lunedì 21 gennaio 2013

Sono troppo timido



Baltimore

Two were alive. One came round the corner
clipclopping. Three were the saddest snow ever seen in Prairie City


Take this. Metamorphosis. And this. And this. And this.
If I'd needed your company,
I'd have curled up long before in the clock of weeds,
with only a skywriter to read by.
I'd have laved the preface
to the World's Collected Anthologies,
licked in the henbane.flavored lozenge
and more. I'm presuming,
I know. And there are wide floodplains spotted with children,
investing everything in everything.
And I'm too shy to throw away.


Due erano vivi. Uno svoltò l'angolo
zoccolando. Tre erano la neve più triste mai vista a Prairie City.


Prenditi questo, metamorfosi. E questo. E questo. E quest'altro.
Se avessi avuto bisogno della tua compagnia,
mi sarei accoccolato ben prima nell'orologio delle erbe,
con solo un aeroplano che scrive in cielo da leggere.
Avrei deterso la prefazione
e Tutte le Antologie del Mondo,
leccato la pasticca al giusquiamo
e altro ancora. Presumo,
so. E ci sono sconfinate pianure alluvionali disseminate di bambini,
che investono tutto in tutto.
E io sono troppo timido da buttare via.



John Ashbery, Un mondo che non può essere migliore, Poesie scelte 1956-2007, Luca Sossella Editore, Roma 2008, traduzione di Damiano Abeni con Moira Egan

A Baltimora non ci sono mai stato, ma sarebbe il caso, forse. Quanto sarei contento, adesso, se davvero ci fossi nella città del Maryland, a non saper spiccare bene la lingua del luogo? Mi sentirei allo stesso modo di Pietro, il santo Rinnegatore, e quindi starei zitto evitando il più possibile di scoprirmi, finché una puttana mi costringe a uno shut up detto con una pronuncia che chiaramente mi scopre e mi pone al centro di un cerchio di persecuzione, dove il gioco esige che la vittima designata sia straniera.
«Sta' calmo, non ti muovere, tu non appartieni alla classe degli eletti, sei condannato a stare dentro i margini di una miseria confortevole. Non puoi ribellarti, non puoi neanche fare alcuna chiamata di correo, perché sei dentro la prigione del merito, dell'impegno, dell'inserimento, del dire grazie alla persona giusta, alla persona giusta inchinarsi, abbassarsi i pantaloni, porgere le terga nel caso, qualunque caso. Quindi stai buono, non ti agitare, non cercare intorno a te delusioni simili, animi finto ribelli che girano l'occhio in cerca di un'intesa. Non c'è più alcuna musica che in metta in moto la rivoluzione. Stai fermo, blocca i tuoi desideri o fingi di esaudirli dentro i confini determinati della tua impotenza. Vieni a votare ed eleggi chi, meglio di te, ha saputo accondiscendere alle regole, alla prassi, alle determinazioni di una vita che non si supera e che resta tutta contratta nella finzione. Non immaginare mai niente di possibile oltre quello che ti è dato. Saremo buoni con i buoni, meno con chi non vuole esserlo. Trovati un sogno di secondo piano e cerca di realizzarlo facendo finta che sia tutta lì dentro la tua voglia di essere. Fingi di credere a questa nuova fede. E sta' un po' fermo con la mente, lasciati andare, la partita è questa e anche se non vinci, alla fine, ci sarà un premio di consolazione

3 commenti:

Massimo ha detto...

Molto particolare questa poesia, mi piace. Confesso di non conoscere John Ashbery e noto con piacere che spesso tiri fuori cose degne di nota, che io proprio non conosco. Ma io so' ignorante, specie di poesia, per cui non faccio testo.
Sulla parte in corsivo, che dire? VIvo le stesse sensazioni con una gran voglia di fare esplodere tutto. Non sono molto capace di fingere e non ho tanta voglia di accontentarmi. Però mai cpme adesso, ogni passo nuovo sembra impossibile. Ci hanno fregati ben bene, ma siamo ancora vivi, porca p*****a! La ribellione può anche essere semplicemente, dentro di sé, non acconsentire. Verrà il momento che si creerà uno spazio di manovra. Almeno, lo spero. E' questa cosa che mi fa andare aventi.

Massimo ha detto...

Aventi, come Lino Benfi!

Luca Massaro ha detto...

Grazie del commento, Massimo.
Lapsus sublime, poi.
Fors'è che così pensiamo perché non siamo "abbienti"?