze più diverse, gli uomini (e le donne) più improbabili, ma chi può dire che non ci riuscirebbe?“ Sa chi ha scritto questo?»

«Ernesto Galli della Loggia?»

«Bravo, come ha fatto a indovinare?»

«Conosco i miei polli».

«Comunque, mi scusi se l'ho disturbata»

«No, non si preoccupi. Mi dica anzi la strada ove intervenire».

«S.R. n...»

«Faremo il possibile».

«Grazie».

«Prego».

Tendenza Pera

Meno male ci ha pensato Malvino, altrimenti me la sarei persa l'ultima tendenza liberale offerta dall'ineffabile Marcello Pera.

Secondo me tale editoriale fa il paio con quello di Ernesto Galli della Loggia, il quale, in chiusa d'articolo, domanda retoricamente (al governo Berlusconi): «Dov'è finita la rivoluzione liberale di cui il Paese ha bisogno?».

È lecito rispondere “a fare in culo?”.

Update:

Consiglio la lettura che Federica fa di EGdL

domenica 27 giugno 2010

«Un bicchier d'acqua è una cosa meravigliosa»

Ho appena finito di leggere, di José Saramago, Cecità, Einaudi, Torino 1996 [trad. Rita Desti]. Era tempo che non leggevo un libro con tanta angoscia. Sì, angoscia, la mia, di un lettore che s'è lasciato letteralmente prender per mano dall'Autore, ne è rimasto “vittima”. Non che non abbia notato la superba ironia, il giocare continuo cogli stereotipi linguistici ribaltandoli in una situazione catastrofica come quella rappresentata. Ma la quantità di merda, di fame e di violenza reimpastate per la creazione di un mondo apocalittico, dopo la “distruzione” della normalità del mondo, è stata per me come un pugno allo stomaco e ho inseguito, pagina dopo pagina, l'ultima pagina con smania ossessiva, come raramente m'era capitato prima. Volevo “finire” il libro, arrivare alla sua ultima alba per riposare la mente, per rivedere la luce là fuori, come l'unico personaggio al quale è concesso di vedere nel mondo dei ciechi: la moglie del medico. Questo libro mi ha attraversato così tanto che, per un po', quando berrò un bicchier d'acqua, non potrò non ripensare a quel bicchiere riempito con l'acqua del deposito dello sciacquone.

«Ecco come sono le parole, nascondono molto, si uniscono pian piano fra di loro, sembra non sappiano dove vogliono andare, e all'improvviso, per via di due o tre, o di quattro che all'improvviso escono, parole semplici, un pronome personale, un avverbio, un verbo, un aggettivo, ecco lì che ci ritroviamo la commozione che sale irresistibilmente alla superficie della pelle e degli occhi, che incrina la compostezza dei sentimenti, a volte sono i nervi a non riuscire a reggere, sopportano molto, sopportano tutto, come se indossassero un'armatura, si dice»¹.

J. Saramago, op. cit., pag. 270

sabato 26 giugno 2010

Meditare a fondo

*

«Stiamo scendendo sempre di più» dice la signora ansiosa.

«Là dove si trova la verità» dice Chantal.

«Là» incalza Leroy «dove si trova la risposta alla sua domanda, mia cara signora, la sola che conti: per che cosa viviamo? Che cosa è davvero essenziale nella vita?». E la fissa dritto negli occhi: «L'essenziale, nella vita, è di perpetuare la vita: e dunque il parto, e ciò che lo precede, il coito, la seduzione, ovverosia i baci, i capelli sciolti al vento, le mutandine, i reggiseni di buona fattura, e tutto quanto fa sì che la gente sia idonea al coito, cioè il mangiare [...] e insieme al mangiare la defecazione – perché certo lei sa, mia cara signora, mia bella, adorabile signora, certo lei sa quanto spazio occupi nella nostra professione l'elogio della carta igienica e dei pannoloni. Carta igienica, pannoloni, detersivi, roba da mangiare. È questo il cerchio sacro dell'uomo, e la nostra missione non consiste solo nell'individuarlo, nel comprenderlo e nel delimitarlo, ma nell'abbellirlo, nel trasformarlo in canto. Grazie alla nostra opera, la carta igienica è ormai quasi esclusivamente rosa – un fatto altamente edificante, che le raccomando, mia cara e ansiosa signora, di meditare a fondo».

