giovedì 29 novembre 2012

È lo Stato una necessità?

Prima di parlare dovrei sapere quello che ho in mente di dire, ma non ho provato a esprimerlo in alcun modo, ho solo una specie d'intuito, frutto di alcune recenti letture, ma se non provo a scriverlo esso rimane un non detto e quindi forse un non pensato, così provo a scrivere per veder poi se quello che avrò detto corrisponderà a quello che mi pareva avere in mente.
La formula della scrittura quotidiana consente molte volte di espellere pensieri che non avrebbero altro modo di uscire da se stessi e resterebbero inespressi, quindi nulli - e questo non sarebbe certo grave, anzi.
Ma io devo provare a dire questa cosa: lo Stato è una finzione umana, ho letto questa roba qua, un'invenzione culturale che gli umani si sono dati in varie e molteplici forme durante il corso della loro storia. Per capire un po' il mio stato di confusione rimando a questi due post sull'Origine dello stato (1 e 2). Leggendo, si rammentano cose che già un po' si sapevano con qualche nuovo spunto di ricerca e nuove ipotesi e teorie determinate da nuove scoperte archeologiche.

Ripetiamolo: lo Stato è una finzione e vedendone l'origine lo si capisce meglio.
Lasciamo perdere le varie monarchie ancora esistenti, comprese le ridicolo costituzionali, vedi la Gran Bretagna, esempio illustre e vedi pure le assolute, le monarchie arabe e quella vaticana. Lasciamoli perdere anche se, sotto sotto, sia lecito sghignazzare per tali assurdi costumi e cerimonie.

Il punto è: quanti umani hanno consapevolezza che lo Stato potrebbe, in teoria, non essere una necessità? Quanti umani hanno, inoltre, capito (questa è più facile), soprattutto gli umani italici, che lo Stato non è un'entità che esiste in funzione del popolo, bensì il contrario, ovvero che il popolo, i cittadini, vivono e lavorano in funzione dello Stato?

E ora dico una cosa che è qui a mezza mente in attesa di essere espressa, vediamo cosa verrà fuori.
Causa orrori e fallimento del socialismo reale dei paesi a regime “comunista” (Urss e suoi alleati, Cina, Cambogia, Cuba), negli anni miei di primo approccio al pensiero politico, mi sono tenuto lontano da Marx, considerandolo a priori un ferrovecchio. Mi sentivo e sento un libertario di sinistra, anche se avvertivo a volte una contraddizione in termini. E la cosa che vorrei dire è questa: il fallimento storico di ogni forma di dittatura del proletariato, non confuta la validità del pensiero di Marx. Certo, Marx chiama alla lotta di classe, ma questo perché oggettivamente, come la storia dimostra, tutta la storia dell'umanità è una storia di lotta di classi. A leggere quei due microsaggi su Libertarianation si capisce come il controllo delle cariche politiche sia una diretta conseguenza del controllo delle armi e dei mezzi di produzione. E la differenza sostanziale tra le società antiche e le moderne - fatto salvo, chiaro, un minimo sindacale di bengodi conquistato gradualmente dal Dopoguerra a oggi che viene a poco a poco eroso con la scusa della crisi - è che le prime non avevano la presa in giro delle elezioni democratiche, il primo dei poteri del popolo, il più inutile.
Lo iato incolmabile tra rappresentante e rappresentato è determinato dalla separazione stessa che v'è tra Stato e Società. Lo Stato è un elemento di disturbo, una macchina che trattiene l'umanità nel suo complesso dentro schemi identitari fasulli.
Lascio il discorso sospeso, incompleto e velleitario. Ci voglio sognare su.
Occasione infine mi sia di segnalare questo post di Olympe de Gouges.

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