sabato 30 giugno 2012

Credito d'imposta

Virna Lisi non c'entra niente ma stamani mi sono fatto la barba anch'io. E poi è così bella.
Mi sono svegliato nel punto preciso in cui la luce separa il dì dalla notte e ho aperto di corsa tutte le finestre perché l'aria dell'alba imminente penetrasse nelle stanze.
È stato bello orinare a lungo, seduto, a occhi semichiusi, coi versi di Mark Strand in mano, poeta americano tanto affezionato all'Italia e a Roma in particolare.
Sentivo la tua voce nonostante parlassero soltanto vari uccelli, di varia fattura, dal gallo al pavone¹, dal passero alla rondine.
Ho bevuto, rapido, un succo di mirtillo che fa tanto bene alle vie urinarie (così mi hanno detto degli specialisti e io gli credo), che mi spazza via l'amaro della notte con un bacio dolce come quello che tu sai.
Sono poi uscito e mi sono seduto nella sdraio, ho richiuso gli occhi, e ho pensato all'inverno o comunque a quelle stagioni in cui l'alba assomiglia più a uno schiaffo che a una carezza.
Ma perché racconto queste cose? Perché voglio rivestire la vita di letteratura?
Può essere, il blog serve anche a questo, a trattenere vissuti che sembrano significare qualcosa piuttosto che niente, dato che il nulla è imminente, questione di tempo, poco o tanto che sia concesso a questa vita minima. Allora, in questo segmento in cui sembra di vivere e non di sognare, credo che l'unico modo per non disperdere se stessi sia accorgersi che si è vivi e cogliersi nell'attimo in cui lo si è.
Questo è il nostro legittimo credito d'imposta nei confronti della vita che nessuno ci potrà negare mai²

¹Gli hanno portato la pavona, ma lui - lo stupido - appena è arrivata gli ha dato una beccata violenta e lei, giustamente, se l'è filata ad ali. Va' a riprenderla ora, coglione.
²Almeno a noi fortunati figli della d'occidente che non abbiamo Assad o talebani sul groppone, funzionari di partito capitalisti e disdicevoli caudillo sudamericani, non soffriamo la miseria della disoccupazione e le angherie di caporeparto o funzionari testedicazzo, che abbiamo la nostra carta di credito revolving per illuderci di stare al passo con le nostre frustrazioni. Ma va bene così, non siamo figli di puttana e se lo siamo non è certo colpa nostra: siamo abbastanza intelligenti da poterci affrancare dai nostri padri (e madri).


The lunatic is in my head

- Stamani mi sono alzato di buonumore.
- Ah, ah, ah.

venerdì 29 giugno 2012

Sotto l'ombra calda di foglie spesse

Devo andare a camminare ora, ne sento necessità. Sotto il sole, o sotto l'ombra calda di foglie spesse. Ho bisogno di gettare lo sguardo al puntino lucente della lontana postazione militare, una postazione di radiocomunicazione che chissà mai quali scopi avrà, per chissà quali improbabili invasori. Devo guardarla, dicevo, perché devo capire se i contatti interrotti col senso che avevo trovato potranno essere ripristinati - passata la tempesta delle elezioni greche, delle qualificazioni agli europei, della fine della scuola e dell'inizio delle vacanze, dell'estate che non dovrebbe essere così tanta e tutta insieme ma andrebbe distribuita nel corso dell'anno a piccole dosi (troppa estate fa male, infatti).
Devo fissare tale postazione coi radar per vedere se riesco a decriptare il silenzio.
Devo capire e non capisco. Sono duro come le pigne verdi, ma difficilmente cado senza aprirmi e senza offrire frutti del mio io affaticato in attesa di compimento.
Mi porterò con me, di Walter Burkert, La creazione del sacro, Adelphi 2003.
Devo meditare, al di là del suo contesto, questo passo:
«Come e perché, entro questo mondo mentale comune foggiato dalla tradizione linguistica, si sono stabilite certe sfere per le quali non esistono prove, e alle quali noi attribuiamo un dominio sulla comunicazione e sull'azione in virtù della loro serietà? Si tratta di un sottoprodotto, di una degenerazione, di un “effetto oppio”, o al contrario di una sorta di condizione a priori per un mondo comune?» (p. 43).

Libera stampa per libere teste di

Qualche lettore che abita a Milano e che passa sotto le sedi di Libero e Il Giornale mi controlla per favore su quali auto poggiano il culo i simpatici rintronati dei direttori responsabili di tali quotidiani? No, perché se fossero tedesche, come quell'Audi blindata ove poggia il culo (flaccido) il di loro nume tutelare, avrei ordinato due quintali di stallatico dal fattore sotto casa, giusto per riempire gli spaziosi bagagliai di tali auto di tedesca fattura.

giovedì 28 giugno 2012

Intendere il diritto del lavoro a modino

Pietro Ichino, in un suo editoriale telegrafico, prova a interpretare cosa intende il ministro del lavoro, Elsa Fornero, «quando dice che il lavoro non è un oggetto di un diritto».
Scrive:
Ci sono tre modi di intendere il “diritto al lavoro”. Il modo burocratico: “se vai all’ufficio di collocamento, hai diritto a essere avviato a un lavoro, sulla base di una graduatoria”. Il modo sindacale: “Se hai un posto di lavoro, non puoi essere licenziato”. Il modo costituzionale: “lo Stato ha il dovere di creare le condizioni affinché tutti abbiano una opportunità di lavoro secondo le proprie capacità e la propria scelta”.
Individuati questi tre modi, Ichino - in maniera sintetica - dà la sua versione su come essi siano stati intesi nella storia dell'Italia repubblicana.
Riguardo al modo burocratico
«lo abbiamo sperimentato per mezzo secolo, dal 1949 al 1997, con il nostro monopolio statale del collocamento: l’esperienza mostra che in quel modo, di fatto, abbiamo garantito soltanto il diritto dei collocatori alla bustarella»
Può essere, anzi, senz'altro è stato così. In molti uffici di collocamento ci saranno stati degli abusi e degli illeciti. Ora, fatto salvo che, finché l'economia tirava, questa procedura illegale non dava fastidio a nessuno, cosa significa questo? Che gli uffici di collocamento collocavano, ovvero funzionavano nonostante le bustarelle. Cazzo, hanno funzionato e continuano (bene o male) a funzionare tutte le istituzioni (dal Parlamento ai comuni) nonostante le tangenti. Ché ne è stata chiusa qualcuna? Bastava “arrestare”... no, allontanare dal loro lavoro* i collocatori disonesti. E poi, esimio Ichino, lo so che il suo è un editoriale telegrafico, però occorre specificare per cosa i collocatori disonesti prendevano bustarelle, non certo, cioè, per far lavorare i disoccupati in fonderia, ma per occupare i raccomandati negli enti locali o cose simili, vero? E chi ha amplificato l'offerta lavorativa negli enti pubblici se non la politica del voto di scambio? E con cosa si pagavano senza scrupoli tali sperperi? Con l'aumento del debito a iosa, porca miseria, che ora ci si ritrova tutto sul groppone - e i nomi si conoscono benissimo di chi ha provocato tali cose, alcuni sono morti in esilio, ma altri sono ancora senatori a vita.
Io mi ricordo benissimo la situazione Ufficio di collocamento, dato che dai diciotto ai trent'anni, grazie a tali uffici, e grazie alle pubbliche amministrazioni che avevano quattrini (a debito, ok, ma li avevano), io ho potuto lavorare d'estate per campare d'inverno (a fare ora non sto a dire cosa, dall'aiuto necroforo al vigile urbano). Bene, io ero iscritto a una graduatoria, semplicemente. E non ho mai avuto spinte. È che il lavoro c'era e ora non c'è.
Dalla fine degli anni '70 ai primi del '90 in Italia c'è stata una corsa spettacolare al posto fisso negli enti pubblici. Persino artigiani bene avviati nel lavoro, baristi, muratori, financo imprenditori mollarono le loro partite iva per il posto al caldo dei Comuni e delle Province, delle Regioni e delle Comunità Montane. E mi limito a questi pochi Enti. Ma lasciamo perdere perché mi viene da bestemmiare.

