sabato 1 gennaio 2011

Mi piacerebbe che mio figlio facesse...

«Dunque, il lavoro. Conosco operai della Fiat cui non dispiacerebbe che il loro figlio facesse il giornalista. Non conosco giornalisti cui piacerebbe che il loro figlio facesse l’operaio alla Fiat. E ora, al lavoro». Adriano Sofri, Il Foglio, venerdì 31 dicembre 2010.

Mi piacerebbe domandare ad Adriano Sofri cosa avrebbe preferito facesse suo figlio, invece del giornalista.

Boutade a parte, questa “Piccola posta” di Sofri sintetizza, in modo eccellente, le ragioni della crisi della sinistra italiana ed europea (forse mondiale). Essere, diventare operai è un destino a cui molti si sottrarrebbero volentieri. In fabbrica si va a lavorare per avere uno stipendio (e ti pare poco? No, mi pare tutto). Molto spesso, però, la fabbrica è considerata l'ultimo pane. I padri operai vorrebbero certamente un futuro diverso per i propri figli. I padri padroni invece vogliono continuità per i loro figli. Sì, alcuni (per gli Agnelli è tradizione) li mandano in fabbrica qualche mese per fargli toccare con mano la realtà dei turni di lavoro alla catena di montaggio. Però poi i figli dei padroni tornano nella stanza dei bottoni (o li tengono lontani dai bottoni proprio se imbelli à la Lapo). Il punto è che ai figli degli operai (salvo in alcuni marginali utopisti no global e fancazzisti) non passa più nemmeno per l'anticamera del cervello di ribaltare la situazione. Le prospettive di un messianesimo materialista storico sono nulle. Dopo il fallimento (evviva) del socialismo reale russo e dell'est europeo, con quell'ibrido perverso del maoismo capitalistico cinese ancora in auge (a proposito, dite onestamente: a chi piacciono i comunisti cinesi? Alla sinistra occidentale mica tanto, piacciono invece ai capitalisti questo sì...) lo status quo dell'attuale potere non conosce alcun nemico, alcun rivale, alcun serio antagonista.
Manca proprio una prospettiva. L'attuale classe/casta dirigenziale, padronale non è mai stata così sicura di sé. E lo sarà almeno finché la maggioranza della popolazione starà abbastanza bene per non vedere le travi negli occhi che la rendono cieca alla realtà delle cose. Al corpo elettorale europeo, che mantiene al comando il blocco conservatore votandolo, basta siano tolte le pagliuzze dei vari capri espiatori che il potere di volta in volta propone, i nemici d'accatto tipo gli emigranti, gli zingari, gli emarginati. La crisi è sempre colpa di qualcuno di esterno... facile no?
Ma ce la faranno i dominatori a mantenere calma la situazione con questa crisi economica e sociale? Sai, in Cina è facile reprimere (almeno più facile – si fanno meno scrupoli a imprigionare dissidenti e opinioni) così che quel 5% di superricchi benestanti cinesi possono continuare a godere sfruttando moltitudini. Da noi il potere usa sistemi più intelligenti e democratici: il calcio, la teta y la luna del rintronamento mediatico, un buon apparato poliziesco, diffuso benessere¹. Il punto è che in Italia, in Europa essere moderati conviene ancora. Essere carbonari un po' meno. Si prendono troppe botte, troppe denunce e la sera uno vuole tornare a casa senza le ossa rotte. E nessuno discute il desiderio di ognuno di tornare a casa. Il punto è che in qualche modo (non ho ricette) è proprio da casa, dalla nostra particolare individualità che passa il cambiamento, la rivoluzione (oso dire). Appena posso mi compro una camicia rossa.


¹Pensate a quanti cittadini godono della ricaduta del potere e della ricchezza berlusconiane: diecimila, centomila? Comunque abbastanza per creare un consenso mostruoso. E il punto è che questi non sono operai. Berlusconi non dà lavoro a degli operai (tranne qualche manovalanza). Gli operai, di solito, non amano il dirigente, né gli azionisti dell'azienda. Ma questo è un altro discorso.

4 commenti:

sirio59.mm ha detto...

Che guaio, Luca, essere degenerati -anzi essere stati indotti a degenerare- al punto tale da provare vergogna nell' appartenere alla categoria lavorativa più nobile (lo dico senza alcun intento retorico)del mondo produttivo! La categoria di coloro che "fanno le cose", che fisicamente le costruiscono, le danno alla luce. L' oggetto, lo strumento, il bene finito, od il semilavorato, che poi i blablabla utilizzeranno, ignari o dimentichi della fucina e della fabbrica che ha loro dato origine...
Non posso fare a meno di ricordare, ad ogni occasione, lo sfogo dell'anarchico Segre ne "La Storia" della Morante. Ed il cuore accelera, perché è 'amore' ciò che sento per la perduta coscienza della classe operaia.
http://galassiamalinconica.blogspot.com/2010/10/le-repliche-della-storia.html
Perdona l' emozionalità di femmina.
Un caro saluto. Morena

Anonimo ha detto...

Erri de Luca ha molto da insegnare. Il lavoro è uno strumento di sopravvivenza, non lo scopo.

Luca Massaro ha detto...

@ Morena.
Non perdono, ti ringrazio della tua "emozionalità". E della segnalazione del brano della Morante. E del tuo blog, beninteso, di notevole spessore. Ricambio i saluti.
:-)

Luca Massaro ha detto...

@ a WW
Io concordo, in linea di massima, con questa tesi. Il problema è che gli strumenti "di sopravvivenza" dagli anni Sessanta in poi, sembravano diventare sempre meno alienanti e pervasivi. Se si pensa che in Francia e in Germania sono state persino sperimentate le 35 ore! Ecco, a me è questo tornare indietro nella scala dei diritti che non torna, questo "sacrificio" unilaterale quando, invece, una certa parte sociale non rinuncia a nulla e s'ingrossa, ingrassa, insozza sempre più...