domenica 21 ottobre 2012

La controffensiva dall'alto

La Domenica di Repubblica si occupa del tema del lavoro.
Ho letto l'articolo di Marco Revelli. Estraggo:
Sappiamo che la parte centrale del "secolo breve" [...] -  [gli anni] che vanno dalla fine della Seconda guerra mondiale alla metà degli anni Settanta  -  sono segnati, per lo meno in Occidente, da una sostanziale marcia in avanti del lavoro, nella sua conquista di status, di reddito, di diritti, e soprattutto da un riconoscimento pubblico esplicito (si pensi all'articolo 1 della nostra Costituzione). Doveri e diritti dei lavoratori sono diventati forma costituzionale pubblicamente riconosciuta e garantita. Poi, qualcosa si è spezzato. Già all'inizio degli anni Ottanta, impercettibilmente. Poi via via con più evidenza. Le conquiste dal basso hanno lasciato il posto alla controffensiva dall'alto: quella che Luciano Gallino con felice espressione chiama "la lotta di classe dopo la lotta di classe", cioè la lotta di classe alla rovescia condotta non per rivendicare nuovi diritti e maggior riconoscimento al lavoro ma per toglierne. Per riconquistare ciò che si era stati costretti a cedere nel lungo ciclo ascendente dello sviluppo, del welfare e della giustizia sociale.
La controffensiva dall'alto, come la chiama Revelli, ha avuto poi, in Europa, un'arma micidiale: l'introduzione dell'Euro. La moneta unica, sinora, è servita, sostanzialmente, a due soggetti: a una classe sociale (i capitalisti) e a una nazione, la Germania, per esportare meglio la sua merce, tanto da ripianare, in fretta, i debiti contratti con la riunificazione. Tutte le altre nazioni, Francia compresa (tranne qualche staterello limitrofo), dopo l'euforia europeista iniziale, hanno presto iniziato a perdere i colpi. In Italia, poi, nel volgere di pochi mesi, a cominciare dallo Stato con le Poste, hanno iniziato a pareggiare i prezzi a rialzo (da 1200 lire a 1 euro a bollettino postale in una notte, sono cose che non si dimenticano). Un tempo, un lavoratore con uno stipendio di circa 2 milioni, 2 milioni e mezzo di lire era quasi benestante (nel senso che riusciva senza troppa fatica a mettere da parte almeno mezzo milione al mese); adesso, lo stesso lavoratore da 1000/1300 euro mensili arriva a fatica a fine mese. E, perdipiù, la crisi generale impedisce financo di nominare la parola aumento dello stipendio - tanto che un'intera generazione di lavoratori (per non parlare poi dei disoccupati e di coloro che sono disposti a lavorare per niente per un pezzo di pane) è inibita dal rivendicare il dovuto, e si ritrae a riccio speranzosa che non vengano erose le piccole provviste che lo stipendio ancora consente di ottenere. La classe di coloro che non posseggono altro da vendere che la propria forza lavoro (e magari una piccola casa ipotecata, un'auto a rate, un pc e un telefonino) è diventata una classe di rassegnati, schiavi inconsapevoli che fanno finta di non sapere che se nessuno comprerà più la loro merce (la forza lavoro), non avranno, di fatto, modo di ottenere i propri mezzi di sussistenza; mentre i compratori di tale merce, in un modo o in un altro, riescono e riusciranno a vivere lo stesso, e bene, e senza lavorare.

«Sebbene nell'atto Denaro-Lavoro (D-L) il possessore del denaro e il possessore della forza-lavoro si trovino l'uno verso l'altro soltanto nel rapporto di compratore e venditore, si contrappongano come possessore di denaro e possessore di merci, si trovino perciò sotto questo aspetto l'uno rispetto all'altro in un puro e semplice rapporto monetario, tuttavia fin dall'inizio il compratore si presenta insieme come possessore dei mezzi di produzione, i quali costituiscono le condizioni oggettive per il dispendio produttivo della forza-lavoro da parte del suo possessore. In altre parole: questi mezzi di produzione si contrappongono al possessore della forza-lavoro come proprietà estranea. D'altro lato, il venditore del lavoro sta di contro al compratore di esso come una forza-lavoro estranea, che deve passare in suo potere, essere incorporata al suo capitale, affinché questo agisca realmente come capitale produttivo. Il rapporto di classe tra capitalista e operaio salariato è dunque già presente, già presupposto nel momento in cui entrambi si contrappongono nell'atto D-L (L-D da parte del lavoratore). È compra-vendita, rapporto monetario, ma una compravendita nella quale il compratore viene presupposto come capitalista e il venditore come salariato, e questo rapporto è dato dal fatto che le condizioni per la realizzazione della forza-lavoro - mezzi di sussistenza e mezzi di produzione - sono separate dal possessore della forza-lavoro come proprietà estranea.
«Come abbia origine questa separazione, qui non ci interessa. Essa esiste quando si compie D-L. Ciò che a noi qui interessa è: se D-L compare come una funzione del capitale monetario, ossia il denaro compare qui come forma di esistenza del capitale, ciò non è affatto soltanto perché il denaro si presenta qui come mezzo di pagamento per un'attività umana che ha un effetto utile, per un servizio; non è affatto, dunque, per la funzione del denaro come mezzo di pagamento. Il denaro può essere speso in questa forma solo perché la forza-lavoro si trova in uno stato di separazione dai suoi mezzi di produzione (compresi i mezzi di sussistenza come mezzi di produzione della stessa forza-lavoro); e perché tale separazione viene superata solo col fatto che la forza-lavoro viene venduta al proprietario dei mezzi di produzione; che quindi anche la mobilitazione della forza-lavoro, i cui limiti non coincidono affatto con i limiti della massa di lavoro necessaria per la riproduzione del suo stesso prezzo, appartiene al compratore. Il rapporto capitalistico durante il processo di produzione si rivela soltanto perché esso in sé esiste nell'atto della circolazione, nelle differenti condizioni economiche fondamentali in cui si contrappongono compratori e venditori, nel loro rapporto di classe. Non è il denaro a dare con la sua natura il rapporto; è piuttosto l'esistenza di questo rapporto che può trasformare una semplice funzione di denaro in una funzione di capitale». 
Karl Marx, Il capitale, Libro Secondo, “Il processo della circolazione del capitale”, Einaudi, Torino 1975, pag. 34-35, traduzione di Raniero Panzieri.

Cosa ho capito? Che il rapporto Denaro, Merce, Lavoro, Mezzi di produzione è sempre stato sbilanciato a favore della classe dei capitalisti, dato che un conto è lavorare per mangiare e un conto per accrescere il proprio capitale; ma tale sbilanciamento - che le conquiste sociali avute nei primi decenni del Dopoguerra avevano illuso di colmare - adesso si accresce sempre più, e le belle facce a merda dei padroni, che gestiscono produzione ed economia e che tengono al guinzaglio i nostri cari rappresentanti del popolo, non cederanno di un ettogrammo il loro grasso colante, a meno di presentargli davanti la lucida prospettiva di diventare insaccati. Verrà l'anno del Maiale, e saranno salsicce per tutti.

Nessun commento: