sabato 30 aprile 2011

Dalle Ande agli Appennini

Un sabato d'aprile è morto Ernesto Sabato. Novantanove anni e dieci mesi.
Anche mia nonna materna era del 1911. Si chiamava Laìde Bardi. Anche se ha sposato due uomini, nessuno dei due era scrittore. Il primo marito era mio nonno. Si chiamava Guglielmo. Era operaio. Morì giovane, 25 anni, nel 1937, di tubercolosi. Al sanatorio (al mortorio). Mia madre aveva 6 anni. Mia nonna si risposò con un altro nonno: nonno Nello. Aveva i muli, faceva il vetturino, trasportava legname e altre vettovaglie. Nacque mio zio, Guglielmo. A me piace molto il nome Guglielmo. Da qui il mio debole per lo Scuotilancia.
Il Duce era un pezzo di merda e i fascisti dell'epoca dei vigliacchi, bastonatori, delatori e finanche assassini.
Insieme ai nazisti compivano eccidi. Uno storico dice che i partigiani furono incauti a non avvertire tutta la popolazione della possibile rappresaglia. Eppure Nonno Nello fu avvertito da qualcuno e coi muli e la famiglia scampò la strage. Era il 13 aprile 1944. Chissà se era un sabato, sabato fascista. Ma cazzo: 108 persone massacrate di chi la colpa fottuta colpa? Dei partigiani incauti? E pensare che non c'erano solo i tedeschi lì, c'erano anche degli italiani a partecipare al massacro.
La sorella di mia nonna, Bianca, era una primula rossa partigiana. Quand'ero piccolo bevevo da lei sciroppo di lampone. Com'era dolce!
A volte penso che sarebbe stato meglio si fossero trasferiti in Argentina i miei avi. Certo, avrebbero rischiato un'altra feroce dittatura, ma almeno, dopo, avrebbero potuto fregiarsi di una simile catarsi:
«L'Argentina è stata il solo Paese al mondo in cui un governo civile, un presidente democratico che non aveva la pistola in tasca, ordinò alla giustizia militare e poi a quella civile di processare i capi militari che avevano ordinato tanti crimini atroci». Ernesto Sabato
In Italia, se fossero ancora vivi, i miei nonni passerebbero tutto il giorno a bestemmiare contro questo governo erede naturale del fascismo; e soprattutto domani, primo maggio, non si risparmierebbero il famoso andante "accident'a i' papa e a chi lo prega". Eppure, ammesso e non concesso che ci sia, non credo che i miei nonni stiano marcendo all'inferno. No, sono tornati qui, a visitarmi, a ricordarmi che  cento anni sono un niente, e che il male e il bene, l'amaro fiele e il dolce sciroppo sono facce di una commedia assurda dove chi ha interpretato il ruolo della testadicazzo merita solo di essere ricordato come tale. 

La verifica incerta


Evviva la sposa

Che i pesci vecchi prendano la strada del mare

[Veltroni, D'Alema... prendete la strada del mare]


El pez más viejo del río
de tanta sabiduría
como amontonó, vivía
brillantemente sombrío.
Y el agua le sonreía.

Tan sombrío llegó a estar
(nada del agua le divierte)
que después de meditar,
tomó el camino del mar,
es decir, el de la muerte.

Reíste tú junto al río,
niño solar. Y ese día
el pez más viejo del río
se quitó el aire sombrío.
Y el agua te sonreía.


Il pesce più vecchio del fiume,
siccome aveva ammucchiato                                     
tanta saggezza, viveva
brillantemente attristato.
E l'acqua gli sorrideva.

E così tetro divenne
(per nulla l'acqua lo svaga)
che dopo tanto pensare,
prese la strada del mare,
ch'è della morte la via.

Ridesti tu presso il fiume,
bimbo solare. E ben presto,
il pesce più vecchio del fiume,
perse l'aspetto suo mesto.
E l'acqua ti sorrideva.
Miguel Hernàndez, Poesie, Feltrinelli, Milano 1962 (traduzione di Dario Puccini)

Santo di qualcuno

Franco Buffoni fa benissimo a individuare almeno tre buone ragioni per non considerare papa Giovanni Paolo II il santo di tutti. 
Tuttavia mi chiedo: se (sì, lo so i “se”...) putacaso Woytyla fosse stato un papa perfetto che non avesse commesso alcuna iniquità e non si fosse compromesso con qualche despota, in tal caso, egli avrebbe diritto di essere considerato il santo di tutti? In altri termini: il problema, egregio Buffoni, sta in quel tutti o, piuttosto, nel fatto che qualcuno sia fatto santo
Se sta in quel tutti, è sufficiente constatare che ogni santo, in fondo, è un amuleto identitario che esclude quasi sempre l'unanimismo, e che quindi - a dispetto di tanta enfasi dei media generalisti italiani e polacchi - Wojtyla non sarà mai necessariamente il santo di tutti.
Se invece il problema fosse nel fatto che qualcuno dalle molte ombre sia santificato, beh, non vedo il problema. Voglio dire, per limitarsi a casi recenti di santificazioni proposte dallo stesso Giovanni Paolo II (qui la tabella): se persino Padre Pio, se persino Josemaria Escrivà de Balaguer sono stati fatti santi, non trovo nulla di strano che anche il papa polacco riceva la stesso sigillo di santità.
Sono affari interni alla Chiesa, ovvero a uno Stato straniero. Ecco, quanto sarebbe bello poter dire, così, come in fondo diciamo degli inglesi che festeggiano la loro nuova coppia regale. E quanto sarebbe bello se, d'incanto, chiunque domani si trovi festante in piazza San Pietro, ricevesse il passaporto vaticano perdendo però la cittadinanza italiana (polacca non m'importa) e andasse a non votare oltretevere, ma soprattutto non avesse più il diritto di votare in Italia.

Ineccepibile

Quelli che dicono: «Che male c'è». 
Un Maurizio Ferraris imperdibile dalla pagine di la Repubblica di oggi.
Versione online per ora qui.

