domenica 30 settembre 2012

Proviamo a scriverne

Personal Message
«Quando l'uomo esce dall'infanzia, e ciò accade solo attraverso la coscienza della propria morte, allora comincia la ricerca dei sentieri e delle possibilità della vita. Sapere che la vita non sarà consumata invano, questo ci consente di resistere e forse anche di vincere la morte. Soltanto l'amore può dare all'uomo questa forza».
Danilo Kiš, Homo poeticus, Adelphi, Milano 2009

- L'amore? Che cos'è l'amore?
- Una carezza, un abbraccio, sesso orale fatto bene, uno sguardo che comprende e non giudica, un contatto tra umani che in qualche modo dona gioia e desiderio struggente che non termini mai.
- Tutto qui?
- Al momento non saprei individuarne altre modalità, vittima come sono del mio egocentrismo.
- Ok, pigliamole per buone tali espressioni d'amore. Ma da qui a dire che esse vincano la morte...
- «Forse», ha detto l'autore in difesa, consapevole forse di spararla grossa.
- E l'amore declinato come resistenza, cosa ne dici?
- Ne dico bene, soprattutto come resistenza all'assurdo.
- Cosa intendi per assurdo?
- In primo luogo, la logica perversa che gli umani adottano per far soffrire il prossimo consapevolmente. In secondo luogo, l'affannosa ricerca di senso della vita, soprattutto quella ultramondana.
- Dunque, per te la vita non ha un senso.
- Aspetta: la vita ha più di un senso, li ha tutti in sé contenuti dentro il suo svolgimento. Come si insegna ai bambini: i vostri sensi e il vostro pensiero sono le finestre che vi affacciano sul mondo: non sporgetevi troppo, ma comunque guardate, ascoltate, annusate, gustate e, soprattutto, toccate.
- Ma un giorno le finestre si chiudono.
- Sarà il giorno in cui non usciremo più fuori e torneremo a non essere.
- E il nostro essere stati che fine farà?
- Proviamo a scriverne.

Dipende anche da me


Stamani, vestendomi, mi sono allacciato la cintura corruttiva ai pantaloni e, stringendo, ho avvertito una subitanea penalizzazione alle aziende e un'alterazione del mercato. Mi sono quindi dato una toccatina alle palle un po' corrotte per sentire se veramente dipendesse anche da me.

sabato 29 settembre 2012

Si vedevano questi tetti


Stamani ero qui, nove, nove e mezzo, si sposava mio cugino. Non c'era il sindaco ma un sostituto. Tuttavia, a cerimonia finita, scendendo le scale, ecco Matteo Renzi, buongiorno, stretta di mano veloce, nient'altro (e che altro, in fondo?).
Dipoi, in attesa del pranzo, gli ospiti si sono divisi in ordine sparso per il centro cittadino, chi è salito al Salone dei Cinquecento, chi è andato a fare un piccolo giro, chi al bar, chi in libreria: io (ma veloce).
L'Edison di piazza della Repubblica chiuderà. Ci faranno un Apple Store. Vaffanculo all'Apple store, ma che vuoi, il progresso, la fila di rincoglioniti davanti al negozio sarà confortata dai portici e dall'Hard Rock Cafè.
Visita breve, nessun acquisto, solo perdita di tempo, vista la pubblicazione dell'ultimo Nabokov in versione Adelphi Look at the Harlequins (1974). Comprerò.
Poi pranzo a buffet in via Tornabuoni. All'ingresso, mentre aspettavamo tutti convenissero, passa signora zingara prosperosa a chiedere l'elemosina. Mio cugino, imprenditore, le risponde: «Stiamo morendo di fisco, non vede?». La signora zingara non comprende, ma rinuncia e si dirige altrove. Nemmeno il tempo di  attaccare un discorso che ecco dei volontari di Emergency, eloquio forbito, a reclamare contributo per gli ospedali di Mestre (?) e di Palermo. Mi cugino replica la battuta, ma la volontaria tenace non demorde, anzi: fa la gentile regalando una fascetta bianca ai bambini e a lui stesso, capendo che è il festeggiato. A questo punto mio cugino si rivolge a me: «Dagli te qualcosa, vien via, che io ho lasciato il borsellino degli spicci a casa». La volontaria mi sorride e porge la mano non appena vede che apro il portamonete. Dandole due euro, la guardo e puntualizzo: «Dica a Strada che non glieli rendo con un sms quando andrà a richiedermeli da Fazio».
Poi andiamo a mangiare. Bel posto. Bella terrazza. Si vedevano questi tetti.



Osservando l'Osservatore





Qualcuno mi sa dire perché, nello stesso momento, L'Osservatore romano riporta due tipi diversi di homepage a seconda della lingua scelta? Per esempio, come mostrano le schermate, italiano e francese in un modo ed inglese e spagnolo in un altro.

Un preterista

«Scritti di fronte al margine della minuta figurano due versi dei quali soltanto il primo è decifrabile. Dice:
La sera è il momento di lodare il giorno
Sono quasi sicuro che il mio amico tentava di includere qui qualcosa che lui e la signora Shade mi avevano sentito citare nei miei momenti più gai, vale a dire un'incantevole quartina tratta dall'equivalente zemblano dell'Edda antica, in un'anonima traduzione inglese (di Kirby?):
Il savio loda il giorno al crepuscolo,
La moglie quando è defunta,
Il ghiaccio quando l'ha superato, la sposa
Quando l'ha cavalcata, e il cavallo quando è domato.»
Vladimir Nabokov, Fuoco pallido, (Pale Fire, 1962), traduzione di Bruno Oddera, Guanda, Parma 1988


venerdì 28 settembre 2012

Un conto sono le cose serie

In attesa di un prossimo venturo (ma chissà quando) intervento televisivo di monsignor Pizzarro (mi raccomando di guardarlo e ascoltarlo con viva attenzione), è sempre istruttivo e stimolante leggere le dichiarazioni del segretario della Cei, Monsignor Mariano Crociata. Ne dà conto, e ci mancherebbe, Avvenire, il quale riporta i punti salienti del suo intervento alla conferenza stampa conclusiva dei lavori del Consiglio episcopale permanente della Cei.
«I detenuti debbono poter avere condizioni di vita consone alla dignità umana. Le modalità per ottenere questo possono essere diverse. Anche l'amnistia, perché no?»
Bravo. Di sicuro varrà anche per Paolo Gabriele, nevvero?
Di seguito il monsignore incalza il governo a deliberare «un intervento di sgravio fiscale a favore delle famiglie», dato che «le famiglie sono l'ultimo ammortizzatore sociale rimasto». Giusto, non c'è che dire. Però questo vale solo per le famiglie “normali e regolari”; per quelle “poco normali e per niente regolari”, nisba. Anzi, il «tentativo di regolamentazione giuridica delle cosiddette unioni di fatto», in ispecie quelle formate da coppie dello stesso sesso, indebolisce la famiglia classica - anche se Crociata non si sofferma a spiegarne le ragioni concrete del perché si verificherebbe ciò. Allora facciamo sposare anche gli omosessuali, no?
Ma non voglio essere polemico. Proseguiamo.
Riguardo all'insegnamento della religione cattolica, monsignor Crociata dichiara che esso
«non è una forma di indottrinamento, ma un modo scolastico per imparare la storia e la cultura di un Paese: un mezzo per imparare la lingua culturale di un Paese».
Vediamo, analizzando grammaticalmente questa frase, se impariamo la lingua culturale italiana:
accidenti al papa e a chi lo prega
accidenti = interiezione
al = preposizione articolata “a + il”
papa = nome comune di persona, maschile, singolare.
e = congiunzione
a = preposizione semplice
chi = pronome relativo
lo = pronome personale
prega = voce del verbo pregare, ausiliare avere, prima coniugazione, modo indicativo, tempo presente, terza persona singolare.

