lunedì 31 ottobre 2011

Io e Leopolda


Non sono stato alla Leopolda perché dovevo cercare castagne, finire un libro, sognare. Quanti sono in totale coloro che per realizzare se stessi hanno bisogno di far credere che stanno occupandosi degli altri? La politica italiana, che così tanta attenzione reclama, tanto pensiero, prova nuove strade per camuffare la sua naturale vocazione che è quella di metterlo in culo al prossimo, di pensare prima per sé e poi Dio per tutti – e almeno, una volta, quando Dio c'era, i politici costruivano la A1 e la E45, e le pensioni le davano con pochi anni di lavoro. Bei tempi, quelli. Ora non sono possibili perché è più facile impedire alla moltitudine di stare discretamente e di avere un buon sistema sociale che strappare quattro sacchi d'oro agli orchi che comandano il capitale. Questo alla Leopolda non lo dicono perché credono che la ricchezza spropositata sia legittima, che coloro che hanno i talenti possano e debbano diventare reggenti, che il limite all'assurdo non possa essere messo, che non esistano conflitti di interesse, e che per esempio l'idea di quel fanatico di Luigi Einaudi che la tassa di successione sia un bene per la collettività è un'illusione comunista. 
Alla Leopolda, il Renzi, insiste nel voler rinnovare la classe dirigente, ovvero che la vecchia classe dirigente politica nazionale lasci spazio alla nuova e giovane. Proprio come accade nell'industria dove agli Agnelli succedono gli Agnelli, ai Berlusconi i figli di Berlusconi, ai Geronzi gli stronzi, e così via per dire che anche la Marcegaglia è venuta su dal niente. Sì, ma la proprietà. La proprietà, quando sconfina nell'illimitato, non esiste, diventa giocoforza cosa pubblica. Non predico l'esproprio, sia mai, ma la Fiat non è solo degli Agnelli come fosse un semplice dodici metri attraccato a Portoddio; ovvero, è cosa loro, ma mica possono possederla tutta, non ce la fanno, quante braccia e mani occorrono per reggerla in piedi, lasciateli a piedi, andate da un altro padrone. Sì, ma sono tutti uguali e anche coloro che non lo erano e magari per qualche circostanza lo diventano, pare siano anche peggio di coloro che lo sono sempre stati per discendenza, che vuoi fare, gli umani sono una razza a cui piace sottomettere ed essere sottomessa, che ha bisogno di leaders, di quelli che dicano dove le banane sono più dolci e come fare ad arrivarle, portate loro le donne e i bambini e i vecchi in pacco dono, pregate per questi nuovi dèi che la sanno lunga, in fondo non sono nemmeno tanto pochi, pensa la Cina che su un miliardo e duecento milioni di persone, almeno una cinquantina di milioni sono miliardari e dico in difetto. Vedi la Cina? Ha un'Italia miliardaria al suo interno che riesce a sottomettere la moltitudine. Ma Dante sarà il loro cavallo di Troia, vero Sinone*?

Nota*
Sinone, che fu il greco che convinse i troiani ad accettare il cavallo in segno di riconciliazione, è anche il personaggio che, nel XXX dell'Inferno, affibbia una gomitata nella pancia (epa croia) di Maestro Adamo: ho sempre letto questo verso pensando alla soddisfazione di fare altrettanto con Ferrara. 

Un Creatore dimezzato (


Per una nuova versione del Nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica

via

domenica 30 ottobre 2011

L'Inferno di Dante


Guardiamo questo video relativo alla inaugurazione della copia in bronzo della statua di Dante, avvenuta a Ningbo, in Cina, poi leggiamo:

[...]                        "Tristi fummo
ne l'aere dolce che dal sol s'allegra,
portando dentro accidïoso fummo:

or ci attristiam ne la belletta negra".
Quest’inno si gorgoglian ne la strozza,
ché dir nol posson con parola integra".
 

Inf. VII, 121-126

Tramonti d'Occidente


Ancora un tramonto, ma l'Occidente non vuol saperne di morire. 
Tramontare non è mai stato così facile, eppure nessuno che voglia trarne le conseguenze.

«Ogni peccato genera una particolare sofferenza spirituale. Una sofferenza di questo genere è simile a quella dell'inferno poiché più si soffre, peggiori si diventa. Questo accade ai peccatori; più soffrono per i loro peccati, più cattivi diventano; e cadono continuamente sempre più nei loro peccati per liberarsi della loro sofferenza». L'imitazione di Cristo

Sostituendo peccato con stronzata e peccatori con stronzi potremmo trarre illuminazione da questo brano. E pensare a Berlusconi e ai suoi servi (utili ed inutili).

Una mongolfiera su Firenze

«La prima considerazione che deve essere fatta e dalla quale non si può assolutamente prescindere, qualunque sia la valutazione dell'attuale crisi, è che purtroppo la situazione sia in Europa, sia negli Stati Uniti, e nel resto del mondo, continua senza nulla cambiare, ad esasperare l'ineguaglianza globale in termini sia oggettivi sia soggettivi, con il disperato aumento della povertà, alla quale globalmente corrisponde una spaventosa concentrazione di ricchezza e di reddito.
Se è indubbio che la forbice fra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri sta divaricandosi, il problema non può certo essere considerato solo in termini di prodotto interno lordo, bensì deve allargarsi sino a comprendere le conseguenze che la povertà produce sulla vita individuale delle persone, sulla loro partecipazione e capacità di godere dei beni primari della vita.
La prima considerazione che deve essere fatta e dalla quale non si può assolutamente prescindere, qualunque sia la valutazione dell'attuale crisi, è che purtroppo la situazione sia in Europa, sia negli Stati Uniti, e nel resto del mondo, continua senza nulla cambiare, ad esasperare l'ineguaglianza globale in termini sia oggettivi sia soggettivi, con il disperato aumento della povertà, alla quale globalmente corrisponde una spaventosa concentrazione di ricchezza e di reddito.
Se è indubbio che la forbice fra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri sta divaricandosi, il problema non può certo essere considerato solo in termini di prodotto interno lordo, bensì deve allargarsi sino a comprendere le conseguenze che la povertà produce sulla vita individuale delle persone, sulla loro partecipazione e capacità di godere dei beni primari della vita.»

Non ho pensieri particolari su Renzi, se non constatare, con preoccupazione, come sia sufficiente che qualcuno dica con insistenza io, io, io, che in molti cadano nella trappola di credere che quell'io esista più di altri, e ci soffiano dentro, fino a farlo diventare mongolfiera (vedasi le guance del protagonista, vedasi la bocca, al cui interno sputano fuoco i media nostrali - Repubblica e Corsera in testa - che vorrebbero il giovin Renzi come rappresentante zuccheroso e affabile, stile Blair, stile Obama, per dare credito all'idea ch'egli sia l'alternativa più credibile al centrodestra).
Comunque, sull'argomento, mi rimetto a due o tre commenti a margine sulla cosa successa alla Leopolda (1, 2) e aggiungo: Renzi pare ponga sugli altari Steve Jobs e Sergio Marchionne - e nessuno che gli sbatta in faccia passaggi come quello sopra di Guido Rossi, pubblicato, ma tu guarda un po', sulle pagine gialline dell'organo ufficiale dei rifondaroli confindustriali. 
Ditemi: Stefanino e Sergino, con il loro golfino in cachemire, quanti dipendenti hanno fatto godere nel corso della loro esistenza? Quanti invece hanno fatto patire? Circondati da yes man hanno sempre rifiutato d'incrociare lo sguardo coi propri salariati; essi sono soltanto dei buoni venditori che fanno credere al pubblico che la felicità consista nel possedere i loro prodotti (con la Apple certo è più facile che con la Fiat). Con il Renzi accade la stessa cosa: egli fa credere a una parte consistente dell'elettorato che lui sia il più adatto a risolvere i problemi della Provincia prima, del Comune ora, del Paese poi - quando invece il vero problema che deve risolvere è quello che lo porta a credere di essere chissà chi (giacché, ribadisco, se lui si crede chissà chi è perché sono in diversi coloro che credono lo sia: sono le ragioni della meritocrazia).