God's News

Volevo dire qualcosa sull'attentato di ieri a Marrakesh. Qualcosa di collaterale chiaramente. Non tanto che si tratta, quasi sicuramente, di un vile attentato di matrice religiosa. Ma volevo far notare come esso, già oggi, sia così lontano nel ricordo di noi consumatori di notizie, tant'è che fatichiamo persino a trovarlo nella schermata iniziale dei vari quotidiani online. Occorre digitare la voce "Marrakesh" su Google News per far apparire la notizia. La produzione di notizie, già. Che bello quando il sistema produttivo mediatico fa uscir di fabbrica, di tanto in tanto, notizie meno cruente, come il matrimonio di oggi. Queste sì che sono notizie che nutrono moltitudini. Notizie che restano impresse a lungo nella mente di un cospicuo numero di appartenenti alla specie umana. Ed è bene così, rispetto al sorbirsi quasi continuo di disgrazie, di drammi, di catastrofi, di violenze, di sciagure. La gente torna a casa felice dopo aver sventolato le banderuole, dopo aver scattato quattrocinquantadue foto da caricare su facebook: la sera si mette davanti alla tv o al pc e cerca se stessa nel riverbero di un evento "storico", garante della propria presenza terrestre.
Ma torno all'attentato di Marrakesh. Penso agli attentatori. Forse uno si è fatto esplodere e l'altro, il complice, l'ha aiutato a portare l'esplosivo e poi si è defilato. Ma li penso un attimo insieme, un giorno, una settimana prima, mentre pianificavano la loro folle, vigliacca azione omicida. E mi chiedo: possibile che il pensiero di morte legato al fanatismo non conosca mai una crepa nello svolgersi della sua premeditazione? Possibile che un seno da accarezzare, o il sapore di un piatto profumato di cous cous con carne, verdure e legumi da gustare, non riescano a distrarre, a sgretolare la roccia di simili convinzioni mortifere? Possibile che un lampo al magnesio di felicità hic et nunc, da suggere interamente nell'attimo, per riprodurla dipoi nella propria fabbrica di ricordi, non arrivi mai a bloccare la mano omicida? Volete farvi grandi e valorosi agli occhi di Dio compiendo un atto criminoso che farà sicuramente notizia? Ma credete che Dio legga così tanto i giornali?

venerdì 29 aprile 2011

Quando i leghisti parlano alla radio...

... perfino le rane si offendono [*]

Un Dio Fungaiolo

Exit


Devo farmi visitare da uno psicoanalista per sapere perché tutte le volte, quando vedo il finale di The Truman Show, le lacrime mi rigano il viso.

Sillogismi

La Kate porta l'orologio

Sulla sinistra.

Ipotesi monarchiche

Se ci fosse ancora la monarchia in Italia, i Savoia di oggi avrebbero avuto verso Berlusconi lo stesso atteggiamento che ebbero nei confronti di Mussolini?
Ovvero, ci sarebbe stato un 25 luglio nei confronti dell'attuale presidente del consiglio? E se sì, quest'ultimo, quale Repubblica avrebbe fondato? Quella di Arcore o di Segrate? 
Mi domando tutto questo pensando, per un attimo, se oggi, invece di William e Kate, si fossero sposati un Guglielmo di Savoia e una Caterina da Siena, con Berlusconi in esilio a fomentare il regicidio e un Signorini in tv a deplorare la pessima scelta del taglio dell'abito della sposa.

Un commento lento

Ci sono problemi ai commenti
Sono impediti i lamenti
Ci sono patemi latenti
Non possono pianger le genti
In crociera sul libico mar

giovedì 28 aprile 2011

Tamponare dati

Da quando è in commercio, l'avvocato onorevole Niccolò Ghedini non dorme più la notte.

Scusate, stasera ho voglia di ballare


Erbe mediche

Non sono un medico, né un farmacista, né un ricercatore del settore. Mi affido quindi a degli esperti se e quando ho bisogno di farmaci. Sono tuttavia sempre stato sensibile alle cure "alternative" diffidando un po', per istinto, dei farmaci di sintesi (che prendo di buon grado se occorrono, per carità. Confesso poi un debole per l'aspirina). Credo nella prevenzione, nel prestare attenzione a una corretta alimentazione e nell'aiutare, eventualmente, il proprio sistema immunitario con degli integratori alimentari, in ispecie con dei fitofarmaci. Ma non a caso, non con il faidate erboristico. Per questo mi sono rivolto un paio di volte, sia come paziente, ma anche come discente, alla cura e alla lezione del professor Fabio Firenzuoli, un'autorità nel campo fitoterapico.
Per questa ragione mi sembra che l'attacco frontale del professor Garattini sia stato ingeneroso e sbagliato. Soprattutto nel fare di tutte le medicine alternative un fascio, senza distinguere l'una dalle altre. L'agopuntura non la conosco; l'omeopatia non ci credo; ma la fitoterapia ha dei crismi scientifici come dimostra diversa letteratura sull'argomento.
In calce riporto la risposta di Firenzuoli a Garattini.


Caro Professor Garattini,
ieri mattina, appena alzato, sono andato di corsa, trafelato, nella farmacia del mio Ospedale, ad Empoli, per vedere se c'erano ancora quelle magiche pozioni preparate con cura dai nostri speziali con ali di pipistrello, decotti di Mandragola, polvere di stelle, teste di vipera e altre erbette miracolose. Quelle pozioni, un pò maleodoranti, certo, ma tutte naturali, che davamo ai nostri degenti ... andavano di corpo che era una mervaglia ...
Ricordo i bei tempi in cui i nostri pazienti, se volevano mangiare dovevano prima avere zappettato tutto l'orto, il nostro giardino dei semplici che sta tutt'attorno al nostro ospedaletto di periferia (noi siamo ancora un pò contadini ...). Ho avuto il sospetto che fosse tutta una tresca organizzata da fata Morgana, allora ho cercato subito frate Luigi, quello che con gli spilloni da maglia pratica la cosiddetta agopuntura (quante modernità!), e la nostra maga Miriam Magò, brava e buona, avvezza alle pozioni orientali (tutt'altri sapori e aromi, quelli !) ... per farmi consolare ...
E invece non ci crederete ... !!!!  Ho trovato solo la mia vecchia bacchetta, tutta rotta, spezzettata, infranta come il sogno dal quale mi sono poi svegliato !!!
Non ero mago Merlino ! Che delusione ! il mio sogno infantile è cozzatto contro l'ascensore del mio attuale Ospedale S.Giuseppe, che come al solito non si è aperto alla prima, e mi sono svegliato d'un botto. E ho capito tutto !  
Ero solo rimasto fregato dalla pia illusione che il Prof. Garattini avesse ragione. Evidentemente davvero avrei voluto esser nato mago Merlino, invece sono quello di prima:  un normale medico, anzi un medico normale, che cura i suoi pazienti, che ha studia le erbe banalmente (anzi, esattamente da 35 anni, prima ancora di iscriversi a Medicina - WOW, che mago !!!), che le studia con molti farmacologici (anche loro normali, come Lei) di molte università, che ha pubblicato e pubblica su riviste scientifiche (anche quelle normali), che lavora in un'azienda USL regolare, secondo il suo codice deontologico, con le norme della sua Regione Toscana (quelle normali, cioè perfettamente legali !), che prescrive medicinali vegetali (normalmente registrati, approvati e controllati  dal Ministero della Salute) oppure normalissimi medicinali galenici (anche quelli preparati da farmacisti che seguono le norme della legge italiana), e che pure insegna la fitoterapia e la fitovigilanza non alla corte di Re Artù (come mi sarebbe piaciuto!), ma alla normalissima Università di Firenze, facendo riferimento alla moderna letteratura, sapete quella che si trova in Medline ? Quando servono usa anche i prodotti erboristici, sapete, sempre quelli autorizzati dallo stesso Ministero, che non curano, ma possono servire a star meglio. Stando sempre attento, molto attento, a tutti i possibili rischi, perchè li conosciamo bene, visto che abbiamo pure attivato un servizio di fitovigilanza e lavoriamo con l' Istituto Superiore di Sanità (quello vero, quello di Roma ...).
Però ... quanta normalità prof. Garattini ... ma che peccato ! ...avrei voluto esser Merlino, e che Lei avesse ragione da vendere (o da regalare, come preferisce) !
... e allora ? Allora continuerò invece a lavorare, in scienza e coscienza, come tutti i miei colleghi della toscana (agopuntori, omeopati e fitoterapeuti) di Pitigliano, di Firenze, Lucca Empoli, e non solo ... anche fuori Toscana (ce ne sono tanti), ringraziando il cielo che la Regione Toscana, la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell' Università di Firenze e l'Ordine dei Medici di Firenze non hanno lavorato invano dieci anni per stabilire regole comuni e condivise per offrire, laddove ce ne sia la necessità e l'opportunità, anche cure integrate, per il bene della nostra popolazione, senza caricarle di un ulteriore fardello economico, sempre se e quando possibile e indicato, o meglio ... appropriato (già ... ma Merlino questa parola non l'avrebbe utilizzata).
Con la speranza di nascere mago la prossima volta, La ringraziando comunque molto del pensiero e del sogno che mi ha regalato
Con stima,