Riguardo al modo sindacale, scrive Ichino
lo abbiamo sperimentato per quarant’anni, dal 1970 a oggi, con l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori: è il diritto a tenersi il proprio posto stabile quando lo si è trovato, ma non è affatto il diritto al lavoro stabile per chi ancora non lo ha trovato.
Ecco, qui è inutile commentare opposte visioni del mondo sulla vexata quæstio dell'articolo 18. Per far star bene chi sta male, bisogna far stare un po' male chi sta benino e non chi è veramente un parassita della società. Io ho un'idea chiara su chi siano i parassiti, molto diversa da quella di Ichino. È per questo che io fatico enormemente a votare lo stesso partito che gli ha consentito di diventare parlamentare.

Riguardo al modo costituzionale, che, per Ichino, è «il modo più serio e più impegnativo di intendere il diritto al lavoro», occorre notare che
l’esperienza degli ultimi due secoli mostra che non vi è modo migliore per garantire a tutti una opportunità di lavoro secondo le proprie capacità e la propria scelta, che quello di un mercato del lavoro ben funzionante, fluido  e innervato di servizi efficienti, in un sistema economico aperto.
Aperto a che? 
a) Allo strapotere del capitale sul lavoro - e non ci sono cazzi di smentita in proposito. Tale apertura, di conseguenza, determina
b) Che il lavoratore ci rimetta sempre. Che apra le terga, insomma, che arriva il direttissimo dello sfruttamento.

Per questo, alla domanda finale che Ichino pone a coloro che hanno criticato le parole della ministro Fornero, e cioè
Chi per questo la ha duramente attaccata ci dica, per favore, qual è il suo modo di intendere il diritto al lavoro.
Io rispondo: leggere Marx e tenere duro.

*Il carcere non serve a niente per certi reati, se non alla plebe assetata di manette che poi vota sempre gli ammanettati.

Update
La cara Olympe conforta la mia risposta con una migliore (che è una domanda, in realtà). La ringrazio sentitamente.

Riscrivere gli Atti


mercoledì 27 giugno 2012

La digestione dei blogger

Anna Emilia
Scrive Walter Siti nel suo mirabile Resistere non serve a niente, Rizzoli, Milano 2012.
«Se il corpo diventa moneta, che cosa compra esattamente il cliente quando cerca la compagnia di una escort?».
Riformuliamo la frase torcendola - arbitrariamente - ai nostri interessi.
«Se la mente (parte del corpo) diventa pagina, che cosa legge esattamente il lettore quando cerca la compagnia di un/una blogger?».
Rispondiamo (ormai che ci sono, continuo a darmi del “noi” come il divino Otelma).
Il pensiero gratuito. Già. Questo è un punto essenziale, di discrimine, tra chi è blogger e chi no. Ma non nel senso banale che i blog si leggono a gratis. No. Anche molti editoriali di molti quotidiani online e, altresì, molti libri (racconti, romanzi, saggi, poesie), si leggono a gratis.

La chiave interpretativa sta nel cambio arbitrario, da noi operato, della parola moneta con la parola pagina
Il blogger, meglio: la mente del blogger, è al di fuori del sistema merce-denaro-merce (o denaro-merce-denaro).
Il blogger è un anticapitalista per definizione.
Certo, alcuni sono diventati famosi, si sono trasformati - hanno trasformato la loro mente in merce. Scrivono per alcuni quotidiani on line, per riviste; alcuni sono andati anche in televisione o alla radio; alcuni addirittura hanno pubblicato libri con editori importanti. Varie cose, varie opportunità, tutte legittime, che smettono però di essere attività bloggeristica.
Attenzione: non facciamo un discorso sulla purezza dei blogger in rapporto a chi, invece, fa una pratica intellettuale remunerata, che entra cioè nella circolazione delle merci.
Le nostre sono considerazioni personali sul perché ancora noi blogger scriviamo, pubblichiamo cose senza sentirne il peso, senza avvertire - dietro le spalle - la presenza di un padrone quale che sia - anche il proprio  che s'impone all'io per piegarlo all'immagine che di sé vuole dare al mondo.
Perché noi non vogliamo offrire al mondo una particolare immagine di noi? No, dell'immagine non ce ne importa molto: noi vogliamo mangiare il mondo - e i post sono la nostra bocca, i nostri denti, la nostra lingua, il nostro stomaco, il nostro intestino.

N.B.
Siete legittimati a dire che, a volte, facciamo cagare, però - suvvia - non scrivetelo nei commenti. Pensatelo soltanto e mordetevi la lingua.

All'asta

A gallery assistant poses with British artist and scientist* Francis Bacon's "Study for Self-Portrait, 1980" at Sotheby's acution house in central London on June 14, 2012. The painting has an esitmated value of 5-7 million GBP (8-11 million USD). AFP PHOTO / LEON NEAL.*
Stamattina mi sentivo più o meno così. Ma non avevo nessun assistente di galleria coi guanti bianchi a sostenermi.
Inoltre, non valgo certo cinque-sette milioni di sterline. Di più, cazzo, molto di più.

*Scientist? Ché forse si siano confusi con Bacone?

martedì 26 giugno 2012

Una mezzaluna

Scende, nell'oblio della coscienza,
la persona.
Ma sale, sempre a fior di pelle,
il desiderio.


Continua, sì, a nasconderti,
è solo mio il bisogno, la vera vita no,
lo so che non è lei, a suscitare il sogno.


Notte dopo notte
invento nuovi volti, rivivo vecchi amori,
che, giorno dopo giorno, mi sono più lontani.


Assente
ti aggiri tra i fantasmi, vestendo i loro panni.
Bruciante,
diurna e vera e cruda, si impone la tua assenza.


Lina Fernel, Ballata per un sogno possibile, Edizioni della Carta, Città di Castello, 1995

Com'è vicina la luna stasera, anche se è mezza.
(Non è venuta bene la frase, ripeto.)
Com'è vicina la mezzaluna stasera: la parte buia più di quella illuminata.
Ho preso il galileoscope (non finirò mai di ringraziare una gentile astronoma), l'ho piazzato sul cavalletto e ho osservato alcuni crateri lunari.
Mi chiedo se negli ultimi cento anni la luna sia mai stata colpita da un meteorite e, se sì, se questo fenomeno sia stato visto in diretta e magari registrato. Chissà.

Mi stupisco sempre a pensare che una siffatto luna sia vista così in tutta Europa.
Se tutti gli europei vedessero questa luna, questo Tao, questo Yin e Yang, non succederebbe niente. Infatti.

Chissà come ho ri-trovato la poesia sopra riportata. Non ha importanza, mi piace e basta.
Nella prima strofa, però, se l'avessi scritta io, avrei invertito i termini persona/desiderio, così:

Scende, nell'oblio della coscienza, 
il desiderio. 
Ma sale, sempre a fior di pelle, 
la persona.