sabato 29 ottobre 2011

Pensieri autunnali

È probabile sia tardi per tornare a essere ciò che non sono riuscito a essere dato che essere non era nelle mie prerogative. Il velo di Arianna le riempiva le costole di ombra ma non sono sicuro. Il mar Caspio non è un mare, caspita. Vedo velocipedi viaggiare alla velocità del vento moderato. Le Alpi sono dei dipinti del periodo cubista. La lepre fugge dal cane che fugge dal padrone che fugge da Dio, il vero cacciatore. Posso fare la pipì contro questa acacia solitaria in mezzo ai cerri e ai castagni? Mi dimentico di fare la frittata, non ho le uova. Il dolce non è caro, il latte fresco di alta qualità costa più di un litro di gasolio: bevilo, il gasolio, ti fa passare la tosse. Non sono sicuro. Non ho dimestichezza con me stesso, non so più come prendermi, so solo prendere una parte del mio corpo per farla ragionare con le buone. Signorina ha dimenticato lo scontrino. Il bar era aperto ma io non sono entrato. Faceva caldo. Gli ospizi sono spesso costruiti dove cadono foglie così i vecchi le raccolgono per fare l'amore con la morte. Sono tre lustri che non entro in un negozio di dischi, poi dicono la crisi. Signori, è tempo di cambiare alfabeto e di emettere suoni privi di sillabe. Ho sognato mia madre che muggiva, ma io non ero un vitello da latte. Il capro espiatorio si è rotto i coglioni. La solitudine spagnola è piena di sole, quella italiana di nuvole, quella francese di pioggia, quella inglese di orina. La Germania è l'economia più forte d'Europa perché parla tedesco e anch'io, più di vent'anni fa, feci un corso di tedesco dov'ebbi la fortuna di conoscere una inglese alla quale piaceva baciare alla francese (fu un periodo di raucedini). Vorrei identificarmi con qualcuno che avesse la bontà di cedere una percentuale di sicurezza di sé. Al giorno d'oggi sono in molti a credere di essere se stessi, a pronunciare con sicumera: io. A scuola andavo male. Il corpo è una gabbia che fa tutti prigionieri, ma non è che a uscirne. Parliamoci chiaro, Dio: se io ti chiedo una cosa, intensamente, che ne so, duecentomila euro per esempio, cosa dici, me li fai avere? Guarda che dopo ti prego. Grazie. A volte è bene interrompersi. Accendere il fuoco.

Giuliano Ferrara e altre putrefazioni

Certo che se davvero a G. Ferrara fosse data la conduzione di una trasmissione politica in prima serata, si compirebbe definitivamente l'opera di sabotaggio messa in atto da Berlusconi nei confronti del suo principale concorrente: la Rai. In questo Berlusconi, almeno, non avrà fallito in tutti questi anni di governo: riuscire a indebolire la Televisione Pubblica e a minarne, inesorabilmente, la credibilità. Tutto questo nell'impotenza generale di un'opposizione che si è mostrata solo capace di difendere il suo piccolo spazio di propaganda, su Rai Tre, e del resto ha lasciato che ogni cosa si compisse. Che squallore. 
Non va dimenticato, poi, che qualche anno fa Mauro Masi, ex dg Rai, si rifiutò di rinnovare l'accordo con Sky per trasmettere, su tale piattaforma satellitare, tutto il pacchetto dei canali Rai aggiuntivi; 60 milioni di euro all'anno moltiplicati per 5 anni: 300 milioni di euro che i desiderata del premier hanno impedito di far arrivare nelle casse della Rai. Andrebbe chiamato in giudizio per questo il Masi, vomitevole individuo.
...
Ma il punto è sempre lo stesso: i danni prodotti dal ventennio berlusconiano sono così tanti che, se messi in fila, non potremmo non constatare come essi abbiano incancrenito l'Italia ben più di quanto fecero “quarant'anni di potere democristiano”.  Ma il problema è, appunto, metterli in fila tali danni, ricordarli tutti, affinché tutti siano, dopo, rinfacciati a coloro che ancora si fanno scudo della pallida veste della democrazia. Un anno e mezzo ancora sulla carta per farli ridere e godere. Un anno e mezzo di ministri leghisti al governo, di Gelmini, di Sacconi, di Brunetta e di altri pessimi figuri di sostengo in parlamento e alla televisione. Un anno e mezzo di putrefazione.

Bionda non guardar dal finestrino




venerdì 28 ottobre 2011

7 miliardi + uno (forse su Raidue)

The Big Picture
The Big Face Ass

Madame Ullmann c'est moi

Una diaspora all'incontrario

«Cerco un'Europa che era ancora europea. 
In fondo Lei dovrebbe capirle queste cose, Mister Jacob G. Brodny. Prima di tutto, direi, in qualità di ebreo nostalgico. Oggi anche l'Europa, come ogni buona provincia americana, è pressoché libera  dalla presenza ebraica; ma un tempo non era così, vero? Se anche non era quella promessa, si trattava pur sempre di una terra sperimentata e amata da tanto - una terra dove voi ebrei vedeste compiersi molte delle vostre più ardite promesse, ma soprattutto: dove trovaste i vostri più spietati assassini - e questo è un fortissimo fattore d'unione, vero?..»
Gregor Von Rezzori, La morte di mio fratello Abele, Studio Tesi, Pordenone 1988 (trad. Andrea Landolfi).

Velocemente, tanto per aggiungere un “se” inutile tra gli innumerevoli. Se Israele non fosse stato “creato” e gli ebrei fossero rimasti saldamente ancorati all'idea d'Europa (e con gli ebrei intendo tutto il genio ebraico), ovvero se quel pezzo di merda d'assassino di Hitler e dei suoi scherani non avessero compiuto ciò che covava da secoli di odio antiebraico in Europa (per i supposti deici, insomma), ecco, mi chiedo, l'Europa sarebbe in condizioni economiche, culturali migliori?
Già perché - e lo dico solo con una certa punta d'invidia - in Israele, piccolo staterello vicino orientale, di crisi economiche ce ne sono francamente poche, eppure cos'ha di diverso dalla Grecia? Governanti migliori, più economi? Non mi si accusi di fomentare chissà quali sospetti antiebraici legati alla finanza mondiale. È solo per sapere come loro, gli ebrei, riescono, là dove i greci (e perché no?) e gli italiani riescono meno. Tutto qui.

Un punto nel cerchio

In questa fase della vita eretta, dove molte volte il cazzo ragiona al posto del cervello, chi ha smarrito modelli e fedi si sente perso nel vuoto universo e alle cose più non sa dare nome.
Tutto sembra così privo di significato! Lo scorrere dei minuti è così veloce che per ognuno che passa ci si sente in colpa per non averlo fermato. Li spendiamo tutti, come fossero soldi per ripagare il debito greco. Ma la tragedia greca vera è nostra, ce ne dimentichiamo troppo spesso.
Siamo dentro al cerchio e non c'è verso di uscirne. Per qualsiasi scelta ce n'è un'altra che la mette in discussione, e tutte le volte il pensiero del se provoca la paralisi per le seguenti decisioni. Si tentenna, non siamo mai sicuri e coloro che ostentano sicurezza lo fanno soltanto per darsi un tono, per recitare la parte degli eroi che non dubitano e che sanno il fatto loro. Altro tipo di morte, per carità legittima, ognuno ha il suo carattere, la sua forza; ma il punto è che il cerchio che ci chiude è sempre quello nascita, nutrimento, crescita, amorazzi vari (riproduttivi o meno), declino della vecchiaia e morte. O scappa te se ci riesci; esci dalla giostra, tu, che tutti i giorni sorridi come un ebete cercando di infinocchiare gli altri di avere la ricetta della felicità. Mi auguro soltanto che tu abbia dentro te un barlume di coscienza che ti salva dal credere nel monte di cazzate che diuturnamente dici. L'uomo è condannato a pensare e se il pensiero diviene soltanto mezzo per soddisfare i bisogni primari non sarebbe uomo, ma ancora bestia, ancora Gasparri, forse.

«La coscienza di un impossibile al fondo delle cose unisce, obliquamente, gli uomini. La ragazza e il ragazzo si confondono in una esplorazione innominabile (degli orifizi dell'immondo). Il genere umano è unito nel ricordo del suo delitto: Dio portato in giudizio, condannato, messo a morte.
Le due immagini più comuni: la croce, il cazzo» Georges Batailles, Le Petit, Paris 1963 (ed. italiana in Tutti i romanzi, Bollati Boringhieri, Torino 1992).

Dio, il nostro presunto creatore o artefice, non è stato certo previdente nel considerare i risvolti di pensiero a cui poteva giungere l'uomo. È per questo che Dio non c'entra o non c'è. Tutto si è moltiplicato e diffuso da un qualcosa che ha provato a sfuggire all'inerzia strofinando se stesso contro qualcosa. È per questo che l'unico elemento che ci lega con la prima forma di vita comparsa sulla terra è lo struscio. Questo girare a vuoto dentro la biblioteca di Babele per dare forma a qualcosa che già c'era, bastava trovare lo scaffale giusto, dove c'erano scritte queste quattro conneries

P.S.
E io che stasera avrei voluto essere utile a qualcuno che si sentiva triste, per dargli una qualche ragione in più per credere che l'assurdo è qualcosa con cui ridere insieme, e non piangere, almeno se c'è ancora la salute. La salvezza è stare bene, in qualsiasi modo bene, dato che il pensiero può viaggiare solo a questa condizione. Quando il dente duole non ci sono cazzi. E io posso essere tutto per te, amica, tranne che un dentista.

giovedì 27 ottobre 2011

Dormiveglia

Tutto ritorni come era. Lo decidano le rondini.
Da quale istante? L'infanzia? Oppure l'estate passata?
Farli rivivere tutti? Tutti insieme in gran disordine?
Più che un delirio in sordina il dormiveglia è una sfuriata
afona ne approfittano i gridi per timbrarla a secco.


