lunedì 15 agosto 2011

Arrosto morto

Pranzo di Ferragosto. Arrosto morto. Cotto nel forno a legna. Con patate novelle. E un Brunello 2004. Detto questo, a fine pasto, e a fine bottiglia, il discorso a tavola verte su taluni conoscenti morti e seppelliti senza esequie religiose. «È difficile restare coerenti sino in fondo. La coerenza richiede una certa forza», fa mio fratello e io annuisco. «Ma come si fa ad essere atei» domanda mio suocero, dato che a lui sembra impossibile che tutto finisca così, anche se non è certo religioso.
A leggere Ravasi* ti viene facile, avrei dovuto dirgli e invece no, non l'ho fatto, per non spezzare fedi, ma soprattutto perché la pala nostra più vicina è quella conficcata sul terreno, là, vicino alle carote.
Certo è che quella pala che Ravasi rammenta è l'unica che davvero colma la distanza «tra noi e l'infinito». E il motivo per cui di questo infinito si scorga solo la nuda terra che scende su di noi come un lenzuolo la dice lunga sull'attendibilità delle speranze ultramondane delle varie fedi.
"Ma Cristo è risorto!" ti rinfacciano i cristiani e bella forza! Uno su miliardi è l'eccezione che conferma la regola. Risorgere è così complicato, datemi retta, che se anche fosse possibile alla fine dei tempi (dunque hanno avuto inizio, i tempi?) una resurrezione generale, cosa si farebbe tutti in piedi davanti al Signore? Io credo si direbbe: «E ora, cazzo si fa di qui a sempre?».

*La Domenica de Il Sole 24 Ore del 14 agosto 2011.

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