domenica 11 settembre 2011

La salute della poesia

Il Disagiato ha scritto un post sulla poesia. Ottime, a mio avviso, le sue riflessioni sul perché essa non interessi più il lettore e veda il suo spazio sempre più restringersi all'interno delle librerie e della discussione pubblica. 
Tuttavia, Montale pensiamo che vivesse grazie alle vendite dei suoi volumi? E Pascoli e il Rapagnetta? Forse oggi, grazie ai professori che li consigliano, potrebbero campare con le royalties... 
Il punto è che, all'epoca, essendo i lettori pochi e non le moltitudini di oggi, ed essendo essi - i lettori - parte consistente dell'establishment culturale e non solo, essi - i lettori agiati e non disagiati - avevano il vezzo di  leggere poesia ed eleggere “poeti giullari” buoni per tutte le occasioni salottiere ed essi, i poeti, quelli più scafati intendo, s'infilavano nel milieu e sbafavano lauti pasti e soggiorni montano-marini-termali, magari trombavano duchesse eccetera.
Oggi, invece, l'establishment politico-culturale alimenta molte brutture di arte contemporanea, parecchio cinema spazzatura, televisione non ne parliamo e calcio e sport; e per un poeta famoso ci sono millecinquecento scultori, settemila pittori, diecimila cineasti e migliaia e migliaia di creativi di vario genere (e non parliamo poi di attori e cantanti...). 
Oggi con la poesia, salvo casi isolati, non mangia più nessuno, nemmeno alla mensa della caritas.
E poi: molti danno la colpa alla poesia contemporanea, sperimentale, di difficile lettura, al fatto che poi la poesia non racconti più storie...
Io la penso diversamente. Credo, cioè, che ci sia l'illusione, in molti di noi - me compreso - che fare poesia sia facile, che basti spesso andare a capo, che serva per esprimere sentimenti e vario altro tipo di giramento di coglioni...
La poesia di questo tipo è morta, ed è bene, ed è giusto vergognarsi a scriverla e produrla. Per esprimerla spudoratamente basterebbe saper suonare una chitarra, strimpellare due o tre accordi, avere poi a disposizione musicisti di calibro, chiudersi in uno studio ammericano, e fare un disco con le parole, à la Jovanottì o à la Ligabué. Già, ecco chi sono i poeti odierni e loro sì che mietono milioni.
È per questo che, oggi, per conquistare Fiume e governarla, al Rapagnetta occorrerebbe una chitarra elettrica.

A parte.
La parola poeta non è più un sostantivo, ma un aggettivo. Fateci caso, essa viene aggiunta a tutti coloro che nella loro professione eccellono: il poeta-sarto, il poeta-cuoco, il poeta-architetto, il poeta-cantante... 

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