mercoledì 20 marzo 2013

Da Cipro alla Cina: un'analisi prona

Tra le tante vicende che riguardano l'attualità economica globale, Cipro è in testa nelle attenzioni mediatiche europee (e non), perché in tale piccola nazione dell'Eurozona si sono cercate (e si cercano) inedite soluzioni alla risoluzione del debito sovrano provocato da politiche che, fino a pochi lustri or sono, tanto erano care al sistema capitalistico. Infatti, il grasso che colava dallo sfruttamento del lavoro o delle risorse minerarie di un territorio, veniva volentieri raccolto per acquistare titoli di stato di vari paesi, soprattutto di quegli stati che garantiscono segreto bancario e operazioni finanziarie dal profilo losco. Poi, diciamo improvvisamente ma non è così, tali stati debitori si sono trovati così tanto debitori che i mercati (i malevoli mercati) hanno cominciato a spargere voce agli investitori che esiste il rischio che essi non rivedano i loro quattrini, quindi attenzione a dargliene di ulteriori; e se gli investitori smettono di comprare il debito, gli Stati non sanno: primo, come fare a funzionare, le tasse non bastano mica; secondo, non sanno come rendere i soldi a coloro che domandano di rivolerli indietro.
È in queste situazioni di crisi, oramai prevedibili con grande anticipo, che scattano i piani di salvataggio che i governi si apprestano alla bell'e meglio di varare: essi iniziano col tagliare la spesa pubblica (pensioni, sanità), poi diminuiscono i diritti dei lavoratori e solo dopo, forse, possono sperare che la potenza di fuoco illimitata della banca centrale europea (BCE) inizi a sparare i colpi di difesa promessi.

E vabbe'. Per capire meglio la situazione-Cipro, ci sono esperti più validi e competenti (vi segnalo Mario Seminerio). A me è servito per introdurre questa notizia che riporto per intero:


Pechino, 20 mar. – La Suntech ha dichiarato bancarotta. Il gruppo cinese un tempo numero uno al mondo per la produzione di pannelli solari ha dichiarato oggi l’insolvenza, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa ufficiale cinese Xinhua. Nella giornata di lunedì scorso il gruppo di Wuxi, nella provincia costiera del Jiangsu, aveva dichiarato che stava prevedendo una riorganizzazione societaria. Nella serata di oggi, è arrivato invece l’annuncio della bancarotta. “Il governo è chiaramente intervenuto – ha dichiarato alla France Press Liu Weiping, partner di Sapphire Capital, società di consulenza attiva nel settore dell’energia solare– e vuole riorganizzare il gruppo e mantenere la produzione”.

La Suntech, assieme alle altre aziende cinesi attive nel settore del fotovoltaico sono state colpite dai dazi imposti dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea nei mesi scorsi con l’accusa ai produttori cinesi di avere usufruito di sussidi impropri da parte del governo di Pechino. Sulla Suntech gravava poi il debito nei confronti degli obbligazionisti di 541 milioni di dollari, scaduto il 15 marzo scorso e rinnovato in extremis per altri due mesi, fino al 15 maggio. Nella giornata di giovedì scorso, il gruppo aveva dichiarato di “non avere in progetto” di ripagare gli obbligazionisti. La scorsa settimana sia l’amministrazione di Wuxi, sia il governo centrale cinese, secondo alcune indiscrezioni, avevano negato la possibilità di inserirsi nella vicenda per salvare la Suntech con un’iniezione di liquidità. Il gruppo era stato al centro negli scorsi anni di una controversa vicenda di falsi bond tedeschi, e a metà del 2012 aveva smesso di presentare i propri dati finanziari, dopo un anno in cui l’azienda aveva registrato continue perdite. 
Il gruppo ha venduto nel corso degli anni più di 25 milioni di pannelli solari in più di ottanta Paesi. Agli inzi del 2008 le azioni del gruppo, quotato a Wall Street hanno raggiunto un picco di 90 dollari, mentre nella giornata di ieri, il titolo ha chiuso a 0,59 dollari per azione. Il 14 marzo scorso, la Suntech aveva chiuso il suo unico stabilimento negli stati Uniti, a Goodyear, in Arizona, a causa degli alti costi di produzione sommati ai dazi di compensazione messi in atto nei mesi scorsi dagli Usa.


Ecco, a me colpisce molto che un'azienda cinese, già quotata a Wall Strett, arrivi a dichiarare bancarotta. Ma soprattutto: a me stupisce che la ragione per cui essa ha fallito è che gli Usa e la Ue hanno imposto dei dazi ad un particolare settore della produzione in cui una fabbrica cinese stava, di fatto, soppiantando le industrie americane ed europee produttrici di pannelli solari.

Per l'amor di San Romualdo dell'Eremo di Camaldoli, lungi da me far discorsi futuribili alla cazzodicasaleggio, ma queste sì che mi sembrano notizie rilevanti sulle quali ragionare e discutere per impostare una decente politica economica e industriale, non dico di un singolo Paese, ma di un'unione di paesi.

Segnalo, infine, che ieri il neo presidente cinese, Xi Jinping, si è incontrato col Segretario del Tesoro degli Stati Uniti, Jack Lew - quest'ultimo in visita ufficiale in Cina per una due giorni di fitti incontri di alto livello con ministri e dirigenti economici cinesi.

P.S.
Dimenticavo di notare che i cinesi, oltre a essere dei rompiballe, sono anche dei rompighiaccio.

4 commenti:

Olympe de Gouges ha detto...

avevo notato la notizia su Il Sole 24ore. ciò dimostra come la cina sia in realtà una tigre di carta. ciò non esclude che sia un concorrente diretto. da notare che i dazi sono stati posti a ragione degli aiuti di stato che quell'industria godeva. ma tutta l'economia cinese è sussidiata, direttamente o indirettamente. più che usa e europa sarebbe stato esatto dire: Usa e Germania. l'italia non ha alcun peso per poter mettere dazio ad alcunché.

Anonimo ha detto...

Ecco, non capisco l'argomento del post: quell'azienda, come molte altre, faceva un dumping spaventoso. Quando i Paesi venditori si sono stancati hanno chiuso le porte e la tigre di carta s'è bruciata. :\

Luca Massaro ha detto...

In modo goffamente eclettico, volevo solo far notare che quasi tutte le emergenze sono prevedibili e che più importante della crisi del debito mi sembra la crisi del lavoro. E dell'insensatezza di una politica monetaria comune senza una comune politica industriale.

Anonimo ha detto...

Ok, grazie (colpa mia, sono convalescente)