giovedì 1 novembre 2012

La sovranità appartiene al

A Malvino: ragionamenti obliqui in margine a questo suo post.

La politica, arte di governare la polis (città, stato), è una tecnica al servizio degli interessi di classe e non del singolo cittadino (essere umano che abita la polis). La cellula cittadino che, insieme ad altre cellule cittadino, compone il corpo dello Stato, non conta un cazzo, perché lo Stato non è al servizio della cellula, ma degli organi di potere che lo guidano (e gestiscono) per conto della classe dominante.

Ogni tot anni, nelle moderne democrazie rappresentative, vi sono delle elezioni per votare coloro che dovranno rappresentare i cittadini nelle assemblee legislative e, in qualche caso, anche nelle sedi esecutive (in Italia, ricordiamolo, si votano soltanto coloro che rappresenteranno i cittadini in Parlamento, sede del potere legislativo).

Ora, appare evidente come sia questo stesso meccanismo, ch'è il fondamento di ogni repubblica democratica, a determinare lo iato tra rappresentante e rappresentato, tra l'eletto e l'elettore. Esercitare il proprio diritto-dovere di voto non è un esercizio di sovranità, ma una finzione di sovranità, indipendentemente dal fatto che l'eletto sia un irreprensibile servitore dello Stato (e quindi della cittadinanza) o, invece, sia un prezzolato esecutore degli ordini del miglior offerente. In buona sostanza: il rappresentante del popolo, sia che legiferi per sé e per il suo clan, sia che faccia del suo meglio per servire gli interessi dei cittadini, non incide mai sulla sostanziale determinazione della disuguaglianza di classe.

I reali rapporti tra chi ha i mezzi di produzione (il capitalista) e chi, invece, non ha altro che la propria forza lavoro, rimangono invariati.
Affermare con forza che tutti siamo uguali davanti alla legge, che tutti abbiamo pari diritti e dignità, che tutti siamo uguali è uno splendido bluff che i veri principi buffoni mettono a nudo, vedi l'azione governativa e legiferante dei berlusconiani, i quali sostenevano che le leggi ad personam valevano sì per il loro presidente, ma altresì per tutti i cittadini.

Finché c'erano avanzi alla tavola imbandita del capitale (avanzi spremuti a forza indebitando lo Stato, e quindi tutti i cittadini che ora sono chiamati in causa a fare i responsabili per sanare la crisi impellente del debito pubblico) il giochino democratico, in Italia soprattutto, sembrava mantenere le promesse scritte nella Costituzione.
Adesso che la crisi impone sacrifici e ristrettezze, il sistema sembra bloccato, la democrazia subisce un arretramento e votare si mostra per quello che è: inutile farsa.

Nel quarto capitolo delle “Note in margine al programma del Partitooperaio tedesco”, contenute nella Critica del Programma di Gotha, di Karl Marx, si trovano spunti interessanti, a mio avviso da riprendere e rimodellare, superando, naturalmente, l'idea sbagliata di dittatura del proletariato.

«Non è punto scopo degli operai, che si sono liberati dal gretto spirito di sudditanza, di rendere libero lo Stato. [...] La libertà, consiste nel mutare lo Stato da organo sovrapposto alla società in organo assolutamente subordinato ad essa, e anche oggigiorno le forme dello Stato sono più libere o meno libere nella misura in cui limitano la "libertà dello Stato." […]
La "società odierna" è la società capitalistica, che esiste in tutti i paesi civili, più o meno libera di appendici medioevali, più o meno modificata dallo speciale svolgimento storico di ogni paese, più o meno evoluta. Lo "Stato odierno," invece, muta con il confine di ogni paese [...] "Lo Stato odierno" è dunque una finzione.

Tuttavia i diversi Stati dei diversi paesi civili, malgrado le loro variopinte differenze di forma, hanno tutti in comune il fatto che stanno sul terreno della moderna società borghese, che è soltanto più o meno evoluta dal punto di vista capitalistico. Essi hanno perciò in comune anche alcuni caratteri essenziali. In questo senso si può parlare di uno "Stato odierno," in contrapposto al futuro, in cui la presente radice dello Stato, la società borghese, sarà perita.
Si domanda quindi: quale trasformazione subirà lo Stato in una società comunista? In altri termini: quali funzioni sociali persisteranno ivi ancora, che siano analoghe alle odierne funzioni dello Stato? A questa questione si può rispondere solo scientificamente, e componendo migliaia di volte la parola popolo con la parola Stato non ci si avvicina alla soluzione del problema neppure di una spanna.
Tra la società capitalistica e la società comunista vi è il periodo della trasformazione rivoluzionaria dell'una nell'altra. Ad esso corrisponde anche un periodo politico transitorio, il cui Stato non può essere altro che la dittatura rivoluzionaria del proletariato.
Ma il programma non si occupa né di quest'ultima né del futuro Stato della società comunista.
Le sue rivendicazioni politiche non contengono nulla oltre all'antica ben nota litania democratica: suffragio universale, legislazione diretta, diritto del popolo, armamento del popolo, ecc. Esse sono una pura eco del partito popolare borghese, della Lega per la pace e la libertà. Esse sono tutte rivendicazioni che, nella misura in cui non sono esagerate da una rappresentazione fantastica, sono già realizzate.
[...]
Si è però dimenticata una cosa. Poiché il Partito operaio tedesco dichiara espressamente di muoversi entro "l'odierno Stato nazionale" e quindi entro il suo Stato, entro il Reich tedesco-prussiano – altrimenti le sue rivendicazioni sarebbero in massima parte prive di senso, perché si rivendica solo ciò che non si ha – esso non dovrebbe dimenticare la cosa principale, e cioè che tutte quelle belle cosette poggiano sul riconoscimento della cosiddetta sovranità del popolo e perciò sono a posto solo in una repubblica democratica.
Poiché non si ha il coraggio - e saviamente, giacché le circostanze impongono prudenza – di chiedere la repubblica democratica, come fecero i programmi operai francesi sotto Luigi Filippo e sotto Luigi Napoleone, non si sarebbe dovuto ricorrere alla finta, che non è né "onesta" né "dignitosa," di richiedere cose, che hanno senso solo in una repubblica democratica, ad uno Stato che non è altro se non un dispotismo militare, mascherato di forme parlamentari, mescolato con appendici feudali, influenzato già dalla borghesia, tenuto assieme da una burocrazia, difeso con metodi polizieschi; e per giunta assicurare solennemente a questo Stato che ci si immagina di strappargli qualcosa di simile con "mezzi legali."
La stessa democrazia volgare, che vede nella repubblica democratica il regno millenario e non si immagina nemmeno che appunto in questa ultima forma statale della società borghese si deve decidere definitivamente con le armi la lotta di classe - la stessa democrazia volgare sta ancora infinitamente al di sopra di questa specie di democratismo entro i confini di ciò che è permesso dalla polizia e non è permesso dalla logica.»

Ripeto ancora: in questi passi si possono trovare spunti politici per capire la situazione d'impasse in cui versano le democrazie occidentali. Quali saranno le (inevitabili) mutazioni che tale regime subirà nel corso degli anni? Qui mi sembra che tutto sia bloccato, anzi: che si vada incontro a un'involuzione democratica.
Mah, ragionamenti, da riprendere e sviluppare. Non ora, è tardi, sempre più tardi.

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