martedì 27 marzo 2012

Il discorso è nell'ordine delle leggi


« Il desiderio dice: “Non vorrei dover io stesso entrare in quest'ordine fortuito del discorso; non vorrei aver a che fare con esso in ciò che ha di tagliente e di decisivo; vorrei che fosse tutt'intorno a me come una trasparenza calma, profonda, indefinitamente aperta, in cui gli altri rispondessero alla mia attesa e in cui le verità, ad una ad una, si alzassero; non avrei che da lasciarmi portare, in esso e con esso, come un relitto felice”. E l'istituzione risponde: “Non devi aver timore di cominciare; siamo tutti qui per mostrarti che il discorso è nell'ordine delle leggi; che da tempo si vigila sulla sua apparizione; che un posto gli è stato fatto, che lo onora ma lo disarma; e che, se gli capita d'avere un qualche potere, lo detiene in grazia nostra, e nostra soltanto”. »

Michel Foucault, L'ordine del discorso, Einaudi, Torino 1972 (traduzione di Alessandro Fontana. Ed. orig. Paris, 1970).

Io non ho avuto timore: ho cominciato. Ho iniziato, cioè, a parlare, voglio dire a scrivere pubblicamente esponendo quella parte mia di corpo che più volentieri espongo: la mente, bella o brutta che sia, nuda, non tatuata, se non dalle costanti citazioni che sottopongo per dar sostegno ai miei pensieri deboli, insicuri, timorosi di uscire dal seminato, dalla semantica e mi fermo, prendo fiato... Io quando parlo, quando scrivo – vorrei che si capisca bene, che non mi si fraintendesse – parlo o scrivo con la netta sensazione di non essere io a parlare, ma un discorso che abita dentro me, anche se non so bene definire come questo discorso abbia preso possesso della mia mente. Parlo e scrivo come se fossi in trance, e dopo non mi sento tanto autorizzato a rivendicarne la proprietà (intellettuale). Io (ma forse non soltanto io, forse tutti), quando parlo, quando scrivo, sono parlato, sono scritto; lì per lì mi sembra di essere l'artefice, ma è un illusione: basta poco per accorgersi che il linguaggio è come l'aria, soltanto più inquinata e controllata dalla propaganda del potere. Il potere impone un discorso, anche quello che lo contesta, purché il linguaggio che lo compone stia dentro il sistema, un po' come le ipotesi ad hoc stavano dentro il sistema tolemaico. Poi, d'improvviso, venne Copernico (e con lui Galileo e Keplero) e le stelle e i pianeti furono raccontati in altro modo... ma questo è un altro discorso, ci porterebbe lontano, fuori tema, fuori me.
Insomma, sono abitato dal discorso che la società impone, non ne esco, non ne so uscire, perché tutto quanto il linguaggio che è là fuori non mi appartiene, non riesco a immaginarne un altro di discorso, un nuovo paradigma, una nuova tessitura di parole che scardini il potere in senso generale ma anche quello spicciolo della lingua che si parla tutti i giorni con i propri simili, sempre in bilico tra il silenzio e la finzione. Voglio dire: oggi sono stato “costretto” a partecipare a un gioco in cui dovevo dire, età, passione e cibo che mi piace di più. Colei che conduceva il gioco ha detto: «Ho x anni, mi piace il mare e la vela, e come piatto la pasta con pesce e verdure».
Altri hanno detto la loro. Poi, inaspettatamente, ho dovuto dire anch'io: «Ho x anni, mi piace scrivere e leggere, e il pan di ramerino». Bene, quel mio discorso è stato parzialmente il mio discorso, perché è stato un discorso controllato, non vero in toto dunque, perché trattenuto. Io non potevo certo dire, come seconda cosa: «Mi piacciono le tue tette», rivolgendomi a colei che conduceva il gioco. E non ho potuto perché io non sono Copernico (né Galileo, né Keplero). Però, ora che ci penso, sarebbe stata una rivoluzione.

8 commenti:

giovanni ha detto...

Ma lei lo sa comunque, puoi esserne certo.

astime ha detto...

Peccato tu abbia deciso per la velatura: il gioco ne avrebbe tratto vantaggio, a mio parere :)
In tal caso avrei voluto essere presente per vedere come se la sarebbe cavata la conduttrice.

Buona serata

astime ha detto...

dimenticavo: da noi c'è un pane simile, si chiama gramulin: tutto uguale ma senza rosmarino. Sapore e profumo proustiano :))

Luca Massaro ha detto...

@ Giovanni
Se così fosse, mi auguro abbia apprezzato questa mia passione espressa come un ventriloquo.

@ Astime
che bel nome "gramulin". Son sicuro che mi piacerebbe, ho un debole per i pani dolci, non troppo zuccherosi.
Riguardo al gioco: non era proprio luogo ove potessi "svelarmi".

sirio59.mm ha detto...

Ed io che ho invece il sospetto che sarebbe stato molto più "imposto dal potere" proprio il tuo apprezzamento sul seno dell' interlocutrice...
Mah: vecchi retaggi di vecchio femminismo, i miei...

Luca Massaro ha detto...

Hai in parte ragione, Morena, e dico in parte perché io mi illudo che, se l'avessi detto, non avrei voluto far altro che esprimere ammirazione verso la bellezza femminile.
Come quando uno, camminando nel bosco, si trova davanti un magnifico albero e non può trattenersi dal dire: quanto sei bello.

rom ha detto...

Bellissimo, questo tuo andare. E mi trovo subito concorde, con ciò che vai dicendo.
Un paio di spunti: che non ti senti autorizzato a rivendicare la proprietà intellettuale di quello che ti trovi a dire mi ha fatto venire in mente una difficile affermazione di uno psicoanalista che si chiamava Bion: la verità non ha bisogno di un autore, la bugia sì.
L'altro punto è, se ho capito bene, una allarmata rassegnazione al potere del discorso, alla nascita al linguaggio, successiva alla nascita segnata dall'anagrafe all'aria e alla luce, quella del compleanno che infine ci ricorda solo la nascita delle nascite che si impiantano sulla prima e, come fa il discorso, tendono ad prenderne possesso. Dopo la nascita al linguaggio è impossibile tornare indietro - ecco, mi pare che tu vada dicendo: che faccio, dopo che ho pensato e detto che è impossibile tornare indietro, ci metto un punto interrogativo o vale uno affermativo?
E' un po' come quando una persona è presa dalla disperazione perché un'altra persona amata se ne va via. Magari dopo tanti anni di rapporto, magari avendo avuto insieme dei figli, tutta una lunga intensa storia di vita insieme. Sembra invivibile, a volte, la separazione. C'è chi non ce la fa. Eppure c'è stato un periodo, lungo, altrettanto intenso, prima, prima di aver conosciuto la persona che se ne andata via, e spesso è stato un periodo di vita altrettanto vissuto, significativo, per il quale la persona ora disperata può dire: io. E' recuperabile, quel prima, quell'essere, quel sentire, quel pensare?
Non so se mi sono fatto capire. Di prima in prima, si dovrebbe arrivare al primo anno di vita, almeno ragionando secondo le regole del discorso. Anno intensissimo, per tutti. Prima del linguaggio.
Va bè, scusa la lunghezza. Propongo un'attenuante: ti leggo sempre con piacere.

Luca Massaro ha detto...

caro Rom, grazie. Io pure ti leggo (vedo) altrettanto volentieri, dato che tu mi leggi e dici, a volte, anche là dove io non riesco a leggere e a dire. E dico questo senza alcuna captatio benevolentiae. Buona primavera