Potremmo fare anche l'analisi logica, ma sarebbe meglio analizzare la logica imperialista di Crociata nei confronti del Paese, intendendo con Paese - va da sé - non lo Stato Pontificio ma l'Italia tout court. Per tali ragioni, raccomandiamo vivamente i docenti di IRC di non dimenticare il Sillabo, formidabile, icastico modo per imparare la storia e la cultura italiana.

Au revoir les enfants

Minzolini, Fede, Sallusti e ora anche Ferrara: pensando solo ad anno scorso, chi avrebbe mai detto che il fior fiore del giornalismo berlusconiano si sarebbe trovato così per le terre? Tuttavia, con la loro spiccata vocazione martiriologica, essi cadono sempre in piedi, anche se, a guardarli bene, nelle loro terga si possono notare evidenti e inequivocabili tracce marron.
(Comme des enfants, quand ils tombent par terre, ils sont protégés par le pampers; mais si ils ont fait caca ils vont se l'écraser sur le derrière).

giovedì 27 settembre 2012

Gliela darei io l'arte contemporanea.

Franz West, Lips, 2012  [più che labbra, sembrano o no stronzi ritti?]
«Diffido di un'arte facilmente accessibile e leggibile, magari anche troppo estetizzante. Una vera creazione la si decifra con una certa fatica, e può anche suscitare un'attrazione-repulsione al primo impatto».
Monsieur François Pinault spiega, dalle pagine di Sette del Corriere della Sera, cosa sia l'arte contemporanea.
Se potessi averlo a tiro, gli lancerei contro la mia copia de Il rosso e il nero, della collana NUE, Einaudi, sperando di colpirlo, con la costola del volume, dritto in fronte. Spam!
Così, giusto per svegliarlo, per rammentargli chi era Julien Sorel e perché aveva così tanto valore come precettore agli occhi dei due ricchi borghesi (M. de Rênal e M. Valenod) bellamente presi per il culo dalla plume di Stendhal.
Non dico niente di mio, seguo semplicemente la lettura insuperata di René Girard:
«Nella doppia mediazione, la metamorfosi dell'oggetto è comune ai due partecipanti. Vi si può scorgere il frutto di una strana collaborazione negativa. I borghesi non hanno certo bisogno di “ripetersi” le prove; le contemplano ogni giorno negli sguardi sprezzanti o invidiosi dei loro simili. Si può trascurare l'opinione di un vicino benevolo; non si può mettere in dubbio l'involontaria confessione di un rivale».  Menzogna romantica e verità romanzesca, Bompiani, Milano 1961, pag 89.
Il valore dell'arte “contemporanea” non ha niente a che vedere con la bravura o meno dell'artista. Gli artefici della sua carriera, i capitalisti, se ne sbattono di sapere se egli è un genio oppure no, dato che sono loro, con i loro soldi, a determinare il valore della sua produzione (pardon: creazione). 
Tuttavia, ho stima per gli artisti contemporanei di successo perché, bravura o non bravura a parte, riescono a prendere per i fondelli alla grande questi maialoni di capitalisti del cazzo, che col loro lerciume di sopravanzo, comprano merda liofilizzata, caccole fritte, cerume stilizzato, peli pubici elettrizzati, forfora spennellata, unghie mangiucchiate, pellicine sputacchiate, scaracchi di fumatore e piscia surgelata. Tutto purché, ripeto, sia materiale conteso da un altro capitalista rivale. 
I rilanci d'asta, in fondo, insegnano questo: l'importante è strappare un “tesoro” al proprio rivale, soprattutto quando, per ottenerlo, si dà modo di mostrare al beau monde la propria potenza di fuoco.

Fonti primarie e fonti secondarie


In poche battute, Roberto Nadalin (che non so se sia un “semplice” lettore di Internazionale* o un addetto di Wikimedia Italia) descrive esattamente quello che è il compito primario di ogni seria enciclopedia. E Wikipedia lo è.

*n. 968, 28 settembre, 4 ottobre 2012.

mercoledì 26 settembre 2012

I veri amici di Cesare

«Basta credere a questo e la morte sarà accolta come un beneficio. E così noi siamo piuttosto gli amici di Cesare poiché abbiamo abbreviato il tempo in cui egli avrebbe dovuto attendere paventando la morte. Inchinatevi, o romani, inchinatevi e bagniamo tutti, nel sangue di Cesare, le nostre mani fino ai gomiti e macchiamo le nostre spade del suo sangue: e poi mettiamoci in cammino, per raggiungere il foro e, nel mentre brandiamo le rosse armi sopra le nostre teste, tutti gridiamo come un sol uomo: “Pace, libertà e indipendenza!”».
William Shakepeare, Giulio Cesare, Atto III, Scena Prima, traduzione di Gabriele Baldini, Rizzoli, Milano 1963

Se fossimo veramente amici di Cesare, ovvero dell'Italia, ovvero della repubblica democratica fondata sul lavoro, ovvero del luogo in cui tutti i cittadini dovrebbero essere uguali di fronte alla legge, senza distinzioni di sesso o di facce a culo; in cui si dovrebbe adempiere ai doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale; in cui dovrebbero essere stati rimossi gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori (e con lavoratori metteteci tutti coloro che respirano, cazzo, dai neonati agli anziani) all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese - bene, se fossimo veramente amici dell'Italia, dovremmo abbreviare questo suo attendere la morte: dovremmo ucciderla, sacrificarla, immergere le nostre mani nel suo sangue, per vedere e per capire, da bravi medici autoptici, quanto è stata tradita e vilipesa nel corso di tutta la sua storia.
Con il nostro affidarci alle riforme, al credere a questo o quel beduino di turno, manterremo in vita non il corpo vivo dello Stato e della società, ma i parassiti che divorano e i necrofili che fottono quel che resta di un  cadavere.
Stiamo assistendo al fallimento più totale di tutte quelle promesse scritte su un libretto che, tra poco, compirà sessantacinque anni. Peccato, dentro ci sarebbe scritta anche una bella storia, a parte quell'articolo sette che però io leggo in questo modo: siccome Stato e Chiesa sono, ciascuno nel loro ordine, indipendenti e sovrani, Bagnasco faccia i cazzi propri e si tolga quella veste da principe di uno Stato straniero prima di mettere bocca nei fatti interni di uno stato che non gli appartiene (ovvero gli appartiene in virtù del nostro particolare modo italico di essere gregge).

Ma a parte queste deviazioni puntigliose, resta una semplice constatazione da fare, che prendo a prestito dalla cara Olympe:
«Marx ha scritto che ogni epoca si pone solo i problemi che può risolvere, e questo è vero, ma oggi siamo giunti precisamente al punto in cui non è più possibile risolverne nessuno senza risolverli tutti»

martedì 25 settembre 2012

Un elefante imbufalito

Tra i meriti indiretti della Polverini va annoverato il fatto di essersi dimessa dopo la registrazione della puntata di Radio Londra e prima della sua messa in onda, sì da fa far imbufalire...ehm, inelefantire l'Elefantino.

Uffpost

fotogramma
Lo giuro: se non avessi visto la giacca grigia della signora Mondardini e quel particolare modo di tenere la penna in mano come fosse una fava con lo scappellamento a destra, non avrei detto un'acca della sortita dell'Huffpost. Che dire poi della mano destra dell'Arianna che stringe Mondardini al fianco sfiorandole, altresì, col dito indice, il profilo basso della tetta sostenuta da chissà quale prezioso e raffinato reggiseno color topa. Mistero, invece, su dove si posi la mano sinistra della Huffington: forse sul culo dell'Ingegnere?
Ingegnere che, a fatica, cinge la spalla della direttrice Annunziata, la quale, per non restare con le mani in mano, fa un gesto eloquente, non si sa bene se scaramantico o minaccioso.
Eccoci qua, dunque, arricchiti da una nuova offerta editoriale, con tanta roba da non leggere per tenere la mente libera dalle opinioni altrui. Ci basta così tanto la nostra povera autosufficienza proletaria.
(Leggerò Mario, quando, mediante il suo blog, lo segnalerà).

