venerdì 30 novembre 2012

Resurrezioni quotidiane.


Poesia tratta da Internazionale,  n. 977

Mi sa che la prossima volta che tornerò a Berna (c'ho dei parenti acquistati da quelle parti) cercherò sull'elenco telefonico l'indirizzo di tal poeta teologo per andare a dirgli: 
«Ehi, Signor Poeta Teologo, io sono risorto, almeno mi sembra, e sa da quando? Da sempre, da quando sono nato, da quando ho avuto la percezione minima del corpo, da quando mi mettevo - oh, come lo ricordo - prono sul divano o sul letto e sentivo la percezione esatta del mio pene bambino e provavo piacere e mi muovevo e intorno sentivo sottovoce i miei dirsi, “guarda come ponza”, per non dire si masturba. Io sono risorto quando vidi la prima goccia di sperma fuoriuscire mentre ero seduto sulla tazza del water di fronte allo specchio oblò di una lavatrice di marca italiana. Io sono risorto quando sui quattordici anni una ragazza di Milano mi mise la lingua in bocca - e sentire quella parte di corpo altrui nella mia di bocca per la prima volta fu una sorpresa risorgente. Io sono risorto pure quella volta che una donna mi accolse dentro sé e mi fece entrare nel suo spazio in cui mi persi e non mi rendevo conto esattamente in quale navicella ero salito, sembravo un naufrago tipo quell'astronauta che si perde dell'Odissea di Kubrik.
Io sono risorto in tante altre occasioni, e anche per altre circostanze, l'elenco sarebbe lungo, ma quello che, Signor Poeta Teologo, vorrei farle notare è che la maggior parte delle mie resurrezioni è legata al sesso e per esteso al corpo e alla sua soddisfazione (esempio di resurrezione: quell'unica volta che, dopo che fui assunto a tempo indeterminato, in un ristorante, con persone care, offrii loro e a me una bottiglia di Sassicaia che ho ancora in punta di lingua, tipo il bacio alla milanese). È il corpo che risorge, non c'è niente da fare, altro che anima, anima un cazzo, toccatemelo e sentite la resurrezione in diretta. La resurrezione è la cosa più porno che ci sia (proverbio). Cristo, da Tommaso, si fece mettere le dita nel costato: io sto zitto ma sapete già dove metterle, magari non lei Signor Poeta Teologo, magari la sua bella moglie che sembra così disponibile ad ascoltare i discorsi sconclusionati di uno che pretende di saperla più lunga di lei (chi ce l'ha più lungo se lo tira).
Insomma: è il corpo che risorge, lo sento, non c'è altra soluzione, non nell'aldilà, chissenefrega, no: qui, tutte le volte che il corpo ci fa sentire vivi e presenti, godimento o patimento (meglio il primo), il corpo, il corpo, il corpo, tre volte detto al posto del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. È dentro noi che c'è tale sequenza trinitaria, non altrove. Non è questione di egoismo, di edonismo, di narcisismo, no. È questione che la vita passa attraverso il corpo che ci è dato, torto o dritto, biondo o bruno, grasso o secco, corpo sempre, cellule che si affaticano con le loro regole locali a ricomporsi nell'unità che ci rappresenta, mentre il tempo, inesorabile, ci porta via.
Questo corpo che tutti i giorni ha bisogno di noi, della nostra presenza, della nostra attenzione - e anche se non gliele prestiamo attenzione e presenza, il nostro corpo va avanti da solo, preda del suo respiro e della sua trasformazione.
Corpo, nostro Signore: dacci oggi il nostro pane quotidiano.

giovedì 29 novembre 2012

Caccia al movente giornalistico

*
Il titolo e il catenaccio dell'articolo sopra linkato spingono il lettore a chiedersi perché l'Unione Europea sia così masochista.
Poi uno legge l'articolo e, da un punto di vista prettamente economico liberista, uno si accorge che questa volta i politici europei tanto coglioni non sono, giacché
«Secondo Bruxelles un trattato con il Giappone potrebbe aumentare il pil Ue dell'1% e aumentare le esportazioni europee di un terzo con un incremento addizionale di 400mila posti di lavoro in Europa.»
Dunque, l'ipotesi occupazione del libero scambio tra Ue e paesi asiatici è 400 000 lavoratori probabili in più, meno i 73 000 lavoratori “a rischio” del settore automobilistico, vale a dire tale accordo rischierebbe di “creare” 327 000 in più nella zona euro. Certo, a soffrire sarebbe l'industria dell'automobile, che già soffre di suo; infatti
«L'accordo di libero scambio Ue-Corea del Sud del luglio 2011 è stato contestato apertamente da mezzo mondo industriale europeo (specie dalle case automobilistiche di fascia medio bassa come le francesi e la Fiat). Sergio Marchionne, in quanto presidente Acea, aveva chiesto un congelamento dei negoziati commerciali in attesa del superamento dell'attuale fase di difficoltà del settore auto europeo.»
Perché le case automobilistiche europee, la Fiat in testa, contesta tale accordo di libero scambio? L'articolo lo sottintende ma non lo dice apertamente, forse perché non vuole mettere il dito nella piaga dei produttori automobilistici europei, i quali sono incazzati perché gli europei comprano abbastanza automobili giapponesi e coreane, mentre i giapponesi e i coreani comprano pochissime auto europee. 
E allora, donde sorgerebbe l'eventuale saldo attivo nella bilancia commerciale europea che consentirebbe la crescita occupazionale nel vecchio continente?
La Commissione, però, aveva contestato le valutazioni Acea stimando che complessivamente la Ue stia ottenendo risultati buoni: in nove mesi le imprese europee, indica l'esecutivo Ue, hanno risparmiato 350 milioni in diritti doganali dalle vendite di vino e prodotti di alta qualità.»
Ecco gli asiatici comprano vino o altri prodotti alimentari europei, mentre noi europei del vino o altri prodotti alimentari giapponesi compriamo molto poco. Tuttavia, questo è sufficiente a creare circa trecentomila posti di lavoro? Forse andrebbero considerate altre produzioni, non necessariamente del settore primario. L'articolo non ne cita alcuna. Il tessile, il calzaturiero, cosa diamine riusciamo a vendere agli asiatici? Gli spartiti di Claudio Cecchetto?

Per concludere, tornando al movente di questo post, credo che l'articolo redazionale senza firma di Repubblica.it dia più risalto al danno che subirebbero le case automobilistiche, anziché ai vantaggi che otterrebbero altri settori produttivi, perché i costruttori di automobili sono i principali acquirenti di pagine pubblicitarie dei giornali (cartacei od online). 
Ho vinto qualcosa?

Proverbi improvvisi

*

Quando il saggio indica l'obiettivo, lo stolto guarda la macchina fotografica.

È lo Stato una necessità?

