lunedì 19 marzo 2012

Fabbrica Italiana Automobili Termini Imerese

Lungo lunedì fuori casa, poi ritorno, giusto per vedersi mezzo Blob, un buon Cacciari in una trasmissione di Augias nella replica (benvenuta) delle sue Storie. Poi vedo un po' di Fini (giusto per le labbra della cara Lilli, oddìo che baci), mi ascolto un po' di Nello Giovane in versione live, sul canale Live di Sky e quindi basta, dico è l'ora, accendo il pc, sfoglio il reader e le news e vedo della strage francese e delle più o meno solite beghe italiane. 
Che cosa ho da dire? I miei due cari opposti, Phastidio e Olympe, parlano della Fiat da diverse prospettive. Mi torna in mente, di Salvatore Tropea, un articolo su Repubblica di ieri. Estraggo:
«C'è chi sostiene che negli anni il gruppo torinese abbia ottenuto dai governi qualcosa come 200 mila miliardi di lire: un conto difficile da accertare. È sicuro che il contratto di programma del 1988 riversò nelle sue casse oltre 6 mila miliardi di lire sotto forma di contributi in conto capitale e in conto interessi, mentre nell'ultimo decennio del secolo scorso arrivarono a Torino altri 2 mila 500 miliardi di lire sotto forma di esenzione di imposte, cassa integrazione, prepensionamenti e mobilità.»
E penso, a fronte della dichiarazione del presidente del consiglio Monti [«Chi gestisce la Fiat ha il diritto ed il dovere di scegliere per i suoi investimenti le localizzazioni più convenienti»], che se la Fiat  ha questo diritto-dovere, altrettanto ce lo avrebbe avuto lo Stato italiano se esso, all'epoca, in cambio di tutti quei soldi pubblici regalati a iosa, si fosse fatto dare delle azioni della Fabbrica Italiana Automobili Torino. Giacché i contributi statali che hanno consentito alla Fiat di sopravvivere sono tali e tanti che l'azienda di Torino avrebbe dovuto davvero diventare un'azienda a partecipazione statale, almeno quanto lo è la Renault in Francia. Chissà, se fosse andata veramente così, ci sarebbe stato anche più orgoglio a comprare italiano.
Ma a parte questo, fa davvero molta rabbia constatare che tutta la quantità di ore lavoro, che generazioni di operai e impiegati hanno consumato in fabbrica in cambio della sopravvivenza e poco altro necessario, siano così insignificanti e inutili, gettate via come spazzatura e bruciate nell'inceneritore del capitale. 

Sono sempre più convinto che, superato un certo limite, la proprietà privata non abbia più senso di essere. Che senso ha che gli Agnelli siano ancora i proprietari di una cosa che, di fatto, è (dovrebb'essere) pubblica... Andrebbero sbarbati da quelle poltrone, e lasciati ammuffire nei loro palazzi e ville confortevoli, altro che sedere, ancora, nei consigli di amministrazione.

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