Inesatto inseguimento di raggiri nel dormiveglia
i gridi delle rondini deridono chi non si arrende
vorrei posare la mano su una spalla verde e vermiglia
costretto ad un sorso solo il sonno beve le rondini
contro il ritorno stridendo trafiggono un arco di cerchio.

Toti Scialoja, Rapide e lente amnesie (1994), in Poesie, Garzanti, Milano 2002

Contributo minimo alla riflessione sulla fede

*
Non credo che, questa volta, il Papa abbia tutti i torti. 
Anche se il difetto sta a monte, ovvero nella fede, nel dover credere a qualcosa che non c'è o, se c'è, non è mica tanto degno di essere creduto.
Tuttavia, il vero problema, non è tanto che le fedi esistano, quanto che esse pretendano di far valere i loro assunti anche nei campi in cui esse non dovrebbero avere alcuna voce in capitolo. Per esempio, nelle cose della repubblica, nelle cose in cui una fede vale l'altra e tutte insieme non valgono un cazzo.
Nei loro club privati i credenti stabiliscano pure le regole che vogliono e le seguano pure se questo è loro desiderio. Ma non pretendano di far valere i loro dogmi dove la vita è l'unico orizzonte possibile e l'aldilà è un argomento fasullo per mettersi d'accordo, qui e ora, io e te, noi, che abbiamo necessariamente fedi diverse o non le abbiamo affatto.
Infine, se da una parte può avere ragione, dall'altra, di schianto, B16 ha subito torto: «Gli agnostici alla ricerca della verità aiutino i non credenti a liberarsi dalle false certezze». È una frase di merda, vero?
Mi fa fatica perfino confutarne i torti. Ma ci provo, anche se ho da fare la minestra.
Gli agnostici... solo coloro che cercano la verità hanno "diritto" di aiutare i non credenti? 
Primo: perché bisogna cercare per forza la verità? Preferibile, va da sé, scoprire la menzogna - e non è la stessa cosa scoprire il falso dal trovare il vero.
E poi: perché si dovrebbe aiutare i non credenti? Ma cazzo, sono i credenti che vanno aiutati, altro che. Perlomeno sono loro che dovrebbero mettere a ferro e fuoco il valore della loro fede. Anche perché i non credenti non hanno false certezze, dato che non credono! Caso mai, appunto, i credenti hanno false certezze (eccome se le hanno).
Ma mi fermo, ripeto: ho da fare la minestra, che vale più d'una preghiera.

UPDATE
La minestra è pronta. Mentre raffredda, leggo la Kristeva.

mercoledì 26 ottobre 2011

Efficientamenti

Rilassato dopo una bella pasta al sugo, vista - sul Journal di France2 - la trepidazione per quanto succede ora a Bruxelles, indossati i pantaloni di una tuta per liberare le palle dalle stretture dei jeans moderni, ecco che mi leggo, beato, la lettera che 'l governo italiano ha scritto all'Ue. 
Essa è composta da quattro punti cardine e una Premessa:

A.I fondamentali dell'economia;
B.Creare condizioni strutturali favorevoli alla crescita
  • a) Promozione e valorizzazione del capitale umano
  • b) Efficientamento del mercato del lavoro
  • c) Apertura dei mercati in chiave concorrenziale
  • d) Sostegno all'imprenditorialità e all'innovazione
  • e) Semplificazione normativa e amministrativa
  • f) Modernizzazione della pubblica amministrazione
  • g) Efficientamento e snellimento dell'amministrazione della giustizia
  • h) Accelerazione della realizzazione delle infrastrutture ed edilizia
  • i) Riforma dell'architettura costituzionale dello stato
C. Una finanza pubblica sostenibile
  • Le pensioni
  • La delega fiscale e assistenziale previdenziale
  • Le dismissioni
  • La razionalizzazione della spesa pubblica
  • Debito pubblico
  • Il costo degli apparati istituzionali
  • Il pareggio di bilancio
  • Definire le ulteriori misure correttive eventualmente necessarie
D. Conclusioni

Di tutta questa brodaglia schematizzata, c'è soprattutto un neologismo (per me lo è almeno) che mi preoccupa: efficientamento. Mi sembra un avverbio temibile, che mi ricorda, a tutta prima, il piallamento dei coglioni. Più questo governo dura, più noi italiani corriamo il rischio di diventare angeli. 
È per questa ragione che mi tocco le palle adesso, per ricordarmele il giorno in cui non ce l'avrò più.

Parliamo di cose serie

«L’homme éjacule en moyenne 500 millions de spermatozoïdes par orgasme. On peut évaluer entre 20 et 50 litres la quantité totale de sperme éjaculé par un homme au cours de sa vie, suivant son comportement sexuel.» Agnès Giard
La faccio io la moltiplicazione?

Editoriali paratattici

Lo stile paratattico viene usato quando si vuole dare al lettore l'idea di avere le idee chiare e di mostrare di saperla lunga con frasi corte, secche, precise. Tale stile è frequentemente usato a livello giornalistico, con articoli scritti a tarda sera, con urgenza, poco prima di andare in stampa. È il caso dell'editoriale del direttore del Corsera, Ferruccio De Bortoli. «Mettere il Paese davanti a tutto» è il titolo, giusto per indicare che lo stare davanti è, necessariamente, l'unica condizione per pigliarlo didietro.
E fintanto che a prenderlo didietro è il Paese, De Bortoli continuerà ad assumere la sua classica, scipita, posizione bipartisan, di colui che dice dice, e poi non dice un cazzo. L'editoriale di oggi ne è esempio lampante: sembra di leggere le istruzioni dettagliate di una ricetta, seguendo le quali - si lascia intendere - alla fine si avrebbe la soluzione del caso Italia. E invece non è così: provate a mescolarli tali ingredienti e a metterli in forno; scoprirete che il risultato sarà un autentico niente di fatto cor sugo 'ntorno.
Mai una volta che al Corriere si prenda una posizione netta, precisa contro chi comanda. Sempre nel mezzo, nell'equilibrio, per non scontentare nessuno, per lisciare sempre il pelo a quei bestioni infami che presiedono al potere. Nemmeno ora al Corrire hanno il coraggio uscire dall'incertezza e dire forte e chiaro che il nostro governo, è un governo di merda.
Il Cavaliere, con il quale la storia sarà meno ingenerosa della cronaca, è anche uomo d'azienda. Sa valutare il momento in cui è necessario mettersi da parte per salvare la sua creatura, il partito e le future sorti del centrodestra italiano. Ma prima ancora viene il Paese. Una volta tanto.
Tale carezza sulla crapa berlusconiana è mal riposta: quando mai, infatti, Berlusconi ha dato prova di “saper valutare il momento in cui” sarebbe “necessario mettersi da parte”? Mai. Mai nella sua vita Berlusconi s'è messo da parte. È sempre stato nel mezzo a rompere i coglioni alla storia, e siamo in molti qui in Italia ad aspettare quel momento in cui Berlusconi sarà passato definitivamente alla storia, soprattutto per vedere chi avrà il coraggio di essere con lui generoso storicamente (volevo dire: intellettualmente).

