domenica 25 marzo 2012

Chi vive come me non muore

Ad Antonio Tabucchi, una requie.
«Mi sembra una sorta di mancanza di igiene, questa inerte permanenza della mia vita uguale e identica nella quale giaccio, rimasta come polvere o sporcizia sulla superficie del non cambiare mai.
Così come laviamo il nostro corpo dovremmo lavare il destino, cambiare vita come cambiamo biancheria: non per provvedere al sostentamento della nostra vita, come col cibo e col sonno, ma per quell'estraneo rispetto per noi stessi che giustamente si chiama pulizia.
C'è gente per la quale la mancanza di pulizia non è una disposizione della volontà ma un'alzata di spalle dell'intelligenza. E ci sono anche persone per le quali lo squallore e l'uniformità della vita non sono una forma di volontà o un naturale adeguamento a ciò che non volevano, ma una cancellazione della comprensione di se stessi, un'ironia automatica della conoscenza.
Ci sono persone sporche che detestano la loro sporcizia ma non se ne allontanano per quell'attrazione dell'abisso grazie al quale chi è terrorizzato non si allontana dal pericolo. Esistono persone sporche di destino, come me, che non si allontanano dalla trivialità quotidiana per il medesimo fascino che provano per la propria impotenza. Sono uccelli ammaliati dall'assenza di un serpente; mosche che volano cieche sui rami fino ad arrivare alla portata della lingua vischiosa del camaleonte.
Così porto a spasso lentamente la mia consapevole inconsapevolezza sul mio ramo d'albero dell'abitudine. Così porto a spasso il mio destino che avanza senza che io avanzi; e il mio tempo che procede senza che io proceda. E niente mi salva dalla monotonia, se non questi brevi commenti che tesso intorno a lei. Mi basta che la mia cella abbia delle vetrate dietro le grate, e scrivo sui vetri, sulla polvere del necessario, il mio nome in lettere maiuscole, la firma quotidiana del mio contratto con la morte.
Con la morte? No, nemmeno con la morte. Chi vive come me non muore: finisce, appassisce, cessa di vegetare. Il luogo dove egli fu resta senza che egli vi sia, la strada dove camminò resta senza che egli vi sia visto, la casa dove abitò è occupata da non-lui. È tutto e lo chiamano nulla; ma questa tragedia della negazione non può essere recitata neppure fra gli applausi, perché non sappiamo di sicuro se essa è nulla, noi, vegetali della verità come della vita, polvere depositata sull'esterno e sull'interno dei vetri, nipoti del Destino e figliastri di Dio che sposò la Notte Eterna quando essa restò vedeva del Caos che ci ha creati.»

Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine, Feltrinelli, Milano 1986, pag. 125-6, traduzione di Maria José de Lancastre e Antonio Tabucchi.

Nell'86, ancora quasi vergine di letteratura e non solo, comprai questo libro perché lessi buone critiche e io non conoscevo ancora Pessoa e i suoi eteronimi, né tanto meno Tabucchi, nome che lessi per la prima volta in tale libro, insieme a quello della moglie (seppi poi che Maria José era sua moglie). Ci credete che io questo libro non l'ho ancora letto tutto? Lo leggo a sorsi, come un whisky d'annata fortissimo che ti apre lo coronarie, che ti sbatte in faccia una scrittura e un pensiero che ti attraversa e ti s'infila nelle vene. Non commettete l'errore di leggerlo a mezzavoce, con le labbra che si muovono e pronunciano piano parola per parola: rischiate di prendere una sbronza, cadere per terra, spaccarvi i denti sullo stipite della porta. Pessoa fa male, è radioattivo, bisogna farne un uso distante e dimenticarlo, sennò ti paralizza, ti impedisce di scrivere, di essere uno dei tanti nomi che compongono il libro dell'inquietudine.

Di Tabucchi ho un bel ricordo del Pereira. Un cattivissimo ricordo ho del film che ne fece Faenza nonostante uno straordinario Mastroianni. Così come mi ricordo che vedere i libri di Tabucchi in bella mostra nelle vetrine delle librerie francofone mi dava un certo orgoglio patrio, molto più di quello che mi dà vedere altri (non fo nomi) – ma questo è un altro discorso.

9 commenti:

Giuseppe Lipari ha detto...

Quanta verità su Pessoa! Difficilissimo, da sorbire con attenzione.

Anche a me del film piacque solo Mastroianni. Cioè, se ci penso mi viene in mente un film bellissimo, ma razionalmente poi so che in realtà era stato lui un gigante e il resto della troupe delle nullità.

Luca Massaro ha detto...

Vero, il film fu una delusione, date le premesse (libro, Mastroianni, Lisbona).

A parte.
Sai che il verbo "sorbire" mi fa venire in mente il "sorbitolo" comprato su ebay? Chissà come "ride" la tua consorte... :-)

melusina ha detto...

Film piuttosto brutto, in effetti, e Mastroianni solo e sprecato fra attori cani.
Pessoa, devo proprio avvicinarlo. È da anni in lista d'attesa, ma non è più tempo di aspettare.

Anonimo ha detto...

Mi spiace molto per Tabucchi, è un autore che in gioventù ho amato moltissimo, e che mi ha fatto scoprire Pessoa.
Secondo me da "Sostiene Pereira" (compreso) in poi ha iniziato il suo declino letterario. Restano insuperabili (nella sua produzione) "Requiem", "Notturno indiano" e alcuni racconti. I suoi ultimi libri sono semplicemente sono...
Marco

Anonimo ha detto...

L'ultima frase è da leggersi:
I suoi ultimi libri sono semplicemente illeggibili...
Marco

Giuseppe Lipari ha detto...

@luca: mia moglie "sorride" con te!

rom ha detto...

Il pessoaismo è peggio del pessimismo.

Jago ha detto...

Anche io ho preso e ripreso il libro, letto e riletto, e non finisce di inquietarmi.
Ciao

Luca Massaro ha detto...

Grazie a tutti voi che di qui siete passati a lasciare un segno