Milan Kundera, L'identità, Adelphi, Milano 1997 [trad. Ena Marchi]


La perfezione della rasatura



Un grande Massimo Bucchi.

At the present time

*
Lo sono anch'io, in questo momento.

venerdì 25 giugno 2010

Auguri per un compleanno

«Nessuno più lamenta la corruzione del processo di rappresentazione». In verità, dietro questo nessuno, c'è un qualcuno, un maestro blogger esemplare che esercita un'imperdonabile arte critica delle cose che accadono in cielo e in terra e che, di tale processo corruttivo, ci informa con le sue superne note. Che fortuna essere suoi contemporanei.

giovedì 24 giugno 2010

Una storia credibile

Ultimo Collegio Docenti dell'anno scolastico 2009-2010. Ore 9.00. La fila dove sono seduto è vuota. La Dirigente Scolastica non è ancora arrivata. Davanti a me e alle mie spalle chiaccherio generale di una folta schiera soprattutto di colleghe. Apro la cartella. Tiro fuori Giulio Mozzi, Sono l'ultimo a scendere. E altre storie credibili, Mondadori, Milano 2009. Appoggio il libro sul piccolo bracciolo-scrittoio. Sono arrivato a pagina 191, al racconto Dramma datato 27 aprile 2005. Leggo che Giulio si trova sull'Eurostar da Torino a Milano, «carrozza dodici, posto quarantasei». Io sono seduto sulla sesta fila, la quinta sedia a partire da sinistra. Leggo che Giulio sta leggendo Fenomenologia della percezione di Merleau-Ponty, Bompiani, esattamente a pagina 270 di 586. Arriva la Dirigente. Tutti, meglio: tutte cominciano a sedersi. Sento bussare sulla spalla destra. Mi volto. È una collega che, con un generoso decolleté, mi domanda:

«Me lo fai vedere?»

«Che cosa?»

«Stupido, il libro».

Incasso lo “stupido” e porgo, con un mezzo sorriso, il volume. La Dirigente prova il microfono, si dovrebbe cominciare.

«Bello? Ti piace?» mi chiede la collega restituendomi il libro.

«Sì, molto. È un libro divertente, di piacevole lettura. C'è solo una cosa che lo rende poco “credibile”: il protagonista, cioè Giulio, vince quasi sempre».

«Allora è un libro d'avventure?»

«Più o meno. Avventure del quotidiano».

D'improvviso un fischio dovuto alla prova microfono ferisce l'udito di tutti i presenti.

«Me lo passi dopo che l'avrai letto?»

«Se ti scopassi dopo andrei a letto?».

«Stupido, ma che cazzo dici! Cosa hai capito?»

«Ma... forse... il fischio... ma tu cosa hai detto?»

«Ti ho chiesto se dopo me lo passi».

«Il libro?»

«Si».

«Sì, a settembre, quando ci rivedremo».

La Dirigente comincia a parlare. Io rimetto a posto il libro in cartella. Prendo l'agenda, vado al primo settembre e scrivo. Ore 8,30: 1° Collegio Docenti a.s. 2010-2011. Portare libro a X.


Sconfitte

La nazionale italiana di calcio ha perso: demoltiplicare la delusione ripensando al godimento di quattro anni fa, a Berlino.
La nazionale italiana di calcio ha perso: l'amor patrio, se esiste, si senta più ferito da quest'ennesima sconfitta dello stato di diritto che dai gol degli slovacchi.

Non sputare su Lippi.
Sputare su Berlusconi.
Che ogni scaracchio di ogni calciatore possa diventare il Grande Sputo che gli tolga, definitivamente, il cerone dell'impunità.

Pensiero mattutino

«Immaginate una pozzanghera che si sveglia una mattina, e pensa: “È un mondo interessante quello in cui mi trovo - un buco interessante quello in cui sono capitata -, mi calza proprio a pennello, non è vero? Anzi, mi si adatta in modo sbalorditivo, deve essere stato fatto apposta per ospitarmi!”. L'idea è talmente potente che mentre il sole si alza in cielo e l'aria si riscalda, e mentre, gradualmente, la pozzanghera si rimpicciolisce sempre più, essa si tiene ancora follemente ancorata all'idea che andrà tutto bene, perché questo mondo era destinato a ospitarla, era stato costruito per accoglierla dentro di sé; così, il momento in cui la pozzanghera scompare la coglie del tutto di sorpresa. Io penso che tutto ciò possa rappresentare qualcosa da cui dobbiamo stare in guardia».