Certo l'Italia, o meglio, una parte di essa riesce ancora a farsi strada e a tenere a galla sto Paese. Ne dà prova il saldo attivo delle esportazioni. E qui prendiamo De Bortoli per il bavero (amichevolmente) perché faccia lui, al posto nostro, questa domanda: per quanto hanno inciso l'azienda berlusconiana e il governo in tale conto? La sparo a occhio: pressoché zero. Cosa cazzo vuoi che esporti Mediaset infatti? Mediaset (a parte qualche partecipata spagnola) non esporta un fico secco, forse qualche film o sceneggiato con la Medusa (e sai che i film italiani incassano parecchio all'estero, pensiamo all'ultima tragedia di Tornatore). La Mondadori, forse, è messa meglio: nel suo portafoglio esistono valori esportabili. Ma poi che cosa? E il governo? Siamo sicuri: nessuna ditta italiana, nemmeno quella in cui i titolari sono sfegatati berlusconianleghisti, ha il coraggio di porre sui loro pallets la faccia del nostro caro leader; e alle varie fiere campionarie sparse per il mondo, negli stands italiani non sventola certo la bandiera del governo del fare.
De Bortoli quindi nemmeno oggi chiede esplicitamente a Berlusconi ti dimettersi: notate il "se":
Berlusconi sembra voler sopravvivere a se stesso. Ma se non è in grado di adottare, per l'opposizione della Lega, provvedimenti seri ed equi, non solo sulle pensioni, ne tragga le conseguenze. E in fretta. Vada da Napolitano e rimetta il mandato. Esiste in Europa, piaccia o no (a noi non piace perché vi vediamo anche un pregiudizio anti-italiano) un problema legato alla persona del premier, più che al governo. E la colpa è solo sua.
E come pretendere che Berlusconi dica (o si accorga) che non è in grado di adottare provvedimenti seri? E infine, un'altra slinguazzata che ho messo in grassetto apposta. È giusto che ci sia in Europa un pregiudizio anti-italiano, dato che l'Italia non ha alcun mezzo democratico (pressione mediatica per es.) per togliere il tappo fissato con la ceralacca che ci governa. Quale altra democrazia, infatti, può tollerare un Berlusconi al governo? La Russia, forse.

martedì 25 ottobre 2011

Brutta nel muso e fatta male addosso


Poi si capisce perché, ultimamente, Gionni Elkann e Sergius Marchionne sian diventati filo governativi e abbiano lasciato Confindustria.

Ne ho vista una in borghese di Freemont questi giorni davanti a me sulla strada. Certo che il bellino gli dà poca noia. Ha un muso che mi sembra un incrocio tra Gasparri e La Russa. Il che è tutto dire.
Come intitolava il mitico Cuore ogni volta che la Fiat si apprestava a far uscire un modello nuovo?
Mi sembra tipo... È arrivata la nuova Fiat Freemont: festa grande alla Volkswagen.

Glande Fratello

Pare sia cominciata la nuova stagione del Grande Fratello. E se accadesse che, a guardare tale trasmissione, fossero più coloro che sono presenti nello studio televisivo, rispetto ai telespettatori a casa, l'Auditel misurerebbe tale indice di ascolto? Dubito. Gli sponsor della trasmissione resterebbero delusi. 
Ripeto una cosa da fare, non nuova ok, ma rivoluzionaria più dei lanci degli estintori: qualche valoroso potrebbe segnarsi tutte le pubblicità che passano durante la trasmissione, per poi diffondere tale elenco sia in rete, sia con un volantinaggio in tutti i supermercati italiani, in tutte le banche e uffici postali e in tutti gli altri luoghi di commercio della penisola? Una lista nera di cose da evitare, da boicottare per dimostrare che in Italia non tutto è perduto e che una minima resistenza è possibile. (Certo che, se nell'elenco c'è il Caffè Qualità Rosa della Ragazza, sarà un grosso sacrificio, sarà).

Basta un sillogismo

«Una sola dimostrazione mi colpisce più di cinquanta fatti. Grazie all'estrema fiducia che nutro per la mia ragione, la mia fede non è alla mercé del primo saltinbanco. Pontefice di Maometto, raddrizza gli storpi, fa parlare i muti, restituisci la vista ai ciechi, guarisci i paralitici, resuscita i morti, restituisci agli sciancati le membra che loro mancano, miracolo non ancora mai tentato e, con tuo grande stupore, la mia fede non sarà affatto scossa. Vuoi che divenga un tuo proselito, metti da parte i tuoi giochi di prestigio e ragioniamo. Sono più sicuro dei miei ragionamenti che dei miei occhi. Se la Religione che tu mi annunci è vera, la sua verità può essere messa in evidenza e dimostrata con delle ragioni invincibili. Trovale, queste ragioni. Perché mi assilli con dei prodigi quando per abbattermi non hai bisogno che di un sillogismo? Ti è forse più facile raddrizzare gli storpi che illuminarmi?» Denis Diderot, Pensieri filosofici.
Paradossalmente, deviando il discorso sulla miseria politica italiana, non sono stati sufficienti decine di migliaia di sillogismi per abbattere il regime quasi ventennale dell'abiezione berlusconiana. Nessuna ragione ha potuto abbatterli, dato che sono sempre sopravvissuti fuori di essa. E le risate di Sarkosio sono necessarie, così come lo sguardo di pena della Merkel. L'Italia è il paese più irrazionale d'Europa, potremo inaugurare parchi a tema su questo. Altro che Gardaland, altro che Mirabilandia: siamo lo Stato più paradossale d'Europa, foss'anche solo per la questione vaticana. Ovverosia: fossimo totalmente uno Stato Pontificio, almeno forse saremmo più coerenti, più razionali, a farci governare totalmente dai militi di Cristo. Ma così, in questa perenne incertezza, dopo cinquantanni di tentennamenti, possiamo dire che l'Italia, vista da fuori, è uno Stato comico. Vista da dentro, meno; anzi: il contrario.

Vademecum indesiderati


Non sono cliente delle Poste Italiane e non ho alcuna carta di credito che fa riferimento a esse. Inoltre, non gli ho mai dato l'indirizzo di posta elettronica. Quindi, che cosa diamine m'inviano stocazzo di vademecum?

lunedì 24 ottobre 2011

Un eroe dei nostri tempi

Città del Vaticano | euronews, no comment

A un signore così, i black block gli fanno una pippa.

L'uomo del suolo

«Per riabilitare l'escatologia e la teologia, la strada migliore è quella di demolire l'umanesimo, la pretesa cioè di costruire la storia secondo dimensioni umane e di costruirla secondo un ritmo progressivo e ascendente. Ma l'uomo dell'esistenzialismo è l'uomo a cui danno ragione il dolore e la violenza, il tragico e l'assurdo; è l'uomo non sollecito di una felicità e di un benessere terrestri, l'uomo non euclideo, direbbe Dostoevskij». Remo Cantoni, “Uomo e sottosuolo”, Il Politecnico n. 35, gennaio-marzo 1947
Facciamo i conti con quest'uomo. Soprattutto: stiamogli accanto, sorvegliamolo, ché non si butti facilmente tra le braccia di fedi che, all'apparenza, gli garantiscono una pseudo consolazione chiavi in mano: due preghiere, due candele, un battesimo, una comunità con la quale privarsi della propria identità e riconoscersi solo nel gloria a Dio nell'alto dei Cieli.

Le dimensioni umane della storia vedono sì un'evoluzione, un'indubbia crescita, uno stare meglio collettivo rispetto ai tanti secoli vissuti sotto schiavitù, freddo e miseria. Ma qui si parla d'altro, naturalmente. Qui si chiede conto, oltre che del corpo, di quello che in molti credono ancora separato da esso, lo spirito. 
Non vendetelo, lo spirito, ovvero quella parte di corpo deputata al ragionamento, alle credenze, all'emozione, al sentimento. Tenetela ben stretta, dacché l'illusione della gioia che ci aspetta al dopo morte è qualcosa che non ci riguarda, che non riguarda la vita ora perlomeno. Lo so che il sorriso da tenere a mezze labbra è sempre preferibile al ghigno del misantropo. Ma per essere filantropi, appunto, occorre sempre dire le cose come stanno, e che la vita ha grande percentuale di dolore, di violenza, di tragico e di assurdo. E addebitare queste cose a un immaginario piano divino moltiplica il non senso per se stesso, con il risultato di «demolire l'umanesimo, la pretesa cioè di costruire la storia secondo dimensioni umane». Ma non pretesa tentare di rendere tutto più umano, e di estendere questo concetto non solo all'umanità, ma a tutte le forme di vita, ovvero a tutti coloro che in qualche modo nascono, vivono, si riproducono e muoiono - come bestie. La morte, questa presenza che riguarda tutto quello che ha a che fare con la vita, non deve essere espulsa dalla vita in un sopramondo riservato ai concetti immaginari della teologia. La morte deve restare in campo, come concetto, pensiero permanente, sì da poter trarre dalla vita tutto il suo più splendido succo - e condividerlo, con altri morenti. Questo è l'unico, possibile banchetto degli dèi, l'unica ambrosia.
E a te amica che mi stai accanto in certi giorni in cui la tristezza non vuol proprio passare, sappi che stai compiendo un gesto che nessun Dio può compiere: quello dell'abbraccio, quello di asciugare alcune lacrime inopportune che la luce fioca del cielo ha provocato.
Ricorderò il tuo volto, garanzia dell'eterno.

