giovedì 31 maggio 2012

Dentro le uova

in un'aula completamente vuota
sbocciano dentro e fuori germogli di fico
la fuga primaverile, la levità
prepara frutti pesanti e miele fecondo,
a mia insaputa vengo spinto in altro luogo
il viaggio è cominciato, pieno e vuoto
in tappe successive denti aguzzi di volpe
attaccano i germogli e foglie nuove
forzano i sigilli socchiudono
invisibili bocche soffiano
parole che ritornano
dentro le uova.

Antonio Porta, Andate, mie parole, in Tutte le poesie, Garzanti, Milano 2009

Ripetiamo: «invisibili bocche soffiano / parole che ritornano / dentro le uova». 
Le parole quando tornano dentro la cosa, la riproducono, la realizzano. È un atto d'amore, è una congiunzione, è un ritornare dentro l'utero che le sviluppò e fece nascere. Le parole ritrovano la casa, si sentono a casa, si caricano di significato, di senso. Parole in viaggio di ritorno, finalmente, dopo anni di scorribande, di pensieri incerti, di voli. Eccole là, tutte in fila, come calzini appesi ad asciugare: le puoi dire, pronunciare con sicurezza, sono tue, tutte tue, te le sei dette e ripetute non so quante volte nella vita e ora sono vere parole ritornate a essere cose.

Start me up

«Gli economisti hanno uno strano modo di procedere. Per essi ci sono soltanto due specie di istituzioni, quelle artificiali e quelle naturali. Le istituzioni feudali sono artificiali, quelle borghesi sono naturali. In questo assomigliano ai teologi, che anche'essi pongono due specie di religione. Tutte le religioni che non sono la loro, sono invenzioni degli uomini, mentre la propria religione emana da Dio. Così di storia ce n'è stata, ma non ce n'è più». Karl Marx, Misère del Philosophie, Réponse à la Philosophie de la Misère par M. Proudhon, 1847, p. 113 (trovato in: Id., Il Capitale, Libro primo, Einaudi, Torino 1975, pag. 99)
Questo senso che la storia sia ferma al capitalismo, che da questo sistema non se ne esca perché sarebbe l'unico a garantire pace amore e libertà mi sembra una delle più drammatiche secche della storia nella quale l'umanità si sia imbattuta. Dare per scontato che così è se vi pare, il gioco è questo, forza ragazzi, sotto a chi tocca bamboccioni, dovete sudare, il merito, lo studio, la gavetta, uno su un milione ce la fa, è un'idea da pazzi rintronati che garantiscono il potere e il bengodi a chi ce l'ha di già. 
Con tutto il rispetto, a me questa idea dello start up sembra una grandissima stronzata che serve a perpetuare lo status quo. Oh sì, baldi giovani ce la fanno e dimostrano che tutto è possibile nel migliore dei mondi possibili. Ma possibile che? Per uno che si salva, mille affogano nella miseria e nella disperazione e nessuna intelligenza, nessun genio, nessuna valentìa sono validi se viene a mancare la condivisione. Qui il pane è uno solo, la materia grezza e lavorata dagli umani che appartiene a tutti, cazzo e controcazzo. 
Sto diventando uno spettacolare utopista e non me ne frega niente, non ho altro da perdere che cinquemila lire, una tastiera, tre libri messi in fila disordinata, un cesto vuoto che ora vado a riempire di ciliegie. Se volete favorire, la porta è aperta.

mercoledì 30 maggio 2012

Supercertezzemaggiori


Il ministro dello Sviluppo Corrado Passera ha chiesto intanto ai petrolieri di abbassare i margini sui carburanti per compensare l'aumento di due centesimi dell' accise sulla benzina. «Siamo certi che, in questo momento di emergenza per tanti cittadini e imprese - ha detto - anche le aziende petrolifere, che rappresentano uno dei comparti industriali più importanti a livello nazionale, vorranno fare la loro parte». Lo scorso 13 aprile era stata confermata l'ipotesi dell'aumento di 5 centesimi al litro della benzina per fronteggiare le emergenze attraverso un nuovo finanziamento della Protezione civile. Contemporaneamente verranno impiegati anche i fondi ricavati dai risparmi resi disponibili dalla spending review. Corriere della Sera
Corrado Passera, parlando a nome del Governo, si dichiara certo che i petrolieri «vorranno fare la loro parte», abbassando i margini di guadagno che hanno per ogni litro di benzina. Io, invece, mi dichiaro incerto.
In pratica Passera chiede che, a fronte dell'aumento di due centesimi al litro, i petrolieri, per far contento il Governo e meno scontenti gli italiani, si riducano i guadagni. Magari anche di due centesimi al litro.

Un paio di domande:

  1. Ma l'Eni appartiene ancora allo Stato oppure no?
  2. E se invece che attaccarsi a delle vacue certezze, il Governo facesse un bel decretino d'urgenza che aumenti le tasse precipuamente ai petrolieri non sarebbe meglio? Dite che sarebbe anticostituzionale? Perché i Moratti e i Garrone sono costituzionali?

Psyco pomeriggio

In auto, strada del ritorno, mi fermo, c'è una piazzola panoramica, tira vento, diciotto gradi, apro i finestrini, è un'aria necessaria. Vorrei che qui accanto ci fossero cose che cose non sono, qualcuno le chiama sommariamente mani, ma le mani non sono cose, o parti casuali del corpo: sono l'anima, con l'aggiunta di una a.
Passano moto sportive e camion di cemento, auto di vario tipo, furgoni frigorifero e no.
Qui sotto c'è una sorgente, ora vado, ho bisogno di sciogliere il sale di alcune lacrime: una tardiva manifestazione allergica alle graminacee e non solo, il fatto è che mi sono grattato gli occhi a più non posso, li ho rossi e se qualcuno mi vedesse direbbe, cazzo fai, piangi? No, rido e mi gratto, ma io non amo mentire e dunque mi lavo la faccia con un'acqua che sarà sì e no sett'otto gradi, bello schiaffo tra le ortiche che dominano il terreno circostante. Il sole è velato, il falco è alto levato*, e io vorrei qualcosa da ascoltare alla radio ora.
Torno in auto, passa una canzone di Samuele Bersani, parla di lui che va da uno psicoanalista sordomuto,  sono i migliori, indubbiamente. Ti guardano parlarti addosso e risolverti da solo, l'unico modo per guarire, ammesso sia possibile guarire da se stessi. «Poi di colpo qui davanti con i tuoi occhi ho una via d'uscita», da me stesso, da noi stessi, e ci si scioglie, ci si risolve, si producono soluzioni al grande enigma chiamato vita. Spengo la radio, riparto: la strada è meno triste di prima.

martedì 29 maggio 2012

E così esisti

Non so come stremata tu resisti | in questo lago | d'indifferenza ch'è il tuo cuore; forse | ti salva un amuleto che tu tieni | vicino alla matita delle labbra, | al piumino, alla lima: un topo bianco, | d'avorio; e così esisti!
Eugenio Montale, Dora Markus, Le occasioni.


(Una storia proprio così)


Dora si era trasferita da poche settimane nello stesso palazzo dove Lucas abitava ancora coi suoi, studente fuori fuori corso e lavoratore nel periodo estivo, quando ancora le amministrazioni statali non si affidavano alle cooperative per mandare in ferie il personale a tempo indeterminato. Ed era estate, appunto, quando una sera Lucas, mentre stava rientrando a casa dopo una birra cogli amici, nella prima rampa breve delle scale, si vide piombare addosso Dora che scendeva a precipizio, il volto pieno di lacrime e di urla soffocate. Lucas d'istinto si tenne alla ringhiera e riuscì ad evitare la caduta rovinosa di entrambi. Dora sbiancò, si premurò in scuse, si disse che era scema e che non avrebbe mai pensato. E intanto le lacrime si erano asciugate sulla camicia scura di Lucas che non dette troppo peso a quello strano umido, anzi, tentò persino di camuffarlo con un braccio pensando che del fosse sudore.
Oh, non si preoccupi, non è successo niente. È andata bene che non ho bevuto troppo e ho l'occhio della mente ancora sveglio.
Occhio della mente? Chissà cosa pensò Dora esattamente, ma il suo, di occhio, fu colpito da quella strana espressione abbastanza fuori luogo. Si salutarono con cortesia e ognuno riprese la sua strada.