La composizione del magma

Stanco, stasera torno a casa con una certa dose di cinismo e distrazione; cosa è successo fuori mi riguarda poco perché non è uno specchio - e scivolo nel mio solito concorrere alla produzione di pensieri scritti inutili, tanto per farmi chiarezza da solo, per inebriarmi del mio niente, del mio io che motteggia per trovare quel sorriso interno che non rappresenta il ghigno del risentito, ma il balsamo del disincanto.
Non saprei dire esattamente cosa vorrei e questo mi rende abbastanza certo di essere nel giusto, vale a dire che quel che ho e quel che sono, sono sufficienti a garantirmi una buona dose di autostima.
Sono quei due o tre minuti di consapevolezza che mi danno la percezione, forse errata, di sapere chi sono; ma poi passa - e ritorno nel mio incerto vivere, cercando di camminare come un equilibrista tra il rincoglionimento e la saggezza.
«Immerso nella vita, l'artista afferma di cercare una spiegazione dell'esistenza: che sono due cose diverse. Mi fa pensare al geologo che, caduto nelle sabbie mobili, cerchi di decifrare la composizione del magma che lo inghiottirà, senza curarsi del fatto, ben più importante, che quello stesso magma lo sta inghiottendo. Questa soluzione è per il geologo talmente scontata e irrefrenabile che ne trae una certa cupa vanità» Ennio Flaiano, La solitudine del satiro, Rizzoli, Milano 1973

lunedì 24 settembre 2012

Ve devono mette 'n mezzo a li camosci


Secondo me lo fanno per solidarietà al loro ex segretario generale.

Disperdere parole

Potrei disperdere parole come semi
di tarassaco se fossi sicuro di vederle, miracolo,
sospese in aria all'altezza giusta dei tuoi occhi
così le leggi meglio e non ti sforzi e non ti tocca
decifrarne il contenuto nascosto.
Leggile tranquilla: sono tue, come l'aria
che respiri ora, anche se pesa e ferma.
Leggile, correggile e, se vuoi, variane
la disposizione: non sono parole-caserma
tutte irreggimentate, con a capo qualcuno
con i gradi e un cappello originale
che le fa marciare come condannate
in attesa di giudizio. Non sono parole spietate:
se ti piacciono, mi raccomando, soffiaci
sopra dei baci leggeri che le sospingano
lontano dove non si aspettavano di arrivare.
Il mare, per esempio, o una discarica
a cielo aperto dove gabbiani affamati
le preferiranno a resti di cibo putrefatto.
Senti che circolo, che giro, che prospettiva
per parole destinate ad andare alla deriva.
Intanto che le suggi faccio una ricerca
sul significato di suggere e trovo Petrarca,
Leopardi e De Roberto: scusa la franchezza,
ho un'erezione e non pensare che io pensi male
è solo che mi strugge il desiderio di te
della tua pelle che vibra a ogni mia carezza.
Ora che hai letto, che hai pesato il senso
del mio incerto dire, se hai tempo, rimandami
indietro altre parole che abbiamo un senso
raddoppiato per dare impressione al mio fiato
di non essere andato perso per niente.

domenica 23 settembre 2012

«O la Chiesa ne esce trionfante o perisce»

Ok, parlo per suggestioni, luminose od oscure che siano non importa. È per restare in tema col precedente mio post e per agganciarmi all'epilogo di un'appendice di un post di Luigi Castaldi, che riporto:
«Potrà il successore di Giovanni Paolo II fare altrimenti? No, anche volendo. Questi 40 anni dal concilio Vaticano II sono stati la storia di questo no. Papa Luciani stava offrendo il fianco della Chiesa a un altro fraintendimento, il «Dio mamma», e la Provvidenza provvide. Non saranno tollerate altre distrazioni, siamo alla resa dei conti. O la Chiesa ne esce trionfante o perisce.»
Ecco, non hanno capito, o meglio: hanno capito benissimo, ma non vogliono, non possono volerlo: per forza, sono maledettamente terrestri, mica figli di Dio. Non sono agnelli sacrificali mansueti, ma bestie diverse, spesso feroci, predatori che resistono, anche se, oramai, hanno le palle sgonfie (soprattutto in Occidente).
Tuttavia, l'hanno capito e lo sanno, perché si fondano su Colui che si è lasciato crocifiggere, si è lasciato uccidere affinché si compisse la verità della vittima, la verità di tutte le vittime faccia ai persecutori. Lo sanno, cazzo, lo raccontano tutti i santi giorni, in tutte le sante messe, che Gesù si è lasciato sacrificare nonostante fosse innocente, per seguire la volontà del Padre, affinché fossero rivelate le cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, ovvero mostrare che ogni potere si fonda sulla vittimizzazione di qualcuno - e, infatti, al potere religioso e al potere politico (locale o colonizzatore) di quei tempi, serviva un colpevole sul quale canalizzare la rabbia della folla incazzata.

La faccio breve: «o la Chiesa ne esce trionfante o perisce», significa, paradossalmente, che se la Chiesa trionfa perisce; invece, se perisce - ovvero se si lascia completamente destrutturare, dalla testa ai piedi - forse ha una qualche possibilità di riscatto, cioè di salvezza, dunque di resurrezione.
Affidarsi alla Croce, veramente. Portarla interamente sulle spalle e non per finta. Eliminare tutte le putride incrostazioni di un potere millenario corrotto e infido.
Puf, svanire, un grande botto e via - e San Pietro diventa soltanto un luogo del ricordo, come un tempio Inca o Maya, una piramide, una ziggurat.
Dimostrare al mondo che si può si vivere senza religione, liberi, svincolati, soli. Operare il bene senza nessun'altra prospettiva che far godere il prossimo hic et nunc (ve l'ho anticipato che erano suggestioni le mie).

Ad ogni modo, sono comprensibilissime, umane troppo umane, le reticenze della Chiesa a lasciarsi sacrificare: non è facile rinunciare al proprio ruolo, dismettere il proprio potere, la propria influenza.
Ma vabbè, siamo fatti per vivere in un mondo imperfetto e la Chiesa è maestra e madre di ogni imperfezione. Basta uscire fuori di casa e fuori di scuola per vederle tutte.

Infiggitori di fedi su rieducational channel

«“Noi non crediamo più agli dèi lontani / né agli idoli né agli spettri che ci abitano. / La nostra fede è la croce della terra / dov'è crocifisso il figliuolo dell'uomo”. Certo, Fortini quando scriveva questi versi in Varsavia 1939 reinterpretava laicamente l'Incarnazione e la Crocifissione cristiane, ma coglieva implicitamente il vero nodo centrale che lega insieme i vari fili tematici del cristianesimo. Il Logos astratto e remoto dei Greci e l'idolo pesante e inerte del paganesimo erano spazzati via e sostituiti da un soggetto unitario, Cristo, che intrecciava in sé divinità e umanità, immanenza e trascendenza, contingente e assoluto, storia ed eternità, crocifissione e risurrezione. Il cristianesimo esige una fede infitta nella ragione, una divinità insediata nella società».
Il cardinal Gianfranco Ravasi cita alcuni versi di una poesia Franco Fortini, torcendoli al servizio di una causa sbagliata. Se Fortini fosse vivo, domanderebbe il conto a Ravasi, soprattutto in riferimento all'istituzione di cui è principe di corte.
Noi non crediamo più agli dèi lontani

né agli idoli né agli spettri che ci abitano.
Vale a dire: non crediamo più né agli dèi né a Dio, né ai santi e alle madonne sparse in alcuni ameni siti turistici d'Europa 
La nostra fede è la croce della terra 