mercoledì 27 aprile 2011

La mia azione politica

La mia azione politica. La mia inazione. La mia nazionale senza filtro. Io ho provato a respirarti ma mi hai sempre lasciato l'amaro dentro. E le colline di ulivi diventano grige, come la tosse. Ho portato a frangere dieci quintali di idee: quest'anno friggerò con l'acqua, fa meno male, non rischio raggiungere il punto di fumo.
Stasera mi sento come Smerdjakov, figlio della Smerdjaskja. Sono disturbato. Il mio corpo risponde da qualche giorno con un transito irrequieto. Allora mi faccio un microclisma, alla camomilla, per andare, per andare, per andare, per capire, per capire, per capire. Uno Smerdjakov che ponza. Tipo il saggio Giorgio Bocca, o il ferino Giuliano Ferrara. Tutti Inquisitori bramosi di Mistero, di Fede, di Autorità. Non si fidano degli individui questi conservatori del cazzo. Si fidano solo di se stessi. Solo di sé e dei loro vari principi più o meno illuminati si fidano. Vogliono che il popolo sia guidato, condotto, perché hanno fretta di vedere un finto paradiso imporsi in questo inizio di apocalisse. Ah, ah.
Io sono un uomo buono (vorrei esserlo), un uomo che ha fame non di verità - la verità non sfama - ma di luce. Voglio uscire da questo misero sottosuolo nel quale mi sono cacciato. Rivoglio la superficie, un orizzonte sterminato dove l'unica ombra (l'unica rappresentazione) diventa quella che il nostro corpo frappone alla luce.
Il microclisma ha fatto effetto: sono andato di corpo. Ho capito che l'unico modo di sapere che ore sono è fare di sé una meridiana.
«Ogni Figlio ha il suo punto di origine dal Padre, e solamente da qui, o nell' odio o nel perdono, gli è permesso di tracciare il suo percorso»[*]
Esiste un punto nella vita di ognuno in cui, se si vuole diventare veramente se stessi, si deve fare il vuoto intorno a noi, e provare la vertigine della solitudine assoluta. Senza padri, madri, senza figli, né fratelli, né maestri, soli, come un punto solo nell'universo, perduti, completamente smarriti, abbandonati, vuoti. Acquisire la consapevolezza che solo la vita ci appartiene e che gettarla via negli occhi degli altri è tempo perso, perché tali occhi sono lo specchio deformato della nostra immagine. Solo le mani vedono, solo le mani costruiscono un incontro e spezzano il velo di Maya della rappresentazione. Solo le mani sono i segmenti che ci uniscono ad altri punti per formare costellazioni di carne. Ecco perché spesso, nel cuore della notte, mi sveglio di soprassalto e balbetto il Quinto Postulato di Euclide.

Foreign Affair(s)

Cari francesi, colonizzateci ancora per qualche decennio.

martedì 26 aprile 2011

Gli uomini odiano essere liberi


Io ho scoperto La Leggenda del Grande Inquisitore¹ attraverso l'analisi che ne fa René Girard nel suo Dostoevskij dal doppio all'unitಠ(1963).
Devo confessarlo: se un residuo di cristianesimo resta in me lo devo in gran parte a questa lettura. Ovverosia: una volta lette queste pagine (di Dostoevskij e di Girard) io mi sento di dire, come dice Alëša al fratello: «Tutto ciò che tu dici non è una condanna, ma un elogio del Cristo».
Certo, non sarà filologicamente corretto intendere Gesù così come appare in questa narrazione. Ma ingenuamente ho sempre pensato che, se avessi non so come, il potere di aggiungere al Nuovo Testamento un libro, beh, io non esiterei a inserirvi la Leggenda.

Ora, si dà il caso che sabato scorso, sulle pagine de Il Foglio, è stata riportata la tavola rotonda di presentazione di un libro che ha molto colpito il direttore e la redazione fogliante. “Un gran libro. Di sinistra”, è il titolo della lunga discussione sul pamphlet del professor Franco Cassano, L'umiltà del male, Laterza, Bari 2011 avuta con l'autore da parte di Giuliano Ferrara, Claudia Mancina, Lanfranco Pace. Tale libro è una riflessione politica che parte, appunto, da una lettura della Leggenda.
Una lettura interessante, a tratti impegnativa – non quando parlavano Ferrara o Pace.
Tuttavia sono rimasto deluso, non tanto perché non venga citato Girard, quanto perché nessuno dei presenti ha affrontato in modo limpido il tema decisivo della Leggenda, che è quello della libertà dell'uomo che emerge, con chiarità, nelle seguenti parole che il Grande Inquisitore rivolge al Cristo riapparso nella sua Siviglia del XV secolo:

«Hai voluto fondare il tuo regno su quella libertà che gli uomini odiano e fuggiranno sempre con una qualche idolatria, anche se la celebrano a parole. Bisognava rendere gli uomini meno liberi, e tu li hai resi più liberi, moltiplicando al tempo stesso gli idoli e i conflitti fra idoli; tu hai votato l'umanità alla violenza, alla miseria e al disordine».