Douglas Adams [citazione tratta da R. Dawkins, Il cappellano del diavolo, Cortina, Milano 2004]

mercoledì 23 giugno 2010

Giugno 1968

Nel meriggio dorato
o in una serenità di cui il simbolo
potrebbe essere il meriggio dorato,
l'uomo dispone i libri
negli scaffali che attendono
e sente la pergamena, la pelle, la tela
e il piacere che dà
immaginare un'abitudine
e istituire un ordine.
Stevenson e l'altro scozzese, Andrew Lang,
riprenderanno qui, per virtù magica,
la lenta discussione che interruppero
gli oceani e la morte
e a Reyes certo non dispiacerà
stare accanto a Virgilio.
(Ordinare una biblioteca è
esercitare, in silenzio e modestia,
l'arte del critico).
L'uomo, che è cieco, sa
che non potrà più decifrare
i bei volumi che tocca
e che non gli daranno aiuto a scrivere
il libro che lo giustifichi agli altri,
ma nel meriggio che forse è dorato
sorride del suo bizzarro destino
e sente la felicità che è propria
delle vecchie cose che s'amano.

Jeorge Luis Borges, Elogio dell'ombra, Einaudi, Torino 1971 (versione di Francesco Tentori Montalto)

Ri-trovare questi famosi versi borgesiani dà conforto al mio artigianato. Io, che non sono un bibliofilo, che però apprezzo la maestria dell'arte libraria, ma che, innanzitutto, godo (o presumo di godere) del valore d'uso del libro, del suo contenuto; io, che non sono prevenuto verso le nuove tecnologie informatiche, tipo Kindle o iPad, mi domando quanto tuttavia in esse gli autori suddetti (o altri, tutti) potranno comunicare rispetto a un qualsiasi ordine (o disordine) di biblioteca fisica. Soprattutto, poi, mi chiedo quanto ciascun lettore potrà, «in silenzio e modestia», esercitare una sua propria «arte del critico». Non che la cosa mi preoccupi o, in fondo, m'importi. Cerco solo d'immaginare la nuova babele di qui a cento anni. Auguro solo una cosa ai futuri terrestri del 2110: che la cecità non li devasti completamente, tanto da poter godere ancora della luce del patrimonio estetico e morale dei grandi del pensiero umano.

Rapporti religiosi 2.


- Félix, avete pensato a fare quel che m'avete promesso? – [...]
- No, mia cara Céleste, – rispose Félix.
- Oh, mancare a una promessa! – protestò lei con dolcezza.
- Si trattava d'una profanazione, – dichiarò Félix. – Vi amo tanto, e con affetto così condiscendente ai vostri desideri, da promettere una cosa contraria alla mia coscienza. La coscienza, Celeste, è il nostro tesoro, la nostra forza, il nostro sostegno. Come potevate volere che mi recassi in chiesa a inginocchiarmi davanti a un prete nel quale vedo solo un uomo?... Se vi avessi obbedito m'avreste disprezzato.
- E così, mio caro Félix, non volete andare in chiesa? [...] Se fossi vostra moglie mi ci lascereste andar sola?... Non m'amate quanto v'amo io... dato che finora ho in cuore, per un ateo, un sentimento opposto a quello che Dio s'attende da me!
- Un ateo! – esclamò Félix. – Ah, no! Ascoltate, Celeste... Certamente c'è un Dio, e io ci credo, ma di lui ho un'immagine più bella di quella che hanno i vostri preti; non l'abbasso fino a me ma cerco d'innalzarmi a lui... Ascolto la voce che ha infuso in me, che la gente onesta chiama coscienza, e cerco di non ottenebrare i raggi divini che giungono fino a me. Perciò non farò mai male a nessuno e non infrangerò i comandamenti della morale universale, che fu quella di Confucio, di Mosè, di Pitagora, di Socrate come pure di Gesù Cristo... Mi manterrò puro al cospetto di Dio; le mie azioni saranno le mie preghiere; non mentirò mai, la mia parola sarà sacra e mai commetterò qualcosa di meschino e di vile [...] Tutto il bene che potrò fare lo compirò, anche se mi causasse dolore. Che esigete di più da un uomo? [...]
- Leggete attentamente, – essa disse, – l'Imitazione di Gesù Cristo!... Cercate di convertirvi alla santa Chiesa cattolica, apostolica e romana e v'accorgerete quanto le vostre parole siano assurde. Ascoltate Félix: il matrimonio, per la Chiesa, non è il problema d'un giorno né il soddisfacimento dei nostri desideri; è fatto per l'eternità. Ma come! Saremmo uniti giorno e notte, dovremmo essere una sola carne, una sola lingua, e in cuore avremmo due linguaggi, due religioni, una causa di perenne attrito! [...] Il vostro sangue di deista e le vostre convinzioni potrebbero contagiare i miei figli! Oh, Félix abbracciate la mia fede visto che io non posso condividere la vostra! Non scavate abissi fra noi due [...]
- Céleste, voi ripetete la lezione del vostro confessore e nulla è più nocivo alla felicità, credetemi, dell'intrusione dei preti nelle famiglie.