Dora era sposata, aveva tre figli piccoli (due alle elementari e uno all'asilo) e un marito che era partito e non era tornato più. Aveva mandato una lettera e una fotografia dalla Patagonia, così, dopo aver lasciato tutto, famiglia, lavoro per seguire come un folle la sua idea chatwiniana della vita.
Dora si era ritrovata d'improvviso sola, un lavoro da precaria come personale tecnico della scuola, la famiglia interamente a suo carico, una madre che l'aveva ripudiata perché gliel'aveva detto che non doveva sposare quel bastardo, si vedeva lontano un miglio che non si doveva fidare, e che se l'avesse fatto lei non avrebbe più voluto sapere niente di lei, di lui e degli eventuali nipotini. Dora aveva sì un fratello, ma era un tipo semialcolizzato che viveva di piccoli espedienti e non avrebbe certo potuto dargli alcun aiuto né conforto. I suoceri, no, non poteva lei, anche se loro si sarebbero volentieri fatti in quattro sia per lei che per i nipoti. Essi sapevano che figlio avevano messo al mondo e si sentivano in parte responsabili per non essere riusciti a evitare il matrimonio; essi avrebbero anche accolto Dora in casa, per evitarle le spese dell'affitto, ma lei non ne voleva sapere, non poteva darla vinta a quello stronzo che, se ella si fosse lasciata convincere dalle premure dei suoceri, egli avrebbe nel suo cuore trovato un alibi per quell'esito famigliare.

Allora lotta dura, gli assegni familiari che non bastavano nemmeno a comprare un paio di scarpe a un figliolo, l'arrotondare lo stipendio offrendosi come le macedoni o le albanesi a pulire le scale del condominio, ma a qualche euro in meno sennò le coinquiline non l'avrebbero preferita.

Dora si risolveva a fare le scale la sera, dopo cena, appena messi i due più piccoli a letto e lasciato il “grande” davanti alla televisione. E una sera di queste, era ancora estate, i primi di settembre forse, Lucas, tornando a casa prima del solito – il bar era deserto, gli amici soliti in vacanza chissà dove e lui invece no, non era potuto andare per il lavoro – incontrò Dora sulla porta dell'ingresso con il secchio in una mano e lo spazzolone nell'altra.
Passi, passi pure, non fa niente se non è asciutto. Ripasserò.
No, no si figuri, aspetto un po', non mi dispiace, tanto ancora non è tardi, e rientrare a casa presto le sere d'estate mette una certa tristezza.
Già, proprio così. Ma tu... mi scusi, ma lei non può essere triste. Lei, coi suoi occhi della mente.
Lucas sorrise, azzardò subito un possiamo darci del tu, e così fecero, in modo che gli occhi della mente fossero di entrambi più vicini.

Qualche sera dopo, era tardino, quasi mezzanotte, ancora una volta Lucas trovò Dora con secchio e spazzolone a lei vicini, ma con in mano una lettera ch'ella leggeva alla debole luce dell'androne. Si sorrisero e, in quell'attimo, il timer della luce fece clic e fu buio. Cinque secondi e una mano, non sappiamo di chi, riaccese. Si risorrisero. Lei gli fece gli occhi dolci. Lucas aveva in bocca di una guinness l'amaro.
È mio marito che mi scrive. Mi dice che non torna, che ha conosciuto una scozzese e che si è innamorato di lei. Mi dice anche che, appena può, mi farà avere dei soldi per i bambini. Io non li voglio i suoi soldi di merda. Scusami. Non volevo dire merda ma ormai l'ho detto.
La merda porta bene e va pronunciata sempre due volte, porta meglio.
Lei rise. Lui la guardò con un certo non so che. La luce si rispense. Nessuno la riaccese.

lunedì 28 maggio 2012

Lo sport è la vera antipolitica

«È sempre stata attribuita allo sport, in ogni epoca e soprattutto da ogni governo, un'importanza grandissima, per la buona ragione che lo sport intrattiene e obnubila e rimbecillisce le masse, e in primo luogo le dittature sanno bene perché sono sempre e in ogni caso favorevoli allo sport. Chi è per lo sport ha le masse al suo fianco, chi è per la cultura ha le masse contro, diceva mio nonno, e per questo tutti i governi sono sempre per lo sport e contro la cultura»
Thomas Bernhard, L'origine, Adelphi, Milano 1982 (traduzione di Umberto Gandini).

Non parlo mai di sport, forse l'avrò fatto una volta qui dicendo che apprezzo, come sportivo e come uomo, Fernando Alonso della Ferrari, poi più nulla. Ammiro tuttavia chi fa sport, soprattutto a livello dilettantistico, per il proprio piacere personale, fisico e mentale. Delle competizioni quindi non ho mai scritto né, credo, scriverò, nemmeno degli scandali e di altre facezie, come quelle che colpiscono il mondo del calcio italiano in questi momenti. Non lo faccio quindi neanche ora, figuriamoci, non ho nulla da dire al proposito, solo una cosa, un parallelo, che trovo suggestivo. Potrò mai un giorno disinteressarmi così della politica, italiana e internazionale? E ora passo al noi: potremo mai, in quanto umani, permetterci questo lusso - che tanti già si permettono, peraltro - come se la politica non ci riguardasse molto, molto più dello sport (e del calcio)? 

domenica 27 maggio 2012

Troveremo presto un'isola

Cody Bratt
«A ship in port is safe; but that is not what ships are built for. Sail out to sea and do new things». Grace Hopper
Anche la vita, infatti.

Per questo stamani mi sono deciso a partire, a mollare gli ormeggi. Non tirava nemmeno vento, faceva caldo e il sole faceva trasudare la terra umida. Ma nonostante tutto invogliasse a tenere la vita in porto, oggi mi sono detto no, devo partire, devo lasciare la vita libera di andare dove vuole. 
L'equipaggio per ora mi dà retta, finché non arriva la tempesta sarò certo un buon capitano. Dopo non saprei, non posso prevedere, al limite mi legherò come Ulisse all'albero maestro o come Truman Burbank nella finta tempesta demiurgica nei dintorni di Seahaven Island. 
Controllo tutto, dormo anche poco, il vento soffia a poppa e ci mancherebbe altro. Ogni tanto un marinaio mi chiede se sono sicuro di trovare nuove Indie. Gli rispondo di stare calmo, di tagliarsi le unghie, di credermi, e di considerare che io esisto più di Dio, anche se Dio non sono e meno male, sarei in imbarazzo se lo fossi, con tutte le risposte che l'Altissimo ha da dare, soprattutto a noi infedeli. Insomma si naviga, che altro si deve fare in fondo, oramai siamo partiti. 
Le nuove cose (le chiamerei se mi permettete “esperienze”) sono insite alla navigazione, basta non prendere lo scorbuto, basta non inchinarsi vicino agli scogli per dimostrare chissà che. Nessuna moldava a bordo, barra dritta, avanti piano, tenetevi forte a me, chiudete gli occhi, troveremo presto un'isola.

Sappia la (mano) Sinistra cosa fa Destra

Sul Corriere della Sera cartaceo di oggi (ma non ancora online) v'è un editoriale di Antonio Polito sulle “ambizioni del PD” dal titolo: «Se la sinistra vuole governare dimostri di essere cambiata». Cavolo!, mi sono detto, qui non si scherza, leggiamo.
Ho letto.
Bastava il titolo.
In effetti, tale editoriale non dice altro, non una proposta sul come la sinistra dovrebbe cambiare o su cosa dovrebbe cambiare. Niente. Polito si limita soltanto a ricordare il fallimento dei precedenti governi del centro-sinistra della cosiddetta Seconda Repubblica, e che:
«Insomma: è quantomeno legittimo non fidarsi, visti i precedenti. A questo passato si potrebbe ovviare offrendo una garanzia per il futuro. La sinistra potrebbe cioè convincere gli italiani che la prossima volta non sarà come le due precedenti. Però, a differenza che in tribunale, in politica l'onere della prova incombe sul sospettato. Non sono gli elettori a doverci credere, ma la sinistra a doverlo dimostrare. Per ora, a dire la verità, né le possibili alleanze, né il personale politico, né i contenuti programmatici sembrano discostarsi significativamente da quelli che furono alla base degli insuccessi precedenti. Non è che se c'è Vendola al posto di Bertinotti e Di Pietro al posto di... Di Pietro, le cose cambino molto. Per giunta, stavolta non c'è neanche un Prodi».
Anche il personale giornalistico dovrebbe essere rinnovato, non trovate? Occorreva Antonio Polito per arrivare a comprendere queste cose? Perché Polito, invece di limitarsi a queste scontate analisi, non ha provato a dare qualche suggerimento - anche riformista e cerchiobottista - alla sinistra?
Perché egli si pasce della fuffa politicante che alimenta il suo non luogo ad essere un autorevole editorialista politico. Discorso complicato riassumibile in: di quel che scrive Polito non importa un cazzo a nessuno - a me oggi un pochino, visto che ho abboccato al suddetto titolo.