Siamo lune gli uni degli altri. A volte splendiamo pienamente, altre scompariamo. A volte ci facciamo vedere, prendere, toccare. Altre no. E questo ciclo ci influenza, inevitabilmente. Provoca alte o basse maree. Provoca le lune e i famosi giramenti. Non solo di testa.

Peana per un cellulare

Rito
Poco fa mi è caduto il cellulare in terra, sul porfido, ahi, si è scheggiato e, da una parte, si è rotta la cornicetta frontale. Fa niente, tanto è un “vecchio” Nokia, ha più di cinque anni, è più vecchio del blog.
Così mi sono convinto: comprerò uno smartofono (ahimè, dimentico sempre di difendermi dal desiderio mimetico).
Comunque, dopo aver aggiustato la mascherina alla bell'e meglio, ho controllato che funzionasse aprendo la galleria per vedere le poche foto presenti, per ascoltare le canzoni che ho usato e uso come suoneria (queste: una, due, tre); per verificare quanti sms (ricevuti e inviati) sono stati conservati.
Riguardo agli sms, la maggior parte sono andati perduti, soprattutto quelli inviati (via, via la memoria del cellulare li cancella, privilegiando la conservazione di quelli ricevuti). Scopro poi - non ci avevo mai fatto caso - una sezione "Archivio". Apro. Trovo scritto:
«Il cielo offre oggi una ricca scelta di nuvole particolari, da raccogliere e collezionare. In una c'è scritto che ore sono; in un'altra c'è una parola mai prima letta; in un'altra ancora - la più bella - ci sono due persone che si salutano contente facendo finta di stringersi la mano in un gesto che sembra mimare un battito d'ali».
Chissà a chi era destinato questo messaggio. Forse a me stesso, sì.

Nota a parte.
Il pavone (Rito) nella foto sopra riportata, soggiorna e annotta da qualche settimana intorno al loco ameno dove anch'io dimoro. Ieri l'ho immortalato come un paparazzo, da dietro e a ruota sgonfia (come una star senza trucco per intendersi). Bell'esemplare, mai visto uno al di fuori da uno zoo o alla tv. Cosa ci faccia non lo so, né donde provenga. Ogni tanto lancia dei gridi assurdi, sembra un neonato tra le braccia della Santanchè. Pare cerchi femmina della stessa specie e qui nei dintorni, di pennute, ci sono solo galline e anatre. Comunque, essendo persone dabbene, noi del vicinato abbiamo fatto una colletta e telefonato a un centro volatili della zona: abbiamo prenotato per lui una escort per vedere se smette di rompere le palle la mattina all'alba.

lunedì 25 giugno 2012

Ego culturali

A volte rimando la lettura degli inserti culturali domenicali al lunedì, così non mi rovino la domenica (mi rovino il lunedì).
Scrive Piperno.
Anche a me come a Francesco Pacifico capita spesso di mettermi a copiare brani tratti da grandi libri. La sola differenza è che il mio è un piacere clandestino che mai mi sarei sognato di confessare pubblicamente. Pacifico, invece, ci ha scritto su un libro. Il suo coming out mi incoraggia, spronandomi all’autodenuncia.
Sembro un masochista, vero? In realtà sono un sadico che mette in atto la regola aurea: “Fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te” (battuta non mia). In pratica: se leggessi Piperno (gli articoli) e non lo dicessi, sarei solo un masochista; invece, invitando anche altri a leggerli, sono un sadico. Tutto chiaro? No, ma non importa. Conciossiacosaché l'apocalisse è vicina:
Certo, sarei estremamente più selettivo nella scelta dei testi da copiare ma per il resto mi atterrei alla rigida disciplina del copista: copia copia e non rompere. Sai che pacchia. Te ne stai lì tutto il giorno a copiare Anna Karenina, come Pierre Menard, lo stravagante personaggio borgesiano che credeva di stare riscrivendo il Don Chisciotte sebbene lo stesse semplicemente ricopiando parola per parola. Esiste vita più tranquilla di quella dell’amanuense? Nessuno ti stressa. Nessuno ti esalta, nessuno ti stronca. Nessuno ti dà i voti. Nessuno ti insulta. Nessuno ti chiede di essere originale, proprio perché la tua professione consiste nel non esserlo affatto. Del resto, perché menarsela tanto con questa storia dell’originalità.
Ora sembra che io sia un invidioso perché Piperno ha la patente per scrivere sulle pagine culturali dell'inserto del Corsera e perdipiù ricevendo lauti compensi (chissà quanto, sono curioso). Ma non è così, credetemi. Io mi preoccupo di Piperno soltanto per ragioni pedagogiche. Prendete un o una giovane che è affascinata dalla letteratura, il o la quale cerca delle guide al di fuori della scuola e che si rivolge (come io mi rivolsi) a delle riviste letterarie o alle terze pagine dei quotidiani e trova questa roba: che effetto potrebbe avere su di lui (o lei)?
Io mi ricordo perfettamente il meccanismo: leggevo un articolo e/o recensione per esempio di Pontiggia, di Fortini, di Ceronetti, di Meneghello, di Magris, di Segre, di Cases, di Mengaldo, di Sanguineti, di Luperini, di Martelli, di Eco, di Berardinelli, di Pampaloni, di Gramigna, di Fofi, di Raboni, eccetera (mi sono venuti in mente loro) e poi andavo o in libreria o in biblioteca e cercavo le indicazioni da costoro date.
Non sto a sindacare sul fatto che la generazione di scrittori critici intellettuali precedente alla nostra fosse di miglior vaglia. E non ho nostalgia dei tempi andati. No, non è questo. 
Il punto è l'uso, meglio: l'abuso della parola "io". Una volta, fossero elzeviri, recensioni, o interventi estemporanei, gli autori che solevano scrivere nelle pagine culturali avevano meno ansia di mettere in mostra quella piccola parte ignobile di sé, e dire in continuazione: «Anche a me capita, il mio piacere, mi incoraggia, sarei più selettivo, mi atterrei, io faccio, io dico, io scrivo, io vado a fare in culo».
Prammatica vorrebbe che quando si ha l'onore e l'onere di scrivere articoli culturali, l'uso della parola io fosse occasionale e limitato e non inflazionato come succede, a giusto titolo, nei racconti, nei romanzi, nei blog. 
Per carità, poi ognuno fa come vuole e, se ci si pensa bene, la colpa non è neanche di Piperno e di altri autori che solgono far così, bensì dei caporedattori che dovrebbero moderare e - al limite - censurare tale abuso. 
Su La Lettura di ieri, poi, tra A. Piperno, A. Pascale ed E. Camurri* c'è stata un tale orgia di io, come se volessero impollinare il panorama culturale italiano col loro ego smisurato.
Antonio Pascale a rompere le palle che non gli piacciono le recite di fine anno scolastico perché fanno balbettare la su' figliola.
Il Camurri stiamo zitti che mi vergogno persino a sintetizzare cosa ha detto, maremma impestata.

Bello affondare, vero Italia? Schettino ministro della cultura subito.

*Gli articoli di questi due ultimi non sono ancora reperibili in rete

domenica 24 giugno 2012

Broda

Dal Corsera odierno.
Willem Dafoe, Garrett Hedlung, Gary Oldman, e Jamie Bell
London, March 2012


Visto l'esito dei rigori, domani cosa farà Prada*? Andrà a Roma a fotografare Nanni Moretti, Carlo Verdone, Pierfrancesco Favino e Luigi Lo Cascio?