dov'è crocifisso il figliuolo dell'uomo.
Ma crediamo alla sofferenza della terra dove, appunto, gli uomini sono crocifissi alla croce del dolore, della disuguaglianza, della sopraffazione.
La Passione di Cristo, come passione, sofferenza dell'uomo, è costantemente parodizzata dalla struttura di potere dalla Chiesa, in quanto la Chiesa è - e non può che essere - la fotocopia del Grande Inquisitore dostoevskiano che riconosce sì - perché non è stupida - dove è il male, ma, per non minare alle fondamenta il suo potere, preferisce che il figlio dell'uomo sia continuamente crocifisso alla croce della terra.
«Il Logos astratto e remoto dei Greci e l'idolo pesante e inerte del paganesimo» non sono stati affatto spazzati via della Chiesa, anzi: nei secoli il logos ecclesiastico, per esercitare la sua influenza, si è incarognito sempre più su prese di posizione assurde, anche di fronte all'evidenza di nuove, inappellabili, scoperte scientifiche; così come il paganesimo cattolico è stato alimentato in maniera vertiginosa per mantenere vivo il pascolo del gregge dei fedeli - e Cristo, nella sua umanità e/o divinità bastarda è diventato un alibi per tenere il piede in due staffe, così da esercitare un potere di suggestione doppio. Per questo «il cristianesimo esige una fede infitta nella ragione, una divinità insediata nella società», perché diversamente non potrebbe accampare pretese terrene. 
Ma la ragione, se è ragione, non può non ribellarsi ai dogmi della fede; la ragione non può che avvertire la fede come una spina acuminata nel suo fianco o, peggio, come una zecca che le sugge il sangue parassitandola.
Per essere chiari: io non contesto la fede e chi crede in tale fede. Contesto che si esiga di infiggere la fede nella ragione; contesto che si pretenda di insediare una divinità nella società. Soprattutto: che si impongano ragioni infette di fede a uno Stato che si dichiara, costituzionalmente, laico. 

sabato 22 settembre 2012

I pilastri della Stampa

Oggi ho comprato La Stampa. L'avrò comprata due o tre volte da quando è direttore Mario Calabresi; questo perché mi sta antipatico, come Luca Sofri e quasi tutti i figli di. Lo so, non è una colpa essere figli di. Accade. In Italia accade troppo. Per carità, qualcuno si affranca, ma è faticoso, bisogna davvero avere talento, non è facile. Forse, se anch'io fossi figlio di, non farei questi discorsi, ma mio padre non era un blogger.
C'è persino un editoriale di Calabresi, oggi, meno bello addirittura di un editoriale di De Bortoli. Madonna quanta intelligenza sprecata per raccontare l'ovvio, mai una sorpresa, una scorreggia che esca dalle parole di prassi. Bisogna «mettere al centro la trasparenza e il principio di responsabilità» eccheccazzo. Ma a chi sta parlando il direttore? Al popolo o alla classe dirigente del Paese, proprietari de La Stampa compresi? 
Questa vacua voglia di mettere la roba al centro. Al centro c'è un buco, eccetera, come scriveva l'indimenticato Cuore.
E poi, come a farlo apposta, Calabresi, tra i “tre pilastri” in cui sperava perché in Italia si verificasse una “politica nuova”, metteva persino «il ricambio generazionale, con l'ingresso di giovani e volti nuovi non compromessi». Il guaio è che in Italia, per avere un serio ricambio generazionale, occorrerebbe fare tabula rasa della generazione in corso, saltare alla prossima con dei figli in provetta o presi alla Ruota degli Innocenti. 
Scrive Calabresi:
«Essere giovani non significa necessariamente essere onesti e il ricambio generazionale ha un senso solo se la casa viene ripulita prima di dare ospitalità a nuovi occupanti e se questi mostrano di essere fatti di una pasta diversa. Per scoraggiare approfittatori e sciacalli in cerca di scorciatoie verso la ricchezza basterebbe ridurre drasticamente stipendi e indennità così da spingere in politica chi ha a cuore la cosa pubblica più di chi ha a cuore il proprio portafoglio.»
A parte il fatto che la pasta italiana è sempre la stessa, mi domando chi dovrebbe ripulire la casa «prima di dare ospitalità ai nuovi occupanti». Gli attuali inquilini? Ma in che senso? Non si accorge Calabresi che quanto scrive equivale a dire che lui, in quanto giovane occupante, avrebbe potuto occupare il posto di direttore de La Stampa soltanto dopo che la famiglia Agnelli si fosse sbarazzata (nettata) dei capitali del giornale torinese di cui è proprietaria? In buona sostanza: come fa l'attuale classe dirigente ad auto-epurarsi? Ci vorrebbe una Katyn italiana? Ah bè, sì bè.
Infine, lascio Calabresi con quest'altro suo paragrafo, da incorniciare:
«Perché il sistema funzioni è però necessario che non solo i cittadini ma anche l’informazione svolga il suo ruolo di controllore, di «cane da guardia» del potere. Se però scopriamo che in molte realtà locali i politici hanno l’usanza di fare veri e propri contratti con le televisioni, versando migliaia di euro in cambio di interviste, allora si capisce che il meccanismo di controllo non esiste più.»
Pissi pissi o bau bau?

P.S.
Il Buongiorno di Gramellini oggi è veramente loffio, tipo una merda di vacca (o di giraffa) secca, che quando la pesti senti pfffff (immagine presa da Beckett; ma ora mi sfugge il luogo, troverò).

Certi capelli

Stanotte ho sognato certi capelli e certe mani dentro, le mie. Erano così intricati che subito si sentivano prigioniere, ma era bello per esse, per me, ricordare la forma della tua testa leggera. Tenerti la testa, far aderire il palmo della mano alla tua nuca, percepire la lieve sudorazione del cuoio capelluto, vedere come lentamente socchiudevi le palpebre e, insieme, allargavi il tuo sorriso perché sapevi che un bacio sarebbe stato inevitabile. 
«Ecco - mi dico -, ferma questa scena, tienila ferma impressa nella mente almeno una novantina di secondi, il tempo necessario per riassaporarne tutto il miele. Senti come aumenta la salivazione, come la punta della lingua batte a forza sugli incisivi inferiori, come se fosse dentro una prigione dalla quale vuole uscire per rivivere l'attimo perduto dove la vita recupera tutto il suo senso. Lo so, adesso stai stringendo i denti, sospiri profondamente, e le labbra - se qualcuno le vedesse - racconterebbero tutto il tuo disincanto. È stato, è stato, è stato e non sarà più, perché tanto ogni recupero, anche ogni possibile dolcezza ricavata dal presente, non farà in tempo, nella parte di vita che resta, a diventare lo stesso evento fondatore che ti ha generato. Oh sì, sarà possibile di nuovo stare bene, ritrovare la stessa la vertigine in un incontro. Ma la memoria tornerà a quei capelli tirati su, a caso, fermati da un bastoncino levigato, dopo essere stati scompigliati dal vento forte, su in cima alla montagna».
Tu non ci sei più - e io nemmeno. Restano le ombre. La mia mente le riproietta spesso nel cinema dei sogni. Chissà se anche tu. Credo di no. Come si nasce da soli, così ognuno produce da sé i propri attimi di felicità. Il mio inconscio ha deciso che sono stati quelli e non altri, buon per lui. E buono anche per te, giacché anche se per te non è lo stesso, io così raddoppio la tua vita, nonostante praticamente tu sia, per me, solo un nome e un numero preso a caso nell'elenco di Shanghai. 
È per questo che la mia felicità è così delocalizzata e io sono così povero?

P.S.

venerdì 21 settembre 2012

Siluro Bersani?


*



La sposa di Gesù morì vergine?

Tra i feed del mio google reader ho anche Paulus 2.0, Lo Spirito e le Lettere – Bollettino (indisciplinato) di studi e ricerche su Paolo di Tarso e il cristianesimo delle origini
Ieri l'altro avevo distrattamente visto questo loro post, ma lo lessi approssimativamente, ripromettendomi di rileggerlo con più attenzione, dato il tema caldo, molto caldo.
È stato ritrovato infatti un papiro, risalente al IV secolo della nostra era, «che gli studiosi hanno proposto di identificare come parte di un inedito Vangelo della moglie di Gesù».
Che argomento, vero? Altro che le tette della principessa inglese. Qui si parla di trombate divine.
A proposito, diciamo tra i venti e i trenta anni: quante volte Gesù avrà disperso il suo seme, posto che non abbia avuto figli?
Ma domande irriverenti a parte, stamani ho notato che anche Luigi Castaldi ha pubblicato un post sulla questione; e sia lui che i paolini convengono sul fatto che questo papiro, in realtà, non offre alcuna certezza se Gesù avesse una moglie o meno. Tuttavia, è istruttivo confrontare due passaggi di entrambi i post.
Scrivono i paolini:
Come si spiega cautamente nella scheda fornita dall’Università di Harvard, questo fugace accenno non costituisce in alcun modo una “prova” del fatto che Gesù fosse sposato. Siamo infatti di fronte a un manoscritto copto che viene datato al IV secolo (forse la traduzione di un testo greco precedente), e che pare ben distante dal poter fornire elementi di un qualche interesse per la ricostruzione del Gesù storico. Quel che il testo potrebbe offrire, invece, è un ulteriore – e potenzialmente prezioso – squarcio sui dibattiti che animarono gli ambienti cristiani dei primi secoli, e che coinvolsero inevitabilmente anche temi legati alla sessualità, al matrimonio e al celibato. Da questo punto di vista, in effetti, lo stesso “stato civile” di Gesù non avrebbe potuto che essere – o tornare – al centro dell’attenzione. E nulla impedisce che la sua del tutto probabile condizione di celibe – apparentemente data per scontata dai Vangeli canonici, ma di cui nessun testo fa parola in maniera diretta – possa essere stata messa in dubbio o in discussione, quantomeno a partire dal II secolo.
Da notare, mi raccomando, quel “non” in grassetto e quel “del tutto probabile condizione di celibe”.
Malvino, invece, scrive:  
[il papiro] dimostrerebbe che Gesù era sposato? Niente affatto. Dimostra che, nel corso della mitopoiesi del Gesù canonico, alcuni elementi si sono rivelati inadatti allo scopo che il mito doveva servire, e sono stati scartati, mentre quelli che potevano tornare utili, e si sono rivelati adatti, hanno avuto miglior destino.  
Qui sta scritto: «E Gesù disse: “Mia moglie…”», ma è una moglie destinata ad analogo destino dei suoi fratelli, quando vince il modello dell’unigenito. Stessa sorte di parthènos, che da ragazza diventa vergine, quando torna utile che Maria sia madre di Dio. 
Cosa ci sarebbe d'istruttivo? È che, con buona pace dei paolini, se la fede cristiana, per avere una valenza razionale si sottopone al vaglio di seri studi scientifici che si basano su frammenti scritti del primo cristianesimo, non può non arrivare, razionalmente, alla conclusione che - per parafrasare Luigi - i vari tipi di Gesù canonici che si sono imposti nelle varie chiese sono stati modellati sulla base delle esigenze religiose di ciascuna setta. E in base a ciò dovrebbero concludere, serenamente, che il Gesù storico è la persona meno cristiana che ci sia (tantomeno cattolica romana apostolica).

giovedì 20 settembre 2012

Gli amministratori delegati passano, i proprietari restano

*
Dice Marchionne che, in questi giorni, troppi s'improvvisano esperti in campo automobilistico: è vero, ma chi più di lui è un improvvisatore?
Dice Marchionne che il mercato europeo è saturo e che è diventato un mercato "sostitutivo". Vale a dire: la gente compra la macchina quando la deve sostituire, in pochissimi la comprano non avendola avuta prima. Grazie al cazzo, ci voleva Marchionne per sapere questo. Minimo sono trent'anni in Europa che il mercato automobilistico è un mercato sostitutivo. E te ne accorgi ora golfino di cachemirino in tinta? 
Il problema è che vent'anni fa la Fiat, in Italia e in Europa, aveva una considerevole posizione di mercato (lo dimostrano tutte le graduatorie pubblicate in questi giorni sui quotidiani), mentre adesso non ce l'ha più. Hai voglia a mandare un responsabile marketing in quel cesso di trasmissione di miss Italia*: quante auto vendute in più?
Cosa è successo, soprattutto in Italia? Gli italiani si sono divertiti a fare i dispetti alla Fiat e alle migliaia di suoi dipendenti, Marchionne compreso?
Già, perché il punto è sempre questo: Marchionne è un amministratore delegato, a tempo, come lo sono stati altri prima di lui, anche Romiti, che fa tanto il ganzino in televisione, come se l'avessi avallata io la Stilo e la diversificazione degli investimenti in altri settori industriali e non.
Gli amministratori delegati passano, i proprietari restano.
Ecco uno dei bachi peggiori del capitalismo: la successione dinastica del capitale e la legittimità di questo.
La Fiat, come strombazzavano giustamente i suoi spot di qualche anno o mese fa, è una Fabbrica Italiana, nel vero e proprio senso della parola.
Se si considerano gli stabilimenti e tutto l'indotto auto insomma (concessionari, officine meccaniche, ricambi, strade, carburanti, carrozzieri, gommisti, elettrauti, eccetera), la Fiat, in quanto fabbrica, riguarda l'Italia da più di un secolo.
In tutto questo coinvolgimento, non solo industriale, ma altresì economico e culturale di un'intera nazione, nella variazione dei prodotti e delle strategie, nell'apertura e nella chiusura degli stabilimenti, nelle assunzioni e nei licenziamenti, nella fatica e nella gioia di realizzare un bell'oggetto, nei turni dolorosi di notte e nei momenti di lustro alla mostra del cinema o al Tour de France, c'è solo un dato permanente, costante: il diritto dinastico degli Agnelli a possedere in perpetuo qualcosa che non è più mera, nuda proprietà, ma è diventato sforzo, partecipazione, lavoro,  contributo collettivo, non solo delle maestranze ma, appunto, di tutti i cittadini italiani.
Superato un certo limite, i capitalisti fuoriescono dal consorzio umano per diventare qualcosa di altro, qualcosa che non sanno nemmeno loro cosa, qualcosa che ancora si ha la fottuta illusione di poter tutti raggiungere. Ma non è così, nonostante gli abbagli dello startuppismo democratico, che illudono le nuove generazioni di diventare tutti dei piccoli imprenditori che si affrancano dalla schiavitù del lavoro.
Ecco, la parola giusta, quella che manca nel vocabolario da alcuni anni: il lavoro, su cui si fonda la nostra povera patria, è - quando c'è e non c'è disoccupazione - una fatica che schiavizza molti per nobilitare pochi che non lavorano, perché tanto hanno chi lavora per loro, anche chi prende dell'imbecille, o fa le figure di merda al posto loro, come il nostro Sergino nazionale.

P.S.
Ma le quote di capitale Fiat che aveva Gheddafi a chi sono passate di mano?

*Visto a Blob sere fa. A proposito: stasera un Blob eccezionale, complimenti.

