lunedì 28 febbraio 2011

Il suo nome era: Piero Ostellino (ma lo chiamavan liberale)

Oggi Ostellino, in un agile editoriale sul Corsera, ci ha impartito una lezione sull'idea liberale, quella – a suo dire – autentica, citando, nell'ordine: Max Weber, Karl Popper, Isaiah Berlin, Benjamin Constant (Bertolt Brecht e Jacques Rousseau li cita per criticare la minoranza illiberale).
L'assunto è questo: siccome entrambi gli schieramenti dell'agone politico sono privi di idee¹, il «conflitto culturale» italiano si gioca tra «due minoranze culturali inconciliabili». Una
più attiva e rumorosa - come, per esempio, quella che si è radunata recentemente al PalaSharp di Milano -, manifesta la propria «indignazione» nei confronti del Paese del quale crede di essere l'avanguardia; detta la linea alle opposizioni che, non avendone alcuna, vi si adeguano, e «si siedono dalla parte del torto, visto che tutti gli altri posti sono già occupati» (Bertolt Brecht).
L'altra
meno rumorosa, è dispersa, i media la ignorano o quasi; non si raduna da alcuna parte; si sa della sua esistenza grazie a quattro gatti che insegnano in qualche università e scrivono su qualche giornale sopportati come un cane in chiesa. È realista, scettica, relativista, tollerante quanto basta per non pretendere di dettare la linea a nessuno.
Due cose si possono rilevare: prima, se la questione è il rumore e l'attivismo, si consiglia a Ostellino di cominciare a muovere il culo, a far firmare appelli, a far casino insomma; chi glielo impedisce? Nessuno, anzi: a dir la verità il movente della sua partecipazione alla manifestazione fogliante organizzata da Ferrara al Teatro del Verme,  era quello di provocare rumore e subbuglio nelle coscienze italiche. Tale manifestazione very liberal non vi è riuscita? Per forza, ma ve lo immaginate un Isaiah Berlin o un Karl Popper se fossero qui a lottare, da liberali in Italia, da che parte starebbero? E cosa direbbero sulla vicenda del presunto “neopuritanesimo”? E quanto questo centrodestra italiano, capeggiato da Berlusconi, abbia in sé di liberale?
Seconda cosa: se la parte in cui s'ascrive Ostellino è composta da quattro gatti e un cane non è certo colpa di fantomatici totalitarismi culturali. No. In Italia le minoranze intellettuali sono necessariamente antiberlusconiane perché, appunto, siamo una repubblica (ancora, per fortuna) democratica e liberale, dove basta poco per capire che sostenere Berlusconi equivale ad assumere volontariamente olio di ricino per evacuare quel che rimane della nostra intelligenza, del nostro amor proprio.
Scrive poi Ostellino:
L'élite auto-sacralizzatasi aborre la parola «qualunquista», con la quale designa l'«uomo qualunque» che ritiene un cretino o un fascista; la minoranza che i più ignorano, o dileggiano, la ama. Qualunquista è «l'uomo della strada», che cammina al nostro fianco, portandosi sulle spalle, come noi, la democrazia; l'uomo che vota, decretando un vincitore fra valori e interessi diversi, e persino opposti, in una «società aperta» (Karl Popper) e di «pluralismo di valori e di interessi» (Isaiah Berlin). Se certi valori e certi interessi fossero, in sé, più nobili che senso avrebbe ancora contare le teste, votare? La partecipazione alla vita pubblica - secondo un altro mantra della minoranza integralista - sarebbe la più alta espressione della dignità del cittadino. Era la «libertà degli antichi» nella Polis dove contavano i pochi. Per l'altra minoranza, quella liberale, il cittadino ha il diritto di farsi gli affari suoi - non votare è una manifestazione di libertà - senza per questo essere un nemico dello «Spirito del Progresso». È la «libertà dei moderni» (Benjamin Constant).
Ecco, Ostellino, non ha capito un cazzo e anch'egli è uno di quelli per i quali la libertà conta solo per coloro che se la possono pagare. Eppure filava tutto liscio, mi aveva anzi quasi convinto. Tuttavia, quando scrive, giustamente, che «il cittadino ha diritto di farsi gli affari suoi» non specifica che, chi ci governa (ovvero colui che si mette al mio, al tuo, al nostro servizio di cittadini che vogliamo fare i cazzi nostri), ecco, costui il governatore, il maggiordomo, il politico non ha il diritto di fare i cazzi suoi, no. Giammai! Soprattutto se per farli (i cazzi suoi) usa il potere conferitogli dal ruolo elettivo che riveste, soprattutto se usa un'istituzione creata dai padri della Repubblica al fine di servirci. E sapete perché Ostellino non specifica questo? Perché se l'avesse fatto si sarebbe immerdato, e si sarebbe reso conto che, se per caso Zagrebelsky diventasse Presidente della Repubblica, questo paese continuerebbe il suo percorso di democrazia liberale; percorso, invece, reso disagevole e tortuoso dalla triste, quasi ventennale vicenda politica berlusconiana.
Infine, quando Ostellino scrive che egli appartiene a quella minoranza liberale che
difende i diritti e le libertà individuali, compresi la proprietà privata e il mercato, osteggiata da tecnocrati e programmatori delle vite altrui e da chi ha fatto dell'invidia sociale una bandiera egualitaria
io ci credo anche, però nel caso questo governo facesse, com'è nelle sue intenzioni, una legge liberticida come quella sul fine vita vorrei che anch'egli si esprimesse come ha fatto, e bene, Ernesto Galli Della Loggia, e che magari, nel caso fosse opportuno, andasse in qualche teatro meno strisciante per combattere contro «i tecnocrati e programmatori delle vite altrui».

¹Il centrosinistra perché va a rimorchio de la Repubblica, de Il Fatto Quotidiano, de L'Unità, della magistratura e del neopuritanesimo; il centrodestra perché «Silvio Berlusconi ha ridotto “una certa idea dell'Italia” all'idea che ha di se stesso». 

domenica 27 febbraio 2011

La retorica perniciosa

La «retorica perniciosa ricorre anche, in forma rudimentale, nelle discussioni estemporanee. Chi cela un pregiudizio, un articolo di fede, o un segreto interesse, difenderà la propria posizione snocciolando argomenti sempre più disperati e logori, invece di farsi guidare dalla ragione o dai fatti. Ancora più spesso, forse, il deterrente è semplicemente un orgoglio testardo: la riluttanza a riconoscere l'errore. L'uomo non scientifico è assillato da un deplorevole desiderio: poter sempre dire: avevo ragione. Lo scienziato, invece, si distingue per un altro desiderio, quello di poter dire: ho ragione».
Willard Van Orman Quine, Quidditates. Quasi un dizionario filosofico,  a cura di Luca Bonatti, Garzanti, Milano 1991 (ed. orig. 1987).

A chi ogni giorno deve intervenire, al telefono o di persona, alle varie adunate dei vari piccoli movimenti (di corpo) politici, per dare giustificazione dell'esborso finanziario di responsabilità nazionale, è comprensibile - ma non giustificabile - possa capitare di dire qualcosa di inopportuno e sbagliato; insomma, può succedere a tutti di sparare un cazzata, è chiaro. L'importante però è rendersene conto, non tanto per fare ammenda e riconoscere l'errore (non chiediamo questo), quanto almeno per stare zitto e trincerarsi in un più onesto no-comment.
Tuttavia, se uno ieri ha detto «"picche"» (e tutti i media hanno riportato la sua voce dire: «"picche"»), non può oggi dire, «mi avete travisato: ho detto "cuori"» senza che, chi dovere (ovvero un équipe medico-scientifica competente), intervenga per verificarne l'idoneità psicofisica nell'esercitare un compito tanto delicato quanto quello di presidente del consiglio dei ministri della Repubblica Italiana attualmente in carica.

Una travisata mente


Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello e non t'accorgi del travisamento che è nel tuo?

Salmo

Guerra De La Paz, Pietà

Quando mi hai fatto, mi hai detto: ora vivi.
E son vissuto, così si racconta.

Il mio vivere si chiama vita, e uccide.
Ma tu mi hai detto una volta
che ci uccide la morte, non la vita e l'amore;
questo ha imparato da te l'umanità.

Non mi hai parlato mai di lacrime,
ma la lacrima è in me adunata.
Mi hai persuaso alla danza ed al canto,
e non mi hai ricordato anche la tomba.

Tu non hai fatto la terra per grazia e per amore.
Ti occorreva uno spazio, libero e vasto, per i cimiteri.

Tudor Arghezi, Accordi di parole (Poesie 1927-1967), Einaudi, Torino 1972 (traduzione di Marco Cugno).

Le cause della rivoluzione

A me sembra che quanto sostiene Emmanuel Todd, in questa bella intervista rilasciata a Lara Ricci* de Il Sole 24 Ore, sia un'analisi convincente, molto convincente, sul vento rivoluzionario che spazza (e spero spezzi) tutti i regimi autoritari e/o dittatoriali dei paesi arabi.
Alfabetizzazione, diminuzione dell'endogamia e del tasso di natalità. Tre cause precise, verificate, plausibili. Io le tradurrei in: voglia di conoscenza, voglia di libertà, voglia di godere la vita. 
Mi auguro che questo porti anche ad una graduale, ma inarrestabile, emancipazione femminile delle donne di questi paesi.

*Almeno credo. Sia all'inizio che in calce all'intervista non v'è il nome di Lara Ricci ma solo un ringraziamento a un certo Antoine Barbry per la collaborazione.


Update:
Stamani Lara ha messo in rete la traduzione in italiano

sabato 26 febbraio 2011

Siamo circondati da satrapi

Lastsupper by Guerra De La Paz
«Un Cesare è più simile a un sindaco di paese che a uno spirito sovranamente lucido ma privo di istinto di dominio. L'importante è comandare: la quasi totalità degli uomini aspira a questo. Che abbiate in mano vostra un impero, una tribù, una famiglia o un domestico, farete comunque valere le vostre doti di tiranno, glorioso o caricaturale: ai vostri ordini c'è tutto un mondo, o una sola persona. Così si crea la serie di calamità che nascono dal bisogno di dominare... Siamo circondati da satrapi: ciascuno di essi - a seconda dei suoi mezzi - si cerca una folla di schiavi o si contenta di uno solo. Nessuno basta a se stesso: il più modesto troverà sempre un amico o una compagna su cui far valere il proprio sogno di autorità. Chi obbedisce si farà obbedire a sua volta: da vittima diventa carnefice: questo è il desiderio supremo di tutti. Soltanto i mendicanti e i saggi non lo provano - a meno che il loro gioco non sia più sottile...»
E. M. Cioran, Sommario di decomposizione, Adelphi, Milano 1996, pag. 139 (ed. orig. Gallimard, Paris 1949. Traduzione di M.A. Rigoni e T. Turolla).