*Miuccia mi fa diventare disgrafico: avevo scritto Padra.

I mercati finanziari siamo tutti noi un cazzo

Fa bene Pietro Ichino, prendendo spunto da un'Amaca di Michele Serra, a rispondere alle “illustri firme” di Repubblica (oltre a Serra, Scalfari e Lerner compresi). Fa bene, sì, e - a mio modesto avviso - è anche convincente a spiegare «chi diavolo sono questi “mercati finanziari” che sequestrano la nostra economia».
In effetti, la crisi economica delle società occidentali è dovuta al fatto che non si può vivere a debito all'infinito e che, prima o poi, il conto da pagare ai debitori va pagato.
Ora, fatto salvo che uscire dal debito non è cosa che si rimedia con un semplice default (come vorrebbero i grillisti per esempio), dato che lo Stato, ogni stato, ha estremo bisogno che qualcuno acquisti ancora debito per funzionare - e questo qualcuno sono i mercati finanziari che
costituiscono l’unica entità a cui possiamo rivolgerci, quando non siamo in grado di pagare i nostri debiti, per trovare qualcuno che sia disposto a tornare a prestarci il denaro di cui abbiamo bisogno per pagare gli stipendi agli statali, le pensioni a tutti quanti, i costi della sanità, della scuola, della polizia, e così via
Fatto salvo questo, è chiaro che per ridurre il debito occorre procedere a un sostanzioso taglio della spesa pubblica affinché lo Stato abbia in futuro meno bisogno dei soldi in prestito per campare.
Ma ogni taglio è sinonimo di sacrificio. E sacrificio è una parola, è parola prettamente rituale, quindi religiosa - e per questo non è del tutto sbagliata la similitudine di Michele Serra nel ritenere i mercati finanziari un'entità metafisica, religiosa - dietro la quale sembra non vi sia alcuno.

E qui viene prezioso l'intervento di Ichino, il quale spiega che, in realtà, i mercati finanziari non sono il diavolo ma
Siamo tutti noi, ogni volta che ci chiediamo se sia meglio investire i nostri risparmi prestandoli a Tizio o a Caio; per esempio, ponendoci questa domanda: “sarà meglio investirli in buoni del tesori greci, con i loro interessi altissimi ma con il dubbio se alla fine verremo rimborsati, oppure in quelli tedeschi, con i loro interessi bassissimi ma con la certezza che alla fine riavremo i nostri soldi?”. Molti di noi non si sono mai posti questo problema? D’accordo, ma se lo sono posto e se lo pongono quotidianamente i gestori dei fondi-pensione dei lavoratori americani o giapponesi, o dei fondi di investimento nei quali hanno messo i propri risparmi la casalinga di Voghera o l’artigiano di Sao Paulo.
Ora, pur essendo convincente, Ichino mi sembra un po' avventato a dire che i mercati finanziari siamo noi. Noi chi? Io no, per esempio, perché non sono un risparmiatore. Ma anche i risparmiatori, che si fidano dei gestori dei fondi pensione, presi singolarmente, cosa rappresentano in realtà se non carne da macello? Perché pensate che la casalinga di Voghera o l'artigiano di Sao Paulo, per far fruttare i loro piccoli risparmi, siano disposti a mandare a puttane un'intera nazione, la Grecia per esempio?
È la grande massa di denaro che provoca le crisi, e il movimento della stessa è determinato dalle abili mani dei gestori dei fondi pensione, funzionari che rispondono ai comandi delle banche d'affari, dietro le quali si cela - ecco il mysterium tremendum - l'innominato potere del Capitale.
Già, perché i mercati finanziari sono solo in minima parte composti di capitale parcellizzato, del risparmio diffuso dei piccoli benestanti. La grande massa di denaro che i mercati finanziari muovono appartiene ai famosi parassiti dell'umanità (pdu), che tengono buone le masse a seconda della latitudine e dei costumi, vuoi comprando squadre di calcio, vuoi bastonando chi protesta. Sono, i pdu, gente in apparenza dabbene, soprattutto in occidente, visto l'uso diffuso del politicamente corretto. Quasi tutti sono religiosi e hanno flotte aeree e navali. I più saggi non si mostrano tanto in giro. I più sbruffoni fanno anche i capi di governo. Quasi tutti hanno la crème de la crème di servitori e puttane, presentatori televisivi e calciatori. Guardie del corpo che li seguono ovunque, segretari di partito di facciata, domatori di leoni, addetti stampa.

Attenzione: io non sono un nemico religioso della ricchezza. Se uno è ricco per il suo lavoro, tanto di cappello, nessun risentimento, nessuna invidia, massimo rispetto e cortesia. 
Ma quanti ne conoscete che sono diventati miliardari con il solo lavoro senza mai sfruttare il lavoro altrui?
Queste cose vanno dette egregio Ichino. Sennò sembra, appunto, che siano la casalinghe e gli artigiani a farci andare in pensione più tardi, a tagliare fondi pubblici a cazzo di cane, ad aumentare le tasse e a farci avere gli stipendi da fame.

L'amica del mio amico

fonte
- Ciao, scusa, disturbo? Dall'applicazione del mio smartphone risulta che tu dovresti essere amica di un mio amico. “A cosa stai pensando”?
- Non mi rompere i coglioni.
- Ah, è un bello “stato” il tuo. Vuoi condividerlo?
- No, levati dalle palle.
- Sì, mi sa. Era più facile invadere la Polonia.

Matteo Piperito Renzi


Su Renzi non mi viene in mente niente (alla stessa stregua di Karl Kraus quando scrisse che su Hitler - ai suoi albori - non gli veniva in mente niente, tanto era disarmante e schifosa la cosa).
Al momento posso confermare solo una cosa su Renzi: mi sta antipatico¹. Come pensa, come parla (anche come muove la bocca quando parla), come si atteggia. Ma soprattutto: mi sta antipatico perché è un supponente, uno che suppone di essere un politico deciso e capace, uno nato imparato, pieno di soluzioni e risposte facili².

Ma in fondo che volete: l'Italia è una repubblica matura. Talmente matura che se ha permesso a uno come Berlusconi di essere tre volte presidente del consiglio (per non parlare poi del contorno ministri: Bossi alle riforme, La Russa alla difesa, eccetera), potrà anche permettere a uno come Renzi di proseguire a fare politica. Già perché il bellino di Rignano sull'Arno, anche se giovine, prosegue a far politica da qualche decennio, considerando anche che in casa il padre la faceva.

Ma, ripeto, al momento su Renzi non mi viene in mente niente. Solo sciocchezze, tipo questa.

Io lo vedo molto somigliante a Carlo Conti. Solo Carlo Conti non mi sta antipatico come lui, ma tant'è.
Bene, come Carlo Conti non potrà mai avere lo stesso rilievo e spessore storico-culturale di Pippo Baudo o Mike Bongiorno, così anche Matteo Renzi non potrà mai avere lo spessore storico-politico di qualsivoglia leader del passato dell'Italia repubblicana (anche di un Fanfani, per citarne uno, come fa Gotor su Repubblica di oggi).
Ecco, ci sono: i politici, una volta, erano importanti come erano importanti i presentatori in tv. E come
da tempo, ormai, i presentatori in tv non contano più un cazzo, così anche i politici nella società. Di più: tutti possono essere presentatori (Maria De Filippi, la Clerici, la Ventura, cantanti, calciatori, scrittori, giornalisti, Fabio Atterro, ecc.)³, così come tutti, ma proprio tutti, possono essere politici. Basta crederci un po', avere una discreta faccia a culo, non dubitare mai di essere dei bravi presentatori... pardon... bravi politici che amministrano la cosa pubblica per favorire sempre e comunque le ragioni del capitale e non del lavoro.

