domenica 5 agosto 2012

Intervistamelo

Come ogni domenica che si rispetti, i grandi quotidiani italici (Repubblica e Corriere della sera) danno ampio spazio per un'intervista a uno dei protagonisti della scena politico-economica italiana. Gira e rigira intervistano sempre le stesse persone. Cazzo vuoi che dica per esempio il governatore della Banca  d'Italia di diverso da quanto detto alcune domeniche fa se non rivedere, in peggio, le sue previsioni? E cosa vuoi che modifichi il suo dire della sciagurata crisi che coinvolge l'Europa? Niente. Non importa niente a nessuno, tanto più quello che dicono è sempre terribilmente vago, oracolare, che non serve nel concreto a me, a te, a voi, che non saremo mai intervistati nelle prime pagine dei giornali per dire lo stesso genere di cazzate, magari un pochino più condite di vita.
La vita, già. Non la conoscono. Catricalà la conosce? La sua, certo, e quella della sua partita di giro.
E penso a quanto sarebbe bello se invece di questi tromboni inermi col culo al caldo (o al fresco - a seconda dei gusti e delle stagioni) intervistassero chiunque preso dalla strada, ma così estesamente, con lo stesso genere di domande, non domande a pipa di cocco come quelle delle telegiornaliste sfuggenti che vanno dai pensionati rimasti in città a domandare se fa caldo
- Fa caldo una sega brutta scema te e il tuo cazzo di direttore che ti manda a fare queste domande di merda.
Insomma, se al pensionato o alla signora con la borsa della spesa domandassero per esempio
Deflagrano crisi industriali, come l'Ilva o la Fiat. Ci aspetta un autunno caldo, sul versante del lavoro e dell'occupazione, il vero dramma per i giovani. Lei cosa prevede?
indovinerebbero più loro la risposta che il rigovernatore della banca d'Italia, non ci sono dubbi, perché Visco non li vive sulle pelle e sulle palle tutte quelle angosce che la domanda descrive. Ci vuole poco, no? Vai Giannini a domandarlo a un metalmeccanico cassintegrato, vai da un lavoratore dell'Ilva, vai da un giovane disoccupato e confronta le risposte. Visco dice:
«Io vedo senz'altro un tema di breve periodo, cioè l'esigenza di difendere il lavoratore che perde il posto. Ma in prospettiva vedo la necessità di rimuovere gli atteggiamenti di conservazione. Noi dobbiamo innovare moltissimo: norme, contratti, tecnologie, processi produttivi, produttività nei servizi ancora dominati da troppe rendite di posizione. Il capitale umano va valorizzato, bisogna imparare a studiare lungo l'intero ciclo della nostra vita. I giovani sono la categoria sociale che oggi soffre di più, certo. Ma per i giovani non dobbiamo trovare un posto, bensì creare le condizioni perché possano lavorare. Serve un modo nuovo e inesplorato di affrontare i problemi. Serve quello che io chiamo 'uno spirito nuovo'. La capacità di reagire, del resto, viene fuori nelle difficoltà».
Capito? Visco vede «senz'altro un tema di breve periodo». Che cazzo vuol dire? Ah, che nel breve ci saranno parecchie perdite di posti di lavoro da difendere. Bravo. Però, per difenderli, occorre rimuovere l'articolo 18 che li difende in modo conservativo, retrogrado. Occorre abolirlo, così si consente al capitale di schiavizzare meglio i lavoratori che hanno troppe rendite di posizione, non io, che infatti alla banca d'Italia è facile entrarci, basta il concorso vero, ah ah. Bisogna studiare tutta la vita non per il proprio gusto e piacere, perché per esempio leggere o apprendere una tecnica gratificando l'esistenza dell'individuo, no, ma per servire meglio quella classe d'individui che vive senza lavorare a spese dei lavoratori. I giovani non gli dobbiamo trovare un posto, o meglio, un posto glielo avremmo anche trovato, quel posto, sì, il Vaffanculo. Ce li mandiamo facilmente senza essere maleducati, cioè senza bisogno di dirglielo, questo è lo spirito nuovo. E la capacità dei giovani di sortirne dal buco è testimoniata soltanto dalla loro capacità di adeguarsi e servirci e proteggerci. Abbiamo bisogno di guardie del corpo non di una generazione di scavezzacollo indipendenti, intesi?

Ecco, decriptato il messaggio, mi congedo dacché ho smarrito il filo del discorso. Non importa, non importa, tanto, gira che ti rigira, il discorso è sempre quello: «Adda passa' 'a nuttata».

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