domenica 23 ottobre 2011

Fosse per me, includerei il mondo senza tante storie

«Che cosa significa per il cristianesimo l'idea che esistano altre religioni universali o dalla potenziale destinazione universale in aree non piccole del pianeta? Sono le altre religioni vie equivalenti al cristianesimo per accedere al mistero della divinità e farne esperienza salvifica? Se sì, a che scopo un cristiano dovrebbe impegnarsi per l'annuncio del Vangelo nel mondo? Se no, quale senso ha il dialogo interreligioso e come intenderlo?»
Questo incipit dell'articolo di Bruno Forte  (arcivescovo di Chieti-Vasto, fine teologo, pubblicista), in prima pagina de Il Sole 24 Ore di stamani, richiama subito la mia attenzione. Dico: finalmente, si arriva al punto: perché, appunto, esistono tante religioni se Dio in fondo è uno solo?
Svelto, raggiungo pag. 15 dove leggo il seguito. Delusione. Sono ingenuo, cado sempre nella trappola di chi crede che, un giorno, un alto rappresentante della Chiesa possa rinunciare al primato del proprio credo.
Ma vediamo. Bruno Forte parla delle tre principali posizioni di fronte alla questione: 

  • l'esclusivismo, «per il quale nessuna religione è salva ad di fuori del cristianesimo» (o anche di altro tipo di religione);
  • il pluralismo relativistico, secondo il quale il cristianesimo (o altra religione) non è la religione assoluta, ma uno dei tanti possibili modi per incontrare il divino. Certo, Gesù Cristo è una della star principali e più influenti, ma non è l'unico tramite per arrivare a Dio;
  • l'inclusivismo. E questa è la posizione più cara a Forte e alla maggior parte dei pensatori cristiani. Essa afferma, in sostanza, che «Cristo è l'unico mediatore e senza di lui non c'è salvezza. Tuttavia», concede Forte, «l'adesione a Cristo può avvenire sia in forma esplicita, sia in maniera più o meno implicita, ad esempio attraverso il desiderio del battesimo per coloro che non possono conoscere ancora Dio in Gesù, ma sono già in certo modo uniti a Dio. Le vie misteriose dello Spirito di Cristo, insomma, raggiungono ogni persona onesta che cerchi Dio e apra a Lui le porte del suo cuore. Ecco, allora, l'importanza di scoprire Cristo quale punto di riferimento irrinunciabile senza negare il rispetto dell'altro».
Inclusivismo: se togli “-sivismo” e sposti la “l” dopo la “u” ci si avvicina a cosa, in realtà, s'intende con tale posizione.
Il desiderio del battesimo, che cos'è? Io, come tanti, non ho mai desiderato di essere battezzato. Non potevo. Lo sono stato, e amen. Così come ho preso la confessione e la comunione, la cresima e, non infierite, il matrimonio. Quindi, ho una nutrita serie di sacramenti sulle spalle. Escludendo l'ordine sacro, me ne manca uno (non ditemi di togliermi la mani da lì). Ecco, ci pensavo questi giorni. La confermazione o cresima avrebbero dovuto metterla intorno ai quaranta/cinquant'anni, mica a tredici/quattordici. Mi ricordo a malapena della mano unta del vescovo che si pose sulla mia fronte, e meno male solo lì, a me, ragazzino pallido in attesa che tutto fosse presto finito per tornare a giocare a pallone in strada. Se dalla diocesi ci richiamassero tutti, classe dopo classe, per vedere un po' come la pensano gli ex-giovani cristiani, dopo tanti anni, passati a far peccati, ad allontanarsi gradualmente dai dettami della Chiesa, non ascoltandola manco per il cazzo sul fatto del preservativo e altro ancora, denigrandola profondamente, da sempre, sul loro generale appoggio al potente di turno della storia, di qualsiasi razza esso sia. 
Ma tutto sarebbe stato nella norma, in fondo il mio cattolicesimo s'era persino un po' ristabilito, causa René Girard e il suo pensiero; ma Darwin incombeva, e non solo lui, 2003, anno per me fatale del cinquantenario della scoperta del Dna. L'orologiaio cieco, Dawkins, Dennett, Harris, Pinker, la perdita graduale di una fede che, in fondo, non era mai stata tale. Certo, le preghiere qualcuna la so ancora, qualche salmo in traduzione ceronettiana me lo porto dietro. Ma mi sento ancora cattolico? No, però lo sono sulla carta, non si cancellano i sacramenti e io certo non vado a farmi sbattezzare, cosa c'entra, non sono un fanatico del niente, sono un verme, me li tengo, non sia mai che a novant'anni la paura della morte mi porti di nuovo in chiesa a pregare in ginocchio per non diventare rincoglionito o paralizzato. Come vedete, sono un utilitarista della peggior specie. Certo, in coscienza, adesso non posso dirmi cristiano in senso tecnico, né tantomeno cattolico (anche se ho la patente per esserlo). Non ci credo e non mi sento figlio della Chiesa, molto semplicemente. Non capisco più come si possa cercare Dio. O meglio: non capisco come Dio possa essere oggetto di culto. Per ovvie ragioni. La prima: Egli (o Ella) deve provare la sua esistenza; per adesso è un Ni-Ente, esiste solo come prodotto della mente di alcuni gruppi umani organizzati in religioni. La seconda: se nella remota ipotesi Egli esistesse, dovrebbe spiegare perché di tutto il "creato", solo in una piccola parte c'è vita; e perché poi, di tutte le forme di vita, solo una di esse ha, non dico la coscienza (anche i cani, in un certo senso, hanno coscienza per me), ma l'idea che Egli esista: insomma, perché solo noi umani crediamo che tutta la messa in scena del "mondo" sia stata creata apposta per la nostra recita? Terza ragione: Egli, dando prova della sua esistenza e spiegazione del fatto che tutto l'universo sia stato creato in funzione della nostra specie, deve infine dirci le ragioni per le quali siamo noi i protagonisti di tutto questo spettacolo più grande dopo il bigbang: eravamo gli unici attori in grado di recitare la parte dei credenti? Perché i pesci palla non andavano bene? Quarta ragione (anche se la lista delle ragioni per non credere sarebbe interminabile), Dio dovrebbe spiegarci perché nell'antichità si manifestava con maggiore frequenza, di quanto invece faccia nella modernità; ovvero perché nella nostra epoca, così adatta alla diffusione dei prodotti commerciali, non scrive un nuovo best-seller di persona, senza affidarsi a falsi profeti o imbonitori televisivi.

Infine, per tornare alla serietà delle considerazioni teologiche di Bruno Forte, vorrei far notare che se «Cristo è un punto di riferimento irrinunciabile» come si fa a portare rispetto a coloro che non crederanno mai a tale assunto? Vale a dire: come potremo sentirci fratelli di coloro che rinunciano volentieri a Cristo? In poche parole: un cattolico schiacciato dal terremoto a L'Aquila ha più possibilità di salvezza di uno scintoista giapponese inghiottito dal maremoto, o di un musulmano turco seppellito dalle macerie?

L'ora del maiale bianco

Io non sarò mai un dirigente di partito, tipo Civati. Ma se lo fossi, e avessi potere di parola ai congressi, o nei luoghi dove la politica ancora viene "ascoltata", farei delle parole seguenti di Olympe, l'epigrafe di ogni mio discorso:
La tenia, vale a dire il verme solitario. Mangi sempre di più per nutrire il parassita che ti divora dall’interno. La ormai ossessiva parola “crescita” è come l’azione della tenia. Viviamo in un sistema finito, non illimitato. Chi ha detto che non può esserci sviluppo senza “crescita”? I maggiordomi del capitale. È come sostenere che un organismo non può vivere senza iperalimentazione. Ma questa è per l’organismo causa di squilibri, di malattie, così come l’accumulazione di capitale, per se stessa, è la causa degli squilibri del sistema economico.
E insistere sullo sviluppo, come fa la Marcegaglia al congresso dei giovani industriali a Capri (a Capri vanno gli industrialotti, mica nel Varesotto), è voler ancora ingrassare il capitale, quando invece - sappiamo tutti - che è arrivata l'ora di ammazzarlo. Come si fa con il maiale.

P.S.
Secondo voi la presidente della confindustria cosa indica con quel gesto? Uno zero o un buco senza menta intorno? Però, la cara Emma l'è una bella Milf, vero Ghino?

sabato 22 ottobre 2011

Sulla sensibile pelle degli esseri umani

«Voi filosofi siete persone fortunate. Voi scrivete su fogli di carta, mentre io, povera imperatrice, sono costretta a scrivere sulla sensibile pelle degli esseri umani».
Caterina la Grande a Denis Diderot.