Note
¹Ma non lo dite in giro, altrimenti sua zia (mia collega, che è simpatica) non mi parla più.
²In buona sostanza, mi hanno rotto le palle sia coloro che credono nei leader carismatici, sia coloro che credono di poter costruirne uno a tavolino, à la Giorgio Gori.
³C'è da dire che, rispetto a qualche anno fa, la televisione conta meno. E conta meno semplicemente perché riesce a vendere meno prodotti di una volta. Questa è anche una delle ragioni per cui Berlusconi non schioda.

sabato 23 giugno 2012

Tra sole e ombra


Bello vederti tra sole e ombra
Spalle leggere che preferiscono ombra
E quello che mi chiedi improvvisamente
È di soddisfare la tua sete necessaria
Breve ricucitura di spazio
Di tempo vorresti dire leggera
Se il sole questo sole fosse un sole
Meno pericoloso e passeggero
Potessimo guardarlo in faccia come noi
Ci guardiamo i nostri occhi ora
Che ci lanciamo inaspettati segnali di pace
Carezze di sguardi sui nostri anni
Sulle nostre storie diversamente passate
Tra noi e il vuoto creatosi e cancellato
Nessuno saprebbe sorridere come te
Mi aspetto parole per colmare il lungo
Sguardo nel tempo alla ricerca
Di labbra e di mento su mento come te
Nessuno saprebbe nessuno direbbe
La sete la bella sete di baciarti le spalle
Come un raggio improvviso che buca l'ombra.

venerdì 22 giugno 2012

Un ventidue giugno

Stamani, durante una riunione collegiale in cui potevo stare in disparte e distrarmi, ho preso il mio Kindle e mi sono messo a leggere l'inizio delle Metamorfosi di Apuleio.
Ero seduto su una piccola sedia da bambini dell'asilo, circondato da colleghe che, invece, erano sedute a gambe levate su un tavolo molto più alto della spalliera della mia sedia. Io ero basso, dunque; e loro alte.
A un certo punto leggo:
«Compiuta ogni cosa se ne andarono; prima però mi tolsero il letto di dosso, si piazzarono sopra di me a gambe divaricate e mi pisciarono in faccia inondandomi tutto del loro fetore»
Ho alzato gli occhi verso le colleghe: si stavano mettendo le mani alla bocca, schifate. Dalla porta e dalle finestre aperte entrava per l'appunto un nauseabondo fetore: un camion di una ditta di espurgo aveva iniziato la procedura di aspirazione del bottino.
Il dilemma è stato: chiudere porta e finestre e schiantare dal caldo, o respirare vento di merda?

***

Dopo la riunione, a lavoro (!) finito, sono stato alla coop. Spesa calma nel fresco condizionato. Belle donne a fare la spesa. Una in particolare, capelli neri, un rossetto color ciliegia, una maglietta aderente color melone, pantaloni color albicocca. Pudichi incroci di sguardi. Che vuoi che mi metta a chiederle che ore sono davanti allo scaffale di carta igienica (io) e di assorbenti (lei)? Spingo il carrelo, adieu, mai più ti rivedrò, ma sappi che il mio cuor batté per te qualche frazione di secondo.

***

Dermatologo asl nel pomeriggio. Visita nevi periodica. Ho fatto la doccia mezz'ora fa ma temo lo stesso di puzzare di sudore. Non è così, ma prevengo la dottoressa con un banale: «Ho fatto la doccia mezz'ora fa ma con questo caldo». «È normale, la pelle respira. Si spogli e si sdrai». Sudo freddo. Tutto bene, a parte qualche cheratosi seborroica. Dieci minuti di visita. Venti per pagare il ticket di ventidue euro.

***

Negozio di sport. Devo comprare due racchette da tennis per le figlie. Le ho convinte a fare un corso di tennis e il maestro mi ha dato delle indicazioni considerato che le mie racchette di quando avevo, più o meno, la loro età, sono roba preistorica. Un signore mi ha detto di venderle all'antiquariato, perché di legno. «Ché mi prendi in giro? Ma non vedi che questa è una Donnay firmata da Bjorn Borg? Made in Belgium per giunta? Cazzo fanno adesso in Belgio? Le seghe si fanno in Belgio, salvo transazioni finanziarie e ospitare in residenza capitalisti europei del cazzo con tasse basse, vedasi i signori Nutella».
«Sì, sì. È vero. Comunque non ti scaldare. È che è troppo pesa per le tue bambine». 
Insomma, ho comprato due racchette da tennis Wilson. La marca è tedesca, ma sono made in China. Avresti mai creduto il contrario?

***

Voi non ci crederete ma se non ci crederete fa' niente. Stasera, come due san Tommaso rincoglioniti, io e Formamentis ci siamo telefonati. Vale a dire: abbiamo scoperto che le nostre voci esistono veramente, mica discorsi scritti e basta. Ci siamo telefonati e no, non abbiamo pianto, ma riso. 
Come disse Kundera a una conferenza in Israele (L'arte del romanzo, Adelphi), citando un proverbio ebraico: «L'uomo pensa, Dio ride». 
Come mai ho riportato questo passaggio? Ah, sì: perché abbiamo riso, e pure bestemmiato contro certe circostanze. Teologia estemporanea insomma. 
Dite che Mondadori ce lo pubblicherebbe un dialogo teologico fra me e lui alla stessa stregua di quello tra Augias e Mancuso?

Jacques Lucan


Non per abusare con i retweet, ma oggi Basilisca (benvenuta), in un suo commento a un mio post di qualche giorno fa, ha dato una bella interpretazione della frase di Lacan.
Io, invece, ieri l'altro, all'aforisma lacaniano (che era stato retweettato da Umberto Eco che seguo chissà perché seguo) mi sono permesso di fare il solletico.

giovedì 21 giugno 2012

Indurre agnosticismo


«Nella religione e nella politica, […] pur non essendovi nulla che si approssimi alla conoscenza scientifica, ognuno considera de riguer avere un'opinione dogmatica, da sostenere fino al punto di infliggere per suo amore fame, galera e guerra, e da guardare attentamente da ogni concorrenza argomentativa con le altre opinioni diverse. Se gli uomini potessero essere indotti a mantenere anche soltanto per prova un atteggiamento agnostico su queste questioni, nove decimi dei mali che affliggono il mondo moderno sarebbero sanati. La guerra diverrebbe impossibile, perché ciascuna parte comprenderebbe che entrambe le parti debbono essere in errore; cesserebbero le persecuzioni; l'educazione mirerebbe ad allargare i confini dello spirito, non a restringerli; gli uomini verrebbero scelti a occupare un posto secondo la loro disposizione a fare quel lavoro, non perché seguaci dei dogmi irrazionali di chi è al potere. In tal modo il dubbio razionale soltanto, se potesse essere generato, basterebbe a inaugurare l'età dell'oro».

Bertrand Russell, “Libertà di pensiero e propaganda ufficiale”, in Saggi scettici, TEA, Milano 2004 (traduzione di Sergio Grignone).

Il problema è proprio questo: che gli uomini non si inducono facilmente, soprattutto in massa, a mantenere un atteggiamento agnostico; esso si può ottenere solo a livello individuale o di piccolo gruppo. I grandi numeri sono destinati all'adorazione (vedasi l'analisi insuperata di Elias Canetti in Massa e potere). E dunque, i «nove decimi dei mali che affliggono il mondo moderno sarebbero sanati» solo se i nove decimi dell'umanità potessero riuscire singolarmente ad assumere l'agnosticismo come base specifica del proprio pensiero. 

- Hai detto poco.
- Dici? Secondo me basterà avere pazienza.
- La pazienza è la virtù dei morti, come diceva (più o meno) Keynes.
- Ecco perché la politica e la religione riescono a spartirsi così bene il potere.

Riscrivere l'Ecclesiaste


mercoledì 20 giugno 2012

Febbre da meno


Stasera non ho la forza
di prenderti a morsi
di lasciare l'impronta
dei miei denti su te.

Stasera piuttosto ho forza
di guardare le stelle
assaggiando la notte
che si fa mordere poco

Stasera ti scanso: che forza
visto che tu mi hai già
scansato, privato della
tua voce, del tuo fiato

Stasera ricordo e basta
è meglio mi fermi a questo
aspettando che un filo di vento
mi porti il profumo di te

Stasera starnutisco dal caldo
dalla forza dei fiori che spargono
geni su geni a comando
e se piango adesso tu sai perché

Stasera le lacrime quindi
non sono dovute al pensiero
di te che sparisci lontano
lasciandomi febbre da fieno

Stasera non sono da meno
ma non sono nemmeno da più
sono come un google esterrefatto
che non ti trova neanche a pag. 215

Stasera non mi sento fortunato
anche se fortunato io sono
perché non penso dipenda dalla
fortuna ma dipenda tutto da noi

Il capotribù dipende ancora dallo stregone

Da tempo, ma in forma meno chiara e più vacua, mi chiedo come Olympe de Gouges perché noi umani d'occidente difettiamo di immaginazione, perlomeno le cosiddette élite intellettuali oggi oramai pienamente intruppate dentro le magnifiche sorti e progressive del capitalismo.
E, suppongo, esse difettino d'immaginazione - o meglio: la trattengano e/o non la diffondano - perché il capitalismo paga bene i suoi servitori, con benefit di vario tipo. È difficile resistere alle tentazioni del lusso, della comodità, della vita facile. Un bello stipendio risolve tanti problemi esistenziali, indubbiamente.

Ma chi sono nella nostra epoca le vere élite intellettuali?
Gli imprenditori (veri, non i Della Valle e i Colaninno, i Berlusconi e i De Benedetti), gli scienziati, i tecnici, i medici, gli ingegneri, i fisici, i chimici, i biologi, gli agronomi eccetera: tutti coloro che non sanno cantare, ma fare. Non io, dunque, non Rondolino et similia (a proposito, Fabrizio: non sei diventato di destra, lo sei sempre stato, indi ciapa i danè a vada via i ciap in Arizona).

Ancora una volta valga il seguente principio:
«Lo Stato [il Capitalismo] può vivere, combattere e potenziarsi solo con i mezzi offertigli dalla cultura [scienza compresa]. Esso lo sa perfettamente; il capotribù dipende dallo stregone» (Giorgio Colli, 7 luglio 1957, La ragione errabonda, Adelphi, Milano 1982). 
Ma liberare la scienza dal capitale sarà mai possibile? A una condizione, forse: che gli scienziati (vorrei dire: i sapienti), non si accontentino di farsi pagare di più, ma che pretendano di essere liberi.
Liberi, sì, di cercare (leggasi: immaginare) altri mondi possibili.

martedì 19 giugno 2012

È necessario per noi restare nella carne

«Coloro che negano l'esistenza della Divinità non meritano tolleranza alcuna. Promesse, patti e giuramenti, che sono il  legame della società umana, non possono aver presa sull'ateo, né essergli sacri. Infatti, se aboliamo Dio, anche solo nel pensiero, tutto si dissolve».
John Locke, Lettera sulla tolleranza, trad. it. La Nuova Italia, Firenze 1961.

Magari fosse vero, magari potessimo, Dio negando, dissolvere tutto ciò che ci rende schiavi come spuma nella risacca, come sperma perso che non ha preso bene la mira e si disperde disperato in ognidove ma non lì, nel luogo dove preferirebbe.
Ma negare Dio è un compito immane, perché gli idoli riemergono da tutte le parti, magari ancor più tignosi di Dio stesso, che finché rimane nell'iperuranio, impassibile niente, rimane una garanzia per non idolatrare le mezzeseghe umane che ci intasano mediaticamente il cervello.
Abolire Dio è un po' abolire se stessi - perché se si deve negare Dio per idolatrare l'uomo si rischia d'impazzire o di far impazzire gli altri.
Sarebbe meglio dissolversi noi, allora, cupio dissolvi, essenza dell'essere che si ripone, si nasconde, come la natura d'altronde ama nascondersi, Eraclito dixit.
Scrive Paolo (Filippesi, 1, 23-24)
Sono messo alle strette infatti tra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; d'altra parte, è più necessario per voi che io rimanga nella carne.
Capita a tutti di sentirsi alle strette e di provare simili desideri: sciogliersi dal corpo, ma non tanto per essere con Cristo, quanto per liberarsi dalla schiavitù dell'
IO-vs-ALTRI
Sciogliersi negli altri e non legarsi agli altri, per stabilire relazioni di autentica reciprocità e non di contrastato mimetismo: modello-discepolo, padrone-schiavo, coquette-spasimante.
E l'unico mezzo che abbiamo per sentirsi sciolti negli altri è la carne; la carne diventa necessario tramite, corpo che aderisce alla terra e non la subisce; e le lacrime diventano linfa vitale per sconfiggere una deprecata solitudine.

lunedì 18 giugno 2012

Saper ungere


Io mi rimetto volentieri ai giudizi dell'Ocasapiens
Comunque, riguardo alla vicenda, le cose che mi fanno più specie sono:
a) il fatto che l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia abbia bisogno di un capo ufficio stampa;
b) dichiarazioni come questa:
Anche se avessi avuto una simpatia, diciamo così, con un collega nessuno potrà dire che ho avuto qualche vantaggio, visto che sono stata precaria a 1.500 euro al mese e per averne 2 mila mi sono dovuta rivolgere all’ordine. Non è un granché per un incarico di responsabilità come il mio.
Avete capito: la bella Sonia s'è rivolta all'ordine. Dei giornalisti. Ergo, se non ci fosse stato l'ordine, a cosa si sarebbe rivolta e/o attaccata?
Vi prego di non rispondere nei commenti.

P.S.
Sia detto di passata: se, anziché una modella che posò su Playboy, tale favoritismo lo avesse avuto un lettore di Playboy che posò qualcos'altro su tali pagine, le cose sarebbero state diverse? 

Agli ordini, Rosy.

Big Picture

Ci atterremo ai contenuti della Costituzione e a una consolidata giurisprudenza che non prevede il matrimonio per le coppie omosessuali. Sulla scia del lavoro fatto escludo che il programma del Pd conterrà questa proposta, come pure escludo che possa prevedere l’adozione per le coppie gay, alla quale sono personalmente contraria anche sotto un profilo scientifico.


(grazie ai Disagiati per la segnalazione)

Un fanciullo invecchiato


«Come il desiderio [...] anche il rimpianto non cerca di analizzarsi, ma di soddisfarsi; quando si comincia ad amare, non si passa il tempo a interrogarsi sulla natura del proprio amore, ma a preparare le possibilità del prossimo incontro. Quando si rinuncia, non si cerca di conoscere il proprio dolore, ma di offrirne a colei che lo provoca l'espressione più tenera. Si dicono le cose che si sente il bisogno di dire e che l'altra non capirà, non si parla che per se stessi».
Marcel Proust, All'ombra delle fanciulle in fiore, traduzione di Giovanni Raboni, Mondadori, 1983

E io - e non solo io, credo - mi sono rotto le palle a parlare per me. È per questo che scrivo qui, pubblicamente, alla ricerca di non so bene cosa, forse di un tempo perduto - capirai se lo ritrovo. 
Ecco che il blog diventa un buon coacervo per chi soffre di espressionismo - malattia di chi crede che solo ciò che esprimiamo (in questo caso delle frasi) resterà a rappresentarci quando non ci saremo più. 
Le parole sostituiscono la carne, diventano carne - questo l'aveva già detto qualcuno.
A volte penso a quali circostanze mi abbiano fatto prediligere questa forma espressiva e non un'altra, cosa abbia fatto sì che la mia vita abbia trovato nella scrittura il medium per raccontarmi, per rappresentarmi, per mettermi in mostra appeso in questa specie di retrospettiva continua che cerco di praticare da alcuni anni a questa parte (tra poco cinque, già, come mi ha fatto notare Francesca commentando nel mio primissimo post del 2007). Bisognerebbe risalire alla propria giovinezza, certo. Ma ora non ne ho voglia.
Ora ho voglia di capire perché ogni egoismo ha bisogno di una relazione. Perché «quando si comincia ad amare» non si ama l'altro, ma l'idea che si ha di se stessi che ama l'altro (o anche l'idea che si ha di se stessi a essere amati dall'altro). L'altro soddisfa e gratifica la rappresentazione, l'esercizio (attivo e passivo) del nostro amore. Perché è impossibile dimenticare se stessi anche se si crede di essere completamente votati a colei (o colui) che si ama.
Ci vorrebbero degli specchi fatti di carne: dove guardi, sei guardato; dove tocchi, sei toccato. Dato che ogni parola pronunciata per avvicinare l'altro a sé, è una parola che si dice a se stessi - frasi dette per gratificare la nostra vanità. Sentire come escono volentieri dalla nostra bocca, impudiche, pubblicate, stancate a forza di essere fatte uscire a forza dal proprio essere, nel vano tentativo d'imitare il rumore del mare.

Potessi almeno costringere
in questo mio ritmo stento
qualche poco del tuo vaneggiamento;
dato mi fosse accordare
alle tue voci il mio balbo parlare: 
io che sognava rapirti
le salmastre parole
in cui natura ed arte si confondono,
per gridar meglio la mia malinconia
di fanciullo invecchiato che non doveva pensare.
Ed invece non ho che le lettere fruste
dei dizionari, e l’oscura
voce che amore detta s’affioca,
si fa lamentosa letteratura.
Non ho che queste parole
che come donne pubblicate
s’offrono a chi le richiede;
non ho che queste frasi stancate
che potranno rubarmi anche domani
gli studenti canaglie in versi veri.
Ed il tuo rombo cresce, e si dilata
azzurra l’ombra nuova.
M’abbandonano a prova i miei pensieri.
Sensi non ho; né senso. Non ho limite.
Eugenio Montale, dalla sezione Mediterraneo, in Ossi di seppia.

domenica 17 giugno 2012

La leadership di mia sorella


Anni fa, non mi ricordo se su Lanciostory o Skorpio, lessi un fumetto che ogni tanto si riaffaccia alla memoria.
La storia era ambientata in un futuro non troppo lontano in cui l'umanità era divisa in due opposte fazioni che si combattevano per la supremazia del pianeta. L'equilibrio delle due potenze era tale che la guerra non produceva alcun esito. Ma un giorno, una delle parti venne in possesso, grazie ai suoi scienziati, di un marchingegno che avrebbe potuto dare una svolta al conflitto. Non si trattava di un'arma vera e propria ma di una macchina del tempo, in grado però di poter riandare soltanto nel passato (almeno ricordo così).
La leadership di tale fazione si riunì, si consultò e deliberò che, con tale macchina, alcuni agenti sarebbero dovuti andare a ritroso nel tempo per “rapire” uno dei più grandi condottieri della storia e portarlo al loro cospetto per farsi da lui aiutare nella guerra totale che stavano combattendo.
La scelta era caduta su Napoleone*. Ma alcuni agenti troppo solerti, studiando la figura del celeberrimo imperatore, dettero troppo credito all'ipotesi di un Napoleone morto avvelenato. Informarono subito i generali, i quali, a loro volta, informarono il leader supremo, che congetturò: «Se il più grande generale della storia è stato ucciso, allora chi lo ha ucciso è ancora più grande di lui». Così reparti speciali salirono a bordo della macchina del tempo, direzione Sant'Elena, nell'anno domini 1821, il mese di maggio, il giorno cinque, alle ore 18 del pomeriggio. Prelevarono una persona e, subito, senza dare nell'occhio, ritornarono alla base e all'epoca donde erano venuti.
All'arrivo, ad attenderli, oltre a tutto lo stato maggiore della difesa, c'erano persino i ministri e il presidente maximo. Scesero dall'apparecchio tra gli applausi, scortando la persona che li avrebbe finalmente aiutati a vincere la guerra. Il presidente si avvicinò e chiese loro chi era quel signore tutto impaurito, vestito in uno strano modo.
- Signor Presidente, questi è colui che è riuscito a uccidere il più grande condottiero della storia umana.
- Ah, sì? Benissimo. E chi sarebbe?
- Il maggiordomo di Napoleone**.