Eppure avevo gli occhi aperti

via
Non me la ricordavo così brutta.

mercoledì 19 settembre 2012

Processioni

«Eravamo alla metà di settembre, la domenica della Madonna. Fin dal mattino le strade erano piene di contadini vestiti di nero, c'erano dei forestieri, i musicanti di Stigliano e gli artificieri di Sant'Arcangelo, venuti a disporre le bombe e i mortaretti. Il cielo era chiaro e leggero, e ogni tanto giungeva, per l'aria, con il suono funebre delle campane, lo sparo di qualche fucilata. I contadini, con i loro schioppi lucidi, inauguravano la festa. Il pomeriggio, dopo le ore del caldo, cominciò la processione. Uscì dalla chiesa, e percorse tutto il paese. Risalì dapprima fino al cimitero, poi ridiscese alla piazza, alla piazzetta, giù fino a Gagliano di Sotto e alla crollata Madonna degli Angeli, per tornare poi, per la stessa strada, al punto di partenza, e rientrare in chiesa. Davanti camminavano dei giovanotti con delle pertiche, su cui, a guisa di stendardi, erano attaccati dei panni, dei lenzuoli bianchi, e li agitavano e sventolavano; e i suonatori della banda di Stigliano con le trombe lucenti e fragorose. Poi, su un baldacchino retto da due lunghe stanghe, portato a turno da una dozzina di uomini, veniva la Madonna».

Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli, Einaudi, Torino 1951

Se in quella domenica di settembre descritta da Levi, a Gagliano fosse arrivato qualcuno che, durante la processione, nel momento più solenne, avesse smadonnato pesantemente a voce alta, oppure avesse issato su una pertica un lenzuolo con la rappresentazione di una Madonna a gambe aperte gocciolante mestruo, cosa gli sarebbe incorso?
E se un giorno, nel mondo arabo e musulmano, si verificheranno delle condizioni sociali e storiche paragonabili a quelle date in Occidente, il popolo riuscirà a liberarsi dal giogo della religione, o meglio: riuscirà a dare credito alle chiamate alle armi della fede nella stessa misura in cui la maggioranza degli italiani, pur seguitando a dichiararsi cattolici, sono pronti a diventare truppe del Papa?

E infine: Sam Harris, noto intellettuale americano antireligioso, ha scritto un bellissimo post. Egli individua perfettamente le ragioni scatenanti la rabbia musulmana. È l'aggressione occidentale ai paesi mediorientali la vera causa di tale rabbia. E l''amministrazione americana, più che censurare e chiedere a Google di rimuovere la visione di tale film scandalo, dovrebbe cambiare politica piuttosto che snaturare i principi liberali sui quali si fonda. 
Ma lo sappiamo, i principi liberali sono solo un alibi della classe dominante: vale di più la pecunia che l'esercizio di critica, di satira, anche inutile, anche brutta, anche stupida.
Noi non condividiamo la tua idea, ma daremo la vita perché tu, coglione, la possa esprimere, diventa: 
Noi non condividiamo la tua idea, coglione, e daremo volentieri in cambio la tua vita, purché possiamo ancora continuare a trivellare il terreno mediorientale così ricco di una materia che ci fa guadagnare tanto, a noi, ma anche a una piccola percentuale di signori chiamati emiri, sultani, o anche presidenti.

Segnalazione liberale

Un grande Anskij.
Da leggere per disperare definitivamente sul liberalismo italiano.

martedì 18 settembre 2012

L'influenza dei pensatori e delle pensatrici

Tempo fa, non mi ricordo esattamente quando, scoprii che una filosofa italiana, Michela Marzano, era (è?) considerata tra i cinquanta pensatori più influenti di Francia. La cosa mi incuriosì, della Francia generalmente mi fido.
Di lì a poco mi accorsi del suo nome sulle pagine de la Repubblica. Lessi qualche articolo, distrattamente, niente di che. Poi, qualche tempo dopo, scoprii che Michela Marzano ha un suo blog di natura intimistica, che tiene piuttosto aggiornato: niente di che. Oddio, vi si trovano perle che  la mia parte di natura piratesca vorrebbe “assalire” e farne sasso e quindi polvere; ma poi prevale (finora ha sempre prevalso) una terrena indifferenza.
Successivamente, mi accorsi altresì che l'influente pensatrice ha il suo account twitter e facebook; lessi alcuni suoi status: niente di che, anzi: tanto di che privarmi d'un subito dei suoi tweet e dei suoi aggiornamenti facebookiani.
Alcune settimane fa ho visto, poi, che Michela Marzano ha pubblicato un nuovo libro che tratta del tema della fiducia. Rispetto al suo precedente saggio sull'anoressia, questo mi ispirava l'acquisto: solo che una recensione su Doppio Zero mi ha frenato. L'autore, Igor Pelgreffi, scrive infatti che
«Dietro la superficie della sua scrittura bianca, Marzano palesa una forma specifica di coraggio, una non rinuncia alla sincerità vitale del singolare, all’espor-si tramite la propria vulnerabilità»
«Scrittura bianca»? «Marzano palesa una forma specifica di coraggio»? «Una non rinuncia alla sincerità vitale del singolare»? «All'espor-si (!) tramite la propria vulnerabilità»? Ma cosa cazzo scrive, cosa cazzo racconta?
Cosicché, non fidandomi di tale eloquio, ho atteso. Ho fatto bene.
Domenica, su la Domenica de Il Sole 24 Ore mi sono imbattuto, fortunatamente, in una delle recensioni più interessanti, ironiche, e ben scritte che mi sia occorso leggere negli ultimi semestri.
L'autrice, Gloria Origgi (che non conoscevo) è anch'essa filosofa e ricercatrice presso questo Istituto francese. Be', in poche parole: se fossi la Marzano chiederei all'editore Erickson di ritirare il libro, o di riservargli un canale di diffusione clandestina.
Di tale recensione subito ne avrei voluto parlare, ma Il Sole online si ostina a non mettere online tutti gli articoli che pubblica. Così, tramite breve ricerca, ho scoperto che l'autrice ha un blog - e mi sono permesso di scriverle una mail per domandarle come risalire al suo articolo. Lei mi ha cortesemente risposto e fornito il link.
Vi invito a leggerla, qui, nel suo Miscellanea.

lunedì 17 settembre 2012

Pedicabo ego vos et irrumabo


Catullo, Carme XVI

Pedicabo ego vos et irrumabo,
Aureli pathice et cinaede Furi,
qui me ex versiculis meis putastis,
quod sunt molliculi, parum pudicum.
nam castum esse decet pium poetam
ipsum, versiculos nihil necesse est; 
qui tum denique habent salem ac leporem,
si sunt molliculi ac parum pudici,
et quod pruriat incitare possunt,
non dico pueris, sed his pilosis
qui duros nequeunt movere lumbos.
vos, quod milia multa basiorum
legistis, male me marem putatis?
pedicabo ego vos et irrumabo.

~ prima versione ~

Ah da me, in culo, in bocca
Lo piglierete!
Tu Aurelio, boccadacazzi,
E tu Furio, rottonelculo...
Che della vostra banda mi credete
Perché scrivo lascivo, decadente!
Il poeta in cui viva è la pietà
Avrà anche l'obbligo di verseggiare
Per scopi edificanti?
Lasciagli grazie e mordacità;
E il suo verso lascivo e spudorato
Non dagli implumi solo, ma dai lombi
Dei canuti ormai stalattiti
Faccia sprizzare l'Eros!
Di tenero in eccesso il fluire
Nei versi miei farebbe
Meno virile l'autore?
Lo dite voi! Sarete
Da me inculimboccati!

Traduzione di Guido Ceronetti, Einaudi, Torino 1969

~ seconda versione ~

In bocca e in culo ve lo ficcherò,
Furio ed Aurelio, checche bocchinare
che per due poesiole libertine
quasi un degenerato mi considerate.
Che debba esser pudico il poeta è giusto,
ma perché lo dovrebbero i suoi versi?
Hanno una loro grazia ed eleganza
solo se son lascivi, spudorati
e riescono a svegliare un poco di prurito,
non dico nei fanciulli, ma in qualche caprone
con le reni inchiodate dall'artrite.
E voi, perché leggete nei miei versi baci
su baci, mi ritenete un effeminato?
In bocca e in culo ve lo ficcherò.