Honoré de Balzac, Nefandezze di Colombe, in I piccoli borghesi cap. XX, Einaudi, Torino

martedì 22 giugno 2010

Rapporti religiosi

«La fanciulla [...] era davvero pia; faceva parte del gregge autentico dei fedeli e, in lei, il cattolicesimo integrale, temperato dal misticismo che tanto piace alle anime giovani, era come una poesia intima, una vita nella vita. Di qui partono le ragazze per diventare o donne molto frivole o sante [...]

Céleste aveva notato non l'irreligiosità bensì l'indifferenza di Félix in fatto di religione. Come la maggior parte dei geometri, dei chimici, dei matematici e dei grandi naturalisti egli aveva subordinato la religione al raziocinio: e lo giudicava un problema insolubile come la quadratura del cerchio. Deista in petto [sic] restava attaccato alla fede della maggioranza dei francesi senza attribuirle maggior significato che alla nuova legge nata dal Luglio. Dio era necessario in cielo come il busto del re su un basamento in municipio. Félix Phellion, degno figlio del padre, non aveva ricoperto col più lieve velo la coscienza; lasciava che Céleste vi leggesse dentro col candore e la distrazione d'un ricercatore: e la fanciulla mescolava le questioni religiose con quelle laiche; professava un profondo orrore per l'ateismo e il confessore le diceva che il deista è parente stretto dell'ateo».

[continua]

Honoré de Balzac, Nefandezze di Colombe, in I piccoli borghesi cap. XX, Einaudi, Torino

Mottetto mattutino

Il saliscendi bianco e nero dei
balestrucci dal palo
del telegrafo al mare
non conforta i tuoi crucci su lo scalo
né ti riporta dove più non sei.

Già profuma il sambuco fitto su
lo sterrato; il piovasco si dilegua.
Se il chiarore è una tregua,
la tua cara minaccia la consuma.

Eugenio Montale, Le occasioni 1928-1939.

lunedì 21 giugno 2010

Il masochista ribelle

Non c'è stato niente da fare. Non ho saputo resistere alla mia insana vocazione masochistica. Ho cominciato la lettura di questo libro. Già mi ri-sento male ri-leggendo la storia di Sindona, Calvi e Marcinkus. È una soddisfazione provare dolore da certe letture. Un sano senso d'impotenza, come se fossi legato con delle manette e frustato dal ghigno degli impuniti. Oh come godo a sapere che in Italia (in Europa, nel mondo) è accaduto questo e quest'altro, sono state commesse queste e quest'altre credibili ingiustizie.

Sono i momenti in cui mi piacerebbe che ci fosse o una giustizia divina (secondo i parametri della decenza), o un supereroe che scava, scova, scolla di dosso, dalla superficie terrestre le ombre dei senza vergogna – un capitan Italia pronto, con il suo scudo, a respingere e, magari, a modificare il passato riportandolo tutto sulla scena. Ma è già tutto sulla scena e ancora lo Stato Vaticano è lì, a succhiare a succhiare a succhiare (per usare di nuovo l'implacabile metafora malviniana)¹ senza il minimo impedimento, senza nessuna difesa, come se il sistema immunitario di un paese laico, democratico e repubblicano fosse andato completamente a farsi fottere.

