martedì 4 settembre 2012

Le tre madonne


L'arcivescovo emerito di Bologna, Giacomo Biffi, scrive:
«È già una fortuna non piccola e non occasionale – che ci viene dalla nostra professione di fede – quella di conoscere il senso di alcune piccole consuetudini e di alcune circostanze occasionali. Per esempio, tutti mangiamo il panettone a Natale, ma solo i credenti sanno perché lo mangiano. Non è che il loro panettone sia necessariamente più buono di quello dei non credenti: è semplicemente più ragionevole.»
Ecco, io dopo aver letto ciò ho tirato tre madonne ragionevoli.

Comunque, l'articolo di Biffi è davvero spassoso e paradossale, soprattutto letto in questi tempi in cui viene ricordata la figura del cardinal Martini.
Biffi è uno che non cerca il dialogo, anzi: si dichiara fin da subito quel cattolico tradizionalista del noi credenti fortunati contro tutti gli altri, soprattutto contro i non credenti. Nessun afflato ecumenico lo anima e nessuna esigenza di convertire gli inconvertibili. Il brano che segue (che penso sia musica per le orecchie di Malvino - vedasi post precedente) lo dimostra in maniera irrefutabile:
«Vi do una notizia un po’ riservata. Vi rivelo un segreto; ma, mi raccomando, resti tra noi. La notizia è questa: grande è la fortuna di noi credenti. Grande è la fortuna di chi è «cristiano»; cioè appartiene, sa di appartenere, vuole appartenere a Cristo. Grande è la fortuna dei credenti in Cristo. Però non andate a dirlo agli altri: non la capirebbero. E potrebbero anche aversela a male: potrebbero magari scambiare per presunzione il nostro buon umore per la felice consapevolezza di quello che siamo; potrebbero addirittura giudicare arroganza la nostra riconoscenza verso Dio Padre che ci ha colmati di regali. C’è perfino il rischio di essere giudicati intolleranti: intolleranti solo perché non ci riesce di omologarci – disciplinatamente e possibilmente con cuore contrito – alla cultura imperante; intolleranti solo perché non ci riesce di smarrirci, come sarebbe «politicamente corretto», nella generale confusione delle idee e dei comportamenti.»
Quello di Biffi è un Gott mit uns che potrebbe anche essere ragionevolmente accolto da uno Stato laico, purché quel Dio non vada, appunto, a legiferare anche in favore di coloro i quali non riconoscono tale Dio.
«Non andate a dirlo agli altri» quanto siamo stati fortunati noi credenti, - afferma Biffi - altrimenti corriamo «perfino il rischio di essere giudicati intolleranti». Avete capito? Soprattutto i politici cattolici hanno capito? Il credente è già fortunato di per sé, quindi non rompete le palle a coloro che hanno la sfortuna di non credere - ed è giusto, in fondo, ragionare così: avete mai visto un riccone andare da un poveraccio per fargli notare quanti soldi ha in banca e lui no?
Si può intuire quanto sia grande a questo proposito la nostra fortuna, soprattutto se ci si rende conto davvero della poco invidiabile condizione degli atei. I quali, messi di fronte ai guai inevitabili in ogni percorso umano, non hanno nessuno con cui prendersela. Un ateo – che sia veramente tale – non trova interlocutori competenti e responsabili con cui possa discutere dei mali esistenziali, e lamentarsene. Non c’è nessuno contro cui ribellarsi, e ogni sua contestazione, a ben pensarci, risulta un po’ comica. Di solito, in mancanza di meglio, finisce coll’aggredire i credenti; ma è un bersaglio che non è molto appagante, perché i credenti (se sono saggi) se ne infischiano di lui e non gli prestano molta attenzione. Un ateo, se non vuol clamorosamente rinunciare a ogni logica e a ogni coerenza, è privato perfino della soddisfazione di bestemmiare. 
E qui si riaffaccia alla memoria un episodio di quand'ero in prima liceo. Una mattina, la professoressa di latino riportò i compiti corretti. Un mio compagno, al vedere che aveva preso quattro, a voce alta, esclamò:
- Porcoddio, non pensavo di aver fatto così male.
- XYZ ma cosa dice, si rende conto che ha bestemmiato?
- Certo professoressa che mi rendo conto: è che io bestemmio perché ci credo in Dio; e dire che l'avevo anche pregato di aiutarmi - e invece porcoddio un'altra volta, ecco.

4 commenti:

Olympe de Gouges ha detto...

hai notato cos'hanno in meno le marie? come i magi

Luca Massaro ha detto...

non ci avevo proprio fatto caso, ma guarda te... :-)

Anonimo ha detto...

ho letto il brano (con il gusto di sempre)
ecco, Mastro Ciliegia (1) mi richiama i Ruini, i Babini, i Negri (Luigi), i Fanzaga, fino ai Karol e agli Aloisius: stessa arrogante presunzione, identica spudorata certezza di possedere l’unico vero, senza alcuna possibile evoluzione
allora perché dar loro corda:
per quanto argomentata possa essere una valutazione contraria, approfondita una analisi, documentata una ricerca, sottile un giudizio, reale una critica [ la contrapposizione di Malvino (2) potrà produrre un qualche risultato (o almeno una qualche pruderie) ? ]
non sarebbe preferibile ignorarli del tutto
forse così si potrebbe prosciugare il brodo di coltura che li nutre

Claudio
(non il cugino: l’altro)

°°°
1. Giacomo Biffi: Contro Mastro Ciliegia - commento teologico a "Le avventure di Pinocchio" – 1977.
2. Il riferimento è alle ultime righe del post “Frammenti di necrologio” - 4 settembre 2012.

Luca Massaro ha detto...

Gentile Claudio, ogni tanto corda gli va data, soprattutto per non cadere in quella stessa presunzione che lei paventa, ovvero «di possedere l'unico vero» e non metterlo in gioco nel contraddittorio di opposte visioni del mondo.
Certo, non sempre e non tutto va richiamato di ciò che si contesta, altrimenti diventa appunto un'ossessione.
Di solito, per quel che mi riguarda, mi occupo di costoro quando hanno da offrirmi uno spunto in cui sento di poter dire qualcosa.
Saluti