giovedì 19 gennaio 2012

I parti della mente


«Finora gli uomini si sono sempre fatti idee false intorno a se stessi, intorno a ciò che essi sono o devono essere. In base alle loro idee di Dio, dell'uomo normale, ecc. essi hanno regolato i loro rapporti. I parti della loro testa sono diventati più forti di loro. Essi, i creatori, si sono inchinati di fronte alle loro creature. Liberiamoli dalle chimere, dalle idee, dai dogmi, dagli esseri prodotti dall'immaginazione, sotto il cui giogo essi languiscono. Ribelliamoci contro questa dominazione dei pensieri. Insegniamo loro a sostituire queste immaginazioni con pensieri che corrispondano all'essenza dell'uomo, dice uno [Feuerbach]; a comportarsi criticamente verso di esse, dice un altro [B. Bauer]; a togliersele dalla testa, dice un terzo [Max Stirner], e la realtà ora esistente andrà in pezzi».

Questo sopra è l'incipit della prefazione di Carlo Marx al libello del quale ho scannerizzato l'immagine per render merto (dantismo) a Bruno Munari che la ideò. Un incipit folgorante. Marx sta attaccando la giovane filosofia hegeliana. Ma dimentichiamo il contesto e pensiamo queste parole come fossero state scritte ora per noi. I parti della loro testa ecc. 
Mi viene in mente che sarebbe opportuno, ogni tanto, porre a scadenza naturale tutte le nostre creazioni ed idee, come avviene, per esempio, nei paesi democratici con i parlamenti. Ogni tot anni si rinnovano le legislature. Sappiamo bene come questo potere, per il cittadino, sia in realtà un potere del menga. Secondo me occorrerebbe rinnovare non solo la legislatura ma tutti i nostri parti, tutta la nostra costruzione mentale dei rapporti di potere che regolano le nostre vite. A partire dalla base (dalla famiglia cosiddetta naturale che, ogni tot anni, dovrebbe sedersi a tavola e ridiscutere: siamo ancora famiglia? Siamo padre e figlio, marito e moglie, fratello e sorella?), fino ad arrivare allo Stato. Già, lo Stato: cos'è questa struttura che ci portiamo sul groppone dando per scontato che essa sia eterna, e superiore per importanza a noi cittadini stessi che la compongono? Articolo uno: l'Italia è una repubblica ecc. La sovranità (il Potere) appartiene al popolo (ah sì?), che lo esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Le forme, come tutte le cose, non possono modificarsi nel tempo? E i limiti, vogliamo o non vogliamo ridefinirli di volta in volta? Non dico che ogni volta debbano, necessariamente, essere cambiati; ma intendo che ogni tot di anni andrebbero ridiscussi per vedere se ci vanno ancora bene. Marx direbbe: povero illuso (sono un giovane hegeliano ancora), qui ci vuole la Rivoluzione. Ma aspetta caro Carlo, fammi finire: ridiscutiamone rimescolando tutte le carte. Obiezione: il potere figuriamoci se è disposto a rimettersi in gioco. Già. Ma il punto dirimente - e mi si perdoni, sono ancora agli inizi - è questo: la rivoluzione potrà mai essere così saggia e intelligente tra fare piazza pulita delle classi sociali, della privatezza della proprietà senza che chi guida la rivoluzione (i proletari di oggi: trovare termine migliore che proletari non mi piace) diventa a sua volta potere che ripristina il vecchio giochino del privilegio magari condito anche di tortura? Mi spiego: il mio persistente timore è che i rivoluzionari vittoriosi, chiunque essi siano, diventeranno a loro volta esseri dominanti che spartiranno il potere secondo la vecchia logica, e anche peggio. Insomma: ho il sospetto che bisogna essere troppo intelligenti e troppo buoni, troppo saggi e generosi per diventare dei comunisti definitivi. Sono un giovane (mi si passi il termine giovane) hegeliano che si specchia sovente nelle proprie forme, nei propri limiti. 

3 commenti:

bag ha detto...

a me invece fa molta più paura chi parla di "essenza"

Luca Massaro ha detto...

Già. E anche dietro le "migliori" si cela odore di putrefazione

bag ha detto...

e di conseguenza, le idee che ci facciamo attorno a noi stessi non sono false. non sono nemmeno vere, per il semplice motivo che vero e falso non si applicano qui. o se vuoi fare il vichiano (giusto per contrapporre un aristotelico a un altro aristotelico, vico a marx), il vero è ciò che abbiamo fatto (verum et factum convertuntur)