Per carità, non dico che in Iran, e nel mondo islamico in generale, stiano meglio di noi. Ci mancherebbe. Ma il punto non è questo. Il punto è accorgersi che il peso dell'influenza ecclesiastica nel nostro paese, se valutato con la moneta e i parametri storici “inflattivi”, è enorme quanto e più lo è stato nei periodi bui dello Stato Pontificio prima della breccia di Porta Pia, e di questo fare finta di niente. Ovvero ma non so se riuscirò a spiegarmi meglio l'influenza vaticana in Italia, che determina una paralisi nell'autodeterminazione politica, è tanta quanta lo può essere in uno scenario del Terzo Millennio nel mondo occidentale. Cioè, siamo di fronte, inesorabilmente, a un regresso storico verso le istanze temporali di un potere che, per sua natura, si fonda su istanze ultramondane e che dell'Italia come nazione democratica, civile e repubblicana, se ne frega alla grandissima. La tiene in vita solo per sfruttarla meglio, ovvero la sfrutta nel modo migliore possibile secondo le sue esigenze, senza che ci sia una forza politica in grado di vedere, denunciare, contrastare questo stato di cose. Non è vero? Ditemi allora, forza!, chi oggi avrebbe il coraggio politico di rompere definitivamente, con un atto unilaterale, i Patti Lateranensi. Chi avrebbe il coraggio di far pagare alla Chiesa tutto il dovuto in termini di tasse e di diritti fino all'ultimo centesimo. Chi avrebbe il coraggio di togliere il crocifisso dai luoghi pubblici. Nessuno, nessuno.

Io se fossi Dio sposterei per qualche secolo la Città del Vaticano a Città del Capo. E al suo posto lascerei una bella voragine. Un Ground Zero. Far riposare questo paese, lasciarlo libero. Non credano però i musulmani di prendere il posto. No, stiano a Teheran, a La Mecca e Medina, al Cairo e a Kabul. Religioni di tutto il mondo, lasciateci riposare. Lasciateci soltanto i Valdesi (ma che rimangano umili e non si mettano strane idee in testa).

¹Non riesco a ritrovare, per ri-linkare, il post malviniano da cui ho tratto ispirazione. Prego l'Autore di rimetterlo in calce nel suo 'nuovo' blog affinché niente vada perduto.

Black Rain


Il cardinale Sepe è l'ultimo degli indagati eccellenti che “vanno avanti sereni”. Ce ne fosse uno “intristito”, “turbato”, “rannuvolato” dalla forza degli eventi...

Sarà mica questo sovrappiù di serenità interiore che determina questa nuvolosità esteriore? Possa questa pioggia continua lavare la serenità e la sporca trasparenza di questi uomini del malaffare.

domenica 20 giugno 2010

Le ultime parole...

...dell'Ufficiale de La colonia penale di Franz Kafka


Alzo il mio contegno su poche rocce

sparse, aspettando che il marchingegno,

regolato ad arte, stilli le gocce

ultime del mio sangue.

Sii giusto, porto scritto sul dorso

e nel cuore, e dell'erpice il morso

sento affondare e l'echeggiare passi

di un viaggiatore nel boccaporto.

Comunioni private

*

Da un articolo di Sergio Luzzato, sempre sulla Domenica del Sole 24 Ore di oggi, vengo a sapere che il “cattolico” Carlo Azeglio Ciampi «durante il settennato da presidente della repubblica, [ha] avuto cura di non prendere mai la comunione durante le messe alle quali presenziava nell'esercizio delle sue funzioni. “Non è che mi nascondessi: me l'imponeva il mio ruolo”; “Mi sentivo un laico, cioè mi sentivo di rappresentare tutti gli italiani, quindi ho sempre evitato di comunicarmi in pubblico”¹».

¹Carlo Azeglio Ciampi, Da Livorno al Quirinale. Storia di un italiano, Il Mulino, Bologna 2010.

*Riguardo alla foto, si può obiettare che Berlusconi stava partecipando, da cittadino privato, ai funerali di un uomo pubblico quale Raimondo Vianello. Ma quanto era “privata” tale comunione?