Versione di Mario Ramous, Garzanti, Milano 1975

Stamani, di primo mattino, prima di andare al lavoro, mi sono fermato al mio forno di riferimento, per comprare del pane e una pizzetta. L'umore del fornaio è variabile, come la lievitazione: a volte gioviale, a volte ombroso, a volte loquace, a volte no. Stamani era cordiale e loquace.
- Massaro, allora, come va? Cosa ti servo? Ti posso offrire un caffè?
- No, il caffè no, grazie, l'ho preso pochi minuti fa. Mi dài, per favore, un filoncino da mezzo chilo e una pizzetta, non all'angolo grazie, lo sai che mi piace al centro.
- Non rompere tanto i coglioni con questo centro che tu mi sembri Rutelli.
- O no, cazzo, Rutelli no. Non c'ho mica la Palombelli attaccata ai coglioni, io.
- Eh no, te tu sei un succhiacazzi.
- Mah, veramente, per ora, non ne ho mai assaggiato uno, neanche il mio - e credo non lo farei anche se ci arrivassi.
- Tu sei poco atletico.
- Come no! La mattina fo cento flessioni come il tuo amico Berlusconi: divise per quattro, ok, ma sempre cento sono.
- Esagerato. Ma te un tu lo superi: lui le fa coll'uccello.
- Ma va' a cacare va', fammi il conto.
- Dammi tre euro e va' via. Anzi, tieni. Ti regalo questo pane speciale al farro. Assaggialo col pecorino. Ti piace il pecorino? 
- Dipende.
- Ti piace di più la pecorina? Ma sopra o sotto?
- Di traverso, bischeraccio. Grazie, a domani.
- Ciao Massaro (con tono effeminato).
- Ma vaffanculo, va' (ridendo).

Non insegnare a Dio


domenica 16 settembre 2012

Il dis-turbo capitalismo

Secondo me, dietro l'azione di disturbo di Mediaset, non si nasconde una reale volontà di acquisire La7, bensì un richiamo per l'allodola De Benedetti, che sebbene un tempo si dichiarò in parte interessato a rilevare tali reti televisive, adesso sta in disparte, col suo bel gruzzolo di cinquecento e passa milioni di euro, investito a breve e medio termine, in attesa della sentenza definitiva sul risarcimento che Berlusconi gli ha dovuto dare in seguito al Lodo Mondadori.
S'è fatto cauto il capitalista “buono”, e Mediaset cerca appunto di richiamarlo in campo, per fare una controfferta e sbilanciarsi - e che Mentana non faccia tanto il tartaglione bipartisan, con la sua presunta indipendenza da questo o quello, perché in sintesi estrema, questo e quello, di più: questi e quelli pari sono, capitalisti che cercano di massimizzare il profitto manipolando l'informazione, in modo tale che la coscienza di classe rimanga sopita, facendo credere al telespettatore di vivere in un mondo libero, democratico, dove tutto è raggiungibile, basta seguire i consigli per gli acquisti.
Sia chiaro: antropologicamente, mi fa più specie il Cavaliere rispetto all'Ingegnere. Ma se li guardi bene nel profondo, ti accorgi che le differenze sono minime, irrilevanti. Entrambi vivono e lottano per difendere il loro capitale, nella bastarda legittimità di un sistema che glielo permette. Oh, sì, ci sta scritto che questo sarebbe possibile per tutti: ma come mai questo accade sempre per pochi, pochissimi e al resto schiuma? Perché sono bravi? Perché sono ingegnosi? Perché hanno talento?
No, no, no. È un semplice meccanismo perverso chiamato capitalismo, giocattolo che va rotto il prima possibile prima che rompa definitivamente ciò resta dell'umanità.

Espropriare la Fiat


Condivido in tutto e per tutto l'editoriale di Luciano Gallino, “Quei ministri usciti da un libro di Calvino”, su Repubblica di oggi.
Solo una cosa: al testo della telefonata che Gallino suggerisce al governo di fare a Marchionne; 
«Dottor Marchionne, il governo considera gravissime le sue dichiarazioni circa le produzioni Fiat in Italia. Pertanto la aspettiamo domattina alle 8 precise a palazzo Chigi. Dovrà spiegarci con dati e cifre solide come la sua società intende operare nel prossimo futuro in questo Paese. Il governo non tollererà informazioni ambigue né generiche espressioni di intenti».
io aggiungerei, in coda, come minaccia concreta e “legittima”:
«Se non si presenta e non fornisce soluzioni valide, siamo pronti a riprenderci gratis l'Alfa Romeo (tanto ve la demmo quasi gratis) e, se rompete le palle, anche la Lancia».

Silvio Botulino

*
*
A vedere le foto di Berlusconi che sale sulla nave da crociera, si ha sempre più l'impressione che - fisicamente - sia diventato la caricatura di se stesso, la copia spiccicata della salma finta, del suo corpo imbalsamato.
Visto che ci tiene tanto all'estetica del corpo, a fare buona impressione sul pubblico, gli offro gratis questi piccoli consigli: la smetta di truccarsi, di tirarsi su la pelle del viso e del collo, d'incatramarsi i capelli, di aggiustarsi i denti storti, di riquadrare la mascella asimmetrica - e lasci il suo corpo libero di diventare vecchio, bellamente vecchio, la smetta di incollarsi i capelli in testa con la pece, si tenga quelli che ha e pazienza se ne ha pochi, lasciandoli liberi di diventare grigi (il brizzolato ha sempre un certo fascino, veda Obama), oppure o se li tagli a zero come l'amico Galliani. E poi: lasci la pelle del volto libera di pendere dove vuole e non la costringa ad assumere pose da bambola gonfiabile; si faccia crescere un po' i favoriti, che così spezzano la monotonia dei suoi enormi padiglioni auricolari (secondo me è per tale ragione che gli artisti della salma gli hanno fatto calzare le pantofole con la forma di Topolino); e infine la smetta di camminare impettito e con la pancia in dentro: un po' di buzza che straripa, tra pantoloni e cintura, è segno di benessere, Cetto la Qualunque insegna.
Chissà poi se coi capelli e i basettoni bianchi, le guance pendule e un po' di borse sotto gli occhi, acquisti un appeal da presidente della repubblica, tipo Oscar Luigi Scalfaro...
Ah, no allora, ritiro tutto, resti pure così com'è, mister Botulino.

sabato 15 settembre 2012

Nelle gambe tutto il fresco della notte


«All'angolo di una via, l'angoscia, un'angoscia sporca e inebriante, mi sconvolse (l'aver visto due ragazze furtive per le scale di un gabinetto, forse). In quei momenti mi vomiterei. Ho voglia di denudarmi o denudare loro, che desidero: il tepore delle carni dolciastre mi darebbe sollievo. Ma ricorsi al più misero dei mezzi: al bar, chiesi un pernod che buttai giù d'un fiato, e seguitati così di bar in bar fino a... La notte finiva di calare.
Cominciai a vagare in quelle vie propizie che vanno dal carrefour Poissonnière a rue Saint-Denis. Solitudine e oscurità finirono di inebriarmi. La notte era nuda per le vie deserte e volli denudarmi come lei. Mi sfilai i calzoni che misi sopra il braccio: avrei voluto legarmi nelle gambe tutto il fresco della notte, stordito da una travolgente libertà. Mi sentii crescere. Tenevo nella mano il sesso eretto.
(Il mio modo di entrare in argomento è duro. Avrei potuto evitarlo restando “verosimile”. Qualche perifrasi sarebbe stata opportuna. Ma tant'è, l'inizio è senza perifrasi. E proseguo... più duro...)».