Il Grande Inquisitore, scrive Girard, «non accusa il Cristo di avere sottovalutato la natura umana, ma di averla sopravvalutata, di non avere capito che l'impossibile morale della carità doveva inevitabilmente approdare all'universo del masochismo e dell'umiliazione»; egli «non cerca di farla finita con l'idolatria [ma] vuole guarire il male con il male; vuole fissare gli uomini a idoli immutabili e, in particolare, a una concezione idolatrica del Cristo».

Ma Gesù ci ha chiamato amici e non servi³.

Costringendo il discorso alla nostra contingenza, vorrei domandare a Ferrara: com'è possibile non riconoscersi servi nell'idolatria berlusconiana? La servitù non richiede responsabilità. E senza responsabilità non c'è vera libertà. Ma questo tema non è stato messo in luce dalla discussione fogliante. 

L'ha spiegato, però, Luigi Castaldi con un post di altissimo profilo. Un post da meditare, un post che vale la pena di leggere e rileggere, farne sfondo di "scrivania". Un post che è da stamani quando l'ho letto che mi porto dentro e che non so come rendergli tributo. Un semplice grazie spero possa bastare.

¹Qui il testo completo 
²Ed. It., SE, Milano 1987 (traduzione di Roberto Rossi).
³Giovanni 15,12-17


Testa di Chicco

via

Nostalgica premura



Nostalgica premura del buonsenso
Ritagli prospettive in campo aperto
Con fare alquanto prolisso e melenso
Incespichi nei cespugli di certo

Infili passanti in ognidove
Rincorri terze pagine celate
Affrante tornano a galla le prove
Dell'esistenza spuria delle fate

Ah tu che te ne carichi metà
Sulle spalle e l'altra ficchi nelle tasche
Assaporando il fresco tra le frasche
Con la dovuta irresponsabilità

Garantisci con grazia al mio non fare
Sii causa del non essere male – da'
Schiaffi sorrisi affetti per tentare
Di mantenere salda l'umiltà

Aprile 1990

lunedì 25 aprile 2011

Presa

L'antiberlusconismo è una necessità

Sabato scorso, sul Foglio, Alfonso Berardinelli ci ha spiegato che «l'antiberlusconismo fa impazzire, ma è qualcosa da cui si può guarire». Certo, anch'io che sono un antiberlusconiano radicale, concordo con lui che, in finale di articolo, scrive:
«Dunque: fine della “differenza antropologica” fra chi vota per il centrodestra e chi per il centrosinistra. L’uscita di scena di Berlusconi non è né sarà l’avvento di “un’altra Italia”. L’Italia è questa, non da ora. Forse è la stessa da mezzo secolo o da vari secoli. Dobbiamo ancora capirla. Nonché (se ci riesce) farla capire agli stranieri.»
Ma il punto non è questa banale considerazione che qualsiasi persona di buon senso ha capito. Io non rivendico nessuna superiorità antropologica rispetto a chi apprezza Berlusconi. In altri termini: io non dico che chi vota Berlusconi sia un imbecille. Affatto. Né tantomeno sostengo che, una volta sparito re Silvio, l'Italia diventi d'incanto una nazione guida per civiltà, efficienza, organizzazione, sviluppo economico, sociale e culturale.
Dico solo che Berlusconi essendo, di fatto, l'Uomo delle Televisioni, ha determinato che la politica diventasse la protagonista assoluta della (uso un termine vendoliano) narrazione mediatica italiana. E soprattutto: Berlusconi è stato l'artefice di una «tecnica [che] vuole che tra la causa e l'effetto non ci sia nulla» [leggete questo gran post del Disagiato].
In questi anni berlusconiani è scomparso tutto quanto sta nel mezzo; oserei dire: è sparita la realtà.
Berlusconi è un male non tanto perché è di destra o di sinistra, di questo o di quello, ma perché egli nasconde il reale a vantaggio di una rappresentazione dove la politica, incarnata dalla sua persona, diventa radioattiva. Berlusconi è una centrale nucleare esplosa che ha contaminato l'intera penisola. E per un intellettuale quale Berardinelli che, in uno dei suoi libri migliori, scrisse:
«La politica dovrebbe invece essere considerata un'attività inferiore, poco importante, ausiliaria, da controllare dall'esterno e soprattutto da rendere meno ingombrante possibile. L'ideale è: anonimato dei dirigenti politici. Modesti, solerti, umili servitori del bene altrui»*.
evitare di combattere quello che è, a tutti gli effetti, il contrario della politica auspicata, non rende tanto merito ed onore. Nemmeno se mantiene la propria autonomia di pensiero dalle pagine de Il Foglio.

*Alfonso Berardinelli, L'eroe che pensa, Einaudi, Torino 1997 (pag. 138)

L'Angelo della Liberazione


Tra Palazzo Grazioli e San Pietro in Vaticano.

domenica 24 aprile 2011

Primi avvistamenti

Il reverendo evangelista Franklin Graham non ha fatto in tempo ad affermarlo, che immediatamente l'imago Christi è stata catturata in un luogo frequentato da giovani "tecnologicamente" attrezzati. Non si sa bene se per camminare sulle acque della piscina oppure per avvisare gli stessi giovani di stare attenti a dove mettono i piedi.

La Pasqua a Pieve di Soligo

ALEPH Da quali chiuse o antri, da che chiese o macelli,
da che prati infiniti, polveri, geli, velli,

da che eczemi diffusi, da che parestesie
diffuse, in che paresi in che cloni in che mie

o tue carenze alterne, mie o tue semipresenze,
riapparizioni di straforo, giochi di sbiechi e intermittenze,

rifiorisco siccome fatuo vanto di riscrivere
losquisito insatellirsi, al non vivere, di ogni vivere,

rifiorisco per dire peste: a calcolo e a sorte -
vivo sarò la tua peste, morto sarò la tua morte?

A chi vado rifacendo il verso di Lutero,
a che bordello a che serra di dèi, a che cimitero

di mostri e dèi e deesse tuttafiga
che lungo lungo l’orbita mi aspettan messi in riga?

Ma di nessuno e di nulla bestemmio: i miei porchi
segnano solo la stretta dove, o me stesso, ti torchi.