Cani e poeti

«I poeti come i cani fiutano l'aria. Sentono quel che c'è e quel che non c'è» scrive Davide Rondoni¹ per poi passare ad elencare cosa ci sia (o non ci sia), secondo lui, nell'aria. Ma perché i cani-poeti fiutano l'aria? Per cercare la gioia, «l'esperienza più rara, eppure così necessaria».

Ho molto rispetto per i cani e per i poeti; ma la similitudine non quadra, dacché se il cane-poeta trova l'osso-gioia, o si comporta da cane (che addenta l'osso solo per il suo piacere senza condividerlo con alcuno) o si comporta da poeta (che traduce l'esperienza dell'addentare la gioia in versi). «Dare gioia è un mestiere duro», come scrisse Ceronetti da qualche parte, ma sempre di un dare si tratta.

A proposito di cani. Ho letto con sgomento la storia² dell'ennesima campagna moralizzatrice del regime di Teheran. Non so se sentirmi triste per questa ulteriore prova di crudele stupidità teocratica, oppure fiducioso nello sperare che questi siano segnali di un regime alla frutta. Mi auguro che le ragazze iraniane possano sbeffeggiare il potere portando a giro dei poeti sottobraccio e che leggere versi acquieti il ringhio dei cani da guardia del potere³.

¹ Domenica de Il Sole 24 ore, 20 giugno 2010

² Vanna Vannuccini, La Repubblica 20 giugno 2010

³ Che dire poi dei quattro cani di Ahmadinejad acquistati in Germania al modico prezzo di 110.000 euro l'uno? 440.000 euro di cani, sono convinto, è più di quanto Berlusconi paghi quegli scalzacani dei suoi portavoce.

sabato 19 giugno 2010

Una critica alla rovescia

L'Osservatore romano ha tutti i diritti di commemorare criticamente José Saramago. Certo, lo scandalo è che lo faccia nel momento in cui si dovrebbe “cristianamente” stare zitti e portare massimo rispetto per il defunto; ma si sa che, da tempo e per fortuna, per il Vaticano è più facile “bruciare” i morti che i vivi. Comunque, critica a parte, l'articolo mi sembra molto ben documentato. Lo strano è, invece, che giornali on-line quali il Corriere e Repubblica riportino tale “attacco” post-mortem senza linkare la fonte, né l'autore dell'articolo, riportando la notizia solo per il gusto del pettegolezzo. Ma è mai possibile, mi chiedo, che nelle rispettive Redazioni Online dei due prestigiosi quotidiani non vi sia nessuno in grado di replicare in modo e con uno spessore analogo all'articolo di Claudio Toscani? Occorre aspettare qualche blogger, più attrezzato di me sulla poetica dello scrittore portoghese, per avere una decente contro-replica agli argomenti dell'Osservatore Romano?

In fondo, a leggere l'articolo da un'angolatura diversa rispetto a quella clericale, non si può non notare, in realtà, come esso sia una critica alla rovescia dell'opera di Saramago, il quale si sentirebbe senz'altro compiaciuto dell'effetto provocato dai suoi libri presso l'Organo ufficiale della Santa Sede.

«Berlusconi è un gigante»

Sarà questo giorno grigio di pioggia. Sarà che mi sono messo a fare da mangiare e che tale attività ha stimolato vaghi pensieri (cioè: sbuccio cipolle, pelo carote, sfilo coste di sedano, lavo, taglio finemente, soffriggo, aggiungo salsiccia, macinato bovino, fo sfumare del vino e aggiungo passata di pomodoro); ma quell'editoriale di Giuliano Ferrara di ieri m'è rimasto di traverso e, mi son detto, o lo vomito o lo digerisco. Cerco d'intraprendere la seconda soluzione.

A dire la verità, ho la fortuna di avere qui a disposizione questa lettura malviniana che è sicuramente un eccellente farmaco digestivo: tuttavia, c'è ancora qualcosa che non va né su né giù. Questa frase, per la precisione: «Berlusconi è un gigante».

