domenica 22 luglio 2012

Troppo Dante


Ieri, nella sezione R2 di Repubblica c'era un'intervista di Franco Marcoaldi a Vittorio Sermonti e un servizio sullo spettacolo TuttoDante di Roberto Benigni. Da ciò è venuto fuori quanto segue.

Per un italofono è normale “conoscere” Dante Alighieri nella propria vita. Per la maggioranza assoluta, la scuola è il luogo deputato dove si fanno le presentazioni. Poi continuano a frequentarlo soltanto gli appassionati e gli studiosi. Sporadicamente, qualcuno lo ritroverà per strada o in una piazza affollata, raccontato e letto, o recitato, o cantato da qualcuno che lo sa ripetere a memoria.

Io Dante a scuola sì, ma poco, ma non per colpa dei professori, no. Per colpa mia e stop. Poi, verso la fine degli anni 80, scopersi la meraviglia della Commedia grazie alla mediazione di Vittorio Sermonti (con la supervisione di Gianfranco Contini).
Seguivo appassionatamente l'emissione di ogni canto dell'Inferno, registrandone alcuni. La qualità era balorda, il segnale di Radio Tre a volte, a causa del tempo, sfrigolava. Così, per avere tutte le puntate scrissi alla Rai che mi rispose, più o meno, così: «Ci invii novantamilalire con un bonifico bancario e noi le inviamo tutto l'Inferno in audiocassetta» (Purgatorio e Paradiso dovevano ancora essere registrati). Così feci, e ancora ce l'ho l'Inferno da qualche parte.
Sermonti, quindi, per me è stato ed è un mediatore straordinario che mi ha consentito e consente di avvicinarmi e di restare vicino all'universo dantesco. Mi ricordo, forse erano i primi anni 90, che su Rai Tre c'era una trasmissione culturale che andava in onda sul tardi (mi pare la conducesse Augias, ma non ne sono sicuro). Una sera era ospite Sermonti e, a sorpresa, comparì Benigni. Questi, prima di recitare il Quinto dell'Inferno, omaggiò Sermonti stesso per il suo lavoro di lettura commento dell'intera Commedia. Il pubblico plaudì l'interpretazione benignana, e anche Sermonti, il quale sottolineò come l'arte interpretativa di Benigni s'inseriva nel filone trobadorico dei cantori di strada. Benigni fu bravo, effettivamente, lo è tuttora, a volte quando recita Dante. Bravo sì, ma Sermonti è un'altra cosa perché, appunto, non recita, non solfeggia Dante: lo legge, lo dice, lo detta – e ogni parola che la sua voce fona manifesta tutto il suo pieno significato, grazie alla perizia del suo commento che precede la lettura. Soprattutto: Sermonti è bravo perché dà voce a Dante e non a se stesso – e questo, a mio avviso, è il limite principale di Benigni nel dire Dante.

Beninteso: a Benigni io voglio bene, a volte mi fa anche ridere*, anche se è diventato troppo istituzionale per riuscire a sputtanare qualcosa o qualcuno. Avendo accettato di buon grado il ruolo di buffone della repubblica, Benigni ha perso la capacità di graffiare la carne del potere, di fargli male, appunto; i suoi sono solo dei piccoli buffetti, dei pizzicotti che rinvigoriscono culi flaccidi, trippe arrotolate, fiche tatuate, ecc.
Inoltre, non si può dire Dante mediante uno spettacolo organizzato da Luigi Presta. No, perdio, no. E poi, quando vedi certa gente** tra il pubblico, uno come Benigni come fa a far finta di nulla? Meglio dire Dante da soli in mezzo a un campo di girasoli. Come faccio io per esempio, e senza far pagare il biglietto. Ai girasoli, s'intende.

Qualche volta sì, Luigi, dài.
** Vedasi foto dalla 13 alla 20. Si prega di non sputare.

4 commenti:

Pisacane ha detto...

Da un po' hai preso una strada più cattiva... Niente male!

Luca Massaro ha detto...

Sicuro che la cattiveria paghi almeno il prezzo di un biglietto? ;-)

Anonimo ha detto...

Allora, due piccioni con una fava, senti qui:
La mia prof di lettere al classico era nientemeno che la sorella di Michele Placido, quello che adesso parla di ironia del padreterno ecc.. Generazioni di studenti dell'Anco Marzio di Ostia potranno confermare che quando a Rita Placido si nominava Michele, lei perdeva il filo del discorso e iniziava a raccontare i fatti privati del fratello, con buona pace delle interrogazioni e dei compiti in classe in programma.
Ma il pezzo forte veniva quando lei, con aria sorniona, faceva a noi scansafatiche (con forte accento pugliese): "Se Dande ha faddo dando, non podede voi fare un dandino?"
Un bel dì andammo tutti a una matinee in cui Michele, tra l'altro, recitò Paolo e Francesca e quando si produsse in un "e la bocca mi baciò tutto tremante", tremando tutto davvero, con la voce e con il suo corpaccione, come un montone in crisi epilettica, capii che c'era una lezione da imparare su Dante, sul teatro e sulla poesia in genere. Una lezione che sto ancora cercando di capire, ma che sicuramente non poteva provenire da quel pulpito.
Come s'è fatto tardi, domani è lunedì. Buona notte!

Luca Massaro ha detto...

Che bel ricordo, grazie :-)