BETH Ed ecco - un suono virginee tristezze, come erbette da cena
come pungenti venti pasqualini e vini agretti, mena;

è il tempo del Passaggio, del (Signore): piangete
e gioite meco voi che di erbette avete fame, di vini sete,

è il tempo dei sonni levissimi e solo agitati
dal tenero désir sognifico dei bimbi-futuri-vati.

È il tempo tuo, (Signore), che fa e disfa il bianco e il blu
nei fossati pei cieli sui monti e oltre e più.

Fa’ o Signore che - ma il tuo fare cos’è?
Fa’ o Signore che - ma non vedo perché.

Andrea Zanzotto, Pasque, Mondadori, Milano 1973 [prime due voci dell'alfabeto ebraico proposto]

Non abbiamo risposte

Come può un capo minare la certezza dei fedeli?
Minando le basi della sua (e della loro) fede. 
La risposta titubante di Benedetto XVI, insolita per un Pontefice, potrebbe dare l'avvio a qualcosa di benefico per la chiesa stessa. In altri termini: questa incertezza potrebbe contenere in sé i germi di una vera e propria rivoluzione.
Già: proclamare di non sapere, per un papa, come unico, degno momento in cui far valere la propria infallibilità
"Io, Santo Padre, proclamo di non essere a conoscenza delle intenzioni di Dio. Io non so perché Dio ha voluto questo, perché non so nemmeno se Dio c'è davvero."
Pensate a un papa che facesse una simile dichiarazione sbaragliando millenni di riflessione teologica.
Un papa che inoltre affermasse:
"Se Cristo è venuto per tutti, è venuto sia per coloro che credono perché è assurdo, sia per coloro che non credono in quanto assurdo. La partita della salvezza, della liberazione interiore, non si gioca sulla fede. La fede è un elemento aggregativo, falsamente consolatorio. La fede fa stare nel gregge, ma l'individuo, ognuno di noi, è, prima di tutto, il suo volto, il suo nome, la sua unicità. Solo quando esce dal gruppo (dal gregge) l'essere umano potrà riconoscersi; solo quando si percepisce come punto dell'universo che scorre; solo quando acquisisce il senso della propria finitudine e della propria relativa insignificanza, ecco: è solo allora che l'essere umano certifica la sua individualità, e solo allora potrà affermare di avere un volto, un nome, una voce."
[Smarrimento della folla]
"La Chiesa potrebbe salvare se stessa solo dissolvendosi, compiendo un percorso inverso alla sua edificazione. Se io guardo a tutte le encicliche, ai discorsi, alle prediche succedutesi nel corso della storia, posso affermare, con le parole del Qohèlet: tutto questo è polvere, vento che ha fame. Disperdiamoci, fratelli, facciamo vedere al mondo come una struttura possa dissolversi coscientemente; mostriamo come si può dissanguare, scarnificare il potere che abbiamo e tornare poveri, nudi, veri. Il sangue di Cristo si è riversato sulla terra e noi l'abbiamo assorbito per cosa? Per essere principi di questo mondo? O per condannare il Principe di questo mondo? Strappiamo dunque i nostri abiti di Salomone, usciamo dalle nostre mura, torniamo nelle braccia del tempo". 

Pasqua a livello

Il rimorso



He cometido el peor de los pecados
que un hombre puede cometer. No he sido
feliz. Que los glaciares del olvido
me arrastren y me pierdan, despiadados.

Mis padres me engendraron para el juego
arriesgado y hermoso de la vida,
para la tierra, el agua, el aire, el fuego.
Los defraudé. No fui feliz. Cumplida

no fue su joven voluntad. Mi mente
se aplicó a las simétricas porfías
del arte, que entreteje naderías.

Me legaron valor. No fui valiente.
No me abandona. Siempre está a mi lado
La sombra de haber sido un desdichado.
Ho commesso il peggiore dei peccati
che un uomo può commettere. Non sono stato
felice. Mi travolgano e disperdano,
spietati, i ghiacci dell'oblio. I miei

mi avevano creato per il gioco
azzardato e stupendo della vita,
per la terra, per l'acqua, l'aria, il fuoco.
Li ho delusi. Non si compì la loro

giovane volontà. Non fui felice.
Mi applicai alle caparbie simmetrie
dell'arte, che congegna vacuità.

Ereditai audacia. Non fui audace.
Non mi abbandona. Mi sta sempre accanto
l'ombra d'essere stato un disgraziato.

Jorge Luis Borges, La moneta di ferro, Adelphi, Milano 2008 (traduzione di Tommaso Scarano)

sabato 23 aprile 2011

Concime mediatico

In un paese normale un personaggio come De Mattei sarebbe subito scivolato fuori dalla scena, rapidamente allontanato con imbarazzo dalle cariche pubbliche che ricopre, o al più ospitato come predicatore infervorato sulle pagine di Cronaca Vera. Da noi partecipa a pieno titolo ad una ampia discussione teologica sui grandi giornali, viaggia con il microfono sotto il mento nell’attesa della sua prossima esternazione da sottoporre poi a storici della Chiesa e teologi per un sano contraddittorio. 
Mantellini avrebbe anche ragione, ma - a mio avviso - dà poco risalto al fatto che De Mattei è vicepresidente del più importante istituto di ricerca statale: il CNR. È per questo che le sue (di De Mattei) orribili stronzate esternazioni fanno notizia, anche se vengono trasmesse, come egli sostiene, a titolo personale su una radio privata a carattere religioso. Lo scrive perfettamente Michele Serra, nella sua Amaca di oggi.
È lo stesso discorso per cui, quando Berlusconi o altro personaggio pubblico dicono una cretineria, l'attenzione dei media si fa subito solerte a riportare tale pattume verbale. Ciò avviene proprio in virtù (meglio: nel vizio) di ricoprire (!) "cariche pubbliche".

Se De Mattei fosse solo un professore e magari avesse un blog ove scrivere i propri pensieri teologici avrebbe sicuramente minore risalto mediatico.
Certo, i media - e la Repubblica in particolare, vedi il caso di Marco Pasqua quando ha tentato di sputtanare Cloro al Clero [*] - troverebbero certo il modo di occuparsi di spropositi verbali. Qui Mantellini ha pienamente ragione; in Italia, infatti, si dà
prevalenza [al] cretino nella camera di eco mediatica. Da molti anni a questa parte esiste una evidente selezione verso il basso dei contributi che i media scelgono di rendere pubblici. Il cretino è notiziabile.
È che i media sono come le mosche: attratti dalla merda, ottimo fertilizzante.
Tuttavia, come ogni buon agricoltore sa, concimare troppo è nocivo per qualsiasi terreno, persino per quello mediatico.

venerdì 22 aprile 2011

Carpe diem

Ancora pochi minuti per ricordare a Berlusconi che oggi sarebbe stato un giorno perfetto per morire.

