giovedì 22 novembre 2012

M'era rimasto un Briatore a traverso

Non so perché esattamente, forse perché è stata l'unica mezza puntata di Santoro vista quest'anno in diretta streaming su La 7, ma ancor mi torna in mente l'ospite Briatore, il suo parlare da “imprenditore”, il suo essere un “datore di lavoro”, la sua idea che, in Italia e nel mondo, bisogna che gli umani ringrazino quelli come lui che “creano posti di lavoro”. E mi ricordo il silenzio che c'era quando lo andava dicendo, che lui è un imprenditore che crea posti di lavoro, silenzio, sì, anche da parte di un sindacalista combattente come Landini; nessuno che osasse fiatare, dire: eppure c'è qualcosa che non torna in questo cazzo di discorso. 
Per capire che c'è qualcosa che non torna in questo cazzo di discorso dell'imprenditore creatore di posti lavoro*, basta poco, basta prendere Marx, provare a leggerlo (per molti a rileggerlo).

«Per le funzioni differenti che essi assolvono durante Io stesso processo di produzione nella formazione di valore, quindi anche nella produzione di plusvalore, i mezzi di produzione e la forza-lavoro, in quanto sono forme di esistenza del valore-capitale anticipato, si distinguono in capitale costante e capitale variabile. Come parti costitutive differenti del capitale produttivo, si distinguono inoltre per il fatto che i primi, in possesso del capitalista, restano suo capitale anche al di fuori del processo di produzione, mentre soltanto all’interno di quest’ultimo la forza-lavoro diviene forma di esistenza di un capitale individuale. Se la forza-lavoro è merce solo nelle mani del suo venditore, l’operaio salariato, essa diventa viceversa capitale solo nelle mani del suo compratore, al quale tocca il suo uso temporaneo. Gli stessi mezzi di produzione diventano figure oggettive del capitale produttivo, ossia capitale produttivo, soltanto dall’istante in cui la forza-lavoro, in quanto forma personale di esistenza di esso, è diventata ad essi incorporabile. Come la forza-lavoro umana per sua natura non è capitale, così non lo sono i mezzi di produzione. Essi ricevono questo specifico carattere sociale solo in condizioni determinate, storicamente sviluppate, così come soltanto in analoghe condizioni ai metalli nobili viene impresso il carattere del denaro, o, addirittura, al denaro quello del capitale monetario.
Esercitando la sua funzione, il capitale produttivo consuma le parti costitutive sue proprie per convertirle in una massa di prodotti di valore superiore. Poiché la forza-lavoro opera soltanto come uno dei suoi organi, anche l’eccedenza del valore - prodotto, generata mediante il suo pluslavoro oltre il valore dei suoi elementi di formazione, è il frutto del capitale. Il pluslavoro della forza-lavoro è il lavoro gratuito del capitale, e costituisce perciò per il capitalista un plusvalore, un valore che non gli costa alcun equivalente.
Il prodotto è perciò non soltanto merce, ma merce fecondata di plusvalore
Karl Marx, Il Capitale, Libro secondo 

Il dramma è che questo trucchetto del sistema di produzione capitalistico non viene più messo in discussione, non nei dibattiti televisivi, figuriamoci nei parlamenti delle varie democrazie occidentali (peraltro non viene messo in discussione neanche in Cina, patria del comunismo nazionalista - contraddizione in termini).
Insomma, la magia, la bravura, il genio del datore di lavoro capitalista consiste nello sfruttamento del lavoro e nessuno, cazzo nessuno quella sera ha alzato il ditino per ricordarglielo a quel gentleman di origine piemontese.
Questo torpore mentale è stupefacente.
Uno dei principali motivi del successo del capitalismo consiste proprio nell'essere riuscito a introiettare nella mente del popolo, l'idea che l'imprenditore di successo, il datore di lavoro sia un benefattore dell'umanità.
Come il potere dei re, un tempo (ma da qualche parte anche oggi), discendeva dal cielo e, per questo, trovava una legittimazione popolare, così oggi il potere del capitalista trova fondamento nell'idea invalsa che egli sia un creatore di posti di lavoro. 
Non è così. Il capitalista non crea lavoro: lo compra. E, di solito, chi compra il lavoro altrui, compra una gran parte dell'altrui vita. Di più: nessun capitalista corrisponde l'intero dovuto alla forza di lavoro, pena il suo non essere capitalista. 
E tutto questo accade all'interno di sistemi perfettamente democratici, in cui il popolo ha, ogni tot anni, il diritto di scegliere i propri rappresentanti.


*Sia chiaro: il datore di lavoro capitalista che non lavora perché sfrutta il lavoro altrui, non il piccolo imprenditore o artigiano che sta sul pezzo e che lavora pure lui da mane a sera.

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