Comunque, dato che siamo persone ragionevoli e propense all'altruismo intellettuale, qualche consiglio glielo possiamo pure dare noi a Polito, affinché dalle pagine del Corsera, col suo prossimo editoriale, egli possa proporre qualcosa di concreto per il cambiamento della sinistra. Vediamo:
  • La Sinistra per cambiare dovrebbe rendersi conto di essere di sinistra.
  • La Sinistra per cambiare dovrebbe semplicemente essere la parte politica che difende il lavoro contro il predominio del capitale.
  • La Sinistra per cambiare dovrebbe essere la parte politica che tutela gli interessi del ceto popolare e del ceto medio contro quella minuscola parte di individui sfruttano il popolo, altrimenti detti padroni.
  • La Sinistra per cambiare dovrebbe avere a cuore un idea di Stato laico che non si arrocca in alcun tipo di nazionalismo, e che imponga con forza l'idea di un'Europa dei popoli e non un'Europa degli interessi finanziari.
  • La Sinistra per cambiare non dovrebbe mai più farsi condizionare dalle pressioni vaticane (o di altra natura confessionale) riguardo ai temi di natura civile e bioetica.
Eccetera... Al momento mi sono stancato di proseguire. Accolgo volentieri i suggerimenti di chi volesse. Tanto per farsi un'idea su cosa bisogna intendere con la parola (politica) sinistra.

sabato 26 maggio 2012

A' Mangane', stavo a penzà 'na cosa

via

Ora che il FAI sia un covo di terroristi non ci posso credere.
Anche se è vero che il suo attuale Presidente, la pasionaria Ilaria Borletti Buitoni, una certa aria da anarco-insurrezionalista-informale ce l'ha. 

E io che pensavo fosse un lupo




Benedetto XVI (nella rappresentazione guzzantiana):
«Eolo, ricordati che Zeus (Zius) è il padre di tutti gli dèi.».

Wake up, Left


Federico Rampini: «Perché anche la sinistra quando va al potere diventa succube dei banchieri? Perché Obama all'inizio del suo primo mandato nominò così tanti consiglieri legati a Wall Street?»

Paul Krugman: «Perché danno la sensazione di sapere. Sono davvero impressionanti quelli di Wall Street: danno a intendere di capirne qualcosa, anche dopo avere distrutto il mondo, o quasi».
La Repubblica, 26 maggio 2012, pag. 49

Finché non vedremo le palle appese ciondoloni, agli alberi della nostra cuccagna, dei vari wallstreettiani che ammorbano il mondo, le speranze di una “ricostruzione” del mondo stesso saranno poche - e la sinistra, porcamiseriacciainfame, se non capisce questo non capirà mai un cazzo. (Stanno a preoccuparsi delle cazzate di Berlusconi, ma tirate lo sciacquone a questa legislatura indecente, aspettate dell'altro, bravi, per vedere come galleggeranno gli stronzi - e poi hai voglia dopo a spingerli giù).

Proviamo a dare retta a Krugman, almeno un paio d'anni, vediamo come funziona la cosa, diomio, peggio di così non potrà accaderci nulla.

(Considerazioni ingenue: il debito pubblico... ma dove vuoi che li mettano i soldi se non nel debito pubblico i mercati? Persino la Goldman Sachs ce li compra i Btp!
Altrimenti, proponiamogli il deserto, la mortificazione, il Mar Caspio della desolazione. Cristo, c'è gente che si compra il debito tedesco o giapponese senza guadagnarci niente e noi ci preoccupiamo di non trovare qualcuno visto che possiamo dargli quasi il 5%? Nostro malgrado, beninteso). 

N.B.
Il video degli Arcadia Fire è suggerito dallo stesso Krugman.

venerdì 25 maggio 2012

Movimenti Pandistelle


È presumibile che se l'Italia fosse interamente amministrata dagli attivisti del Movimento Cinque Stelle, probabilmente essa diventerebbe, come nazione, simile alla Danimarca o alla Finlandia. È presumibile, a patto che davvero tali attivisti restino dei volontari che si limitino a uno-due mandati e poi a casa, e che il loro esercizio di potere sia veramente solo un mettersi al servizio della comunità, senza diventare schiavi-padroni delle manfrine politiche e di potere che negli anni hanno fatto marcire lo Stato italiano. È presumibile che tutto funzioni meglio, che la macchina della pubblica amministrazione cominci a marciare regolarmente (niente sprechi, ruberie). Peggio di chi finora ha condotto la dianzi detta macchina non faranno, si spera; anche se, va detto, essi andranno a operare in un contesto in cui i soldi a disposizione delle amministrazioni pubbliche sono veramente al minimo storico.
Non resta che aspettare per vedere come si comporteranno e quali risultati otterranno a beneficio della popolazione - e su questi risultati andranno giudicati (politicamente).

Viene da chiedersi tuttavia - e credo legittimamente: se tutti i mali della casta politica italiana fossero sanati da questo nuovo modo di far di politica, l'Italia diventerebbe sul serio una nazione ricca e socialmente avanzata, che riuscirebbe, finalmente, a mantenere le promesse della Costituzione repubblicana?

Dubito, fortissimamente dubito.

Il fatto è che anche qualora i pentastellati (#Leonardo) riuscissero, diventando forza di governo, a sanare tutti i guasti della cattiva politica, essi si troverebbero di fronte alla questione delle questioni: come impostare una politica economica che porti beneficio e benessere a tutti i cittadini, puntando soltanto sulla decrescita e sulla distinzione tra merci buone e merci cattive? Sono sicuri il M5S e il MDF che coloro che detengono le leve del capitale si facciano infinocchiare beatamente dalle tesi carine e avvertite che ci renderebbero tutti più felici e intelligenti, più sani ed efficienti?
La massa enorme dei capitalisti è composta da spregevoli individui senza scrupoli che troneggiano diuturnamente a sbafo dell'umanità. I capitalisti riescono in questo grazie alle guardie di regime al loro servizio (tecnici o sgherri profumatamente pagati, così tanto che anch'essi diventano, in un breve volger di tempo, degli affiliati al club dei Re Soli), che mantengono il popolo calmo con le buone o con le cattive, con le riforme o con le repressioni.

Chi affama il mondo non è il misero consigliere regionale siciliano (sia esso testadicazzo in odor di mafia oppure no) che prende dodicimila euro al mese. Finché non si capiscono queste cose non si va da nessuna parte.
C'è un unico movimento che potrebbe riuscire a dare speranza al mondo, e non è quello dei piccoli aggiustatori di buona volontà: ma è il movimento di chi capisce la necessità della lotta, dell'odio viscerale e profondo verso i padroni del capitale, che come i re e gli imperatori di una volta, si sentono legittimati a comandare - e anche fottere il mondo.

giovedì 24 maggio 2012

Un figlio di colorito chiaro

«Se si desidera avere un figlio di colorito chiaro, il quale conosca a mente un solo Veda e giunga normalmente alla fine dei suoi giorni, è necessario che i genitori mangino, prima dell'amplesso, riso bollito nel latte e condito con burro sciolto. Essi saranno così in condizione di generare il figlio desiderato».
Upanisad antiche e medie, a cura di Pio Filippani-Ronconi, Bollati Boringhieri, Torino 1960 (ristampa 1995).