Tell me true, tell me why



Tell me true 
Tell me why 
Was Jesus crucified
Is it for this that daddy died?
Was it for you? Was it me?
Did I watch too much TV?
Is that a hint of accusation in your eyes?

If it wasn't for the nips
Being so good at building ships
The yards would still be open on the Clyde
And it can't be much fun for them
Beneath the rising sun
With all their kids committing suicide

What have we done Maggie what have we done
What have we done to England

Should we shout should we scream
“What happened to the post war dream?"
Oh Maggie Maggie what have we done?

Mani

sempre Big Picture
Ecco: l'indice e il medio della mano sinistra che immobilizzano il collo di un piovanello pancianera; il pollice della stessa mano che tiene quieto il corpo; la destra che effettua una presa di sangue.
La cura, la delicatezza, la carezza, la conoscenza. Mani.

Panico ad Arcore

Dopo le nuove dichiarazioni del professor De Mattei, ad Arcore, il sindaco e i suoi concittadini, si sono riuniti in preghiera per scongiurare la vendetta divina. I pochi atei e agnostici rimasti fuori chiesa, si massaggiano le palle vicendevolmente.

1978 anni fa...

...all'incirca, nei dintorni di Gerusalemme, veniva messo a morte, mediante crocifissione, Gesù detto il Cristo, figlio terrestre di Giuseppe e Maria e, altresì - per certuni - figlio celeste di Dio e Maria.
Lo mise a morte il potere romano spinto dalla famosa voce del popolo che in fondo rappresentava la voce di Dio.
"Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà".
Non fu allontanato il calice. Rivoli di sangue dai buchi delle mani e dei piedi.
La volontà di Dio (volontà del popolo) venne eseguita. Gesù fu espulso per pacificare una folla assetata di sangue.
«Ecco l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo».
Riflettiamo su queste parole, sul sangue che circola nelle nostre vene e quelle degli altri esseri umani, degli esseri viventi in generale.
I peccati... esistono i peccati del mondo? Se l'Agnello di Dio avesse, anziché i peccati, tolto il male forse non sarebbero state costruite chiese nel suo nome.
Comunque la si pensi, ci si creda o meno, che la si conosca o meno, il mondo è permeato da questa vicenda su cui, ancora, deve essere fatta chiarezza.
Sia stato il genio paolino o la pervicacia di solerti apostoli, comunque questa storia è arrivata - pur con mille travisamenti e rivestimenti - fino a noi.
Sulla Resurrezione... In questo momento della mia vita sono agnostico, tendenzialmente ateo. Insomma non ci credo. Ci posso credere, però, simbolicamente.
È stimolante al proposito questo libro di Charles Freeman.
«Se, come la maggior parte degli studiosi ritiene, Marco terminava a 16:8, allora il suo vangelo non accennava ad alcuna apparizione. Terminava, semplicemente, con il sepolcro vuoto»¹.
Chi avrebbe "svuotato" del cadavere il sepolcro? Gli uomini di Caifa (Caiafa), il sacerdote artefice della soluzione eliminare Gesù per non perdere autorità "religiosa" di fronte al suo popolo ebreo. Caifa, in buona sostanza, convinse Ponzio Pilato che la messa a morte di Gesù avrebbe ripristinato l'ordine e pacificato la folla in tumulto. Tuttavia, egli sospettava che i seguaci di Gesù potessero, dopo la sua morte, riprendersi e provocare nuovi disordini. Allora Caifa ebbe «un'idea intelligente» per «tarpare le ali a qualsiasi movimento emergente in memoria di Gesù rispedendone i seguaci a casa».
Come fare? Semplice:
«Rimuovere il corpo, accertarsi che il sepolcro restasse scoperto e vuoto, diffondere il messaggio, servendosi di un "giovane", che Gesù sarebbe riapparso in Galilea poteva essere una soluzione del problema senza ulteriori brutalità né spargimenti di sangue. Se il piano avesse funzionato, i discepoli, traumatizzati, sarebbero semplicemente usciti dalla sua giurisdizione per ricadere sotto quella di Erode Antipa. Una volta che avessero sgombrato il campo, per Caiafa sarebbe diventato del tutto indifferente che continuassero o meno a credere in Gesù. Per lui, il punto più interessante era si trovassero nell'impossibilità materiale di causare disordini a Gerusalemme, rovinando il suo prestigio agli occhi dei Romani. Inoltre, il destino del corpo di Gesù non sarebbe interessato a nessuno finché i discepoli fossero stati convinti della sua successiva comparsa sotto qualche forma in Galilea. Per i sacerdoti era importante sottolineare che Gesù non era più fisicamente presente, bensì "risuscitato", altrimenti si sarebbe continuato a mormorare che il suo corpo doveva trovarsi da qualche parte a Gerusalemme. C'era il precedente di Elia»².
La strategia politica-religiosa di Caifa (o Caiafa), degna del miglior Andreotti, fu, probabilmente, l'inconsapevole causa che determinò il sorgere del culto del Cristo risorto. Va ricordato che gli apostoli tributavano davvero particolari doti divine al loro Maestro. Il fatto che fosse invece morto come un ladrone, senza mostrare nessun potere soprannaturale li gettò nello sconforto. E la credenza nella resurrezione poteva aiutare la piccola comunità cristiana a superare il trauma lontano però dalla città del potere, luogo ove l'autorità religiosa ufficiale ebraica continuava a esercitare l'ortodossia.
L'annunciato Regno di Dio in terra poteva attendere.
Inoltre, mi sembra rilevante questo passaggio:
«Oggi, la credenza nella risurrezione fisica di Gesù è considerata nucleo centrale della fede cristiana. C'è stata la tendenza a estrarla dal contesto temporale in cui si dice sia avvenuta e a farne un'esperienza storica unica. È tuttavia possibile sostenere che Paolo e gli scrittori del vangelo fossero intenzionati a collocare Gesù all'interno della tradizione ebraica, più che a presentarlo come estraneo alla stessa. Si rischia, ancora una volta, di dare disinvoltamente per scontato che la risurrezione sia stata il "fatto" centrale della Chiesa primitiva»³.
Dunque, Pasqua a parte, oggi ricordiamo che circa duemila anni fa un profeta particolare, un Figlio dell'Uomo, venne condannato a morte e ucciso. Che tale evento storico sia ricordato in fondo è un bene. Ma secondo me sarebbe meglio continuare a ricordarlo non tanto per dare credito alla chiese che si fondano sul suo nome. Quanto per rammentarci che tutti noi umani corriamo il rischio di diventare o vittime o carnefici. Vale a dire: come il Cristo morto in croce ci ricorda il nostro destino, così anche la folla omicida ce lo deve ricordare. La belva che è in noi e che ha bisogno di sangue per placare la sua rabbia. Non erano solo ebrei e romani in fila ad accompagnare Gesù alla morte. Ma - simbolicamente - tutto il genere umano.