Devo togliermi di dosso questo predicato nominale duro come un macigno. Certo Ferrara lo usa qui per indicare che Berlusconi è un “gigante” anche nel suo apparente declino. Io però non riesco proprio a vedere come Berlusconi possa essere considerato un gigante. O forse sì, però nella sola accezione possibile, quella dantesca, che vede i Giganti come un simbolo di immobilità, di incomunicabilità, di somma presunzione: ergo, l'unico modo per cui, a mio avviso, Berlusconi può dirsi un gigante è per aver condannato l'Italia all'immobilismo dei suoi interessi che non coincidono per nulla con quelli della nazione (infatti, contrariamente a quanto si diceva della Fiat, se va bene Berlusconi va male l'Italia); inoltre, per aver reso ancor più impraticabile la comunicazione civile tra le parti contendenti dell'agone politico, ma anche semplicemente tra i comuni cittadini mediamente interessati alla “cosa pubblica”; infine, per essersi lui stesso creduto (ed essere creduto) come uno statistaCredo sinceramente di essere stato, e di essere, di gran lunga il miglior presidente del Consiglio che l’Italia abbia potuto avere nei 150 anni della sua storia»), lui che ha un senso dello stato pari a quello di Smilla per la sabbia del Sahara.

Ferrara appartiene a quella fitta schiera di intellettuali che si credono intelligenti nel ritenere Berlusconi un genio (o un gigante). Di fatto, però, chi lo ritiene tale non si accorge che sta venerando uno dei protagonisti più scadenti e meschini che la nostra storia unitaria abbia mai avuto.

Berlusconi può essere un gigante solo per chi sopravvive alle sue dipendenze economiche e mentali. E coloro che si trovano in tale posizione, pur rivendicando la propria indefettibile autonomia intellettuale, assumono nei suoi confronti lo stesso atteggiamento che assumeva il vassallo nei confronti del signore. Ecco, l'ho detto. Si può lodare pubblicamente Berlusconi solo se si beneficia, in qualche modo, in qualsiasi fottutissimo modo, del suo enorme potere politico, economico e finanziario.

In buona sostanza, Berlusconi può essere un gigante solo per coloro che si sentono dei nani, anche se poi sono grossi come elefanti.

venerdì 18 giugno 2010

Dormire una notte lì dentro



«Mentre percorrevo una prima, una seconda e poi una terza volta la Cappella [degli Scrovegni], seguendo nell'ordine i tre cicli, sono stato sorpreso da un pensiero, da un voto, direi, più che da un pensiero: dormire una notte lì dentro, nella cappella, svegliarmi prima dell'alba e veder emergere dall'oscurità, a poco a poco, come fantasmi, i gruppi in processione, i gesti, i volti, quel colore turchino da miniatura che dev'essere un segreto di Giotto perché non lo vedo in altri pittori. O non lo vedo finché guardo lui. Non si creda che vi sia in me qualche richiamo religioso, che in questo modo si denuncerebbe. Si tratta piuttosto, e assai terrenamente, di voler sapere come nasce un mondo».

José Saramago, Manuale di pittura e calligrafia, Einaudi, Torino 2007 [ed. orig. 1977]

L'italiano «effeminato»

Nell'articolo «Fratelli d'Italia nessuno vi ama», Miguel Gotor, storico dell'Università di Torino, stimolato da un recente attacco del Wall Street Journal (giornale che, l'altro ieri, ha affermato – a mio avviso rilevando un dato oggettivo – che «l'Italia non è come le altre democrazie occidentali») effettua un'interessante carrellata “storica” di pregiudizi stranieri sull'Italia. Di tale articolo, però, mi ha colpito quanto segue. Scrive Gotor:

«Gli architravi di questa retorica del pregiudizio, un vero e proprio luogo-comunismo straniero, fanno dell'italiano il prototipo del traditore, dell'inaffidabile, del corrotto, del furbastro, dell'imbelle, dell'opportunista, dell'effeminato».

“Effeminato”? Ho tentato inutilmente di trovare nell'articolo un esempio storico di tale specifico pregiudizio, affibbiato nella sua considerazione negativa; ma, purtroppo, Gotor non lo riporta. Le mie conoscenze storiche sono limitate, e per questo mi piacerebbe davvero sapere chi e quando ha detto, con spregio, che gli italiani sono un popolo di “effeminati”.

Mi chiedo, infine, chi oggigiorno possa dire con disprezzo “effeminato” a qualcuno senza cadere nel ridicolo. Monsignor Odo Fusi Pecci a parte.