Prima di parlare dovrei sapere quello che ho in mente di dire, ma non ho provato a esprimerlo in alcun modo, ho solo una specie d'intuito, frutto di alcune recenti letture, ma se non provo a scriverlo esso rimane un non detto e quindi forse un non pensato, così provo a scrivere per veder poi se quello che avrò detto corrisponderà a quello che mi pareva avere in mente.
La formula della scrittura quotidiana consente molte volte di espellere pensieri che non avrebbero altro modo di uscire da se stessi e resterebbero inespressi, quindi nulli - e questo non sarebbe certo grave, anzi.
Ma io devo provare a dire questa cosa: lo Stato è una finzione umana, ho letto questa roba qua, un'invenzione culturale che gli umani si sono dati in varie e molteplici forme durante il corso della loro storia. Per capire un po' il mio stato di confusione rimando a questi due post sull'Origine dello stato (1 e 2). Leggendo, si rammentano cose che già un po' si sapevano con qualche nuovo spunto di ricerca e nuove ipotesi e teorie determinate da nuove scoperte archeologiche.

Ripetiamolo: lo Stato è una finzione e vedendone l'origine lo si capisce meglio.
Lasciamo perdere le varie monarchie ancora esistenti, comprese le ridicolo costituzionali, vedi la Gran Bretagna, esempio illustre e vedi pure le assolute, le monarchie arabe e quella vaticana. Lasciamoli perdere anche se, sotto sotto, sia lecito sghignazzare per tali assurdi costumi e cerimonie.

Il punto è: quanti umani hanno consapevolezza che lo Stato potrebbe, in teoria, non essere una necessità? Quanti umani hanno, inoltre, capito (questa è più facile), soprattutto gli umani italici, che lo Stato non è un'entità che esiste in funzione del popolo, bensì il contrario, ovvero che il popolo, i cittadini, vivono e lavorano in funzione dello Stato?

E ora dico una cosa che è qui a mezza mente in attesa di essere espressa, vediamo cosa verrà fuori.
Causa orrori e fallimento del socialismo reale dei paesi a regime “comunista” (Urss e suoi alleati, Cina, Cambogia, Cuba), negli anni miei di primo approccio al pensiero politico, mi sono tenuto lontano da Marx, considerandolo a priori un ferrovecchio. Mi sentivo e sento un libertario di sinistra, anche se avvertivo a volte una contraddizione in termini. E la cosa che vorrei dire è questa: il fallimento storico di ogni forma di dittatura del proletariato, non confuta la validità del pensiero di Marx. Certo, Marx chiama alla lotta di classe, ma questo perché oggettivamente, come la storia dimostra, tutta la storia dell'umanità è una storia di lotta di classi. A leggere quei due microsaggi su Libertarianation si capisce come il controllo delle cariche politiche sia una diretta conseguenza del controllo delle armi e dei mezzi di produzione. E la differenza sostanziale tra le società antiche e le moderne - fatto salvo, chiaro, un minimo sindacale di bengodi conquistato gradualmente dal Dopoguerra a oggi che viene a poco a poco eroso con la scusa della crisi - è che le prime non avevano la presa in giro delle elezioni democratiche, il primo dei poteri del popolo, il più inutile.
Lo iato incolmabile tra rappresentante e rappresentato è determinato dalla separazione stessa che v'è tra Stato e Società. Lo Stato è un elemento di disturbo, una macchina che trattiene l'umanità nel suo complesso dentro schemi identitari fasulli.
Lascio il discorso sospeso, incompleto e velleitario. Ci voglio sognare su.
Occasione infine mi sia di segnalare questo post di Olympe de Gouges.

mercoledì 28 novembre 2012

In morte di un Direttore







Certo che, da un punto di vista martiriologico, morire in “casa” è peggio che morire in “redazione”.

Che cosa ho da rendere se non ho tolto?

Come scrive Tooby, pare che da gennaio 2013 arriverà una nuova patrimoniale:
La storia è ancora più mostruosa se consideriamo la porzione del patrimonio che lo Stato incamererà. Se uno ha 1000 euro pagherà 34,20 euro, ovvero lascerà allo Stato il 3,42% del proprio patrimonio; chi invece possiede un patrimonio finanziario di 100000 pagherà 100 euro, ovvero lo 0,1% del proprio patrimonio. Ciò significa che non solo va a farsi benedire il principio di progressività dell’imposizione fiscale, ma pure un eventuale principio di proporzionalità: in altre parole, più sei ricco e meno paghi in rapporto al tuo patrimonio
Lo so che non è bello fare i conti in tasca agli altri e che più triste è farli in tasca a sé (anche al Sé). Però, appena ho letto questa roba m'è preso voglia di bestemmiare.
Non è invidia sociale, no. È solo per appuntarmi da qualche parte questa ipotesi di tassazione per vedere se sarà approvata dall'attuale Parlamento.
[...]
Stasera ho visto Calderoli durante un servizio del tg di Mentana camminare vestito autorevolmente  per entrare nella commissione parlamentare relativa che si occupa della riforma elettorale.
Calderoli e tutti i leghisti presenti. I trasfughi da un partito all'altro. I dipietristi esondati. I Responsabili (Do you remember?). Che dolore profondo: cinque interi anni di rappresentazione popolare allo stato puro. Questa è stata  l'Italia del potere legislativo. Due governi. Uno che è stato una disgrazia peggiore di un terremoto. L'altro di un'alluvione. La faccia del primo ministro del penultimo governo è  impresentabile. La faccia del primo ministro del governo in carica è presentabile. Impreco. Prego.

Salvami Dio! L'acqua mi è alla gola!
In una voragine sto precipitando
Niente ho a cui aggrapparmi
Vado giù tra le acque del profondo
Il gorgo mi sommerge
Gridare mi ha spossato
La carne mi brucia ho consumato gli occhi
Nell'attesa di Dio
C'è più gente a odiarmi ciecamente
Di quanti io abbia in capo
Capelli. Ho più nemici
Dissimulati che in corpo ossa.
Che cosa ho da rendere se non ho tolto?
Tu sei avvezzo Dio alla mia empietà
Ma non ti è ignota la mia espiazione
[...]
Tirami via dal fango
Che non ci resti impigliato
Che il mulinello d'acque profondo
Mi lasci andare
E le Cateratte non mi travolgano
Il Baratro non m'inghiotta
Il Pozzo la sua bocca sopra di me non chiuda
Rispondimi beatifico Signore
Nella tua immensa pietà accorgiti di me
Al servo tuo non negare il tuo Volto
Presto rispondimi il Nemico è in me
Affàcciati alla mia anima
Il tuo riscatto affievolisca i miei nemici
Tu conosci le infamie che sopporto
Ti sono ben noti i miei aguzzini
Oltraggi soffro da spezzarmi il cuore
Ferite che non si curano
Aspetto un compianto e non l'ho da alcuno
Non trovo uno che mi consoli
Negli alimenti mi mettono cicuta
Per la mia sete mi danno aceto
Gli diventi la tavola un capestro
I  loro arrosti sacri un tagliagola!
Gli si abbuino gli occhi li colga la cecità
Rompigli i reni per sempre
Rovesciagli addosso la tua rabbia
Appiccagli il fuoco del tuo furore
Devastagli l'accampamento
Restino vuote le loro tende
Per il loro accanirsi su chi tu hai colpito
E della tua vittima fare più acuto il dolore
Dàgli un castigo adeguato alla colpa
Possano mai vedere la tua salvezza
Cancellali dal Libro della Vita
Tra i salvati non siano più scritti
Ma a me nella miseria e nel dolore
Il sollievo concedi del tuo aiuto
[...]