¹Charles Freeman, Il cristianesimo primitivo, Einaudi, Torino 2010, pag. 51 (traduzione di Piero Arlorio)
² Ibidem, pag.  43
³Ibidem, pag. 53

giovedì 21 aprile 2011

Una chiamata internazionale

"«È sempre più sviluppato il contatto tra le genti», afferma Girard al telefono da Stanford, la città californiana in cui vive da molti anni e nella quale ha sede l´università dove ha insegnato più a lungo. «Persino l´isolazionismo statunitense cede il passo ad aperture nuove nei confronti di luoghi distanti ed economicamente fragili. Gli americani, che prima non si curavano di vicende lontane da loro, si stanno interessando come non mai alle rivolte che sconvolgono gli assetti dei paesi arabi. Basta guardare lo spazio enorme che ha dato la tivù statunitense a quel che è accaduto in Egitto, in Tunisia, in Siria, in Libia e nello Yemen», segnala Girard. A 88 anni la sua voce è incerta e faticata; ma sulla questione araba si esprime in modo vigoroso, quasi martellante".
René Girard ha rilasciato un'intervista telefonica a Leonetta Bentivoglio su la Repubblica di oggi (ancora non online sul sito, reperibile qui)
Meno male che oggigiorno le chiamate internazionali costano poco perché, onestamente, l'intervista non sa di una sega*. Mi si scusi il termine, ma da girardiano (eterodosso) quale sono, mi dispiace un po' che il mio René venga tirato per la giacca a dire la sua ogni qualvolta ci sono subbugli "storici", dall'undici settembre alla rivolta egiziana.
E poi perché da anni ho in serbo per Girard una domanda confusa che so che non potrò mai fargli direttamente (anche perché non ho il suo numero) che è, più o meno, questa (che ogni volta rimastico in maniera diversa): al netto che Gesù è davvero il capro espiatorio che ha rivelato le cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, ovvero il meccanismo vittimario su cui si regge ogni società/comunità umana, ovvero il religioso, la nascita del mito e del rito, al netto di tutto questo che possiamo attingere da una pacifica anche se non pacificata riflessione intorno al potere de-mistificante della scrittura giudaico-cristiana rispetto a tutte le altre scritture religiose e mitologiche, mi può spiegare M. Girard le rôle de Dieu in tutto questo? Che Dio sarebbe quello che ha inscenato tutto il palcoscenico del mondo per vedere recitare un'intera specie di esseri pensanti, nella loro faticosa ricerca di costruire una società basata sulla fratellanza, l'uguaglianza, la libertà? Se il mondo va in questa direzione a prezzo di fatica, dolore, miseria, e soprattutto morte, morte fottutissima morte, è in vista di che cosa? Dell'epilogo finale in cui verremo giudicati per che cosa? Per aver vissuto in un pianetino minuscolo di una galassia periferica? E tutto questo spreco interstellare per vederci vivere? E tutta questa magnifica complicazione evolutiva del dna, della complessità assoluta nel frammento, tutta questa vertigine, ma perché? Ma soprattutto: M. Girard come fa lei di fronte a tutto ciò a dichiararsi ancora cattolico ortodosso? Le viene facile perché abita in California? La capisco, in California, forse, sarei cattolico ortodosso anch'io. Pare offrano lauti brunch nelle chiese californiane la domenica mattina.

*Unica cosa per me significativa dell'intervista è che vengo a sapere (dato che non sono più nel milieu bibliografico) che è stato tradotto in francese il famoso testo di Raymund SchwagerBrauchen wir einen Sündenbock? (e dato che io non mastico il tedesco...)

Fabbrica Italia


Io sono convinto che certe immagini rendano merito al made in Italy più di cento Uma Thurman. Ma non ditelo a Bossi, altrimenti cambia idea e agli amministratori locali leghisti impone di ordinare i Renault Trucks.

Sradicatori di ravanelli

«Leggere “Un cuore intelligente” di Alain Finkielkraut (tradotto da Francesco Bergamasco per Adelphi) per capire la durezza dello scontro in atto tra i paladini di un’astratta virtù, di un’idea assoluta di bene, morale, civiltà e democrazia da opporre al simbolo vivente di corrotti e corruttori, alias Silvio Berlusconi, e i miti, pazienti, scettici difensori dei dettagli particolari di quel legno storto dell’umanità dalla furia di chi vorrebbe raddrizzarlo. Finkielkraut, certo, non parla di Berlusconi e nemmeno del giudice Ingroia che arringa le piazze; non credo abbia mai letto i sermoni puritani di Barbara Spinelli. [...]
Per questo Ingroia e la Spinelli hanno tanta presa. Sono residui rivoluzionari che lottano per sradicare il male, ma esprimono, senza saperlo, la volontà esaltata di una società perfetta e invivibile» (Marina Valensise, Il Foglio 21 aprile 2011).
E se invece di sradicare il male per fondare una società perfetta e invivibile, il magistrato Ingroia (va bene, ha fatto una sciocchezza ad andare sul palco. Vediamo quante volte lo rifarà) e la intellettuale Spinelli (e quando mai un'editorialista ha potuto dire che le sue parole son diventate leggi?) volessero semplicemente tentare di far conoscere ai cittadini che il "bene" prodotto dall'azione di governo riguarda uno solo?
E poi, a parte: se provassimo al posto della Valensise a domandare direttamente a Finkielkraut cosa ne pensi di Berlusconi, non avete il sospetto, secondo me fondato, che occorrerebbe portare un secchiello affinché egli, fine intellettuale francese, non ci vomiti in faccia?