Noi blogger, meglio ancora dei filosofi, scriviamo su schermo: siamo ancora più fatui di loro?
Il problema, come sempre, sono gli imperatori. Una volta erano più crudeli, forse, ma almeno avevano un mandato "divino", gli si portava per questo devozione, e ci inchinavamo quando passavano davanti a noi, appunto perché credevamo fossero "sacri".
Gli imperatori di oggi, invece, sono lì a legiferare o a governare perché democraticamente eletti, non perché hanno mandati divini o perché sono "sacri"; siamo noi cittadini che, in teoria (molto in teoria), dovremmo essere i sovrani.  
La moderna democrazia, da troppi anni ormai (è una costante storica, ammettiamolo) manda in scena lo spettacolo indecoroso che vede i servitori avere più potere, più diritti e più privilegi dei veri "padroni" dello stato. Gli eletti scrivono sulla pelle sensibile degli elettori leggi infami, inique; e governano sempre spergiurando su ciò che erano stati costretti a giurare solennemente.
«Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell'interesse esclusivo della nazione»
E la beffa peggiore per noi sovrani (in potenza e mai in atto) è che dobbiamo aspettare cinque anni per dirgli, legalmente, quanto ci hanno fatto schifo.

Linux Day


Con un po' di ritardo, ma dài, c'è ancora tempo: correte, chi può e chi vuole, al Linux Day della città italiana più vicina, così, giusto per capire, che esiste la possibilità di scegliere con quale software guidare il personal computer.
Stamani sono andato a quello vicino a dove abito e, unica pecca, ho notato una netta prevalenza maschile: sull'ordine del 90%, ma vabbé.

venerdì 21 ottobre 2011

Disonoranze funebri

Stamani sono stato alle Nuove Cappelle di Commiato a cercare un morto, così, giusto per sentirmi vivo. Mi sono presentato e l'usciere, come se mi conoscesse da anni, mi ha chiesto: 
«Chi cerchi?».
«Cerco il morto», gli ho risposto, ma lui voleva sapere nome e cognome, però me li sono scordati e lui ha detto che forse doveva arrivare, il morto, dato che l'ultimo carico dall'ospedale non è ancora arrivato, «oggi è tutto ritardato, c'è lo sciopero dei treni, piove come Dio la manda, l'è tutto un macello, guarda che acqua, le fogne non ce la fanno più ad inghiottirla».
Aspetto il morto allora. L'usciere mi fa accomodare nella saletta d'attesa, situata al centro delle due ali adibite, appunto, per le varie cappelle. A una colonna vi è affisso un elenco dei morti presenti, scritto con una biro dall'inchiostro nero. Dev'essere la calligrafia dell'usciere, lo si nota dall'inclinazione dello stampatello maiuscolo. L'uscire è basso, come Scilipoti, ma coi capelli più lunghi e molto più simpatico, per questo inclina la scrittura, mica come quei tapini presuntuosi alti un metro e un cazzo che scrivono grosso e disteso per darsi un tono. 
Mi sono seduto e mi sono messo a leggere delle istruzioni appese a un'altra colonna. Non si possono accendere lumini, ma si possono dire preghiere, e ceri di madonne
Tre signore anziane mi passano accanto cogli impermeabili fradici di pioggia e una di loro mi sgocciola sulle scarpe il suo ombrellino portatile. 
«Dio bestia signora, stia attenta, non vede cosa sta facendo?». 
«Oh, mi spiace, abbia pazienza, non l'avevo vista, mi perdoni» e subito s'infila nel corridoio, inseguendo le altre due che manco si sono accorte di questo dialogo su una riva dello Stige. 
Passa un'ora. Meno male avevo un salvagente.

«Tutti muoiono, ma non tutti sono d'accordo su che cos'è la morte. Alcuni credono che sopravviveranno alla morte dei loro corpi, per andare in Paradiso, o all'Inferno o in qualche altro luogo, diventando uno spirito, o ritornando sulla terra in un corpo differente, forse non più come essere umano. Altri credono che cesseranno di esistere - che il sé si estingue quando il corpo muore. E tra coloro i quali credono che cesseranno di esistere alcuni pensano che questo è un fatto terribile, e altri no.
Si dice talvolta che nessuno può concepire la sua non esistenza e che quindi non possiamo davvero credere che la nostra esistenza arriverà a un termine con la nostra morte. Ma questo non sembra vero. Naturalmente tu non puoi concepire la tua non esistenza dall'interno; non puoi concepire come sarebbe l'essere completamente annullato perché non c'è niente del genere dall'interno. Ma in questo senso non puoi concepire come sarebbe essere incosciente, anche temporaneamente. Il fatto che tu non possa concepirlo dall'interno non significa che tu non possa concepirlo affatto: devi soltanto pensarti dall'esterno, dopo essere stato messo fuori combattimento, o immerso in un sonno profondo. E anche se devi essere cosciente per pensarlo non significa che tu stia pensando a te stesso come cosciente».*

Niente da fare. Un'ora dopo il morto non era ancora arrivato. Forse ho sbagliato Cappelle di Commiato. Forse ho sbagliato città, nazione. Forse ho sbagliato presidente.

*Thomas Nagel, Una brevissima storia della filosofia, Il Saggiatore, Milano 1989

Geppetta


- E se il "burattino" prendesse vita, scappasse di casa, eccetera eccetera, cosa farebbe, signora?
- Lo cercherei, anche in culo alla balena.

giovedì 20 ottobre 2011

Sballottamenti storici

Scrivere noticine a margine, così per ricordarsi le impressioni di questo giorno quando anche tale evento "storico" sarà inghiottito, come tanti, dai vermi della storia. Vedere la belva umana in azione, nonostante la preda fosse uno che belva lo era stato a ripetizione nel corso dell'esercizio del suo potere, fa sempre un certo effetto, no? E l'effetto è questo: il corpo smette di essere sacro, diventa oggetto assoluto, pasto da prendere a brani e condividere. Nutrirsi dei corpi altrui e dire di stare facendo la rivoluzione è un falso, dato che è sempre una perenne ripetizione di ciò che accadde la prima volta, quando i primati fecero cerchio e si avventarono contro il colpevole.
E allora, cosa poteva essere fatto di veramente "rivoluzionario" oggi da coloro che hanno stanato Gheddafi dalla fossa? Una volta preso, catturato, nello sballottamento furibondo, la rivoluzione sarebbe stata solo una carezza di uno qualunque sul quel volto tumefatto. Una carezza, una mano sul corpo morente come il farmaco estremo verso una dolce uscita. Sarebbe stato rivoluzionario "proteggere" quel corpo, ma lo so, era difficile, e poi chissà le conseguenze, gli strascichi, certo meglio così, forse, che impiccarlo poi in modo   ancora più criminoso e più farsesco, come fecero con Saddam Hussein.
E infine, un'ultima cosa da annotare: i "rivoluzionari" e la popolazione liberata, tra le varie cose che certo non capivo, urlavano sicuramente Allah akbar, proprio come Gheddafi, qualche mese fa, in fine di discorso, dopo aver arringato la folla rimastagli fedele. 
Dio è grande, davvero, ma alla fine sale sempre sul carro del vincitore.

Se maschio, non si chiamerà Giuliano (né tantomeno Camillo)

Solo per ringraziare pubblicamente Luigi Castaldi per avermi consentito, in questi anni, di poter leggere/consultare Il Foglio gratuitamente. Non posso che convenire (come non farlo) sulle ragioni da lui addotte per non rinnovare l'abbonamento al giornale che Giuliano Ferrara dirige. Come alcuni si saranno accorti, anch'io da settimane non presto più attenzione alle voci foglianti, giacché non riesco più a contrappormi con le ragioni di chi mi dà, a pelle, il voltastomaco.
A onore del vero, oltre a Il Foglio, ho abbandonato anche altre cose, televisive soprattutto, talk show politici su tutto, dato che leggendoli, od ascoltandoli, cresce in me solo il desiderio di fare solo come i “rivoluzionari” libici con Gheddafi e i suoi mercenari. Sic manet gloria mundi. E io li scanso, io li evito i veri resistenti, i veri recalcitranti perché è venuto il momento - per quanto possibile - di far finta che non esistano. Di non dar loro più la soddisfazione di trovare interlocutori: che parlino tra sé, o con gli imbecilli. Non ho più voglia, voce, tempo per dialogare col pattume intellettuale di certi personaggi che. Mi taccio, detesto diventare cattivo. È così stupido essere cattivi. È così indecente essere foglianti. 

Salve, Regina


Egregio Bruno Vespa,
se fosse messo alle strette e dovesse scegliere quale delle due madonne buttare in terra e calpestare, per quale delle due opterebbe?

mercoledì 19 ottobre 2011

Il ricordo interrotto

«Il ricordo si interrompe là dove il mio pensiero comincia improvvisamente a occuparsi di me».
Thomas Bernhard, Ungenach, Einaudi, Torino 1993 (traduzione di Eugenio Bernardi).