Salmo 69 (!), Libro dei salmi, Adelphi, Milano 1985, versione di Guido Ceronetti


lunedì 26 novembre 2012

Ogni tanto mi sento


Ogni tanto
dall'io mi affranco
mi avvalgo
di questa facoltà
e scendo sotto cattedra
per non spiegare
agli altri le ali
del sono.
Ogni tanto
dimentico cosa
voglia dire essere
uomo – e
mi pento
di questa dimenticanza
di cui posso essere
accusato.
Ogni tanto
disperdo il fiato
parlando nel vuoto
di uno schermo
cristallizzato.
La voce è sì bassa che appena
si sente la pena
una certa finta fatica
una certa voglia di. Stop.
Troppe effe di fila,
Ogni tanto
lascio spazio al pianto
mi commuovo con niente
e sento salire il presente
disagio di essere perso
nel tempo.
Non trovo altro scopo
che non averne
perché avere il rimpianto
dell'inazione
è meglio che avere il rimorso
della persecuzione.
Ogni tanto
ci penso a questo blocco
di vita sospesa
e mi accuso e mi metto
in attesa
spalle al muro.
Mi diverto a fare la spia
a me stesso
per vedere se mi stano.
Ogni tanto
provo a fare il puttano:
cinquantamila euro
per non fare un cazzo -
sarei tanto un bravo
ragazzo col trucco
e il parrucco.
Ogni tanto
di stucco mi dico:
pensa se fossi figlio 
di un ciarrapico
come sarei messo
fascista e depresso.
E invece
non riesco a essere figlio
non riesco a essere padre
non riesco a uscire da qui
perché qui sto bene
è così - da questo consorzio
di umani imperfetti
non prendo divorzio.
Ogni tanto 
immagino quanta
porzione di vita manca
da essere consumata;
ma non mi concentro:
mi tocco, dentro
unendo tra cuore
e ombelico una mano -
e mi sento.

Auguri Ilona

Il declino politico in Italia si denota anche dal fatto che, allo stato presente, non v'è neanche una pornostar decente candidabile al Parlamento.

*

domenica 25 novembre 2012

Non solo la stanchezza arriva

Da un po' di tempo seguo gli sporadici post che la filosofa italiana più influente di Francia, prof.ssa Michela Marzano, scrive per il suo blog. Quando vedo comparire nel mio reader un suo nuovo post, subito mi precipito a leggere la sua prosa piana e paratattica, piena di saggezza e lungimiranza, delicatezza e rottura di coglioni; leggo - basito - e tutte le volte mi rammarico che ancora ella non abbia ricevuto dal Corriere della Sera la proposta di tenere la rubrica settimanale in prima pagina che già fu di Francesco Alberoni (e che ora occupa, inopportunamente, Aldo Grasso).
Io penso davvero che Michela Marzano abbia tutte le qualità necessarie per diventare ciò che per anni Alberoni è stato per il Corriere della Sera: scrivere le ovvietà più clamorose dietro il paravento del prestigio accademico, dell'autorevolezza professorale, del numero di copie vendute dell'ultimo saggio. Una rubrica, insomma, dove scrivere cazzate semplici, sfinenti l'intelletto, ma che, tuttavia, a una lettura più attenta e approfondita, nascondono perle di peculiare saggezza.
Quindi, fossi De Bortoli, non indugerei e subito strapperei la filosofa Marzano alle manacce di quei marpioni di Repubblica che già da tempo si avvalgono della sua prestigiosa firma.

Anche oggi leggerla è stata un'ottima occasione di autoriflessione esistenziale. Prova ne sia il capoverso finale:
Per fortuna che esiste la stanchezza. Per fortuna che talvolta ci si ritrova da soli con lei per non perdere la bussola. Per fortuna che ci costringe a fermarci e a guardarci intorno per cercare un po’ d’amore…
Ai pochi attimi di meditazione sul Sé è seguito questo mio pensiero: «Chiarissima Professoressa Marzano, è proprio vero: è una “fortuna” esista la stanchezza: nel mio piccolo, per esempio, quando mi ritrovo solo con “lei”, per non sentirmi troppo solo, subito me lo prendo in mano il mio “lui” (Moravia dixit) per non perdere la bussola. Dopo un po' di movimento, “Lei”, la stanchezza, “ci costringe a fermarci e a guardarci intorno per cercare un po' d'amore”. E dato che lei (non la stanchezza) è sempre stanca, allora io e “lui” continuiamo il movimento finché non arriviamo, stanchi (e un po' umidi)».

Tweet storico-poetico


Vi prego di essere buoni e non dirmi che ho commesso una forzatura ermeneutica del sopracitato distico (?) di Keats.

Dell'essere custodito

Senza infilarmi in una discussione teologica sul Corano, libro che non conosco, vorrei solo far considerare all'amica Balqis che - come si evince altresì da quanto ella testimonia - è tutta una fottuta questione economica e quindi di classe, altro che religiosa: infatti, solo i ricchi possono permettersi - eventualmente - di prendersi cura delle donne comme il faut, giacché, per una donna musulmana, un conto è essere custodita o sostenuta da uno sceicco e un conto da un proletario pakistano o del Bangladesh (siano emigrati in Europa o no).
Durante i miei frequenti* soggiorni in svizzera, nelle località amene che si affacciano sul Lemano (Montreux, Vevey, Lausanne), ho avuto modo eccome di notare frotte di donne arabe eleganti che uscivano con le borse piene dalle varie boutique del lusso, mentre soggiornavano, sicuramente, nei lussuosi alberghi hors étoiles della Riviera; e come le vedevo serene e contente, mentre io girovagavo  coi miei due franchi in tasca, su e giù per le vetrine au bord du lac a sbavare di fronte a un Patek Philippe.

Infine, queste considerazioni a parte, da un punto di vista umano, chiedo: il fatto stesso di essere custodita, sostenuta e protetta nel migliore dei modi possibili, non fa sentire la donna in una posizione di inferiorità nei confronti del custode legale?
Per carità: anch'io se, per esempio, la Marcegaglia, mi sostenesse e custodisse comme il faut, ci penserei un po' se concederle potere legale su di me, ma - come vedi - la mia sarebbe una libera scelta.