mercoledì 20 aprile 2011

Un pomeriggio da Boogie

Avevo tempo, avevo soldi, avevo voglia. Telefono.
- Pronto A?
- Sì, tesoro.
- Sei libera questo pomeriggio?
- Sì, tesoro, sono in via Umberto Bossi 33, angolo piazza Zizzania.
- Allora vengo subito. Quanto prendi per una mezzora?
- 45,73 euro iva esclusa per una cosa tranquilla.
- Sono agitato.
- Beh, allora vieni tesoro, ti calmo io.
Vado. Prendo la mia ibrida Fiat Nonc'è, e mi avvio. 
Ecco la rotonda di piazza Zizzania. Le giovani foglie dei tigli sono nere di moscerini. Posteggio in un parcheggio a pagamento, proprio sopra un tombino. C'è un puzzo di fogna che ammorba l'aria, tremendo.
Passa una signora distinta con un piccolo sciacallo al guinzaglio (non siamo a Modena).
- Mi scusi signora, mi sa dire dove si trova via Umberto Bossi?
- Via Umberto Bossi? Chi? Il leader della Lega?
- Sì, potrebbe essere lui.
- Ma è ancora vivo!
- Già è ancora vivo. Perché non si dedicano vie ai vivi!?
- La sua è una domanda o è una constatazione?
- Tutte e due le cose, ma di più una domanda.
- In questo caso rispondo: perché le vie servono a far circolare, da morti, i vivi. Anche gli extracomunitari camminano sulle vie dedicate ai morti. Sulle vive dei vivi è più difficile per tutti circolare, soprattutto per loro.
- Signora, ha tempo? Mi piacerebbe offrirle un caffè.
- Ho tempo, ma ho uno sciacallo che non ama i bar. Ma se vuole, la invito io a prendere un caffè a casa mia. Abito qui vicino, in via Giovanni Berchet. Lui sì ch'è morto. Lui sì che le sue idee facevano circolare i vivi.
- Grazie, favorisco volentieri se non le reco troppo disturbo. Ma mi levi una curiosità: c'è o non c'è qui nei dintorni via Bossi?
- Che io sappia no, mi spiace. Ma mi piacerebbe ci fosse.
- Per far circolare i vivi?
- No, per cominciare a vederne uno morto.
Il caffè dalla signora è stato buono. Abbiamo discusso, ma tu guarda il caso, di politica. Ho scoperto che il suo sciacallo è uno sciacallo femmina. L'ha chiamato Nchè perché è molto stronzo coma la Santan. Ma che bella giacchetta bianca ha la signora, e che bei jeans eleganti e sensuali che modellano le gambe e il sedere. Ma io non l'ho potuto guardare molto, il sedere, visto che mi ha fatto accomodare su un divano mentre lei è andata in cucina a preparare il caffè; poi si è seduta e io mi sono concentrato sugli occhi e le ginocchia. Stimolano la conversazione, la chiacchera gli occhi e le ginocchia, con tutte quelle chi e quelle chia.
- Grazie signora, è stato davvero un piacere e lei è molto gentile.
- Prego, si figuri. A me a fatto piacere parlare di politica. Tutti i giorni esco con un groppo in gola e, siccome fuori non posso sputare in terra, mi piace ogni tanto trovare qualcuno con cui parlare, e sfogarmi.
- Signora, che ne pensa di aprire un blog?
- Un blog? Alla mia età... no, non credo, avrei esitazioni.
- Ma no, nessuna esitazione. Ci provi, piano piano, metta per iscritto le sue idee, le renda pubbliche. Sarà divertente.
- Vedremo. Ma perché mi dice questo, lei è un esperto del settore? 
- No, sono un frequentatore, un lettore, qualcuno che, stufo della televisione e dei giornali, la sera naviga alla ricerca di qualche buona idea politica, o lettura di vario tipo. Comunque: lei ha un indirizzo mail? Le invio una serie di indicazioni sui blog più famosi.
- Grazie, mi farà piacere. 
- Ma prego, piacere mio. Così potremo continuare, magari in via epistolare, la nostra conversazione.
- Sì. Adesso la lascio andare. Mi diceva che aveva un appuntamento in via Bossi... Ah già via Bossi, c'è n'è una, ma non è l'Umberto, bensì un certo Carlo che non so proprio chi sia. È la strada parallela a questa.
- Grazie di tutto e arrisentirci.

Esco, in due minuti sono in via Carlo Bossi 33. A. aveva sbagliato con l'Umberto. Ritelefono. 
- Pronto A.? Ho chiamato un'oretta fa. Sei libera ora?
- Sì tesoro.
- Posso salire?
- Sì, n 33. Sul campanello c'è scritto Lupi. Primo piano.

Salgo le scale buie. A. mi apre con una vestaglia aperta davanti alla primavera. Il mio cuore decolla.
- Ciao tesoro.
- Ciao - e tocco subito i suoi fianchi.
- Calma tesoro, prima dinero.

Pago, e riprendo a toccare, a maneggiare con cura, a porre labbra secche e screpolate su una pelle morbida al sapore di coloniali. Avevo voglia, avevo tempo, avevo soldi.
Lei mi apre la camicia. Mi slaccia cintura. Mi mette una mano nel vuoto.

- Tesoro, che strano non c'è niente qui.
- Come, niente...- 

Controllo. Niente. Zero. No, non c'entra nulla con l'erezione. Magari fosse quel problema. È proprio vero, ha ragione A. non c'è niente. Ma niente niente di niente. Zero, nemmeno il pelo. E io non me ne ero neanche accorto. Avevo persino voglia. La mente inganna. Ma io dovevo saperlo, dovevo accorgermene, dovevo prevederlo, dovevo curarmi, andare in una clinica all'estero subito, ai primi sintomi.
Berlusconi mi ha rotto il cazzo, frantumato, e io l'ho perso senza rendermene conto.

A. è seria, quasi intimorita. Chissà, forse si aspetta una mia reazione. Invece sono stranamente calmo. Mi ricompongo. La saluto con una carezza ed esco. Ripercorro a ritroso l'isolato e suono alla signora di prima.

- Signora, mi scusi, sono io, quel signore di prima. Devo aver "perso" qualcosa a casa sua.
- Salga pure... Entri. Mi dica, cosa le sembra di aver perduto? A me non pare di aver notato niente di suo.
- Mi scusi ancora signora. Sono vittima di una suggestione, spero. Berlusconi mi ha rotto il cazzo e mi sembra di averlo smarrito da lei.
- Ah, non ne dubito. Succedeva anche al mio povero marito. Sapesse, gliel'ho raccolto tante volte di terra a quel poveruomo. A volte anche con le palle annesse. Poverine. Le ricordo ancora com'erano battute in terra, spiattellate, come per fare delle fettine di petto di pollo in padella. Venga che guardiamo sotto il divano.

Quando l'ha signora mi ha raccolto da sotto il divano quello che restava dal mio cazzo mi sono messo a piangere. Ma lei, prontamente, mi ha portato un bicchiere di Soluzione Schoun pura per coadiuvare i possibili stati spastici e dolorosi delle vie urinarie. Che donna. Non vedo l'ora di scriverle una mail con tutti gli indirizzi dei blog che seguo. C'è n'è uno in particolare, tanto coglione. Pare si faccia chiamare Lucas.