Georges Bataille, Madame Edwarda, Paris, 1956 (edizione italiana in Tutti i romanzi, Bollati Boringhieri, Torino 1992).

Per i blogger è tipico entrare in argomento in modo duro, senza tante perifrasi, diretti, senza tempo da perdere. E io ne ho.
Mi piace perdere tempo, mia unica ricchezza. Ho tempo - e sapete perché? Perché lo disperdo. Perché non ho progetto, un libro da scrivere che mi aspetta, non ho niente a cui destinare le mie ore (libere) per realizzare chissà che, destino della mia natura anti-imprenditoriale.
Tutte le attività si dovrebbero svolgere in un breve lasso di tempo, tranne l'amore. Ma l'amore è l'attività che più di tutte fugge, legata com'è - per molti - al determinismo di coppia che ti conduce a stare in una gabbia dove però non canti come un canarino e smetti persino di denudarti, come la notte.
«Tenevo nella mano il sesso». Ho tolto “eretto”, perché trovo la frase adatta anche per le donne. Come sarebbe bello uscire in questa notte per le vie deserte e farsi stordire da una simile, travolgente libertà. Nudi, oddio una zanzara no.
Svoltone.
Un giorno una zecca decise di incunearsi in un mio testicolo. La vidi, fu il panico. Tirai, sbagliando, come un forsennato, ma la metà del suo corpo rimase dentro. Andai dal dottore, mi sdraiò sul lettino, bisturino, incisioncina sulla palla sinistra, oddio che male, che senso. Ma me la tolse. Mi dette antibiotici, dei macrolidi (mo' me lo sono segnato). Li presi tre giorni, al terzo vomitai l'anima, anzi: il fegato. Bile pura. Madonna come stetti male, nemmeno avessi bevuto un ettolitro di Vecchia Romagna etichetta verde come la mia faccia. Ero da ricovero. Sospesi la terapia e mi ripresi. Tutto perché una notte decisi di fare come Bataille, andarmene a cazzo ritto in giardino, senza nessuno intorno. Pensavo nessuno, e invece c'era una zecca, di sicuro cattolica maronita.

Cavalcare la Furia integralista

Riguardo alla cosiddetta furia integralista, mi piacerebbe chiedere a coloro che la fomentano (e vi si prodigano), se non sarebbe stato più intelligente e saggio replicare a tale offesa cinematografica con un film di pari livello e genere che prendesse per il culo Gesù Cristo, o Budda, o la Madonna o qualunque altro sacro graal della temperie religiosa.
Vero è che se ai tempi in cui i cristiani avevano pari potere e influenza nella società occidentale (non che non ce l'abbiano più, ma non a questi livelli diciamo), se ci fosse stato un caso del genere, e cioè che un libro o un quadro avesse offeso Gesù Cristo (il cinema e la tv erano ancor lontani dall'apparire), sicuramente ci sarebbe stata gente in piazza ad accendere il fuoco per bruciare vivo il responsabile.
Ma a parte questo, vorrei chiedere all'unica amica blogger musulmana che conosco, Balqis De Cesare: non pensi che, in fondo, come scrive - a mio avviso giustamente - Giovanni Fontana, «l'offesa è negli occhi di chi guarda»? Io non conosco nulla o quasi nulla del profeta Maometto, ma non pensi che tutto questo zelo e questa ipersensibilità sia malriposta? Ovvero, che tutta questa rabbia popolare, più che essere di carattere religioso, sia di carattere politico, ovvero sia guidata da coloro che detengono il potere per tenere buone le masse? Io non mi capacito, infatti, come ci si possa incazzare così per un film del cazzo - che se non avesse avuto tutto questo riscontro mediatico, nessuno se lo sarebbe filato ché probabilmente brutto come la fame - mentre ancora sono tollerati gli emiri, i sultani, gli ayatollah, la diseguaglianza di diritti tra uomini e donne e, soprattutto, la vertiginosa disparità tra chi nuota nell'oro (dei petroldollari o altro) e chi affoga nella sabbia della miseria più insopportabile.
Per concludere: avrei capito di più che le masse popolari si fossero incazzate contro gli americani quando fu ucciso Osama bin Laden, giacché, come fa correttamente notare Tahar Ben Jelloun su Repubblica di oggi, i musulmani sbagliano a pensare
«che dietro Sam Bacile ci sia lo Stato di Israele o addirittura il Pentagono. Forse non sanno che il governo non interviene nella produzione di un film, nella fabbricazione di un giornale o nelle scelte editoriali delle caricature. Pensano che tutto ciò sia fatto dagli Stati per colpire i musulmani in quello che hanno di più caro. Ma, se nei paesi musulmani lo Stato interviene spesso sulla stampa o nella cultura, in Occidente non è così.
Ecco, cara Balqis, fai una previsione: quanto ci metteranno i giovani maschi musulmani, tra i quindici e i trent'anni, a fare questa distinzione?

Update.
Balqis ha risposto. Grazie.

La fine della Donna

De la Repubblica

venerdì 14 settembre 2012

Il capitalista furbetto

Chissà perché Della Valle ha così aspramente criticato i vertici della Fiat, ossia Marchionne e il signor Elkann (John, credo, dato che Lapo porta le Tod's al naso). Non che non abbia ragione; di più: Della Valle ha ragionissima a dire che l'Italia è un
"Paese che alla Fiat ha dato tanto, tantissimo, sicuramente troppo. Pertanto non cerchino [Marchionne ed Elkann] nessun capro espiatorio, perché sarà solo loro la responsabilità di quello che faranno e di tutte le conseguenze che ne deriveranno. È bene comunque che questi “furbetti cosmopoliti” sappiano che gli imprenditori italiani seri, che vivono veramente di concorrenza e competitività, che rispettano i propri lavoratori e sono orgogliosi di essere italiani, non vogliono in nessun modo essere accomunati a persone come loro"
Uh, uh, qui l'offesa si fa pesante. Mi sa che in Fiat nessuno più calzerà le scarpe di Della Valle - né tantomeno Della Valle comprerà auto Fiat.
Comunque, questa sortita mi sembra nasconda qualcosa, anche se non so bene cosa, quali interessi, ma è chiaro che ci siano delle motivazioni che vanno aldilà del mero dato industriale. Cazzo gliene può fregare a Della Valle se la Fiat cerca di poppare ancora soldi allo Stato? A lui, personalmente, cosa gliene viene? A naso, direi che c'entri qualcosa circa il nuovo assetto azionario del Corriere della Sera (escludo in modo categorico qualcosa d'inerente il mondo del calcio).
Tuttavia, dall'estratto riportato della sopra scritta dichiarazione, la cosa che più mi ha suggestionato è che Diego Della Valle si è (forse non a torto) autoincensato di essere un imprenditore “serio” che vive “veramente di concorrenza e di competitività” e che “rispetta i propri lavoratori”, e che è orgoglioso di essere italiano. 
Bravo. Grazie. (Petrolini, Nerone).
E ci credo che i bravi capitalisti rispettano i lavoratori, giacché i lavoratori sono per i capitalisti garanzia d'essere.
«Il capitale presuppone dunque il lavoro salariato, il lavoro salariato presuppone il capitale. Essi si condizionano a vicenda; essi si generano a vicenda».
Un lavoratore della Tod's produce soltanto calzature?
«No, egli produce capitale. Egli produce valori che serviranno nuovamente a comandare il suo lavoro, per creare a mezzo di essi nuovi valori. 
Il capitale può accrescersi soltanto se si scambia con forza-lavoro, soltanto se produce lavoro salariato. La forza-lavoro del salariato si può scambiare con capitale soltanto a condizione di accrescere il capitale, di rafforzare il potere di cui è schiava».*
 *Karl Marx, Lavoro salariato e capitale, Editori Riuniti, Roma 1957, traduzione di Palmiro Togliatti.