*Negli anni passati: sono tre anni che non ci torno, causa anche del Franco (CHF) forte e di altre ragioni che non importa dire qui.

sabato 24 novembre 2012

Berrette rosse

*
E nel ricevere la berretta rossa sentirete ricordarvi che essa indica «che dovete essere pronti a comportarvi con fortezza, fino all’effusione del sangue, per l’incremento della fede cristiana, per la pace e la tranquillità del popolo di Dio». Mentre la consegna dell’anello sarà accompagnata dal monito: «Sappi che con l’amore del Principe degli Apostoli si rafforza il tuo amore verso la Chiesa». Benedetto XVI

Se non sbaglio, l'ultimo cardinale morto ammazzato fu l'arcivescovo Óscar Romero.
Non sarà mica perché, appunto, che c'è stata poca “effusione” di sangue cardinalizio che la fede cristiana, negli ultimi trent'anni, è incrementata poco? In quanto a vocazioni, non a patrimonio, chiaro.

Un imprenditore italiano


Mi sembra che il summentovato imprenditore sia laureato in geometria.

P.S.
Sono un maestrino, come Luisella Costamagna.

Ci sta pensando

Berlusconi 1
Berlusconi 2
Berlusconi 3
Berlusconi 4 (mentre cerca di persuadere Alfano sulle primarie)

Berlusconi ci sta pensando. Di solito - ma non sempre - chi la pensa sta per farla la cosa a cui pensa, dipende dall'urgenza: un po' come una scorreggia che non si riesce più a trattenere e la si fa, nonostante altre persone, anche se e poi si fa finta di nulla, anzi: ci si mette a cercare con gli occhi - come gli altri - il colpevole. 
Berlusconi ci sta pensando se tornare in campo e non si capisce perché “tornare”, o forse sì, si capisce, nel senso che si autodissotterra, in quando sprofondato sotto terra dopo la sua evacuazione da Palazzo Chigi. Ma è corretto dire, per uno che si disseppellisce come un lombrico, uno che insomma appartiene ormai già alla classe dei decompositori, che torna in campo, visto che, dal campo, non era mai andato via?

Questa similitudine, apparentemente mendace, sottende molteplici significati. Pensiamo, infatti, a come si dividono i settori economici: primario, secondario e terziario (compreso l'avanzato). 
E dove scese e dove vorrebbe ora ridiscendere Berlusconi? In fabbrica? In ufficio, in negozio? No, in campo, giacché il settore primario - converrete - dà vita a tutto il resto: miniere, boschi, sfruttamento del territorio, allevamento e... agricoltura e quindi campi, campi, magnifici campi sui quali scendere per possederli e sfruttarli fino a renderli completamente sterili (Berlusconi peggio delle cavallette o della siccità). Berlusconi non è un imbecille: ha capito sin dal primo momento che, in Italia soprattutto, la politica è il settore primario per eccellenza per lo sfruttamento del popolo e del territorio.

venerdì 23 novembre 2012

Palloncini

*
Ho tentato di concentrarmi molto su questa foto, obbligando la mente a immaginare che il palloncino di chewing-gum della gentildonna in questione non fosse tale, ma un proseguimento della bocca, un'estensione delle labbra, una sorta di appendice che caratterizzerebbe tutti gli umani, gentiluomini compresi. Tutti in giro con questa protesi naturale, donde passa aria, cibo e altro genere di liquidi.
Ho pensato questo per un po' e poi la mia idea è esplosa o si è sgonfiata e io sono qui a domandarmi se, per caso, tutto questo parlare di primarie (del Pd o del Pdl) sia qualcosa di equivalente, ovvero una protesi politica insussistente, che obbliga una nazione ad occuparsi di qualcosa che, invariabilmente, dopo un po' che l'hai masticato e ne hai succhiato zucchero e aroma, non ti resta in bocca niente e sputi via in qualche modo, educato e civile o no, ma che non tieni certo in bocca, dato il nulla.

giovedì 22 novembre 2012

Pugni duri costituzionali

Il ministro dell'interno, Annamaria Cancellieri, parlando al Senato della Repubblica, ha detto che le forze dell'ordine si stanno preparando a fronteggiare possibili emergenze di ordine pubblico perché «la  situazione economica è difficile». Per far ciò - ella ha proseguito - è allo studio del governo la possibile introduzione dell'«arresto differito» per coloro che parteciperanno alle manifestazioni muniti di passamontagna, caschi e bastoni:
«l'arresto differito è uno strumento molto efficace che ha dato risposte positive negli stadi e pensiamo quindi di applicarlo; [tuttavia] stiamo facendo una valutazione perché ci sono aspetti costituzionali da chiarire».
Ah, meno male ci sono gli aspetti costituzionali da chiarire. 
Ora, a parte il fatto che il cosiddetto Daspo avrà funzionato per gli stadi ma non certo per i pub, c'è da dire che, a tale proposito, da un punto di vista dell'ordine pubblico, sono socialmente meno pericolosi i manifestanti “sociali” (che, seppur muniti di caschi e spranghe, affrontano reparti specializzati anti sommossa delle forze dell'ordine), rispetto a gruppi di tifosi neofascisti che compiono premeditate e vigliacche azioni squadriste ai danni di persone impreparate e senza difesa (trovandosi poi di fronte soltanto tre poliziotti raccattati alla bell'e meglio dopo che qualche buonanima ha telefonato in centrale).

Ma d'altronde questo è normale: lo Stato italiano, come lo stesso capo della polizia (Manganelli) in qualche trasmissione ha ammesso, teme più le aggressioni di sinistra a sfondo “sociale” che le aggressioni di destra a sfondo “razzista”. Non c'è bisogno di spiegare perché.

M'era rimasto un Briatore a traverso

Non so perché esattamente, forse perché è stata l'unica mezza puntata di Santoro vista quest'anno in diretta streaming su La 7, ma ancor mi torna in mente l'ospite Briatore, il suo parlare da “imprenditore”, il suo essere un “datore di lavoro”, la sua idea che, in Italia e nel mondo, bisogna che gli umani ringrazino quelli come lui che “creano posti di lavoro”. E mi ricordo il silenzio che c'era quando lo andava dicendo, che lui è un imprenditore che crea posti di lavoro, silenzio, sì, anche da parte di un sindacalista combattente come Landini; nessuno che osasse fiatare, dire: eppure c'è qualcosa che non torna in questo cazzo di discorso. 
Per capire che c'è qualcosa che non torna in questo cazzo di discorso dell'imprenditore creatore di posti lavoro*, basta poco, basta prendere Marx, provare a leggerlo (per molti a rileggerlo).