Per questo è così difficile ricordare, così faticoso risalire alle sorgenti del proprio io perduto là negli anni dell'infanzia, rapito dai sogni incerti della giovinezza, obliterato dalle delusioni della maturità. Il ricordo impedito dal quotidiano bisogno di vivere, dalle esigenze del corpo che non sa, che non capisce che, vivendo, sta producendo ricordi che poi, un giorno, potrebbero anche essergli utili per vivere. 
Non conosco nessuno che abbia fatto questo esperimento: annotarsi dettagliatamente tutto quello che accade, minuto dopo minuto, in un giorno della sua vita. Persino i giorni migliori, quelli facili da ricordare - o peggiori, e per ragioni inverse ricordati - sono sempre mancanti di dati, di particolari, per esempio quante volte hai pisciato in quel determinato giorno e in quali gabinetti, o anche semplicemente il sapore esatto del cibo più gradito della giornata.
Me lo ricordo com'erano quei bicchieri di Sassicaia, l'unica volta che l'ho bevuto? Me lo ricordo il sapore della prima volta che ho messo la lingua là dove un giorno uscii (di un'altra donna, certo, non mi chiamo Edipo)? Me li ricordo, me li ricordo, ma non mi sono eterni, e se scavo nella mente li ritrovo contraffatti, perché li moltiplico o li divido, li seziono o li ricucio a seconda dell'umore di quel giorno in cui qualcosa li riporta alla superficie della mente.
Spero che in futuro la scienza e la tecnologia offrano agli umani uno strumento per decifrare tutte le impronte di vita che hanno calpestato la corteccia cerebrale, per poi poter leggere su schermo tali dati e verificare se ci riconosciamo. Poiché è questa la ragione principale per cui non facciamo che gettare ricordi nell'indifferenziato: per la paura di ricordarsi chi eravamo veramente - e non vogliamo certo correre il rischio di trovarci senza alibi; in fondo, siamo noi, allo stesso tempo, imputati e giudici, avvocati dell'accusa e della difesa. E se il processo che, continuamente, ci facciamo ha tempi molto lunghi, indeterminati, che al cospetto, quelli della giustizia italiana, sono rapidi come il frecciarossa, è perché non abbiamo nessuna fretta di trovare il colpevole, dato che molte volte, se lo troviamo, corriamo il rischio di essere più severi dei giudici del Texas.

Fire Extinguisher Throw


Sono indignato. Non capisco, non capisco proprio come ancora Gianni Petrucci, attuale presidente del Coni, non si sia presentato coi suoi avvocati nel carcere di Rebibbia per liberare Er Pelliccia, l'unico italiano che, alle prossime olimpiadi di Londra, potrebbe essere in grado di contendere l'oro nella disciplina del lancio del martello ai bietoloni russi.

martedì 18 ottobre 2011

Le abluzioni di Todi.

Todi, 18 ottobre, dopo la relazione di uno che cattolico non era, né tanto meno cristiano:


[37] Dopo che ebbe finito di parlare, un fariseo lo invitò a pranzo. Egli entrò e si mise a tavola. [38] Il fariseo si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo. [39] Allora il Signore gli disse: "Voi farisei purificate l'esterno della coppa e del piatto, ma il vostro interno è pieno di rapina e di iniquità. [40] Stolti! Colui che ha fatto l'esterno non ha forse fatto anche l'interno? [41] Piuttosto date in elemosina quel che c'è dentro, ed ecco, tutto per voi sarà mondo. [42] Ma guai a voi, farisei, che pagate la decima della menta, della ruta e di ogni erbaggio, e poi trasgredite la giustizia e l'amore di Dio. Queste cose bisognava curare senza trascurare le altre. [43] Guai a voi, farisei, che avete cari i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze. [44] Guai a voi perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo". [45] Uno dei dottori della legge intervenne: "Maestro, dicendo questo, offendi anche noi". [46] Egli rispose: "Guai anche a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito! [47] Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. [48] Così voi date testimonianza e approvazione alle opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite loro i sepolcri. [49] Per questo la sapienza di Dio ha detto: Manderò a loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno; [50] perché sia chiesto conto a questa generazione del sangue di tutti i profeti, versato fin dall'inizio del mondo, [51] dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria, che fu ucciso tra l'altare e il santuario. Sì, vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione. [52] Guai a voi, dottori della legge, che avete tolto la chiave della scienza. Voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare l'avete impedito".  Luca, 11, 37-52.

Lucas non abita lontano da Camaldoli, luogo dove acquistò la Bibbia di Gerusalemme negli anni in cui pensava che un po' di teologia l'avrebbe aiutato a restare cattolico-cristiano, ma invece.
Sono luoghi meravigliosi quelli di Camaldoli, soprattutto in queste stagioni. Si raccolgono castagne come in un giardino. E il monastero, se ci vai nei feriali, quando c'è solo il silenzio e il ciabattare di qualche frate scalzo, ha un suo fascino; e la Foresteria ti attrae e ci vorresti, più che pregare, portare in preghiera una raffinata Milf laica che si mette ginocchioni a regalarti le gioie dell'eterno. Di Camaldoli ora mi ci vorrebbe una di quelle caramelle alla menta e all'eucalipto - che fanno fare, non mi ricordo più dove giù nel Lazio - che poi spacciano come prodotto locale, hai capito, i frati sono millenni che sono nel commercio.
La Chiesa si preoccupa tanto per le sorti dell'Italia. Che carina, a Lucas piacerebbe tanto che l'Italia, un giorno, possa ricambiarle il favore. Vale a dire, dice Lucas, perché anche noi italiani, indipendentemente dal fatto se siamo religiosi o meno - non ci ritroviamo un giorno a Camaldoli o a Todi per preoccuparci delle sorti del Vaticano? Perché, insomma, in Vaticano - che è uno Stato a sé, come l'Italia - gli italiani non possono occuparsi attivamente della vita politica e religiosa dello Stato Pontificio? 
Fondare così un bel partito repubblicano che si batta, in primo luogo, per l'elezione a suffragio universale dei propri rappresentanti, per portare una ventata democratica in un luogo che non la conosce affatto. La democrazia, intendo.

Un miracolo di poeta

«Siamo assurdamente assuefatti al miracolo che qualche segno scritto possa racchiudere immagini immortali, intrecci di pensiero, mondi nuovi con persone vive che parlano, piangono ridono. Lo diamo per scontato con tale naturalezza che in un certo senso l'atto stesso di accettare la cosa con la bruta indifferenza della routine fa sì che annulliamo l'opera del tempo, la storia del farsi graduale della descrizione e della costruzione poetica, dall'uomo scimmia a Browning, dall'uomo delle caverne a Keats, [da Berlusconi a Zanzotto]. Cosa succederebbe se un giorno tutti noi ci svegliassimo e scoprissimo di non sapere assolutamente leggere? Vi auguro di trattenere il fiato stupefatti non soltanto per ciò che leggete ma anche per il miracolo che sia possibile leggerlo».

Vladimir Nabokov, Fuoco pallido, (ed. orig. Pale fire, 1962), Adelphi, Milano 2002 (trad. di F. Pece A. Raffetto).

Tornare a casa, accendere il pc, e constatare che muoiono sempre le persone sbagliate (mai un Andreotti, per esempio).
Duemilaundici nefasto per la poesia italiana. Il 24 maggio scorso morì Giovanni Giudici. Oggi Zanzotto, appunto. Com'è triste sentire che il Novecento si sta lentamente staccando dal secolo che viviamo. Certo, ce lo portiamo dietro il Novecento, ci mancherebbe. Sulle spalle dei giganti camminiamo.
Devo dire qualcosa, anche se non so cosa esattamente. Tra i miei tag si noti Zanzotto e quanto mi sono contenuto a citarlo e riproporlo.  
Zanzotto poeta della difficoltà, milioni di cellule impegnate a dettare vocaboli, vocativi, rime, rimandi, allitterazioni, sonetti, eccetera eccetera.
Dice il nostro presidente Napolitano:
La terra veneta e l'Italia perdono un grande figlio, un interprete sensibile dell'esperienza di vita e dei sentimenti del suo popolo, una personalità civilmente impegnata nella difesa del patrimonio culturale e dei valori nazionali della nostra Italia
E sbaglia: il poeta, per essere poeta, non è mai interprete sensibile dei sentimenti del suo popolo, giacché se il poeta traesse ispirazione dai sentimenti del popolo sarebbe sufficiente comporre un'ode al rutto, all'urlo, allo slogan, alla frase fatta, e al posto dei politicanti, dei farneticanti e dei cantanti, tutte le sere il primetime sarebbe dedicato alla poesia.
Cosa accade nella mente del poeta quando compone. Rimando a Pale Fire di Vladimir Nabokov, straordinario libro, vertiginoso.
Ancora una volta si conferma una cosa che avevo già notato: i poeti, quando muoiono, non lasciano figli poeti, si disperdono come soffioni e inseminano la mente del mondo. Ora, può anche darsi che i figli di Zanzotto qualche verso l'abbiano anche scritto. Ma non possono certo prenderne il potere evocativo, illuminante. Non sono mica aziende le poesie, mica farmacie, studi notarili, eccetera.
La poesia non è teleologicamente orientata. Zac! bella scoperta...