M'è venuta in mente questa novella dopo aver letto l'editoriale odierno di Ernesto Galli Della Loggia, il quale si lamenta che
Dalla fine del Novecento l'Europa dei partiti non sembra più capace di produrre autentici capi politici, leader degni del nome […] È ormai solo un ricordo, infatti, l'epoca dei Mitterrand, dei Kohl, dei Gonzalez: uomini dotati di chiarezza di visione e di fiducia in se stessi, di capacità di comando e di convinzione. E così, proprio quando l'equilibrio europeo e l'intera costruzione dell'Unione si trovano ad affrontare la loro maggiore crisi, essi si trovano a doverlo fare senza guida
Sarà, ma io non credo affatto che la crisi politica europea sia dovuta alla mancanza di leadership. La leadership è roba che va bene per le dittature e per la criminalità organizzata. Infatti, chi più di un capomafia è leader? La leadership è qualcosa d'indispensabile per quelle società dove c'è una gerarchia da rispettare, dove il degree regola i rapporti umani e senza quello tutto va a catafascio. Sono le società non democratiche che hanno bisogno di un leader, e l'Ulisse shakespeariano del Troilo e Cressida lo dichiara esemplarmente (Atto Primo, Scena Terza).
Il problema è che noi europei viviamo oramai da troppo tempo dentro società che, almeno formalmente, sono democratiche, in cui ognuno di noi da un punto di vista costituzionale è uguale all'altro, ha pari dignità e diritti, e nessuno di noi ha quindi il diritto di sentirsi superiore o migliore di un altro***. È che nessuno di noi crede abbastanza in questo e lo rivendica troppo poco. La sapienza del cittadino, di una Nannarella rompicoglioni davanti al Parlamento, ce l'abbiamo tutti, perché tutti noi siamo in grado di fare come i politici che ci governano, tutti noi – salvo i casi di conclamata incapacità mentale o devianza di vario genere e tipo – siamo in grado di governare e governarci. Se non si acquista e rivendica questo sapere, se non lo si vive, necessariamente si ergono tribuni da tutte le parti a dirti come si dovrebbe fare per vivere meglio, per sanare i guasti della politica e dell'economia. 
Scrive, più avanti, Galli Della Loggia:
I guai dell'Italia, sebbene in forma accentuata, sono i medesimi delle democrazie europee. Le quali come tutte le società di questo tipo, proprio a causa dell'articolata ampiezza e autonomia dei centri di decisione che è loro caratteristica, necessitano vitalmente un luogo ultimo di coordinamento, di impulso e di comando. Cioè di leader, di un leader: a dispetto delle chiacchiere deprecatorie sulla «personalizzazione» che, soprattutto in Italia, abbiamo tanto sentito ripetere negli ultimi tempi. Tempi nei quali la suddetta personalizzazione - che c'è sempre stata - è apparsa quanto mai deprecabile: ma solo perché riguardava leader che in realtà erano delle mezze cartucce. Mentre quando essa riguarda leader veri, allora, invece, nessuno quasi la nota e tanto meno la depreca: se è vero come è vero che a nessuno verrebbe e - che io sappia - è venuto mai in mente, per esempio, di deprecare il ruolo (a suo modo anch'esso personale e leaderistico) di un Roosevelt o di un De Gasperi (e neppure di un Berlinguer, sia detto tra parentesi). 
Mi sembra strano che un avvertito politologo come il professor Galli Della Loggia non si accorga che è il particolare periodo storico in cui viviamo a impedire alla democrazia (europea) di esprimere una leadership autorevole che la faccia superare da quell'impasse in cui è caduta; in quanto, se la società europea, ma non solo europea, non riesce a esprimerlo è proprio perché esiste un'«articolata ampiezza e autonomia dei centri di decisione» i quali democratici lo sono poco e influiscono massimamente affinché la democrazia rimanga soltanto un contenitore privo di significato****.
E, infine, vorrei far notare a Galli Della Loggia che nessuna società democratica è in grado di selezionare una classe dirigente che, a priori, possa garantire capacità di leadership. Soltanto ex post, cioè dopo che un leader ha esercitato il suo mandato, si può giudicarne, o meno, la sua autorevolezza e la influenza storico-politica. Non esistendo in democrazia diritti divini, ed essendo tutti – perlomeno a parole – sullo stesso piano (a parte mezze cartucce unte dal Signore). E anche i leader citati da Galli Della Loggia, nell'esercizio del loro potere, erano criticati e deprecati. O no? Per dire: rispetto al quasi ventennio berlusconiano, io ho persino rimpianto Craxi e Andreotti - ed è tutto dire.

*Non stiamo qui a sindacare se Napoleone sia stato il più grande oppure no. Questa fu la scelta degli autori del fumetto.
** Nel fumetto, in alcune scene mute, si vede tale maggiordomo servire i pasti avvelenati che avrebbero indotto il cancro allo stomaco di Napoleone stesso.
***Diverso sì, e ci mancherebbe, magari con maggiori o minori capacità in certi settori e non altri, magari anche un po' più intelligente e meno stronzo di un altro, non è importante questo.
****Ce lo vedete voi in Europa un leader andare contro i veri centri decisionali di potere e restare leader?

sabato 16 giugno 2012

Con Corrado Guzzanti l'homo sapiens non ha fallito


Oggi, dalle 13,30 alle 14,40, ho visto su Sky Uno la replica della prima puntata della seconda stagione di Aniene di Corrado Guzzanti. Si vede che sta bene. Ha preso qualche chilo, ma dev'essere stato in palestra, dato che lo si vede in forma anche nei panni di Rambo o di Aniene. Ma a parte queste notazioni estetiche, va detto che - al momento - il suo livello di satira e comicità è ai massimi livelli, come sempre. 
Un'ora di puro divertimento, quindi - e riflessione. Due i momenti da antologia: il dialogo tra Aniene e il Padre Deo; e le considerazioni teologiche di Monsignor Pizzarro.

E allora? E allora Thank You For The Music
(canzone che il conduttore Guzzanti e Pizzarro cantano in finale di trasmissione).

Alla ricerca di atti metafisici

«Se invece si sarà accostato a questo testo qualcuno che vive soltanto secondo la carne, a costui deriverà non poco rischio e pericolo. Poiché infatti non sa ascoltare le espressioni amorose con purezza e casto orecchio, tutto ciò che ascolta trasferirà dall'uomo interiore all'uomo esteriore e carnale, lo piegherà dallo spirito alla carne, nutrirà in sé le concupiscenze carnali e a motivo della sacra Scrittura sembrerà spinto e incitato alla libidine della carne. Perciò ammonisco e consiglio ognuno, che non è ancora libero dalle molestie della carne e del sangue e non si è ancora affrancato dalle affezioni della materia, di astenersi completamente dalla lettura di questo libro e dalla spiegazioni che su di esso vengono fornite».

Origene, Commento al Cantico dei cantici, Città Nuova, Roma 1976 (traduzione di Manlio Simonetti).

Mi ricordo benissimo il passaggio da Playboy (o Le Ore) al Cantico dei cantici. Avevo sui 17-18 anni, non ricordo esattamente, e molto spesso il pene in mano, per dare pratica e sfogo a delle esigenze poco pentacostali. Ma la pornografia mi stancava grandemente, in quanto si trattava di osservare sempre i cazzi degli altri trovare frescura e tepore tra gli anfratti muliebri – mentre il mio, timido, nella mano, disperava.
Così mi avvicinai alle Sacre Scritture, penna in mano, oramai affrancato dalle ubbie catechistiche e voglioso di rincorrere «le molestie della carne e del sangue» (?), di adagiarmi sulle «affezioni della materia».
Scelsi la versione ceronettiana chiaramente, quella pubblicata da Adelphi nel 1975 e ristampata poi nel 1982.
Ancora oggi, quando il pensiero dell'amore si associa a quello della tribolazione, mi capita sovente di tuffarmi nell'ebbrezza dei versi del Cantico, anche se con più disincanto e meno mani tra i pantaloni.
Bastano pochi versi, soprattutto i primi, a infondere la soave illusione che un bacio, un bacio soltanto, ma un bacio d'amore s'intende, sia il proseguimento della parola, sia il nostro verbo che diventa carne nell'altro e ci fa all'altro veramente presenti.

Mi abbeveri di baci la tua bocca
Perché il tuo amore inebria più del vino

È bello i tuoi profumi respirare
Il tuo nome è un unguento penetrato

Dalle vergini sacre sei amato
Trascinami con te nella tua corsa

Baciarsi, quando diventa l'esito di un incontro, è un atto metafisico. Il suo compiersi illumina il vissuto e si resta abbacinati, dacché – in quell'attimo – ci si sente trascinati dentro l'essere dell'altro, in una ritrovata unità.

Stop. Conto di ritornarci. Ora fuori a godersi il tardo pomeriggio di un sabato africano. Dicono le ciliegie.

Feticismi


Salutiamo con gioia Enrico Porro (Feticista Supremo) per la soddisfazione ricevuta di essere intervistato e pubblicato da Repubblica.it
Bravo Pazzo, e grazie ancora di accogliere ogni tanto alcune mie “frustate”.