Inculcamento docente

Ad un congresso dei Cristiani Riformisti, Silvio Berlusconi, tra molte cose, ha detto: «Nella scuola pubblica gli insegnanti inculcano idee diverse da quelle che vengono trasmesse nelle famiglie». 
Infatti: sin dalla scuola dell'infanzia si comincia a insegnare agli alunni a sbadigliare e tossire senza mettersi la mano davanti alla bocca, a soffiarsi il naso sul grembiulino altrui, a scorreggiare e ruttare liberamente, a scaccolarsi e ad appiccicare la caccola alle pareti, a sputare in terra, a pisciare fuori dal vaso, a non tirare lo sciacquone dopo aver defecato, a non lavarsi le mani dopo essere stati al cesso, a non lavarsi i denti dopo aver pranzato, a cantare in coro “C'ho la mamma maiala ed il babbo becco./Oh che gioia che gioia esser figli di troia./Siamo tutti fratelli degli stessi bordelli/Oh dolce sollazzo esser testedicazzo”.
Ciò detto (direbbe Di Pietro), consideriamo quanta percentuale del totale dei cittadini italiani che hanno votato alle elezioni dal 1994 al 2008 hanno studiato, in vario modo, nella scuola pubblica: il 90-95%? Di meno no sicuro. Quindi, esimio Presidente del Consiglio dei Ministri della Re-pubblica Italiana (e quindi funzionario pubblico), i casi sono due: o gli insegnanti inculcano male le loro idee diverse (e quindi le famiglie, come lei le intende, non hanno interferenze di trasmissione); oppure le inculcano bene, tanto da riuscire a formare cittadini consapevoli che le hanno fatto vincere le elezioni politiche per ben tre volte in 14 anni. Quindi, come vede, l'inculcamento docente non rappresenta un pericolo o rappresenta una risorsa. E poi, mi scusi un'ultima cosa: ma lei dov'è andato a scuola? Alle Orsoline?

venerdì 25 febbraio 2011

Scarto consonantico

(una "s" di troppo)

Alle future post-minorenni


Suggerimenti per le prossime fortunate partecipanti ai festini di Villa San Martino, Arcore.

Misty

Spegnete le luci per 4 minuti. Chiudete la porta, alzate il volume. Poi riscendete a terra.

Una trasmissione storica

a Gians e WW
Allora, pare che il suo desiderio verrà esaudito: Ferrara ha ri-ottenuto una sua trasmissione personale. Si chiamerà, di nuovo, Radio Londra.
«Una trasmissione televisiva con [tale] nome fu trasmessa sugli schermi di Canale 5, a partire da lunedì 26 settembre 1988, con la conduzione del giornalista Giuliano Ferrara. Ci furono poi delle modifiche nel 1991, infatti la trasmissione cambiò canale, e fu trasmessa sugli schermi di Italia 1, fino al 1994, per far concorrenza con il TG5, e Striscia la notizia. L'ingresso in politica del proprietario di queste emittenti,Silvio Berlusconi, coincise con la fine della trasmissione» [*].
Dunque, durante la sua prima Radio Londra fu dato di assistere a vari sconvolgimenti storici, sia a livello nazionale (la crisi e la fine della “Prima Repubblica” Tangentopoli, Mani Pulite, l'attacco frontale della mafia allo Stato con gli attentati a Falcone e Borsellino, la fine di Craxi, della DC e del PCI; l'avvento della “Seconda Repubblica” con Berlusconi e i nuovi schieramenti politici del centrodestra e del centrosinistra), che a livello internazionale (il crollo del muro di Berlino e dei regimi comunisti degli stati del Patto di Varsavia, la fine dell'URSS).
Adesso, alla ripresa della trasmissione, speriamo qualcosa accada. In verità, qualcosa sta già accadendo, tanto che Berlusconi, quando Ferrara gli ha dato la notizia dell'evento, si è dato una strizzatina alle palle, così per scaramanzia.

giovedì 24 febbraio 2011

Ogni ragazza di Bahia è un santo

Una discoteca di provincia. Ebbrezza di vino, di birra e di mezzo spinello sputato (che schifo quel filtro di cartone inumidito da dieci bocche diverse). La sala principale si riempie, c'è il cambio, arriva Schubert dj. Silenzio, buio. Spruzzo di fumo, luci bianche intermittenti. Sento una mano che cerca la mia mano. La stringo. I capelli sono così lunghi che s'infrenano alle dita. Ci annodiamo. Comincia la musica, balliamo. E balliamo. Mi porti una mano dietro il collo per farmi abbassare; devi dirmi qualcosa all'orecchio. Io non capisco niente, ma sorrido. Mi dài un bacio, lo colgo. «Ho bevuto troppo, devo vomitare», mi dici. «Cristo, cos'hai bevuto?» «Un tè alla marijuana e un amaro Averna». Il gusto pieno della vita sa di vomito.

mercoledì 23 febbraio 2011

Interventismo

Un grande Leonardo
Ma possibile che questa idea minima non balzi nelle menti di chi è al potere in Italia, in Europa, nel mondo? Possibile stare con le mani in mano di fronte a una simile carneficina? Possibile discutere di "processo breve" e decreto "milleproroghe" in certi allucinanti frangenti? Ricordiamolo: Gheddafi sta massacrando il suo popolo con mercenari pagati duemila dollari al giorno. Se qualcuno fa una controfferta doppia, questi assassini a pagamento potrebbero anche consegnare il dittatore già impacchettato e imbalsamato. 
E ancora: che senso ha l'impegno militare in Afghanistan della comunità (democratica) internazionale, quando ora -  foss'anche per le stesse sporche ragioni strategiche di petrolio - ben più urgente e pressante sarebbe l'intervento diretto e immediato in Libia? A cazzo ci servono l'aviazione e la marina, visto che, appunto, si spendono 20.494.600.000 di euro annui per la Difesa? Fatevi dire dai servizi segreti in quale endroit si trova il Colonnello e date ordine ai cacciabombardieri di agire. In fretta. Sono i momenti che rimpiango Reagan.

Agli Hitler del mondo




Hitler

E adesso mandiamolo a dormire con la storia,
proprio lo scheletro che puzza di benzina,
coi suoi stupidi scagnozzi ariani al fianco;
che dormano tutti fra i nostri preziosi papaveri.

Quadri delle SS si risvegliano nei nostri pensieri
da dove partirono prima che potessimo imprigionarli
in questo concreto regno deserto che popoliamo
di ombre che turbano la nostra pace interiore.

Sopportiamo per un istante le limousine nero argento
che sfilano in lento corteo nel cervello.
Riempiamo i microfoni di avvizziti caotici fiori
presi da un'aiola che rapidamente si disfa.

Non darti pensiero. Spuntano come papaveri
fra le tombe e le biblioteche del mondo reale.
Il vasto disegno del capo, il profilo del suo mento
suonano eccessivamente familiari alle menti che sono in pace.

Leonard Cohen, L'energia degli schiavi, Minimum Fax, Roma 2003 (traduzione di G. De Cataldo e D. Abeni)

Le forbici della folla

Molti si ricorderanno Ceausescu e la fine che fece con la moglie. Molti, altresì, si ricorderanno come, negli anni precedenti al crollo, col popolo alla fame, lui e la consorte facessero bagni a base di Dom Pérignon.
Nella speranza che Gheddafi faccia la stessa fine del suo ex omologo rumeno (da solo, senza amazzoni), leggiamo:
«In tempi normali, certamente, i ricchi e i potenti godono di ogni sorta di protezioni e di privilegi, che i diseredati invece non hanno. Ma non sono le circostanze normali che qui ci interessano, sono i periodi di crisi. Uno sguardo anche superficiale alla storia universale ci rivelerà che i rischi di morte violenta ad opera di una folla scatenata sono statisticamente più elevati per i privilegiati che per tutte le altre categorie [...] Penso che alcuni troveranno scandaloso veder figurare i ricchi e i potenti tra le vittime delle persecuzioni collettive allo stesso titolo dei deboli e dei poveri. Ai loro occhi, i due fenomeni non sono simmetrici. I ricchi e i potenti esercitano sulla loro società un'influenza che giustifica le violenze di cui possono essere oggetto in periodi di crisi. È la santa rivolta degli oppressi». (R. Girard, Il capro espiatorio, Adelphi, pag 38-9)
Cosa vuol dire questo? Vuol dire che la responsabilità della crisi sociale, sacrificale, culturale, politica, ed economica che investe una comunità, non è mai di un solo individuo, mai. Sì, qualcuno è più responsabile di altri. E il potente di turno lo è sempre di più. Ma la potenza del despota, nel mondo moderno soprattutto, è determinata da tante piccole impotenze che l'hanno consentita. Nel caso dei paesi arabi, attualmente investiti dalla "rivoluzione", l'impotenza principale che ha causato i vari regimi dispotici, è stato il beneplacito delle varie potenze ex-coloniali, che hanno tollerato per decenni e decenni tali regimi infami (il caso Iran è un caso a parte, speriamo non esportabile... comunque, ricordate lo Scià di Persia, vero?).
I dittatori si insinuano nel corpo sociale come i tumori nel corpo umano; quando avviene un generale abbassamento delle difese immunitarie democratiche, sia per cause endogene che esogene, c'è sempre qualcuno che scende in campo e s'attacca alle deboli istituzioni statali cominciando a parassitarle e a nutrirsene per il proprio esclusivo tornaconto. All'inizio, però, questo fenomeno si manifesta spacciandosi di agire nell'esclusivo interesse della nazione. Una società scaltra riconoscerebbe subito l'entità maligna e la asporterebbe senza troppa fatica. Una società inebetita invece saluta il fenomeno come cosa benigna e dopo sono cazzi amari, e dottori sottili non bastano. Occorre la strada, la piazza, la folla, unici bisturi, uniche forbici.

martedì 22 febbraio 2011

La folla è mobile

Se le rivolte popolari che “sconvolgono” i regimi autocratici e dittatoriali dei paesi arabi sfoceranno (speriamo) in democrazia, dovremmo ringraziare Ben Ali, il presidente della Tunisia, che per primo si è fatto, abbastanza facilmente, cacciare dal comando – e, soprattutto, il popolo tunisino che ha dato l'esempio a tutto il mondo arabo, facendo scoccare la scintilla che ha dato fuoco alle polveri (desertiche) della ribellione. Se dico del mimetismo della folla non dico niente di nuovo. Quello che c'è da notare, sulle tracce del pensiero girardiano, è che la folla, per trasformarsi in turba, ha bisogno di una «causa accessibile che sazi la sua brama di violenza». E il popolo tunisino ha mostrato per primo l'accessibilità, la possibilità di riuscire a
«purgare la comunità dagli elementi impuri che la corrompono, dai traditori che la sovvertono. Il diventare folla della folla è una cosa sola con il richiamo oscuro che la riunisce o che la mobilita, im altre parole, che la trasforma in mob. È da mobile, in effetti, che viene questo termine inglese distinto da crowd come in latino turba è distinto da vulgus. La mobilitazione è soltanto militare o partigiana, cioè contro un nemico già designato, o che lo sarà ben presto, se ancora non lo è stato, dalla folla stessa grazie alla sua mobilità». René Girard, Il capro espiatorio, Adelphi, Milano 1987 (pag. 38-9)
Certo che, col senno di poi, diventa ancora più stupido e illogico aver sostenuto la guerra di Bush e Blair contro il regime di Saddam Hussein in Iraq: bastava aspettare, o anticipare di qualche anno il la rivoluzionario dato dalla Tunisia (stimolandolo all'interno di ogni paese con l'efficenza dei vari servizi segreti) e tutto il castello dei regimi dittatoriali impiantati prima (e ben voluti) dagli ex paesi coloniali si sarebbe sgretolato.

P.S.
Gheddafi, prevedendo la mal parata, si è certamente meglio premunito rispetto a Ben Ali o a Mubarak. Suggerimento per gli americani: perché non fate correre voce, tra i mercenari assoldati dal Colonnello, che voi offrirete di più come paga? Ci sarà meno spargimento di sangue.

lunedì 21 febbraio 2011

Se...


Se è possibile mantenere la gioventù
Respirando abbracciati a una cassetta postale;
Se la dentiera si è rivoltata contro la povera signora mordendola e
Lasciandola in gravi condizioni;
Se scendendo dall'aereo la Duchessa di Caldaosta
Ha sorriso tutto il suo avorio;
Se Baule-Pieno ha azioni nelle miniere di sterco:
Se in America un giovanotto di cent'anni
È venuto da lontano per vedere il Presidente
A cavalcioni della madre;
Se un becco riceve il proprio peso in aspirina
E la offre agli ospedali del suo paese;
Se l'ingegnere non era ingegnere un bel niente
E la ragazza è rimasta con un «ingegnino» in collo;
Se rientrante, protuberante, perturbante,
Lola domina ancora i portoghesi;
Se Jorge (quel simpaticone di Jorge) ha tentato di bere quella sera
Il prosciutto di Chaves con una cannuccia
E Edoardo non ha voluto essere da meno
Uscendo con un'aragosta a guinzaglio;
Se «nessuno mi ama perché ho l'alito cattivo
E strabuzzo gli occhi come una sciocchina»;
Se Mimi Bluette ormai non viene più a Lisbona
A cantare con Alberto...
Per caso il nostro destino, zac!, muterà?

Alexandre O'Neill, Nel Regno di Danimarca, 1958, in AA.VV., La parola interdetta. Poeti surrealisti portoghesi, Einaudi, Torino 1971 (a cura di Antonio Tabucchi).

Eppure è anche azionista

Sbaglio o in questo sfrecciare di autoveicoli non si scorge alcuna una macchina del Gruppo Fiat? Egregio Marchionne, proprio ora che con Chrysler potevate vendere qualche Suv al vostro socio, sta' a vedere che perderete un potenziale cliente... È il mercato, bellezza.

Presidents' Day

Oggi in America è festa. È il Giorno dei Presidenti (Presidents' Day). Quegli scansafatiche federalisti degli americani ne hanno inventate di celebrazioni pur di non lavorare, vero Calderoli?

L'importante è andare. Di corpo

Marco Casentini, Through the SkyAcrylic & plexiglass on canvas, 67 x 59 inches. 
Per accendere il fuoco delle stufe uso secche frasche e una pagina di vecchio giornale. Poco fa ho preso un lenzuolo (4 pag.) dell'inserto Corriere Viaggi ch'era in regalo ieri col Corsera. Mentre faccio questo scorgo tre articoli di tre scrittori italiani: Maurizio Maggiani (1), Erri De Luca (2), Gaetano Cappelli (3) i quali «raccontano il fascino segreto delle mete tradizionali di una vacanza, comprese le nostre stanze», rispettivamente, al mare (1), in montagna (2), a casa (3). Il titolo di tale pagina è: «L'importante è andare. Ma dove?». Rispondete voi per me per favore.

Ecco i vantaggi di aver scritto uno o due romanzi pubblicati da editori importanti che hanno venduto più o meno bene: ti offrono di scrivere questi articoli del cazzo e c'è caso ti paghino anche bene. Ma ditemi, vi prego, è questo il destino dello scrittore contemporaneo? Avere successo con un libro e poi, successivamente, avere una rubrica su un settimanale da Gioia in su (o in giù)?

Noi blogger, belli, disincantati, fortemente disimpegnati, insussistenti, celebriamo il pensiero senza interesse. Nessuno ce li commissiona i nostri pensieri e le nostre cazzate le spariamo a gratis. Liberiamo la nostra mente da certe suggestioni, ci vendichiamo della realtà, ci intronizziamo nella doxa impotente del mondo per dire tranquillamente, e senza nessuna acrimonia, che non ci va più di subire le visioni del mondo altrui, o di lamentarci scrivendo le nostre letterine ai giornali per contestare gli altrui pensieri più o meno ragionati. L'avvento della blogosfera fa sì che l'autoreferenzialità del mondo intellettuale si vanifichi, rimettendo il pensiero in circolo. Attraverso il cielo. Mi fermo che devo andare via. Lascio un pensiero a mezzo e, se dopo ne ho voglia, tempo, grazia e capacità, lo riprendo. Sennò pace.

domenica 20 febbraio 2011

Campioni di bon ton

Non so, forse mi è sfuggito, ma mi sembra che sui sommovimenti rivoluzionari che caratterizzano molti paesi arabi, ancora Osama Bin Laden non si sia espresso e non abbia inviato alcun videomessaggio. 
Ché non voglia anche lui disturbare?

Robert De Ghiro

Uno sta un quarto d'ora a guardare un'intervista a un mito del cinema aspettando che dica qualcosa, non dico di storico, ma d'interessante cazzo sì, e invece stringi stringi ti dice solo che beve il caffè, fa ginnastica, mangia le mozzarelle a gli piace dormire bene. Ora, forse sarà anche colpa di Fazio che gli ha fatto domande sbagliate (e il solito penoso giochino della torre); sarà poi anche colpa che il film da promuovere è di per sé, a scatola chiusa, una grande puttanata; ma insomma, caro Robert se uno ha sonno vada a letto presto, oppure registri l'intervista al pomeriggio dopo la ginnastica e il caffè, altrimenti uno si fa persino surclassare dalla dialettica gracchiante del ministro della difesa (ho ancora il ronzio nelle orecchie).

Amico Golpe


In Spagna si preparano a ricordare il trentennale del 23-F.
Un ultimo rigurgito di franchismo alla Buñuel e la democrazia spagnola ricominciò il suo cammino.
Quando sarà vomitato Berlusconi (spero presto, spero subito: anche l'8-M), l'Italia sarà in grado di diventare, nei successivi trent'anni, civile e democratica quanto la Spagna?

Ai Responsabili

Esimi Responsabili, nessuno nega il vostro diritto di votare a favore del governo in carica¹. Ma vi prego, vi scongiuro, smettetela di prenderci per il culo sostenendo che lo fate per il bene della Nazione. Non è vero, e voi siete i primi a saperlo. Per convincervi del fatto, provate a leggere due volte il seguente brano di Hans Jonas, sostituendo la parola “essere” la prima volta con “Italia”; la seconda volta con “Berlusconi”: vi accorgerete da soli che, in quest'ultima versione, funziona decisamente meglio per descrivere la vostra etica della responsabilità.
«La responsabilità è la cura per un altro essere quando venga riconosciuta come dovere, diventando “apprensione” nel caso in cui venga minacciata la vulnerabilità di quell’essere. Ma la paura è già racchiusa potenzialmente nella questione originaria da cui ci si può immaginare scaturisca ogni responsabilità attiva: che cosa capiterà a quell’essere, se io non mi prendo cura di lui? Quanto piú oscura risulta la risposta, tanto piú nitidamente delineata è la responsabilità. Quanto piú lontano nel futuro, quanto piú distante dalle proprie gioie e dai propri dolori, quanto meno familiare è nel suo manifestarsi ciò che va temuto, tanto piú la chiarezza dell’immaginazione e la sensibilità emotiva debbono essere mobilitate a quello scopo»².
Non-cari Responsabili, se avete letto attentamente, vi sarete accorti che proprio smettendo di prendervi cura di lui (Berlusconi), automaticamente farete del bene a lei (Italia).
¹Anche se, poco democraticamente, vorrei farlo; ma non certo con mezzi cruenti: se disponessi di ingenti risorse economiche vi offrirei semplicemente di più di Berlusconi. Soros, Murdoch aiutatemi voi!
²Hans Jonas, Il principio responsabilità, Einaudi, Torino 1990

Canzoni di speranza

A Malvino (e anche a Vecchioni, che faceva meglio ad arrivare secondo)


Tu n'en reviendras pas toi qui courais les filles
Jeune homme dont j'ai vu battre le cœur à nu
Quand j'ai déchiré ta chemise et toi non plus
Tu n'en reviendras pas vieux joueur de manille

Qu'un obus a coupé par le travers en deux
Pour une fois qu'il avait un jeu du tonnerre
Et toi le tatoué l'ancien légionnaire
Tu survivras longtemps sans visage sans yeux

On part Dieu sait pour où Ça tient du mauvais rêve        
On glissera le long de la ligne de feu
Quelque part ça commence à n'être plus du jeu
Les bonshommes là-bas attendent la relève




Roule au loin roule train des dernières lueurs
Les soldats assoupis que la danse secoue
Laissent pencher leur front et fléchissent le cou
Cela sent le tabac la laine et la sueur

Comment vous regarder sans voir vos destinées
Fiancés de la terre et promis des douleurs
La veilleuse vous fait de la couleur des pleurs
Vous bougez vaguement vos jambes condamnées

Déjà la pierre pense où votre nom s'inscrit
Déjà vous n'êtes plus qu'un mot d'or sur nos places
Déjà le souvenir de vos amours s'efface
Déjà vous n'êtes plus que pour avoir péri

Io non so la parte

sabato 19 febbraio 2011

Postille al Nuovo Manuale di Poesia 11.


11. If a man gives up poetry for power,
       he shall have lots of power.
11. Se un uomo rinuncia alla poesia per il potere,
       avrà molto potere
Mark Strand, The New Poetry Handbook, da Il futuro non è più quello di una volta, Minimum Fax, Roma 2006, traduzione di Damiano Abeni

Stamani sono stato nel bosco. Ho tagliato quattro pioppi, tre castagni, due ontani, un carpino. Poi ho affastellato le stoppie. Ho tirato fuori dallo zaino un plico con la mia raccolta di poesie rilegata a mano. Ho preso l'accendino, ho appiccato prima il fuoco alle poesie e, di poi, alle stoppie. Molto fumo dintorno si è levato. Ho alzato gli occhi per vedere nel cielo azzurro un segnale. Ecco, l'oracolo ha parlato: avrò molto potere, d'accordo. Ma, insieme sarò o più bastardo o più coglione. Soprattuto più laido. Puzzolente di fumo sono tornato a casa, ho fatto una doccia, ho preso una biro, un foglio bianco, ho scritto:

Ricordo quando da piccolo -
avrò avuto meno di un anno
e la neve splendeva sul picco -

i miei genitori mi hanno
portato - fasciato in un ricco
costumino bianco di morbido panno -                                

nella fredda propositura
a versarmi acqua sul capo
per nettarmi dall'impostura

del mio essere nato
macchiato di colpa spergiura
dovuta a quello sciagurato

di Adamo. - Rinunci a Satàna?
Mi dissero, e io non capivo chi fosse
se un santo o una puttana

dal quale prese le mosse
la miseria della condizione umana.
Risposi con un colpo di tosse.

M'imposero poi dal profondo
di credere in Dio, di schianto.
A uno da poco venuto al mondo

non si domanda così tanto.
Io zitto rimasi, forse una lacrima
riassunse tutto il mio pianto.

Qualcosa usciva fuori di me,
rigandomi il viso: era l'anima
che scriveva lenta il mio nome

Cercasi Copernico

Il sistema berlusconiano è come il sistema tolemaico: si nutre di ipotesi ad hoc. Ad ogni falla, ad ogni crepa intervengono le truppe politiche, avvocatizie, giornalistico-mediatiche a rimediare, a tappare i cretti che rischiano di far crollare tutto il sistema. Il problema è che sono arrivati a un punto che non si accorgono nemmeno che, a volte, anche le toppe all'apparenza più efficaci si rivelano inconsistenti rimedi. Per esempio il filmino dell'amica di Noemi pubblicato da Il Giornale. Ora io dico: questo non è la fulgida prova delle ragioni di Veronica Lario? Avrebbe avuto Il Giornale lo stesso coraggio nel far vedere tale video quando, invece dello scandalo Ruby, infuriava quello della giovine campana minorenne? E diffondere il video che mostra, appunto, la presenza delle pulzelle in una delle case di Berlusconi, non è per ciò stesso la dimostrazione che il premier frequenta le minorenni e non certo per far loro un corso avviato di politica internazionale? Ah, già, dimenticavo: questo, per l'elettorato del centrodestra, è un vanto... (accidenti, mi devo sempre ricordare che se fosse per la Chiesa ancora sarebbe il Sole a girare intorno alla Terra)
Aiutooo! C'è qualche Copernico là fuori?

venerdì 18 febbraio 2011

Uno scenario di quiete

Se – attraverso una norma – si spezza il legame tra genitorialità e generazione, tra quest’ultima e la coppia femmina-maschio si aprono scenari davvero inquietanti per il futuro dell’uomo: figlio non più generato, ma proiezione ricreata, prodotta, assegnata. Francesco Riccardi, Avvenire di oggi¹.
M'incammino per strada, t'incontro, ti vedo là solo, una faccia triste, una faccia di chi vuole scappare. Anch'io sono solo, e la vedo la tua solitudine, s'inscrive nel mio volto, nella mia preoccupazione, nel mio vuoto che m'aspetta al secondo piano, senza ascensore, di una palazzina di periferia. Ho una camera vuota, un frigo pieno, un bagno caldo, e del tempo da dedicare alla tua perduta disperazione. Sono solo e vorrei condividerla con te questa solitudine. Non dico di farti da guida, no. Se sono solo è perché non sono una guida. Ho qualche soldo da parte, un'auto pagata, un lavoro che riempie una parte di vuoto e mi dà abbastanza per offrire luce alla tua possibile voglia di vedere. Sono solo, non sono coppia, ma ho le mie storie brevi, puttane che pago e che liquido per non cadere nella tentazione di un rapporto. Io non ti insegnerò niente di tutto questo. Io ti darò solo una mano, del tempo, qualche libro, la possibilità di ascoltare i miei dischi. Là c'è anche una tv, quasi sempre spenta. E uno spazio di quiete per essere solo te stesso.



¹Non ho molto da dire su questo tema. Ma le parole di Riccardi mi hanno aperto uno scenario inquietante. Ho voluto rappresentarlo come ho potuto. A proposito: magari esistessero norme che avessero potere di spezzare i legami con la genitorialità e la generazione e ci rendessero figli soltanto di noi stessi! 


giovedì 17 febbraio 2011

Eppure è un laureato (in legge)

Nella critica radicale di Berlusconi e dei suoi seguaci alla magistratura, quello che più colpisce è la patetica accusa di illegittimità che questa istituzione dello Stato avrebbe nell'indagare prima, e nel (voler) giudicare poi il presidente del consiglio dei ministri in carica.
Dipingere i magistrati come mostri, o carnefici che cercano di sfigurare o fare a pezzi l'eletto dal popolo è una rappresentazione distorta e fallace della realtà.
I magistrati italiani, nella fattispecie quelli dell'ufficio giudiziario milanese, hanno chiamato in causa non la carica istituzionale, ma il cittadino che la ricopre. È quest'ultimo che cerca di far credere il contrario.
Ancora una volta viene ripetuta la litania difensiva che Berlusconi ha avuto molteplici iscrizioni nell'albo degli indagati – cosa che dovrebbe da sola bastare a far nascere il sospetto di persecuzione ad personam – dalle quali poi sono scaturiti pochi processi e pochissime condanne (!). E questa “persecuzione” è stata ed è messa in atto sempre dalla Procura di Milano che agirebbe per fini eversivi.
Ora, mi sembra pacifico dire che, se uno viene indagato ripetutamente, forse ripetutamente si mette nelle condizioni di dare adito a sospetto illecito. Dipoi, mi sembra altrettanto scontato dire che, se tali presunti illeciti sono contestati quasi sempre dalla procura milanese, questo è dovuto al fatto che Berlusconi e la sua azienda gravitano intorno al capoluogo lombardo (per esempio: se Mediaset avesse avuto la sede legale a Belluno o a Marsala è chiaro che, all'occorrenza, avrebbero indagato le procure di tali cittadine).
La magistratura (milanese) – è bene ricordarlo – persegue Berlusconi per presunti illeciti che riguardano la sua attività imprenditoriale e privata e, relativamente all'ultimo caso, per presunti reati che avrebbe commesso in quanto cittadino, non in quanto presidente del consiglio. È lui che la butta in politica, non la magistratura.
I magistrati, in fondo, non fanno altro che il loro mestiere, e non possono fare diversamente. Agiscono in base all'articolo 112 della nostra Costituzione.
Berlusconi non capisce questo punto, non lo digerisce, non lo accetta. Eppure è un laureato in legge (con lode). Ciò nonostante, strilla che i magistrati non hanno diritto, loro, che sono assunti mediante un “misero” concorso a giudicare lui, eletto dal popolo. Ma, visto che ha le carte in regola, perché non prova anche lui a diventare magistrato? I titoli ce li ha, in fondo. Forse gli farebbe bene tornare a studiare materie giuridiche di cui era a conoscenza (e che forse non ricorda).
Il magistrato non può non intervenire se vengono riscontrate delle ipotesi di reato, giacché. in tal caso, è obbligato, per legge, ad avviare delle indagini per verificare prima se tali ipotesi sono fondate e, se lo sono, ad avviare la pratica processuale.
Il magistrato segue una procedura che si rifà alla Costituzione, e in una Repubblica democratica la procedura (che segue i dettami della Costituzione) è tutto. Il magistrato non può agire sulla base di principi altri da quelli della legalità: se, per esempio, è di “fede” buddista non può avviare un'azione penale nei confronti di qualcuno solo perché ha detto cazzo di budda.
Ecco: la prossima volta che Berlusconi si vanta del fatto che lui è uno che ha studiato, che ha la laurea rispetto a tanti politici che sono semplici diplomati, fategli sapere ch'è meno vergognoso fare politica da ragionieri che essere dei politici laureati in legge e non sapere, o rispettare, un cazzo della Costituzione su cui la legge si fonda.
E poi fa le citazioni colte in latino... Leggiti Marziale (Epigrammi, Libro IV, n. L) e ripigliati...