Domani, se me lo ricordo, vado a domandare a mia madre cosa mangiò prima dell'amplesso che condusse alla mia generazione. Sempre che se lo ricordi. Potrei, al momento, azzardare qualche congettura. Non certo riso al latte e condito nel burro, ché il riso è sempre piaciuto poco a casa mia. Fegato impanato e fritto? Trippa alla fiorentina? Uova strappazzate? Pasta al pomodoro? Fagioli all'uccelletto con salsiccia? Tortelli di patate? Rapi con rigatino? Ossibuchi? È probabile. Ed probabile che mio padre mangiò le stesse cose di mia madre, con l'aggiunta di un po' di vino locale.
E la domanda: essi furono in condizione di generare il figlio desiderato? Ma prima ancora: essi seppero in quel momento che stavano generando me? Desideravano me, proprio me, nient'altro che me? Si aspettavano che diventassi ciò che sono, oppure ebbero al momento dei progetti di vita diversi sul mio conto? Mia madre avrà forse voluto fossi femmina?
Boh. Domande inutili. Sono qui, e invece di guardare avanti guardo indietro come se questo mi restituisse il tempo consumato di una vita che in fin dei conti non ho mai cercato che fosse diversa da quello che è. Una vita comoda d'occidente, senza tante voglie di avventura nel circo massimo del mondo. Una vita che cerca di rispondere alla domanda Che ci faccio qui? semplicemente guardandosi intorno, senza l'ansia dei bagagli e di un letto sempre nuovo.

mercoledì 23 maggio 2012

Parlare a braccio con Dio

- Buonasera Dio
- Buonasera umano.
- Ah, meno male non mi hai chiamato "figliolo".
- E perché dovevo? Non sono mica tuo padre.
- Non sei mio Padre? Ma se l'ha detto oggi uno dei tuoi massimi rappresentanti in Terra, parlando a braccio, che tu sei il Padre.
- Tocca qua.
- Dove?
- Qui, sul petto. Le senti?
- Ma sono tette! Sono vere?
- Per la miseria, che vuoi che mi faccia fare gli impianti di silicone? Senti che roba.
- E come sarebbe questa storia?
- È perché tu vada in giro a raccontare che il Papa teologo farebbe meglio a parlare a cazzo anziché a braccio, proprio come stai facendo te ora.
- Ma insomma, Dio, sei o non sei il Padre Nostro?
- Lo sono.
- E allora vedi che il Papa non si sbaglia?
- Ma non sono solo il Padre. Sono anche la Madre. Sono anche il Figlio, la Figlia, il Nonno, la Nonna, sono lo Zius, come ha detto un ragazzino oggi al maestro durante l'interrogazione sugli antichi Greci.
- Dunque sei tutto.
- Cazzo, sono Dio, vorrei anche vedere. Sono tutto e sono niente, tutt'insieme.
- Bella fica che sei.
- Anche.
- Ma perché il Papa insiste a dire che sei solo Padre?
- Perché non sa esattamente cosa vuol dire la paternità di Dio. Si lamenta che l'assenza dei padri nelle famiglie moderne renderebbe difficile capire la mia paternità. Come se ci fosse un nesso tra il padre inteso come genitore e il Padre inteso come creatore. Certo, da un punto di vista storico, psicologico, teologico il nesso c'è, ma è un nesso del cazzo, dato che io, storielle evangeliche a parte, non faccio mica sesso con voi umani. Io sono la Gabbia che tutto contiene e voi siete prigionieri di questa idea. Se volete uscire, smettete di pronunciarmi, è facile.
- Facile? Con tutti coloro che usano il tuo nome come garante del loro potere terrestre, figurati se è facile smettere di pronunciarti. Dovremmo compiere un ulteriore salto evolutivo, dal Sapiens² al Sapiens³. Infatti, il Papa non ha tutti i torti a dire che «da quando esiste l'homo sapiens, l'uomo cerca di parlare con Dio».
- Ecco: cerca di parlare con me, ma non trova me, ma solo l'idea che egli si fa di me. Idea che muta nel corso dei secoli dei secoli.
- Amen.
- Buonanotte umano.
- Buonanotte Zius.

Messico e nuvole (una storia proprio così)

*

Mi ricordo una volta, quella volta che ero innamorato, che eravamo innamorati. Era bello, eravamo pazzi l'uno dell'altra, ci cercavamo, ci scrivevamo, ci facevamo delle fotografie in bianco e nero che poi facevamo sviluppare in un negozio di città perché erano un po' spinte, soprattutto quelle in cui facevi la pipì con quel vestito bianco tipo sposa hippy che ti stava tanto bene. Chissà dove sono finite quelle foto, se le avrai conservate, visto che le tenevi tu.

Mi ricordo che ci bastavamo, che non chiedevamo altro che vederci, che telefonarci al tempo in cui i telefonini non c'erano era una meraviglia, dato che non ci irradiavamo il cervello con le onde elettromagnetiche. Sarà per questo che siamo ancora così intelligenti?

Mah. Comunque ci amavamo, inutile negarlo. Eravamo in simbiosi, ritmi condivisi, anche nel sesso. Cioè io lo avrei fatto anche qualche volta in più, però non è che al tempo avevamo una casa, avevamo una macchina e pure abbastanza scomoda e d'inverno faceva freddo e i vetri si appannavano, anche se poi era divertente disegnarci cuoricini e qualcos'altro.

Eravamo così contenti di stare insieme, tanto che salutavamo sempre prima la brigata degli amici coi quali andavamo a bere birre. E se allo stronzo che ci aveva provato mentre andavi in bagno prima di partire tu avevi tirato un calcio in uno stinco, io invece non avevo risposto ai piedini della tua amica un po' puttana, ché si vede gli piacevo perché io piacevo a te e lei s'immaginava chissà quali doti avessi mai oltre a quelle del vaneggiamento.

E poi arrivò l'autunno, il tuo compleanno, una telefonata di un tuo vecchio amico che chissà perché si rifece vivo e io, per poco, mi ritrovai morto, perché dal tutto, in pochi mesi, passai al niente. Era primavera, era maggio e mi giravano le palle come un'elica perché tu, con l'onestà che sempre ti contraddistinse, mi dicesti che no, non mi potevi più vedere, che era inutile insistere, vai pure a camminare con Daniela che ha le poppe grosse più di me.

Me ne frego delle poppe, dei piedi, e di quella puttana di tua amica che adesso sta' tranquilla non me la darebbe nemmeno se gliela pagassi. L'amore è una brutta bestia, ma dimmi una cosa: io ti amo ancora e niente è cambiato per me e vorrei capire il perché per te lo è anche se tu non me lo dirai mai per non ferirmi, ma dimmi: se tu tornassi indietro e mi rivedessi con quel cappello e quel libro in mano cosa faresti, ti volteresti da un'altra parte?

No, non mi volterei da un'altra parte e ti ribacerei perdutamente, così come ti baciai, sotto le note magiche di Messico e Nuvole, la faccia triste dell'America. Ma non ora no, non posso più: amo un altro e io non voglio più vederti, altrimenti staremo male io e te, e nonostante tutto a quel noi io, in parte, ci tengo ancora, seppure nello spazio del ricordo.

Ok, va bene, ma addio non ce lo diciamo, mi sembra di morire. Il mondo è questo, non ha importanza. La vita è lunga e io sarò triste, un'esperienza che un giorno forse troverò persino necessaria. Stare male fortifica l'animo. Con la disillusione si cresce. Si diventa grandi sulla propria pelle, sulle proprie palle e su poche stelle come cantava Vecchioni in una canzone ai tempi in cui le sapeva scrivere. Ma le palle mie non sono diventate così forti come pensavo. Anzi. No, non perché ti pensi o rimpianga i tuoi baci dappertutto.

È che vent'anni fa mi lasciasti proprio nel momento in cui l'Italia era nella merda, presa tra la mafia e Berlusconi e io non ero pronto come ora a fare la rivoluzione. Ora sì che sarei pronto, magari anche a mandarti a fare in culo.


N.B.
Paula della foto non c'entra nulla. Mi piaceva il maglione.

Spleen

Toute la journée au boulot.
«Mon pauvre petit matelot!»

Giorgio Caproni, Versicoli del controcaproni, in Tutte le poesie, Garzanti, Milano 1999

martedì 22 maggio 2012

Dalla parte di Santippe


Questa professoressa è uno dei pensatori (o delle pensatrici) più influenti di Francia.
Stasera (poco fa) su Twitter ha scritto:
Mi viene da rispondere:
Sto leggendo #MichelaMarzano. Che vergogna la nostra classe filosofica. Solo demagogia. Nient'altro che demagogia. Basta prendere per in giro la gente che ti legge e che magari poi ti dice: «Brava, la penso come te». E poi? Cambia qualcosa dopo questo pensierino? 

Ah, se è così va tutto bene

 «Il Pd e il centrosinistra vincono le elezioni, i democratici non accetteranno che qualcuno tenti di rubare la vittoria. Questo è il risultato dei ballottaggi, 177 Comuni al voto sopra i 15mila abitanti, 92 vinti dal centrosinistra, l'altra volta erano 45. Questi sono i fatti. Quindi noi, senza se e senza ma, abbiamo vinto le elezioni amministrative dell'anno 2012. Capisco il simpatico tentativo, anche in queste ore, di rubarci la vittoria, ma non sarà consentito. Abbiamo avuto risultati incredibili, straordinari. Vorrei anche smentire l'idea che noi con Grillo perdiamo: a Garbagnate abbiamo vinto». Pier Luigi Bersani, 21 maggio 2012.


