lunedì 15 agosto 2011

L'autodeterminazione del blogger

Claudio Giunta è uno dei più validi nuovi critici letterari italiani.
Ha scritto un breve saggio sulle Lezioni americane di Italo Calvino, pubblicato dalla rivista Belfagor, ma reperibile online per i tipi di Minima Moralia (parte 1 e 2). 
Per leggerlo meglio, dato che consta di una quindicina di cartelle (carattere in corpo 13), me lo sono stampato e letto sotto l'ombra di un nocciolo copioso di frutti. Ogni tanto cadeva una coppia di nocciole nel proprio mallo verde su di me, ma questo non ha importanza.
Ha importanza il fatto che tale saggio mi ha colpito - eh già, altrimenti non ne parlavo - ma soprattutto destabilizzato. Come? Dove? Perché?
Non certo perché ha decostruito e quindi demitizzato un libro culto di uno degli autori più importanti del Novecento italiano. Anzi, è proprio da un genere di "critica" che si impara molto, almeno credo, perché si acquistano nuovi mezzi "critici", per vedere cose che altrimenti sarebbero rimaste nascoste. Per farla breve, Claudio Giunta fa a fette le Lezioni americane. Fette fini che vanno giù in un sol boccone.
Non essendo un critico letterario e non avendo competenze tali, anche dilettantesche, per giudicare o controreplicare a tale critica, la accolgo perché mi sembra onesta, equilibrata e soprattutto dettagliata: esatta, e questa, credo, sia una parola che Giunta apprezzerà.
Da lettore però... no, anzi: da blogger dicevo che sono rimasto destabilizzato. Vediamo perché.
Di seguito riporto una serie di estratti del saggio. Come sapete, io ho il difetto di "isolare" certe frasi dal contesto, per farle vivere in altri contesti, in modo da gettare luce sulla realtà circostante o anche (e soprattutto) su di me, sul mio fare, sul mio essere, sul mio vivere.
«Più avanti Calvino commenta alcuni versi dello stesso Cavalcanti che parlano di spiriti. A leggere la pagina di Calvino sembra che questi spiriti siano un’invenzione di Cavalcanti, mentre si tratta ovviamente di una nozione e di un termine del tutto usuali nella fisiologia tardo-antica e medievale, non più idiosincratici di quanto sarebbero, oggi, i termini ‘plasma’ o ‘sinapsi’. Gli spiriti sono fluidi composti da ‘materia sottile’ che consentono le varie funzioni vitali: nutrizione (nel fegato), respirazione (nel cuore), pensiero e immaginazione (nel cervello). Dunque è inesatto dire che sono «impulsi o messaggi immateriali», oppure «entità impalpabili che si spostano tra anima sensitiva e anima intellettiva, tra cuore e mente, tra occhi e voce [occhi e voce? Qui l’impressione è che Calvino abbia smesso, semplicemente, di fare attenzione ai termini, e li abbia accumulati un po’ a caso]». E anche chiamarli, alla moderna, «vettori d’informazione» è scorretto e arbitrario: non sono questo. E – poche righe più sotto – mettere in relazione la presunta funzione trasmettitrice degli spiriti e quella dei congedi delle canzoni o delle ballate («[Lo spirito] è un vettore d’informazione. In alcune poesie questo messaggio-messaggero è lo stesso testo poetico») significa, di nuovo, unificare due cose che non c’entrano niente l’una con l’altra, cioè stabilire un nesso tra elementi eterogenei sulla base di un’analogia puramente verbale (gli spiriti e i congedi sarebbero entrambi, a loro modo, dei messaggeri): un procedimento che, come vedremo, impronta di sé molte pagine delle Lezioni americane, e che – bisogna aggiungere – parecchi lettori curiosamente mostrano di apprezzare in ragione della quantità di «suggestioni» che deriverebbero da questi accozzamenti.»
e ancora
«L’idea che ciò che un buon lettore deve fare sia appunto «avvicinare» i testi gli uni agli altri e aspettare che grondino le «suggestioni». Meglio se si tratta di testi che appartengono a epoche molto distanti, in modo che l’esercizio consenta il virtuosismo. Due millenni separano le Metamorfosi di Ovidio dalla Bufera di Montale, ma, nonostante quello che pensa o sembra pensare o sembra voler suggerire Calvino, assolutamente niente di significativo li unisce, e il confronto tra loro non porta, assolutamente, a niente.»
infine
«Nonostante sia facile illudersi del contrario, un simile atteggiamento verso le cose della cultura – questo fritto misto di testo e metatesto, di Derrida e Nereo Rocco, oppure di «Leopardi, Newton, la gravitazione, la levitazione…» (Lezioni americane, p. 652) – non è il riflesso di una libera disposizione intellettuale, nel senso che la propensione a trovare segrete analogie tra opere o esseri umani che appartengono a mondi differenti sarebbe in accordo con lo spirito dei tempi attuali, con l’interessante vortice culturale dentro il quale molti di noi sono immersi. E non è neppure il riflesso di una decisione presa in un dato momento del secolo scorso da un certo numero di pensatori e studiosi benedetti dal dono della Connessione. Anche se non è molto di moda, bisogna sforzarsi di essere un po’ più materialisti. Nel momento in cui le competenze specifiche relative alla storia, alla filosofia, alla filologia, alle lingue classiche declinano (nel momento in cui, per esempio, nei dipartimenti di Classics si varano curricula che non prevedono lo studio del greco e del latino), mentre non declina e anzi cresce il numero delle persone che aspirano a una formazione culturale di alto livello, la comparazione a maglie larghe – che talvolta può essere un’opzione interessante – diventa l’unica opzione possibile: non c’è altro da fare, perché non si è in grado di fare altro. Ma un conto è quando la comparazione a maglie larghe proposta nelle Lezioni americane (oltre che in un’infinità di saggi scritti negli ultimi decenni) si affianca a quella fondata sulle competenze specifiche, e un altro conto è quando essa viene indicata senz’altro come il metodo giusto anche là dove le competenze specifiche dovrebbero essere difese con più convinzione: nell’università. Non c’è niente di male nel leggere e nel far leggere le Lezioni americane. Non è certamente un brutto modo di parlare della letteratura, anche se ce ne sono di migliori. Ed è un libro godibile, soprattutto se si è giovani. Ma a me pare che lettori maturi non dovrebbero prenderlo troppo sul serio».
Voi capirete come, nel mio insano egocentrismo, mi sia sentito colpito nelle giunture bloggheristiche dal Giunta. E questo perché, in quanto blogger, non faccio altro che accozzare pensieri disparati, provocare suggestioni, comparare, mescolare capra e cavoli, cercare analogie tra mondi lontanissimi, lasciare a briglia sciolta il mio incedere prosaico o poetico... In breve, nel mio piccolo, cerco di seguire il "metodo Calvino" delle Lezioni americane e lo faccio senza alcuna pretesa di un giorno leggere nel Texas o in California tali appunti diaristici, o “letture, pensieri, versi”. 
Lo scritto di Giunta mi destabilizza perché percepisco i limiti di questo mio procedere, di questo fare privo di scopo, inesatto, incerto, senza alcuna meta. Disperdo il mio tempo dunque? 
Non lo so; sento solo che la critica di Giunta agisce più su di me che sul ricordo che ho del libro di Calvino. Giunta colpisce, indirettamente, un mondo, quello dei blogger, che fa del pensiero dilettante la sua essenza. Ma che pretesa ho? Per caso ho mai inteso qui fare critica, fare letteratura, fare qualcosa insomma da professionista? Mai. Per quanto penso, scrivo e copio incollo qui non ho mai ricevuto e chiesto un centesimo. Domando solo che questa dispersione privata non sia inibita e diventi pallidamente pubblica, per dare modo a un essere, il mio, di essere. Per dare modo di collegarmi alla rete di pensieri che mi fanno sentire uomo.
Come ha scritto in un commento ad un mio post Galassia Malinconica:
«Ciascuno di noi, in proprio, allora, ha l'immane obbligo dell' auto-determinazione attraverso un processo personale di riflessione che può anche attingere ai contributi culturali d'altri, ma deve poi scaturire da un proprio ineccepibile convincimento».

2 commenti:

Luigi Castaldi ha detto...

Non ho letto il saggio di Giunta e affronto - brevemente - solo le questioni relative a Decontestualizzazione e Connessione. Io penso che aggiungere in calce ad una citazione il nome dell'autore e il titolo dell'opera sia solo un doveroso gesto di correttezza verso il lettore: è come dirgli "ho colto questo frammento di voce da qui". Fatta questa debita dichiarazione del contesto dal quale si è tratto lo spunto della propria riflessione, ogni riflessione è lecita, basta che non si pretenda dall'autore un avallo di autorevolezza. E non mi pare che tu commetta questo errore. Temo che tu ti faccia destabilizzare per un eccesso di scrupolo: sei un blogger - uno dei più intelligenti ed intellettuamente onesti ch'io conosca - e dunque sei un letterato, dunque non sei un critico letterario, tanto meno un "critico militante". Non ti è dovuto lo studio dell'autore, ma farti (se credi) risonanza e riverbero della sua parola, attraverso la tua voce. I critici (e Giunta dev'esserlo in sommo grado) non possono permetterselo, per statuto.
Poi c'è l'altra faccenda, quella del "fritto misto". In breve, direi che l'etologia non prende in considerazione l'ipotesi di una batracomiomachia, e quindi rimane studio.

Luca Massaro ha detto...

Non potevo ricevere premio migliore delle tue parole, caro Luigi, e tu sai perché, tu sai com'è, tu sai dov'è. Scherzi a parte, sono onorato e incoraggiato a tenere a freno l'«eccesso di scrupolo» che, a volte, mi destabilizza.