Quid me, Thai, senem subinde dicis?
Nemo est, Thai, senex ad irrumandum.
E dagli sempre con la mia vecchiezza,
Taide. Il pompino è eterna giovinezza.¹
Taide: continui a dirmi che son vecchio.
Taide: nessuno è vecchio, se lo succhi!²
¹ traduzione di Guido Ceronetti, Einaudi, Torino 1964
² traduzione presa qui.

Filoni di ricerca


Odile Buisson
Caricato da franceinter. - Guarda altri video di lifestyle.

mercoledì 16 febbraio 2011

L'Italia è all'avanguardia


La notizia che Berlusconi sarà processato per l'accusa di prostituzione minorile (e concussione) ha fatto il giro del mondo. Tutti (o quasi tutti) i principali quotidiani hanno messo in prima pagina l'evento. E giustamente. Avremmo fatto altrettanto, in Italia, se qualcosa di analogo fosse accaduto a un premier di un altro importante Stato.
Molti stranieri biasimano l'Italia domandandosi com'è possibile che Berlusconi non si sia ancora dimesso. Altri ancora biasimano gli italiani che tollerano che Berlusconi resti in carica (che dobbiamo fare? Un tirannicidio? Chi ce lo offre un Lee Harvey Oswald? Oppure dobbiamo fare la rivoluzione? Siete sicuri che ci darete un sostegno simile a quello avuto dai rivoluzionari egiziani? – che hanno cacciato sì Muby ma adesso si trovano i militari al governo...).
Tutto questo è vero: chi è causa di suo mal... eccetera. Però, in fondo, una mano ce la potreste anche dare, cari stranieri. Non dico di boicottare la nostra economia, no. Ma la nostra politica sì, eccome. Per esempio, ai prossimi incontri internazionali, invece di essere cordiali e di stringere la mano a Berlusconi o ad altri rappresentanti del nostro governo, siate freddi e distanti, guardateli con sufficienza, e mesta ironia; in fondo basta un'occhiata di disapprovazione per far sentire qualcuno una merda, così da prenderne le distanze per non confondersi con lui. Dite che non potete perché sennò rischiate di offendere noi italiani? È vero, sulla carta il governo in carica ci rappresenta, ma non vi preoccupate. Qualsiasi offesa o sgarbo verso il nostro governo non la prenderemo come un fatto personale. Ci mancherebbe. Anzi, nel caso Berlusconi tenti di fare, come sempre gli accade, il piacione dalla battuta pronta, voi digrignate i denti; e se si azzarda a volervi raccontare una barzelletta, fategli un rutto in faccia e scompigliatelo (impossibile eh? Troppo mastice, vero).
Soprattutto, gentili leaders delle nazioni progredite del mondo libero, vi prego di mandarci, a noi italiani, un sentito ringraziamento.
Sono molti anni, in fondo, che offriamo per il palcoscenico del mondo, uno spettacolo politico-civile penoso e sconfortante. Diventati nazione unita centocinquant'anni fa, abbiamo sperimentato vari regimi (tra questi abbiamo il copyright su due in particolare, sui quali le scienze politiche del mondo intero hanno scritto e scriveranno manuali): il fascismo, (che fu subito esportato in molte parti del mondo) e la videocrazia (che tante nazioni in via di sviluppo cercano di importare a costo zero). Gentile stampa estera, riconoscete il nostro sacrificio. Noi italiani siamo all'avanguardia nello sperimentare nuove forme di controllo e di comando. E in più, siamo l'unica nazione europea ad avere uno Stato (teocratico) nello Stato, capace d'influenzare e di orientare, come accade solo in certi regimi fondamentalistici, la politica della nostra nazione.
L'Italia è un grande paese che fa da faro a tutte le nazioni democratiche del globo terracqueo, rappresentando concretamente il modello di tutto ciò che non va fatto per restare (o diventare) un paese libero dove non esistono prevaricazioni e abusi di potere e dove, soprattutto, la legge è uguale per tutti e a tale principio tutti, ma proprio tutti, sottostanno.

Ci sarà un risveglio

A Antonin Artaud (frammento)
II


Ci sarà un'età per nomi che non siano questi
ci sarà un'età per nomi
puri
nomi che magnetizzano
costellazioni
pure
che facciano irrompere nei nervi e nelle ossa
degli amanti
inesplicabili costruzioni radiose
pronte a nuotare entro la fuliggine
di due bocche
pure


Ah non sarà lo sperma torrenziale diuturno
né la pazzia dei sapienti né la ragione di nessuno
Non sarà neanche chissà o unico maestro vivo
la fine della paurosa danza dei corpi
dove hai pontificato col martello in mano


Ma ci sarà un'età in cui saranno dimenticati completamente
i grandi nomi opachi che oggi diamo alle cose


Ci sarà
un risveglio


Mário Cesariny, da Pena capitale (1957), in AA.VV., La parola interdetta. Poeti surrealisti portoghesi, Einaudi, Torino 1971 (a cura di Antonio Tabucchi).