«Supponiamo che io giochi a tennis e che uno di voi mi veda giocare, e dica “In realtà lei gioca abbastanza male”. Supponiamo che io replichi “Lo so, gioco male ma non voglio giocare meglio”; quell'uno di voi potrebbe allora solo dire “Ah, se è così va tutto bene”.  
Ludwig Wittgenstein, “Conferenza sull'etica”, in Lezioni e conversazioni, Adelphi, Milano 1967 (a cura di Michele Ranchetti).

Mi tocca volergli bene?


E l'erba verde diventa paglia

Chissà quale ragione abbia spinto la mia memoria oggi a ricordarsi dell'esistenza di questa canzone.


Non so esattamente di che anno sia (1971 o 1972), avrò avuto quattro/cinque anni, forse sarà stata parte di uno dei pochi dischi che i miei tenevano in casa.
E mi chiedo: oggi, un bambino di quattro/cinque anni, tra quarant'anni, cosa si ritroverà ancora in testa, quali memi? Quelli di mtv o di radio deejay avranno un simile potere evocativo?
Sarà che appunto saranno quarant'anni che non ascolto questa canzone, ma mi sembra veramente bella e non sputatemi addosso se lo dico. 
Boh, sarà ch'è maggio, sarà che piove, sarà che mi sento capitano e soldato insieme, sarà che vedo un'Italia divisa in bianchi e neri, sarà che il Vaticano (con Bagnasco) preme che sia riempito il vuoto tecnico-politico, sarà che il Pd mi fa girare (come sempre) le palle, sarà che Grillo non mi convince, sarà che Olympe mi convince, sarà che non mi fido del disfacimento del centrodestra e della Lega, boh.
Sarà che l'erba verde diventa paglia e lungo il fiume continua la battaglia.

lunedì 21 maggio 2012

Una storia proprio così

Sono stanco e avrei voglia di raccontare una storia. Una storia semplice, ché da stanchi le complicazioni sono insostenibili. E la storia è questa, anche se in realtà non è una storia ma una constatazione. E la constatazione è questa: nei momenti impervi della giornata, quando la stanchezza e la tensione si fanno più sentire, lo sconforto anche, non c'è cosa migliore che mettersi in contatto con la persona che in quel  momento vorresti avere accanto, anzi, che ti è costantemente accanto anche se, di fatto, è da un'altra parte, magari alle prese con altre stanchezze, altre tensioni, altri sconforti. E toc, toc, un messaggio, un colpo di telefono, una mail, un non so che ed ecco che il sorriso ti torna e la forza anche per affrontare le minute difficoltà del momento. 
E la storia è questa: io stamani, per ragioni che ora non importa specificare, mi sono trovato bloccato per un'ora e mezzo circa sull'A1 proprio poco sopra Barberino, in un tratto in salita, metà dentro e metà fuori galleria, pioggia forte che rigava i vetri e faceva venire una gran voglia di orinare e non potevo certo scendere e il traffico non si sbloccava e il nervoso aumentava, e la radio annunciava che la coda si allungava, e incazzarsi non serviva, però urlavo e bestemmiavo volentieri così ho inviato un sos (sms) alla persona che dicevo e l'effetto è stato che, di colpo, il traffico si è sbloccato e sono ripartito, ho accelerato, e mi sono ritrovato in un batter d'occhio al Cantagallo e mi sono precipitato nella toilette dell'Agip, in certi vespasiani stretti, e ho cominciato a orinare quando è entrato un camionista, credo umbro ma non saprei, che nel vespasiano accanto ha iniziato a pisciare pure lui e che, nella soddisfazione del momento, ha detto: «Ancora un altro po' e mi veniva una colica». E meno male che ero lì che finivo il mio bisogno altrimenti me la sarei davvero fatta addosso dalle risate.

domenica 20 maggio 2012

Una chiara visione antropologica?

In un paragrafo di un suo agile articolo su Avvenire, Eugenia Roccella, già sottosegretario alla Salute del governo Berlusconi, scrive:
È impossibile ormai fare politica senza avere una chiara visione antropologica, perché ogni scelta di governo ne viene influenzata profondamente. Decidere per il matrimonio omosessuale o per la fecondazione eterologa, per l’eutanasia o per la diffusione delle diverse 'pillole del giorno dopo' fra le minori, vuol dire avere in mente una società dove le reti parentali e i legami comunitari sono indeboliti, dove l’individuo è apparentemente trionfante e autodeterminato, ma in realtà solo e incerto, privo di sostegno e di rapporti stabili. Una società in cui la longevità, che è stata finora il parametro fondamentale per misurare il benessere di un Paese, può trasformarsi in una 'minaccia sociale', come ha denunciato il Fondo monetario internazionale, perché rende insostenibile l’equilibrio dei sistemi di welfare. 
Ora ditemi voi se la Roccella ha una chiara visione antropologica. A me pare di no, e non tanto perché  non la condivido e - per quanto sta in me - la contrasto. Ma non capisco proprio il nesso tra matrimonio omosessuale, fecondazione eterologa, eutanasia e pillola del giorno dopo da una parte, e il problema della longevità dall'altra - ammesso e non concesso che la Roccella abbia cambiato idea sull'eutanasia, dacché, da quanto scrive, sembrerebbe che ella, per venire incontro alla denuncia del FMI*, volesse fare a meno dei vecchi. O meglio, per come pone le questioni in successione, sembra che per la Roccella il matrimonio omosessuale, la fecondazione eterologa, l'eutanasia e la pillola del giorno dopo facciano diventare gli individui più longevi e che da questo derivasse una “minaccia sociale” per i sistemi di welfare delle società occidentali. Se così fosse, cioè se una delle cose dell'elenco summenzionato facesse davvero diventare più longevi (concedendo pure l'eutanasia per chi volesse al compiersi dei cento anni), credo che ognuno di noi sarebbe a favore dell'una cosa o l'altra. Anche Berlusconi che, nel caso, si sposerebbe subito con qualcuno, Signorini per esempio. 

*Come se quei tromboni di mangiatori a ufo del Fondo Monetario Internazionale non diventassero longevi pure loro e sulle spalle di chi.

Tutta la Terra è un punto

Bombe, terremoti, crisi economica e politica, e che due cugghiuni questa storia che doveva essere finita. Ma dov'è quel citrullo di Fukuyama, dov'è la pace, la concordia (non quella del Giglio), l'armonia, la destinazione paradiso? Niente sotto questo cielo si ripete, però mi sembra di rivivere uno stato d'animo già provato una ventina d'anni fa, la stessa insicurezza, lo stesso giramento, lo stesso spaesamento. Nel frattempo un tre lustri berlusconiani hanno fiaccato così tanto l'animo mio politico che ancora devo riprendermi, tanto m'hanno scorato. È vero: vita vuol dire insicurezza, incertezza, ma non è questo il punto. Sono abbastanza avvezzo al mutamento e ho connaturata (per fortuna) una certa dose di stoicismo. Quindi piedi a terra,
«perché tutta la Terra è un punto: e quale minuscolo cantuccio della Terra è questa dimora? [...] Soprattutto non agitarti e non darti troppa pena, ma sii libero e guarda la realtà da uomo, da essere umano, da cittadino, da essere mortale. E tra i principî che più dovranno stare a portata di mano quando ti ripiegherai su di essi, vi siano i due seguenti. Il primo: le cose non toccano l'anima, ma stanno immobili all'esterno, mentre i turbamenti vengono soltanto dall'opinione che si forma dall'interno. Il secondo: tutto quanto vedi, tra un istante si trasformerà e non sarà più; e pensa continuamente alla trasformazione di quante cose hai assistito di persona. Il cosmo è mutamento, la vita è opinione». Marco Aurelio, A se stesso, Libro IV, 8-12 (traduzione di E.V. Maltese per i tipi di Garzanti, Milano).
Bella forza, Marco Aurelio era imperatore e le cose toccano eccome l'anima a noi che imperatori non siamo; le cose vengono prima del verbo - come ha scritto anche Giudici nella poesia sotto questo post. Le cose ti vengono addosso più delle parole, e quando sono bombe e terremoti non esistono filosofie che possano giustificarle. Ti senti annichilito e pensi, come anche poco prima del passo succitato Marco Aurelio scriveva: «O Provvidenza o Atomi», con l'aggiunta: o Stronzi. E ce ne sono di stronzi assassini al mondo, che impediscono all'intelligenza umana di regolare il cosmo come una città, coi cassonetti al posto giusto con dentro soltanto la spazzatura e non volontà omicide. Tutta la Terra è un punto: è facile sputarci sopra.
È così - e vorremmo tanto essere confortati, sollevati, e vivere al calduccio o al fresco nel minuscolo cantuccio della nostra dimora, bevendo una tisana o una granita a seconda della stagione e sperando che la storia non ce le faccia andare di traverso.