Tra le stelle non mi smarrirò
che sulla spalla mi apporta e sul futuro
sfrangiarsene dell'inverno
la tua non scarsa non avara oblazione a sera.¹

Ma adesso a tavola, alla salute di Andrea Zanzotto, alla sua presenza/assenza, al fatto che siamo stati, per un certo tratto di vita, suoi contemporanei.
La salvezza è vicina, terrena, terrena. 
Buon appetito.

(Porca miseria: non mi riesce trovare una plaquette di Zanzotto² che fu pubblicata poco tempo dopo l'uscita del suo Meridiano e non posso quindi riscrivere qui una sua splendida poesia, l'unica sua che sono riuscito a mandare a mente, talmente bella, ma allora se sono riuscito a mandarla a mente, la dico a voce, provo, ho la raucedine, ma provo lo stesso, dài (vedrò che posso fare, non ho mai caricato niente su youtube).

¹Galateo in bosco, "Indizi di guerre civili2"
²Sull'Altopiano e prose varie, introduzione di Cesare Segre, Neri Pozza, Vicenza 1995

lunedì 17 ottobre 2011

Deus sive Potere

foto via Big Picture
«Poiché l'intelletto di Dio non si distingue dalla sua volontà, affermiamo la stessa cosa quando diciamo che Dio vuole o quando diciamo che Dio intende una cosa; sicché la necessità, per la quale discende dalla natura e dalla perfezione divina che Dio conosca una cosa così come essa è, è la medesima per cui ne discende anche che egli la voglia tal quale essa è. E, siccome nulla è necessariamente vero, se non per il solo decreto divino, ne segue nel modo più evidente che le leggi universali della natura non sono se non decreti di Dio, discendenti dalla necessità e dalla perfezione della natura divina. Perciò, se avvenisse in natura qualcosa che ripugnasse alle sue leggi universali, ciò ripugnerebbe necessariamente anche alla volontà, all'intelletto e alla natura di Dio; ovvero, se si affermasse che Dio opera alcunché contro le leggi della natura, si dovrebbe contemporaneamente affermare che Dio agisce contro la propria natura, il che è di un'assurdità senza pari. La medesima cosa risulterebbe facilmente dimostrata anche dal fatto che la potenza della natura è la stessa potenza e virtù di Dio, e che la potenza divina, a sua volta, coincide esattamente con l'essenza stessa di Dio.»

Benedetto Spinoza, Trattato teologico-politico, Einaudi, Torino 1972 (pag. 152)

Per puro esercizio mentale, proviamo a sostituire la parola Dio con Potere Costituito (quale che sia, d'accordo, ma noi teniamo in conto quello che governa noi italiani, non solo Berlusconi, chiaro).
Fatto?
Bene, ora facciamoci questa domanda: fino a che punto il Dio-Potere potrà emendare leggi che vadano contro la sua volontà, il suo intelletto, la sua natura?
Qualche concessione potrà avvenire solo quando l'infedeltà dei sudditi sarà tale da far temere al Potere di essere sostituito con un altro Dio (e con altri sacerdoti).
E ora un'altra domanda: quanti di noi credono che si possa riformare la democrazia liberale? Quanti di noi pensano di riuscire a estirpare i cancri che la parassitano?
La linea graduale di liberazione che, dalla Rivoluzione francese, ha portato fino a noi sta, oggi, declinando verso temibili punti di restaurazione. Il mio timore è che molti siano pronti a barattare quel che resta dell'idea di libertà con qualcosa di meno faticoso, meno ostico e più accessibile. La ricerca di soluzioni facili, di un software predefinito che ti dica cosa fare, quali tasti premere per avere tutte le risposte, che apparentemente cercavi, a portata di mano. Basta sfiorare un'icona e si apre un mondo perfetto, preconfezionato, in cui sembra di potere tutto, di essere noi al centro, e invece il centro di comando è da un'altra parte. Ed è inutile ripetere dove esso si trovi realmente, ma è necessario dire dove non c'è più (ammesso che una volta ci sia stato): in noi, cittadini, che possiamo poco, talmente poco. Stiamo perdendo inesorabilmente il concetto cardine che fonda lo stare insieme delle città-nazione: che il potere appartiene al popolo, che il popolo è sovrano, e che esso lo esercita nelle forme e nei limiti previsti dalla Costituzione. Quest'ultima è una frase importante, ma secondaria, e non dovrebbe significare che il potere dev'essere trasmutato nelle anime belle degli eletti; essa indica che gli eletti sono soltanto meri servi scelti dal popolo al fine, appunto, di essere servito e non certo comandato. Soprattutto: a far sì che tutto quanto di buono viene spremuto dallo stare insieme sotto uno stesso tetto, dentro uno stesso Stato, venga ripartizionato equanimemente e dato a tutti i cittadini, servi compresi.
Purtroppo, ineluttabilmente, è accaduto il contrario: il raccolto democratico è andato a riempire i granai dei soliti faraoni. Le briciole che restano sono sempre meno ed è invalso dire che sono quelle che debbono essere tagliate per un nuovo patto sociale.
Ma tutto questo è normale, sarebbe un'assurdità senza pari pensare il contrario.

Se (circa) vent'anni fa avessi preso la tessera di Forza Italia "non" sarei diventato direttore generale della Mondadori

A margine di questo mio post, ricevo un commento che volentieri pubblico


Gentile Lucas,
lavoro in Mondadori da 22 anni: ho pubblicato , tra gli altri, Roberto Saviano e Michael Moore. Le posso garantire che il contenuto dell'intervista di Gnoli ad Andrea Cane non risponde alla realtà ma è solo lo sfogo di una persona piena di risentimento che - per giunta - si atteggia a resistente, quando i motivi del suo licenziamento non hanno NULLA a che fare con la politica. Aggiungo che Laura Donnini e Riccardo Cavallero sono due persone dotate di grande professionalità, autonomia e non certo tipi da Forza Italia. Sono pieno di rabbia, sconforto e schifo quando leggo un'intervista del genere. Da uomo di sinistra trovo aberrante sventolare la bandiera dell'antiberlusconismo, usare il pettegolezzo e altre bassezze per mascherare il proprio fallimento professionale. E stia tranquillo, già 15 anni orsono Giorgio Bocca diceva che Berlusconi aveva messo la museruola alla casa editrice. Peccato che Gomorra sia uscito molti anni dopo, come pure Michael Moore, come pure Raffaele Cantone, etc etc etc. E stia tranquillo, contrariamente a quanto sostiene Andrea Cane, autori come Pinker e Dawkins fanno parte del patrimonio della casa editrice, non del suo. Con parecchia amarezza


Edoardo Brugnatelli


Gentile Edoardo,
la ringrazio molto del suo commento - o, meglio: della sua testimonianza. È per me un onore riceverlo e offrirlo alla lettura di chi sia incuriosito a queste vicende. Per tale ragione, per dargli maggior visibilità, ho deciso di farne un post. 
Non posso che accogliere con favore le sue tranquillizzazioni. 
A me piace correggermi quando sbaglio, e far sapere se ho preso un abbaglio.
Come avrà letto, ho specificato che quel pettegolezzo era da verificare e lei lo ha smentito, per cui è probabile che quanto detto da Andrea Cane ad Antonio Gnoli sia stata solo una maldicenza.
Solo una cosa mi permetto di chiederle: perché parla di fallimento professionale di Andrea Cane? Mi potrebbe fornire un esempio degli "errori" editoriali commessi (giusto per capire)?
La Mondadori, nonostante le turbinose vicende che l'hanno vista oggetto di una feroce contesa "industriale", resta un patrimonio culturale italiano che dovrebbe stare a cuore a tutta la collettività, a prescindere da chi ne sia proprietario e la diriga.
In fondo, la famiglia Berlusconi, sinora perlomeno, ha lasciato ampia libertà di movimento a voi collaboratori. E vorrei (vorremmo) che questa libertà culturale non fosse mai messa in discussione. Certo, ogni tanto qualche "dolce fico" cade dal vostro prezioso cesto/catalogo per ragioni... ideologiche? teologiche? politiche? economiche? Ad ognuno la sua versione. 
Di nuovo grazie e cordiali saluti.