«Per le funzioni differenti che essi assolvono durante Io stesso processo di produzione nella formazione di valore, quindi anche nella produzione di plusvalore, i mezzi di produzione e la forza-lavoro, in quanto sono forme di esistenza del valore-capitale anticipato, si distinguono in capitale costante e capitale variabile. Come parti costitutive differenti del capitale produttivo, si distinguono inoltre per il fatto che i primi, in possesso del capitalista, restano suo capitale anche al di fuori del processo di produzione, mentre soltanto all’interno di quest’ultimo la forza-lavoro diviene forma di esistenza di un capitale individuale. Se la forza-lavoro è merce solo nelle mani del suo venditore, l’operaio salariato, essa diventa viceversa capitale solo nelle mani del suo compratore, al quale tocca il suo uso temporaneo. Gli stessi mezzi di produzione diventano figure oggettive del capitale produttivo, ossia capitale produttivo, soltanto dall’istante in cui la forza-lavoro, in quanto forma personale di esistenza di esso, è diventata ad essi incorporabile. Come la forza-lavoro umana per sua natura non è capitale, così non lo sono i mezzi di produzione. Essi ricevono questo specifico carattere sociale solo in condizioni determinate, storicamente sviluppate, così come soltanto in analoghe condizioni ai metalli nobili viene impresso il carattere del denaro, o, addirittura, al denaro quello del capitale monetario.
Esercitando la sua funzione, il capitale produttivo consuma le parti costitutive sue proprie per convertirle in una massa di prodotti di valore superiore. Poiché la forza-lavoro opera soltanto come uno dei suoi organi, anche l’eccedenza del valore - prodotto, generata mediante il suo pluslavoro oltre il valore dei suoi elementi di formazione, è il frutto del capitale. Il pluslavoro della forza-lavoro è il lavoro gratuito del capitale, e costituisce perciò per il capitalista un plusvalore, un valore che non gli costa alcun equivalente.
Il prodotto è perciò non soltanto merce, ma merce fecondata di plusvalore
Karl Marx, Il Capitale, Libro secondo 

Il dramma è che questo trucchetto del sistema di produzione capitalistico non viene più messo in discussione, non nei dibattiti televisivi, figuriamoci nei parlamenti delle varie democrazie occidentali (peraltro non viene messo in discussione neanche in Cina, patria del comunismo nazionalista - contraddizione in termini).
Insomma, la magia, la bravura, il genio del datore di lavoro capitalista consiste nello sfruttamento del lavoro e nessuno, cazzo nessuno quella sera ha alzato il ditino per ricordarglielo a quel gentleman di origine piemontese.
Questo torpore mentale è stupefacente.
Uno dei principali motivi del successo del capitalismo consiste proprio nell'essere riuscito a introiettare nella mente del popolo, l'idea che l'imprenditore di successo, il datore di lavoro sia un benefattore dell'umanità.
Come il potere dei re, un tempo (ma da qualche parte anche oggi), discendeva dal cielo e, per questo, trovava una legittimazione popolare, così oggi il potere del capitalista trova fondamento nell'idea invalsa che egli sia un creatore di posti di lavoro. 
Non è così. Il capitalista non crea lavoro: lo compra. E, di solito, chi compra il lavoro altrui, compra una gran parte dell'altrui vita. Di più: nessun capitalista corrisponde l'intero dovuto alla forza di lavoro, pena il suo non essere capitalista. 
E tutto questo accade all'interno di sistemi perfettamente democratici, in cui il popolo ha, ogni tot anni, il diritto di scegliere i propri rappresentanti.


*Sia chiaro: il datore di lavoro capitalista che non lavora perché sfrutta il lavoro altrui, non il piccolo imprenditore o artigiano che sta sul pezzo e che lavora pure lui da mane a sera.

Ho le palle sgonfie

Oggi, dopo tanto tempo, ho incontrato casualmente un'amica.
Con quest'amica parliamo di tutto, ma soprattutto: pochi convenevoli, andiamo dritti al punto di quello che ci preme dire e sapere.
Difficile nascondersi tra noi.
Così ci riveliamo e ci diciamo come stiamo realmente, quali cose veramente abbiamo vissuto con consapevolezza e non presi, come spesso accade, dall'inerzia.
Sempre di fretta, purtroppo, presi dagli impegni quotidiani, sappiamo benissimo che la promessa di un caffè preso con calma non avrà facile luogo.
Comunque è sempre un piacere vederci, perché la mia amica, tutte le volte, mi sorprende, anche con un'apparente sciocchezza, tipo questa: dato che ci scriviamo poco, se non rare mail e sporadici sms, ella mi ha chiesto: «Scrivi quali sono i tuoi veri desideri, quelli che riguardano te e non il mondo, perlomeno quelli che sai riconoscere come tali». 
Io le ho domandato: «Quanti devono essere? Dieci come i comandamenti o sette come i peccati?».
E lei: «Boh, quanti ne vuoi, basta che li esprimi».

E così sono qui adesso, a cercare di raccoglierli, selezionarli, eventualmente elencarli  (non ora).
Un'operazione della mente complicata, anche perché il desiderio ha molto a che vedere con l'essere. Mi torna in mente, come sempre, la lezione girardiana che fa, più o meno, così (cito a braccio): Una volta soddisfatti tutti i bisogni primari, l'essere umano desidera ancora, ma non sa esattamente che cosa. È l'essere che desidera, l'essere di cui si sente privo e di cui gli altri sembrano forniti. Egli soffre, (ripeto: una volta soddisfatti i bisogni primari) di una sorta di vuoto ontologico. Così l'essere umano si rivolge intorno a sé e inizia a guardare cosa gli altri desiderano; perché è attraverso i desideri che gli altri  manifestano (più o meno direttamente) che essi indicano dove si trova l'essere. Il problema sorge quando i desideri convergenti entrano in conflitto scatenando, necessariamente, odî e rivalità. (vedasi La violenza e il sacro, cap. VI).

Perché ho detto questo?
Perché cercavo di depurare ciò che desidero veramente dal desiderio mimetico.
Potrò mai arrivare a disgiungere in me i due tipi di desiderio? In buona sostanza: sono un animale capace di desiderio autentico e non mediato da un qualsiasi modello?
Saper individuare i propri desideri (autentici o mediati) non è uno scherzo.
Scoprirli per cercare di soddisfarli o tenerli al guinzaglio è una delle vie per una sorta d'interiore tranquillità esistenziale.

Io vivo un periodo tranquillo. Ho - come mi diceva un mio amico prete quando andavo a messa - le palle sgonfie.*

*Non perché me le toccasse, eh!

P.S.
La lista cercherò di comporla ma, credo, sarà destinata a una comunicazione privata.

mercoledì 21 novembre 2012

Te lo giuro, vai su internet

È da stamani che volevo segnalare come la tv, da tempo, non offra simili esempi di sublime comicità e autentica riflessione (l'ultimo è stata l'unica puntata di Aniene 2 di Corrado Guzzanti su Sky); ma tramite smartphono, con l'applicazione Blogger mobile, non ho capito bene come copia incollare il link.
Va be', cose tecniche, non perdiamoci in quisquilie. Dicevo di comicità e riflessione, in una parola di satira allo stato puro.
Ecco qua gli autori (in ordine alfabetico): Makkox e Malvino, straordinari.

Sono un anthropos stravolto

I cattolici italiani tengono molto al che, in Francia, la bozza di legge, che prevede il diritto di sposarsi anche per gli omosessuali, venga accantonata. Ci tengono molto perché, se diventasse legge dello Stato, a quel punto, dopo la Spagna, un altro paese a maggioranza “cattolica” avrebbe, nella propria legislazione statale laica, una legge che cozza di  brutto contro i principi religiosi della Chiesa.
Spinto da questa motivazione, Avvenire intervista figure di spicco del panorama culturale francese (e non solo) per trovare una sponda “laica” e “ragionevole” che dia credito intellettuale alle ragioni del no al matrimonio tra gay. Per esempio, oggi è possibile leggere questa intervista al filosofo e teologo Xavier Lacroix «membro del Comitato consultivo francese d’etica e studioso di fama internazionale».
Tuttavia, nonostante il suo prestigio, non riesco a trovare, nelle sue risposte a domande capziose, alcuna motivazione intellettuale convincente riguardo alla questione.
Addirittura, a volte, è il mio limite da pseudo intellettuale di provincia, non riesco proprio a capire cosa voglia dire:

C’è chi sottolinea il rischio di uno stravolgimento antropologico più che morale. Che ne pensa?
«La misura riguarda apparentemente un numero molto ristretto di persone. Una minoranza di persone omosessuali chiedono questa riforma e dunque essa riguarda una minoranza nella minoranza. Nei Paesi che hanno istituzionalizzato le nozze omosessuali, l’1,5% dei matrimoni riguardano persone dello stesso sesso. Ma gli argomenti avanzati toccano tutti, poiché si sente dire sempre più spesso che la famiglia non poggia più sulla “biologia”, cioè sulla nascita, ma che poggerebbe invece sulla volontà e su un quadro giuridico. Penso che se la famiglia non poggiasse più sulla nascita, quest’ultima non avrebbe più accesso alla dimensione simbolica, mancando la relazione fra nascita e legame filiale. È questa relazione fra nascita e legame filiale che mi sembra la principale posta in gioco antropologica».

Scrive l'intervistatore: «C'è chi sottolinea» - senza dire “chi” sottolinea - «il rischio di uno stravolgimento antropologico più che morale» - e dovrebbe avere il coraggio di andare fino in fondo e dire quale tipo di stravolgimento occorrerebbe all'antropos qualora gli omosessuali avessero il diritto di sposarsi.
Ma peggio risponde il Lacroix, il quale, pur riconoscendo che in fondo si sposerebbe solo una minoranza di coppie omosessuali, impanca un discorso che questo sì stravolge la mente. Ciò che fa più specie è vedere come, a fronte di un onesto riconoscimento della questione («Una minoranza di persone omosessuali chiedono questa riforma e dunque essa riguarda una minoranza nella minoranza»), egli pensi che «se la famiglia non poggiasse più sulla nascita, quest'ultima [la nascita? ho perso il soggetto] non avrebbe più accesso alla dimensione simbolica, mancando la relazione fra nascita e legame filiale». Come a dire (se ho capito, chiaro): se il nascituro nasce e cresce e si sviluppa all'interno di una coppia gay, venendogli a mancare il legame tra il suo essere nato e il come sia nato (inseminazione o adozione), questo sarebbe una posta in gioco da non osare permettersi di giocare, pena uno stravolgimento antropologico. Ah sì?
Più avanti si legge:

Alcuni oppositori evocano la Convenzione internazionale sui diritti del bambino. A ragione?

«Penso anch’io che dovremmo far riferimento molto di più a questa Convenzione del 1989 e soprattutto al suo articolo 7, che stipula che “il bambino ha il diritto, nella misura del possibile, di conoscere i suoi genitori e di essere educato da loro”. Tenendo in maggior considerazione i diritti del bambino interpretati in questo senso, si ragionerebbe in modo diverso. Ma il problema è che oggi il bambino è soprattutto percepito come un oggetto di diritto e dunque le coppie omosessuali affermano che hanno diritto al bambino come si potrebbe aver bisogno di un bene di consumo. In una trasmissione, un avvocato evocava persino un “mercato dei bambini”. Trovo ciò molto preoccupante".


Il diritto di conoscere i suoi genitori non vieta ai genitori di essere dello stesso sesso. Stop. E poi è sicuro il filosofo-teologo che il bambino sia percepito come un oggetto di diritto, anziché un soggetto  di diritto? E poi anche lui, così, per non farci mancare la puntura anonima: «In una trasmissione (quale?), un avvocato (chi?) evocava persino un mercato di bambini (dove?). Trovi ciò preoccupante? E basta? Chiama la polizia citrullo!
Infine la perla, con domanda e risposta conclusive

Alcuni cristiani esprimono il proprio timore di essere bollati come “omofobi”. Come coniugare le proprie convinzioni e il dovere cristiano di accogliere l’altro?

«Da una parte, affermando semplicemente che distinguiamo la questione dell’omosessualità da quella del matrimonio. Non giudichiamo l’orientamento omosessuale quando affermiamo che il matrimonio è un’istituzione che non dipende solo dalla volontà. In secondo luogo, mettendo molto più in evidenza tutto ciò che si fa all’interno della Chiesa per accogliere le persone omosessuali».


Non siete omofobi: siete religiosi e volete imporre i vostri dogmi come legge, questa è la verità. E se poi, o filosofo-teologo, il matrimonio non dipende solo dalla volontà, mi saprebbe spiegare da cosa altro dipende? Da qualche divinità? E se sì, quale? Me lo dice per favore? Sa, avrei bisogno di parlarci.

martedì 20 novembre 2012

Nuovi video erotici


Non c'è niente da fare: da un punto di vista erotico certi video sono molto più scandalosi di altri.

A scanso di equivoci io preferisco la panna.

lunedì 19 novembre 2012

«Te lo giuro, guarda la Littizzetto»


Ieri sera da Fazio pare sia andato in onda uno dei siparietti comici meno divertenti e più sconsolanti dal dopoguerra a oggi.

N.B.
Il titolo si riferisce a un passaggio (12'34") in cui la Littizzetto dice a Fazio: «Te lo giuro, vai su internet».

All'asta dei bond israelo-palestinesi

Sul conflitto e sulla (quasi imminente) guerra tra israeliani e palestinesi (di Gaza) non so quasi niente, ho perso la lettura di quasi tutti gli editoriali e cronache, vedo solo le bombe, il fumo, le macerie, con degli umani al centro.
Più che cercare le ragioni degli uni e i torti degli altri, la prima cosa che cercherei è sapere come, entrambe le parti, finanziano la spesa “pubblica” dei propri armamenti. Ok, Gaza, embargo, fame, economia soffocata, ma chi glieli paga ai miliziani i razzetti che fanno piovere su Israele? Quanto costa sul mercato nero un razzetto? E i razzoni telecomandati israeliani? Già, Israele: se non avesse bisogno del suo potente esercito (uno dei più potenti al mondo, forse) per proteggere la patria, se, cioè, invece di spendere chissà quanto per tutti quegli armamenti e le truppe, li spendesse per...  boh, per qualsiasi altra cosa, che Paese del Bengodi sarebbe? E poi: com'è che i Mercati preferiscono penalizzare gli stati del Mediterraneo occidentale, anziché quelli del Mediterraneo orientale? Allo spread piace l'odore di bruciato?

E infine Dio, il Grande Assente, o meglio, i due Dio: Yahvè vs Allah
Quanta parte ha ancora la religione in questo conflitto? 
Tanta. 
Tanta quanta? 
Troppa. 
E se invece avesse meno importanza? Vale a dire: se ci fosse meno fede
Sarebbe meglio: ci sarebbero meno infedeli.

Primarie al forno

Stamani al forno, per comprare pane e un pezzetto di schiacciata. La commessa serve una cliente che acquista varie cose. Io attacco due chiacchere con titolare e operai (fornaio e pasticcere).

- Che ci siete stati a veder Matteino sabato sera in piazza?
- Ci importa una sega di Renzi a noi.
- Allora, non ci andrete a votare alle primarie domenica prossima?
- No, noi non si vota nessuno.
- Neanche alle politiche?
- Nemmeno.
- Non voterete neppure Grillo
- No, non andremo a votare proprio.
- Benissimo. Vi asterrete. Una mossa politica intelligente, forse l'unico modo per dimostrare il discredito del prossimo Parlamento, del prossimo Governo.
- Non hai capito -, mi fa uno dei tre, quello che fa il pane, colui che pare avere uno sguardo più acuto.
- Cosa non ho capito?
- Cioè, sì, io non andrò a votare per i motivi che tu hai detto, ma loro - e si rivolge al titolare e al pasticcere - loro non ci vanno perché sono neri, sono fascisti.
- Via, non ci credo.
E loro:
- Sì, Massaro, siamo fascisti.
- Avrei preferito mi diceste che eravate imbecilli.
- Va' via, va' via che ti si legna e poi ti si mette in forno, - m'infamano, ridendo.
- Sì vo via, vo via - e intanto la commessa mi chiede cosa voglio. 
E io:
- Dammi mezzo pane cotto in bianco oggi, sennò mi va di traverso.

Potrebbe essere l'inizio di un racconto



E va bene, ogni promessa è un debito, ma penso di aver accumulato abbastanza credito da rischiare di sciuparlo a iosa senza per questo andare in rosso. E poi, in verità, non ti avevo mai promesso che io non avrei scritto nulla, pubblicamente, della nostra storia.
Mi sembrava naturale non farlo quando questa era una storia che riguardava soltanto me e te, una cosa che ci aveva coinvolto e tenuto insieme per circa un anno intero, con qualche frammento di silenzio e separatezza.
Mai, però, avrei immaginato un buco nero simile, un simile salto nel vuoto nella nostra relazione. E nonostante la voragine sia ancora qui davanti a ricordarmi che tu non ci sei più e più non tornerai, per un anno intero io ho rispettato il tuo silenzio illudendomi che esso fosse solo il sipario tra un atto e l'altro, e che tu, prima o poi, in questo anno trascorso, saresti tornata sulla scena.
Questa storia più non ci appartiene, dunque, neanche a me – e se tento adesso di raccontarla è solo per far uscire i resti di una falsa rappresentazione.
Un anno intero fatto di pura assenza di te, di vuoto assoluto tra me e te. Ho atteso tu tornassi anche solo per un formale saluto di addio tra due persone diventate ai loro occhi sconosciute. Ho detto agli occhi, non al cuore che ancora pretende la risposta a una domanda: tu sei mai esistita o eri il frutto di una mia patologica illusione?

domenica 18 novembre 2012

Quando il saggio di profitto sarà stremato a terra

Quanto segue voleva essere un commento a un post allegro di Olympe de Gouges, una blogger che, quando ci si mette (e ci si mette quasi sempre), apre la mente a prospettive nuove e ci proietta fuori dal mero battibecco della politica locale.
Volevo, insomma, scrivergli un commento a partire da questa sua marxiana affermazione:
«il modo di produzione capitalistico si presenta essenzialmente come processo di produzione del plusvalore».
Bene, una volta che, per ragioni intrinseche al sistema di produzione capitalistico, tale processo di produzione del plusvalore si arresterà, ovvero (mi si passi tale similitudine) quando la mucca sfruttata non produrrà più latte* e l'umanità sarà divisa tra chi ha il magazzino pieno (o superpieno) di latte e chi invece non avrà un decilitro da bere - e questo sembra il destino inesorabile che colpisce le nazioni capitaliste più mature -, la storia si ripeterà sbattendo in faccia al popolo le illusioni democratiche con un bel revival neofascista, guerra compresa (grazie al fatto che, coloro che hanno i magazzini pieni saranno in grado di pagare superefficienti guardie del corpo), oppure lo scontro (perché scontro sarà), porrà le basi di un radicale mutamento politico e sociale?

*Una similitudine non usata a caso, in quanto si riferisce a quest'ottimo post di Fabristol, il quale approfondisce una questione (la questione latte vaccino nella società occidentale) che una volta era il mio cavallo di battaglia nell'autoconvinzione macrobiotica (anche se io la buttavo là in modo meno documentato).

D'Orrico è il più piccolo recensore scrivente

Leggere le recensioni (farcite di citazioni) di D'Orrico è un'esperienza migliore, da un punto di vista del torcimento di budella, che ascoltar i discorsi di Briatore (in televisione l'altra sera da Santoro).
Io come cazzo fanno quelli del Corriere a tenere uno come D'Orrico non lo so, proprio non lo so, tanto quanto non so come Santoro abbia fatto a dare così tanta autorevolezza all'imprenditore Briatore. Misteri. Forse c'è una precisa strategia per tenere sottoterra lo stato intellettuale della nazione. Boh.
Certo che se uno pensa a quante firme autorevoli, del panorama culturale italiano del Novecento, abbiano scritto per il Corriere, uno si domanda per quali vie santissime uno come D'Orrico continui a sproloquiar citando passi altrui (che poi, sia detto per inciso, fanno veramente pena), senza alcun costrutto, su tale quotidiano. Uno si domanda e poi, facilmente, trova, grazie ad Aldo Busi la risposta: «Milano, avendo il Corriere della sera, non ha un quotidiano».

Le dimanche matin à Combray


Novant'anni fa moriva il figlio di questo bambino.
Gli rendiamo omaggio, deferenti.
«Et tout d'un coup le souvenir m'est apparu. Ce goût celui du petit morceau de madeleine que le dimanche matin à Combray (parce que ce jour-là je ne sortais pas avant l'heure de la messe), quand j'allais lui dire bonjour dans sa chambre, ma tante Léonie m'offrait après l'avoir trempé dans son infusion de thé ou de tilleul. La vue de la petite madeleine ne m'avait rien rappelé avant que je n'y eusse goûté; peut-être parce que, en ayant souvent aperçu depuis, sans en manger, sur les tablettes des pâtissiers, leur image avait quitté ces jours de Combray pour se lier à d'autres plus récents; peut-être parce que de ces souvenirs abandonnés si longtemps hors de la mémoire, rien ne survivait, tout s'était désagrégé; les formes, — et celle aussi du petit coquillage de pâtisserie, si grassement sensuel, sous son plissage sévère et dévot — s'étaient abolies, ou, ensommeillées, avaient perdu la force d'expansion qui leur eût permis de rejoindre la conscience. Mais, quand d'un passé ancien rien ne subsiste, après la mort des êtres, après la destruction des choses, seules, plus frêles mais plus vivaces, plus immatérielles, plus persistantes, plus fidèles, l'odeur et la saveur restent encore longtemps, comme des âmes, à se rappeler, à attendre, à espérer, sur la ruine de tout le reste, à porter sans fléchir, sur leur gouttelette presque impalpable, l'édifice immense du souvenir.» 

sabato 17 novembre 2012

Italia schifa

Ci sono vari modi per rileggere il passato, più o meno recente, della storia politica italiana, e quello di Giuliano Ferrara da una parte, e di Luca Cordero di Montezemolo dall'altra, è, senz'altro, uno dei più schifosi.
Riguardo al primo, che seguo oramai per rimbalzo, leggere questa sua reprimenda su Grillo è talmente irritante che mi verrebbe voglia subito di andare a votarlo Grillo, perché sarebbe paragonabile a sputargli in un occhio, a Ferrara. Finché restava, Grillo, un fenomeno marginale che toglieva consenso e voti al centrosinistra, manco se lo cagava, lo relegava (lui e gli altri scherani berlusconiani) al rango di fenomeno episodico. E ora che l'onda di Grillo avanza e prenderà, probabilmente, più voti del suo porco amore, eccolo insieme a tante altre facceammerda, a tentare di lordarne la figura.
L'accusa, oggi, è verso quei giornalisti che, a suo dire, si genuflettono preventivamente a Grillo. Egli scrive:


Come è andata si sa? Cosa si sa? Io non tengo articoli e commenti suoi di repertorio, ma è sufficiente ricordare che Giuliano Ferrara è stato ministro di un governo che aveva esponenti leghisti nel suo consiglio (il partito del cappio al collo in parlamento e fieramente avversi - a parole - a Craxi); e poi posso sbagliarmi (e nel caso fare ammenda) ma quando Berlusconi fece l'«editto bulgaro» contro Santoro, Biagi e Luttazzi, veramente Ferrara ritenne «giusta e sacrosanta» la «levata di scudi», l'«incontenibile indignazione»? Il problema urgente per Ferrara è quanto segue: se quelli del M5S saranno numerosi in parlamento e decisivi nelle varie commissioni, il timore è che gli tolgano inesorabilmente quei bei soldini che gli fanno tanto comodo per tenere in piedi un giornale che, senza finanziamenti pubblici, sarebbe bell'e chiuso.

Infine due parole per colui che oggi, dal palco della sua Italia Futura, dichiara:
«Mai più firmeremo deleghe in bianco alla classe politica, per questo scendiamo in campo - ha tuonato Luca Cordero di Montezemolo intervenendo all'assemblea "Verso la terza Repubblica" - In questi venti anni abbiamo provato vergogna per essere italiani e nessuno di noi vuole mai più provare questo sentimento. Mai più accetteremo di vedere l'Italia derisa e disonorata, mai più proveremo l'umiliazione di essere commissariati o di essere l'anello debole in Europa e nel mondo».
Sì, talvolta qualche piccola, tenue critica, un buffetto, gliel'ha fatto a Silvio Berlusconi; tuttavia, mai nell'esercizio stesso del potere berlusconiano, Montezemolo ha detto, con voce forte e chiara, una minima parte di quello che oggi, con sicumera, dice.
Dice che non firmerà più deleghe in bianco, per questo oggi ri- «candida Monti» a futuro presidente del consiglio, un professore che sa già come operare per salvaguardare gli interessi che contano.
Dice altresì che le prossime elezioni saranno quelle più importanti dal '48; ah sì? Forse perché c'è il rischio che prenda troppi voti qualcuno che rompa le palle al sistema? 
Dice persino che basta stare in tribuna: con Monti, che fa meno ridere e desta meno preoccupazioni, non importa neanche assistere allo spettacolo politico - ci sarà lui a fare da garante, a giocare sporco, a caricarsi di enormi responsabilità per scaricare sulla popolazione che non conta il peso della crisi.
...
Ma cosa hanno in corpo questa gente? A cosa pensano realmente dopo aver soddisfatto il loro stomaco e, quindi, il loro intestino?

Fånge


In Italia persiste l'annoso dramma del sovraffollamento delle carceri: perché non domandare a Ikea di alloggiare alcuni detenuti, magari quelli modello, nei salotti, nelle camerette e in altre sale esposte dei loro capienti centri vendita di tutta la penisola?

N.B.
Secondo il traduttore automatico di Google, “fånge” equivale a detenuto, prigioniero.

venerdì 16 novembre 2012

La poesia è tornata di moda


Ora che la poesia è tornata di moda
per me, che poeta sono sempre stato,
che ho sempre avuto del poeta
le physique du rôle, non
può che essere una buona notizia
in quanto – lo si nota anche
da questi incerti versi messi a caso
tenuti insieme non certo da una metrica,
forse solo da una specie di
balbettio interiore – ho la penna
sempre pronta per buttarmi nell'arena –
molto più che la fava, la quale
una volta era più pronta, più sensibile,
bastava un niente per emozionarla,
un refolo di vento che smuoveva
i capelli di lei che volentieri
me la prendeva in mano con costanza
o anche il culo di certe signore bene
in carne a cui cadeva uno spicciolo
dal portamonete alla cassa di una coop
dov'io facevo il cassiere con la laurea
e il capitalista di paese si meravigliava
che lavorassi alla cassa, scuoteva la testa
con un sorrisetto di disprezzo e io gli dissi
“porcamadonna invece che al tuo cazzo
di nipote dalli a me cinque miliardi”
e lui non rispose, lo sventurato,
e ora invece ha una certa resistenza,
(parlo sempre della fava), ho fatto il tantra
non mi ricordo più con chi,
certo nei sogni e bisogni in cui il mio
seme poetico fuoriusciva che era
un piacere – e nell'arena io di me
donavo parole, pause, figure della
mente insomma, solitamente
così come l'urgenza espressiva
impone. So che la poesia annoia
tipo questa, anche se condita di turpi-
loquio. Ma la poesia è di moda
perché centra il bersaglio dell'essere,
lo disvela, riesce, tra le sue sillabe,
a dire questo è quello che ho
sempre desiderato: sesso tenero
e avvolgente – e ora che l'ho detto
scomunicatemi, sparatemi un Bengala
notturno, «come in una festa».
La mia è questa, non dissimile
a mettere i polpastrelli sul bianco
latte della tua pelle di novembre,
spogliata di sole ma non per questo
meno calda.