Il verbo fu dopo la cosa

Il verbo màinomai greco uguale
a do di fuori non capisco più niente
non rispondo di me reggetemi se no
rompo tutto o non so

cosa farò – tre sillabe
per forza d'ortografia
per un accento tenute insieme – ma
inomai sguscia via

sfascia il dittongo scatta l'estremità
molla di trampolino
la solitaria sillaba innocente
scherzo nell'aria va

il verbo màinomai parente
di un mad inglese (madding) dell'italiano
matto semplicemente
nei casi meno gravi una manìa

madre mattana che strazia d'allegria
sul mà di màinomai aurorale
uno che vuole volare
e sul selciato si spacca il mento

bocca chiusa senza lamento
in fondo al vuoto cercato per una futile rosa
matto è chiamato – e la sorda
dentale ricorda

che il verbo fu dopo la cosa

Giovanni Giudici, “Il verbo màinomai”, in Autobiologia, Mondadori, Milano 1969

sabato 19 maggio 2012

Bombole


Dalle mie parti oramai le bombole di gas sono desuete. Il metano è arrivato più o meno dappertutto. E di solito, chi abita in campagna come me, ha un bombolone da mille litri per il gpl, dato che costa meno il gpl in questo modo; infatti, il gpl delle bombole ha un prezzo assurdo, sulle 27 euro per una bombola da 10 litri, 2,7 € al litro, un'enormità. 
E quindi, da un punto di vista prettamente investigativo, trovare chi abbia piazzato tre bombole di gas non dovrebbe essere così difficile. Almeno immagino, almeno lo spero.

Il fascino discreto della tribù


«La guerra e il genocidio sono universali ed eterni, non sono legati a nessun periodo specifico e a nessuna cultura. Nel mondo di oggi le grandi guerre sono state sostituite da piccole guerre più simili a quelle delle comunità agricole primitive o dei cacciatori e raccoglitori. Le società moderne hanno cercato di eliminare la tortura, la pena di morte e l’uccisione dei civili, ma quelli che combattono le piccole guerre non rispettano queste regole.» Edward Osborne Wilson , “Il richiamo della tribù”, Newsweek, trad. it. Internazionale, n. 949 del 18 maggio 2012

Forse, una delle ragioni principali per cui il comunismo rimane un'utopia è dovuta proprio all'inestirpabile richiamo della tribù che caratterizza la natura umana. Il potere – ovvero la classe dominante al potere oggi, i suoi componenti facilmente individuabili in coloro che possiedono e manovrano il capitale finanziario mondiale – approva e stimola questa frammentazione, questa suddivisione in gruppi umani che lottano ognuno per un perimetro dove defecare i loro valori. Per il potere è un vantaggio che ci siano stirpi, famiglie, tribù, clan, club, cosche, bande, associazioni, confraternite, comunioni e liberazioni, insomma: tutta serie di società a irresponsabilità illimitata che impediscono al popolo di coalizzarsi per sovvertire l'ordine costituito. Certo, ci sono stati progressi enormi negli ultimi anni e sempre più ce ne saranno e, probabilmente, aumenterà ancora il senso di appartenenza al genere umano. Ma le distanze ravvicinate, ottenute soltanto attraverso la mediazione informatica, non restituiscono la carne e il suo dolore, e il sangue visto sullo schermo è solo un rosso tenue che la mente lava via in fretta. Siamo ancora animali limitati, nonostante gli enormi progressi di evoluzione culturale. Ancora fatichiamo a comprendere, prima di tutto, che la storia è una storia di lotta di classi, e che è la classe dominante il peggiore parassita del pianeta.

Un cuore storto


«O stand, stand at the window
As the tears scald and start;
You shall love your crooked neighbour
With your crooked heart».
W.H. Auden, “As I Walked Out One Evening”.

Lucas pensava di essere un dritto. E invece no, è uno storto, uno che, non riuscendo a sopportare tutto il peso della letteratura, si piega come un giunco. Pensante, va da sé.
Ma in che senso “peso” della letteratura? Un peso ermeneutico, semiotico...? Macché, magari egli potesse vivere la letteratura secondo un'istanza critica. Lucas è affetto da qualcosa di simile al bovarismo, solo non si lascia incantare da eroi ed eroine, ma dalle parole. Le parole lo attraversano, parole che diventano cose nell'attimo stesso in cui le pronuncia. E di ogni parola così vissuta si sente responsabile, come della propria faccia. Prendi la parola amore per esempio, detta cento volte a caso (o al vento...), mille volte per prenderla in giro, un milione per rimpiangerla. Poi càpita di dirla una volta sola, in un preciso momento – ed ecco che essa lo attraversa come un raggio ciclonico e lo trasforma. Niente è più come prima, pur non essendo cambiato niente. La realtà è la stessa, ma gli occhi la guardano in modo diverso. E il pericolo è che questa diversità sovverta quel minimo di ordine costituito, quei piccoli punti riferimento che rendevano la vita comoda, della serie uno si alza e sa esattamente quali gesti compiere, in maniera automatica, rassicurante. Ma le parole non rassicurano, scombussolano, cominciano ad agire come farmaci dentro al corpo, o – per usare una similitudine invalsa – come palline da flipper tra stomaco e cervello. Insomma, le parole agiscono sul sistema nervoso centrale e Lucas si sente tutto scosso, come un cavallo in corsa al palio di Siena che gira a tondo e non gliene frega un cazzo di arrivare primo. “Che ci faccio io con tutta queste gente qua fuori?” Hanno ammazzato due ragazze una ragazza e piange come se servisse a qualcosa. Come mai gli succede questo? Cos'è quest'aria profumata di ginestre? Ecco, tutto questo Lucas lo gestisce come finora l'Europa ha gestito il debito pubblico greco. Se per caso Moody's dovesse giudicargli il rating esistenziale, sarebbe anch'egli da tripla C: un Coglione Che Corre, se lo vedeste ora nel prato sottostante, inseguito da tre cavalli di cui uno baio, che vogliono soltanto brucargli lacrime.

venerdì 18 maggio 2012

Do ut facias

Stamani sono stato dall'igienista a farmi la pulizia dei denti. Amo andarci, soprattutto quando mi sveglio all'alba e non riesco a riaddormentarmi. Così mi sdraio sulla comoda poltrona elettronica, chiudo gli occhi sotto il riflettore e mi affido alle sue mani. Che mani. Prima di cominciare mi ha persino spalmato burro cacao sulle labbra. Le ho successivamente domandato se avesse per caso intenzione di candidarsi alla regione, ma gliel'ho chiesto dopo il trattamento, sono un tipo pavido io, non avrei certo rischiato di farmi togliere il tartaro dalla lingua. Comunque, era per scherzare e lei lo ha subito intuito, non ho mica la faccia a merda io e lei nemmeno. Quindi ci si capisce al volo, basta un cenno. E mi ha fatto persino i complimenti perché ho mantenuto una discreta igiene orale, dato che, dall'ultima volta che ci siamo visti, il tartaro ha avuto poca presa sui miei denti. Sono un maestro del filo interdentale, le ho spiegato. Comunque cento euro più 1,91 per l'imposta di stocazzo di bollo applicata adesivamente sulla ricevuta. L'ho salutata con un sorriso, do ut facias, e lei ha fatto bene.
...
Che giorni impolitici, nemmeno una parola da parte mia sulle lacrime bossiane. Mi rincresce, mal voluto, ma che vuoi, il bestia ha avuto paraculi di peggior fattura, figli compresi, rispetto al faccia di catrame, appena tornato dalla patria madre di tutte le democrazie moderne: la Russia putiniana. Ieri, esso (pronome personale di faccia di catrame), ha placato il malcontento de' suoi scagnozzi parlamentari per sostener ancora il governo, in quanto i mercati rischiano di sputtanare, oltre allo Stato, anche e soprattutto le sue di finanze. Da quando lavora meno è diventato più lucido, più della sua fronte, soprattutto poi da quando cominciano a fioccare assoluzioni in cassazione.

giovedì 17 maggio 2012

Tocca a voi salvarvi

Arbasino Grazie...
Borges Tocca a me ringraziare. E poi sono a Roma...
A È molto contento di essere a Roma?
B Molto contento. È il centro, è l'Europa, è l'Italia, è Roma. Roma è sempre l'Impero Romano, che continua sotto altri nomi.
A Ma lei si aspetta qualche cosa dall'Europa?
B Mi aspetto tutto dall'Europa. Cosa ci si può aspettare dalla periferia? Periferia sono anche America e Russia. E dalle periferie, cosa ci si aspetta?
A Lei non si aspetta niente?
B No, no; tocca a voi salvarci.
A E lei crede proprio...
B Io spero che alla fine tutto l'Occidente abbia qualche cosa da voi. Noi facciamo del nostro meglio per aiutarvi. Spero che tutto l'Occidente sia un po' uno specchio, uno specchio eterno dell'Europa: uno specchio fedele; o che cerca di essere fedele. E noi faremo del nostro meglio. Tocca a voi salvarvi, e salvarci anche. Ve lo dice un buon argentino. Io adoro la vostra patria.

da Conversazione con Borges, di Alberto Arbasino, Roma, San Gregorio al Celio, maggio 1977

J.L. Borges, Antologia personale, Longanesi, Milano 1981

Va be', sono passati trentacinque anni. Ma credo che certe parole siano ancora molto importanti. Non è eurocentrismo il mio, ma solo la constatazione storica che l'Occidente o si salva da solo o si condanna da solo. E l'Occidente è il destino del pianeta.

