venerdì 28 ottobre 2011

Una diaspora all'incontrario

«Cerco un'Europa che era ancora europea. 
In fondo Lei dovrebbe capirle queste cose, Mister Jacob G. Brodny. Prima di tutto, direi, in qualità di ebreo nostalgico. Oggi anche l'Europa, come ogni buona provincia americana, è pressoché libera  dalla presenza ebraica; ma un tempo non era così, vero? Se anche non era quella promessa, si trattava pur sempre di una terra sperimentata e amata da tanto - una terra dove voi ebrei vedeste compiersi molte delle vostre più ardite promesse, ma soprattutto: dove trovaste i vostri più spietati assassini - e questo è un fortissimo fattore d'unione, vero?..»
Gregor Von Rezzori, La morte di mio fratello Abele, Studio Tesi, Pordenone 1988 (trad. Andrea Landolfi).

Velocemente, tanto per aggiungere un “se” inutile tra gli innumerevoli. Se Israele non fosse stato “creato” e gli ebrei fossero rimasti saldamente ancorati all'idea d'Europa (e con gli ebrei intendo tutto il genio ebraico), ovvero se quel pezzo di merda d'assassino di Hitler e dei suoi scherani non avessero compiuto ciò che covava da secoli di odio antiebraico in Europa (per i supposti deici, insomma), ecco, mi chiedo, l'Europa sarebbe in condizioni economiche, culturali migliori?
Già perché - e lo dico solo con una certa punta d'invidia - in Israele, piccolo staterello vicino orientale, di crisi economiche ce ne sono francamente poche, eppure cos'ha di diverso dalla Grecia? Governanti migliori, più economi? Non mi si accusi di fomentare chissà quali sospetti antiebraici legati alla finanza mondiale. È solo per sapere come loro, gli ebrei, riescono, là dove i greci (e perché no?) e gli italiani riescono meno. Tutto qui.

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