È utile parlare del tempo e dello spazio


«È inutile parlare del nostro tempo, Signori. Il nostro tempo fu schiacciato e deriso, smembrato, dilaniato, disperso...». Antonio Delfini, Diari (1927-1961), Einaudi, Torino 1982

Allora parliamo dello spazio. Quanti metri quadrati abitate? Sufficienti per vivere in pace oppure ve ne occorrerebbero di più? L'affollamento è sinonimo di soffocamento. In ogni stanza alberga l'esistenza, come diceva Poliziano. Se poi dentro ogni stanza ci metti una ninfa o un fauno a seconda dei gusti, ecco che il tempo passa che nemmeno te ne accorgi. Un giorno diventa uguale a un minuto, un mese a un giorno e così via, finché l'universo diventa alla nostra portata. Dite che esagero? No, non sono affetto da megalomania, solo constato che o all'universo ci si crede e ci si proietta in esso facendo finta di esserne parte, oppure si rimane schiacciati in questa padella di terra come se fossimo sogliole impanate e fritte. E i pensieri bisogna che siano sempre all'altezza delle proprie ambizioni. Io ne ho una ma mica sto a dirla qui, sono cose che se uno le dice pubblicamente perdono valore, giacché subiscono fascinazioni, mediazioni, alterazioni. Così rimango nel vago, e vago nell'universo dei possibili. Tutti non li conoscerò mai, non è possibile. E quindi impongo alla mia volontà di cercare il tempo e lo spazio migliori per avere una certa contezza dell'infinito. L'infinito a portata di mano, insomma. La tua mano, anche.

mercoledì 16 maggio 2012

La sete del mattino


Mattina, la sete col sonno non si è spenta, nonostante le fontane. Bevevamo insieme, eri contenta e lasciavi l'impronta del tuo sorriso nell'acqua che fredda scorreva. Avevo una bottiglia di plastica vuota, la riempivo. C'era da camminare e forse la sete sarebbe tornata, nonostante il freddo e il vento inaspettato. Raffiche affilate aumentavano la nostra lacrimazione e per questo, sovente, chiudevamo gli occhi e ci affidavamo l'uno all'altra nell'inconsapevolezza che entrambi li avevamo chiusi. Era la fiducia - così, come espressione naturale, non certificata da nessun organo competente. Era qualcosa che avverti dentro, in quella parte strana di essere che gestisce le emozioni. Qualcuno lo chiama cuore ma io non ne sono sicuro sia solo quello. Certo, la sentivi salire dal petto e invaderti la mente, ma questo non vuol dire niente. E insomma camminavamo tra alberi di vario tipo che iniziavano a dare retta alla primavera. I raggi del sole tremolavano tra la danza delle giovani foglie. Tu eri bella, lo ero anch'io che la logica vuole che stare accanto al bello belli si diventa. Era una questione logica infatti quella che ci aveva portato qui. Nessuna scommessa, non c'era da scommettere niente, dato che non c'era nessuna partita in corso. Ragionavamo di cose improbabili, e dovevamo, a volte, ripetere le parole perché il vento era più forte della nostra voce - e di urlare, no, non ce n'era davvero bisogno. Fatica punta, ecco la vetta, il lucido orizzonte ripulito dalla tramontana. Vedevamo una striscia di mare e ci sembrava impossibile. Era il momento giusto per esprimere un desiderio.
- Sei ancora a letto e il caffè non è pronto. Vedi che facciamo tardi.

Tuttavia non ti inganni


«Muoverai qualche passo affinché la luce dei candelabri non ti accechi. La giovane tiene gli occhi chiusi, le mani incrociate sopra una coscia: non ti guarda. Apre gli occhi a poco a poco, come se temesse i fulgori della camera. Alla fine potrai vedere quegli occhi di mare che fluiscono, si fanno spuma, tornano alla calma verde, si corruscano di nuovo come un'onda: tu li guardi e ti ripeti che non è vero, che sono dei begli occhi verdi identici a tutti i begli occhi verdi che hai visto o che potrai vedere. Tuttavia non ti inganni: quegli occhi fluiscono, si trasformano, come se ti offrissero un paesaggio che tu solo puoi indovinare e desiderare.
“Sì. Vivrò con voi”.»

Carlos Fuentes, Aura, Mexico, 1962 (trad. it. di Carmine Di Michele per Feltrinelli, Milano 1964).

lunedì 14 maggio 2012

Un carro funebre davanti

Poco fa, rientrando in auto a casa, mi sono trovato davanti un carro funebre, non so se vuoto o se pieno. Procedeva più lento di me, ma io non l'ho sorpassato. Sono stato a debita distanza di sicurezza, una mano trattenuta sovente a stretto le gambe, a ricercare chissà quale conforto. Era un carro funebre Mercedes grigio scuro, credo della serie Classe E (ma non ne sono sicuro). Al novanta per cento oramai i carro funebri circolanti in Italia sono della Mercedes. Anche la Papamobile è un Mercedes abbastanza funebre, anche se bianco vaticano. Chissà se era turbodiesel o benzina: sono dilemmi interessanti, vero?
Eppure procedeva lento sì, ma sicuro, faceva le curve a pennello e, nonostante i papaveri, pensavo: è maggio, e sono in preda a un turbinio esistenziale come da tempo non mi capitava. La mente è inquieta, eppure naviga lo stesso grazie a una stella polare che mi guida. Ogni tanto, nubi sparse all'orizzonte la velano e io resto lì, sbattutto di qua e di là, in una tempesta di pensieri che non saprei esattamente definire. Esisto, sento tutta la vita in circolo e i desideri si chiarificano, si semplificano, saprei disegnarli con un bulino sulla mie pelle, melanconici, in perfetto stile düreriano. Aspettare di morire non è mai stato così bello, potrebbe essere ora o fra cento anni, non importa. 
Il carro funebre procede il suo percorso lungo la statale. Stringo ancora di più la mano sulle palle, il centro. Sono stato felice, so cosa vuol dire essere felici. No, non è necessario urlarlo al mondo come uno Zarathustra poco credibile come sarei io. Basta sentirla fino in fondo questa fedeltà alla terra, che non è altro che fedeltà alla vita. Tutta la letteratura minima conosciuta è qui e ora. Via il rimorso, El remordimiento di borgesiana memoria. Non ho commesso il peggiore dei peccati che un uomo può commettere. Sono stato felice. 
Pensavo queste cose, prima, un carro funebre davanti che scorreva lento lungo la statale. Ecco il bivio, chissà cosa farà, mi sono detto. Ha tirato dritto, io ho svoltato a sinistra. Ho lasciato le palle, la vita è mia.

domenica 13 maggio 2012

Caste frontiere

In chiusa a una lunga risposta a un lettore (nella rubrica Fermoposta de La Domenica de Il Sole 24 Ore di oggi), il quale domanda - in estrema sintesi - cosa ne pensa di certi autori borderline tra teologia e scienza, il cardinal Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, risponde:
«Il panteismo alla fine rivela gli stessi limiti del creazionismo puro e crudo che imbracciava una dottrina teologica genuina com'è la creazione per un uso improprio. Decisivo è, dunque, il dialogo tra scienza e fede contro ogni monologo esclusivista, sia scientista sia apologetico, ma - come insegnava il vecchio Schelling - occorre anche saper “custodire castamente la propria frontiera”».
Provo a tradurre: 
“Quegli scienziati che, in mancanza di meglio, usano la parola Dio come la usava Spinoza (Deus sive Natura), sparano cazzate: Dio non è solo Natura è Qualcosa (Qualcuno) che la trascende. Ma dato che l'evoluzione dell'universo e della vita sulla Terra è un dato innegabile come è innegabile che la Terra giri intorno al Sole e non viceversa, ostinarsi a credere che il mondo è stato creato da Dio così come dice la Bibbia è da rincoglioniti. Per questa ragione, abbraccio volentieri il NOMA gouldiano (Principio dei Magisteri Non Sovrapposti), così posso stare nel mio recinto per continuare a essere esperto di qualcosa (Le Scritture giudaico-cristiane) sulla quale voi scienziati alla Dawkins non avete diritto di mettere becco. Come diceva il vecchio Schelling: ognuno faccia i cazzi suoi a casa propria.”
Ora, questo potrebbe essere anche un compromesso accettabile. Ma a una condizione: appena uno valica la frontiera, un fiorino. Quanto scommettete che alla fine saranno i cardinali a pagare più dazio rispetto agli scienziati?

Je vous salue, Marie

*

Anche se, devo dire la verità, in un primo momento ho pensato alla De Filippi.

Parole-siluro

«“Una delle priorità del management di Finmeccanica è rafforzare la competitività internazionale dei sistemi di difesa land e under-water acquisendo la dimensione giusta attraverso partnership”. *
Così parlò a novembre del 2011 Giuseppe Orsi, amministratore delegato dell'azienda metalmeccanica di Stato impegnato nella partita del piano dismissioni da un miliardo.» F. Prisco, “Finmeccanica: dossier straniero per i siluri”, Il Sole 24 Ore, 13 maggio 2012.

Le parole del Presidente di Finmeccanica fanno, a mio avviso, da perfetto pendant a quelle usate dai terroristi presunti anarchici nella loro rivendicazione della gambizzazione del dirigente dell'Ansaldo. Parole che dicono e non dicono, ma che, come l'oracolo di Delfi, accennano. Per capirne il senso devi tentare di decifrarle, come un enigma. Parole dalla dimensione giusta che spuntano improvvise dall'acqua come un siluro e te le ritrovi in.

Comunque, senza cadere dal pero, è bene ribadire: lo Stato produce armi da guerra (chiamate sistemi di difesa). Un mercato ancor fiorente, nonostante la crisi.

A margine di una citazione

Caro Giovanni,

non nascondo di aver usato fuor di contesto, e arbitrariamente, tale citazione.
Infatti, Dawkins la usa come sostegno alla sua tesi secondo la quale è "stupido" domandare oggi, allo stadio attuale della conoscenza evoluzionistica, dove sia il cosiddetto «anello mancante» di congiunzione tra varie specie, frutto dell'idea presuntuosa (e religiosa) che tutta l'evoluzione della vita sia mirata all'uomo (inteso come "fine" della Grande Catena dell'Essere). Scrive Dawkins:
«È incredibile vedere fin dove si spinga questo assunto vanaglorioso. Al livello più rozzo esso trapela dalla querula domanda che si sente fare tante volte: “Se lo scimpanzé si è evoluto in uomo, come mai ci sono ancora in giro scimpanzé?” [...] Mi sento rivolgere questa domanda infinite volte, in certe occasioni perfino da persone che sembrano colte».
E questo accade nonostante sia appurato scientificamente che noi umani non deriviamo dagli scimpanzé ma che, con essi, condividiamo un antenato comune.

E ora vengo al tuo rilievo.

Ti chiedo di considerare soltanto il problema (economico e politico) della crescita.
Che cosa fa crescere economicamente un Paese? Converrai: il lavoro, in tutte le sue forme, intellettuali, industriali, artigianali, agricole, eccetera
Adesso ti chiedo la cortesia di leggere questo post.
Fatto? Avrai constato che l'autore non è certo un comunista. Né tantomeno un grillino o pentastellato che dir si voglia. Ora dimmi: cosa fanno i politici italiani ed europei contemporanei per contrastare questa deriva? Niente. Restano prigionieri dell'idea che il solo regime possibile è quello capitalista in senso stretto e non considerano alcuna alternativa di sistema. Eppure, l'Europa - vorrei dire l'umanità - ha bisogno di una prospettiva diversa, non può rimanere fossilizzata nell'idea che il capitalismo sia qualcosa che si emenda da solo. Non è così. Il capitalismo è un sistema che toglie gradualmente la libertà alle moltitudini per concentrarla in dei piccoli Re Soli che giganteggiano nei loro panfili nelle lagune del mondo (oggi spero in un tifone a Venezia). 
Intanto, solo in Italia, da gennaio ad aprile cinquecentomila nuovi cassintegrati.

A mio avviso, come l'idea pericolosa di Darwin ha trovato conferma alla luce della sintesi moderna, e procede per prove ed errori rafforzando la sua tesi di fondo che la vita sul pianeta è qualcosa che si evolve secondo i soli pilastri di caso e necessità -, così anche l'idea pericolosa di Marx deve trovare una sua nuova sintesi. Non sono in grado di dirti come, la mia è solo un'impressione: Marx ha ancora molto da dire in questo stadio della nostra storia evolutiva.

Festa della mamma


«Mamma, ma vaffanculo.»
Edipo, Frammenti postumi

sabato 12 maggio 2012

Il lamento dei Karamazov


Sono antipatico, lo so.

Comunque sono stato fortunato: venticinque anni fa, al Salone del Libro, se ti andava proprio male incontravi Luciano De Crescenzo. Almeno, con lui, era garantita una piacevole conversazione. 

Escalation destinata all'insucesso


«Escalation non è una parola nuova, ma nuova è l'accezione che oggi ha assunto e che un giorno sarà registrata dai vocabolari. Il significato può essere press'a poco questo: invasione lenta e graduale, insufficiente, non necessariamente militare, destinata all'insuccesso.»
Eugenio Montale, Trentadue variazioni, Libri Scheiwiller, Milano 1987.

Eccoci pronti, via, ci ri-siamo. Riecco il terrorismo - e gli alibi fioccheranno per la restaurazione, per la conservazione del potere da parte di chi già ce l'ha. Porcaputtanastronzadellamiserialadra. Sempre lo stesso ritornello. Sempre a cercare di confondere e annebbiare ciò che, invece, è così chiaro: la realtà. 
Ho il mio spazio, lo sfrutto per dire come la penso. Quel pugno di inamovibili segretari e servi del potere - che non si sono sacrificati nemmeno dieci centesimi al mese dai loro lauti stipendi (oh, Monti si è decurtato lo stipendio, cose rare), che non hanno rinunciato a nulla di quello che hanno e percepiscono, che se proponi qualcosa di seriamente riformista subito si levano coi loro scudi invulnerabili - sono lì ancora attaccati all'albero della cuccagna e con mani unte di sugna e di sudore spolpano il popolo anziché dimostrare, anche minimamente, col loro esempio che sì, siamo nella merda, ma vedi che un po' mi ci metto anch'io e mi sacrifico per il bene della collettività.
Macché, hai voglia a presentargli il conto: loro non pagano, mai.
Non ci sono versi, non ci sono cazzi.
C'è rischio escalation per chi? Per i cittadini che fanno la spesa, che mettono la benzina, che pagano le tasse, che vanno a lavorare oppure no perché non trovano lavoro? 
Presto altre sette azioni? Ché si gioca a Sette e ½? Chi ce l'ha matta? Lo Stato? Chi comanda lo Stato? I politici. Di chi fanno gli interessi i politici e, ora, i tecnici che sono al governo? Dei cittadini o di chi, invece, ancora detiene lo status quo?
Questo è un ennesimo tentativo di presa per il culo generale. E qualcuno abbocca, statene certi.
Come accennava ieri Olympe, il Partito Democratico, in questo preciso momento storico, dovrebbe tirare fuori le palle della sinistra vera, socialdemocratica, pena il riaffacciarsi di un nuovo regime autocratico e reazionario. Buttate fuori dal partito i Colannino jr. che avete incorporato, date speranza e prospettiva, qui e ora, l'unica possibile, visto che la rivoluzione è qualcosa che richiede troppa intelligenza e bontà per un mondo affaticato. Siate furbi, tornate fra la gente, mandate a fare in culo tutti i consigli di amministrazione dei vari enti dove ancora tenete i vostri uomini furbi che la sera rincasano nelle loro villette pagate col mutuo agevolato. Date retta, fate qualcosa di sinistra: se poi l'Italia vorrà affogare tra le gambe del Vaticano e dei nostalgici del fascismo, vaffanculo, la Francia è a due passi, qualche posto per gli esuli ci sarà.