venerdì 31 maggio 2013

Tarda primavera

Bello alzarsi presto in questo mattino di tarda primavera che tarda a essere tale, otto gradi, la bruma e la voglia di assaltare la Duma di Roma. Mica tanta. Più voglia di mettersi un maglione.
Piuttosto: dicevo “bello” tanto per dire, giacché - contrariamente al tipo di tempo che amavo quando ero coglione - adesso il sole e il clima mite mediterraneo mi piace, I like, perché ho un migliore rapporto, più franco, con la tepidità e la calura che apre i pori della pelle e distende, altresì, la pelle delle palle. E invece si deve stare intirizziti come baccalà sotto sale. Oggi è venerdì e sarebbe bello mangiarlo alla livornese. O alla vicentina.

Ieri sera ho visto un pezzettino ino ino di Santoro, verso la fine, quando ha dato la parola a Sandro Ruotolo che era in collegamento non so da dove e faceva parlare una donna con la messaimpiega ho provato un enorme disagio per Ruotolo, non avevo mai sprecato due minuti di pensiero e di vergogna per Ruotolo e invece credo occorra farlo, soprattutto all'indomani della sua silenziosa trombatura da candidato nelle liste della Rivoluzione civile di Ingroia. Anni e anni da fedele inviato di Santoro senza rompersi le palle e avere un moto di orgoglio professionale per distaccarsi dal Servitore Pubblico.

Infine, ho avuto un incubo: ho sognato di colloquiare con Giuliano Ferrara. Lui era dietro il bancone di un bar, stava asciugando i bicchieri, io facevo lo scontrino alla cassa per prendere poi un caffè, quando con voce tonitruante ha detto: 
«Certo che Renzi ha proprio un fiuto da gran figlio di puttana: riesce sempre a conquistare la scena politica con la sua faccina da bravo ragazzo».
Mi avvicino al bancone e replico:
«Sarà. A me non piace come muove la lingua sull'interno delle labbra quando parla, affighettando troppo il fiorentino che, invece, è lingua potente quando graffia e gratta, quando -  dioimpestato - raspa la terra e sputa rabbia, quando taglia e non quando cuce».
Ferrara annuisce, dice qualcosa su Blair che non capisco e, mentre aspetto il caffè che un suo collega prepara, noto che il suo grembiule è tutto imbrattato.

giovedì 30 maggio 2013

Intensificando l'interiorità con la gioia

«Riassumendo: la masturbazione può essere compresa autonomamente e dall'interno del suo modello archetipico; non va condannata né come comportamento surrogatorio per carcerati e pastori, né come comportamento regressivo per gli adolescenti, né come ritorno periodico di fissazioni edipiche, né, infine, come coazione fisiologica priva di senso che va inibita mediante quelle corrispondenti proibizioni che sono i rapporti personali, la religione e la società. Nello stesso modo in cui la masturbazione ci connette con Pan come capro, ci connette anche con la sua altra metà, la partie supérieure della funzione istintuale: l'autocoscienza. In quanto è l'unica attività sessuale eseguita da soli, non possiamo giudicarla semplicemente in funzione del servizio che rende alla specie o alla società. Invece di fissarci sul suo ruolo inutile per la civiltà e la procreazione all'esterno, potremmo riflettere sulla sua utilità per la cultura e la creatività all'interno. Intensificando l'interiorità con la gioia – e col conflitto e la vergogna, e ravvivando la fantasia, la masturbazione, benché priva di scopo per la specie o la società, reca tuttavia piacere genitale, fantasia e colpa all'individuo come soggetto psichico. Essa sessualizza la fantasia, porta il corpo alla mente, intensifica l'esperienza della coscienza morale e conferma la possente realtà della psiche introvertita – non fu, infatti, inventata per il solitario pastore che suona il suo zufolo nei vuoti spazi dei nostri paesaggi interiori e che ricompare quando siamo abbandonati alla solitudine? Costellando Pan, la masturbazione riporta la natura e la sua complessità nell'opus contra naturam del ‘fare anima’.»

James Hilman, Saggio su Pan, (1972). Adelphi, Milano 1977, traduzione di Aldo Giuliani.

Era tanto che non mi masturbavo così volentieri come dopo aver letto questo brano. Era dai tempi in cui me l'ordinò il dottore, l'urologo, tempi in cui soffersi di una fastidiosa prostatite che mi provocò finanche emospermia. Dio, come rimasi impressionato vedere sangue proprio lì. Ma il dottore disse di non preoccuparmi, anzi, di dargliene secche, di aumentare i coiti o provvedere all'uopo nel caso in cui. Optai per la seconda soluzione per ragioni che ora sarebbe inopportuno rammentare qui. E iniziò un bel rapporto tra me e me, pressoché quotidiano. Portavo e porto volentieri il mio corpo alla mente. Vero, capitano anche giorni in cui non mi sopporto e allora cambio partner. Busso a delle porte che a volte si aprono a volte no. Generalmente, quando si aprono, nella soddisfacente celebrazione di un amplesso, succede un po' come quando si tradisce qualcuno sentendosi in colpa: non si vede l'ora di poter tornare, nel silenzio che autoassolve, tra le braccia del partner tradito – e così accade per me sovente, ma non è una cosa triste, no, è gioiosa, un ritrovarsi, un riconciliarsi con la propria parte misterica.
E pensare che ci fu un periodo della mia vita, da giovane, che pensavo che fosse peccato masturbarsi. Mi ricordo persino che chiedevo perdono a un'Entità superiore con la barba (!) per aver commesso atti impuri. Atti impuri? Ma veramente non mi sono mai toccato senza prima lavarmi le mani, così come mi piace nettarmi dipoi per non sentirmi appiccicoso.
Scherzi a parte, ho la presunzione di ritenere che colui che si sa masturbare, ossia chi prova piacere bastante nel fare l'amore con sé, difficilmente soffre di squilibri mentali, ha manie di sopraffazione, di violenza, di sopruso sessuale. Ma ripeto: la mia è una ipotesi dettata dalla sicumera che tutti godano masturbandosi quanto me. Certo, a volte, in alcuni momenti e situazioni, le proprie mani non riescono a donare la stessa gioia che si avrebbe con particolari mani altrui vicino. Mani e non solo mani. Genitali, ok, ma soprattutto presenza reale dell'immaginato “soggetto” del desiderio. E mi viene in mente una cosa che allego a latere alla presente.

Da giovane, quando ero innamorato di qualcuno (lascio volutamente l'impersonale maschile per non insistere troppo sulla mia vocazione eterosessuale), tendevo a masturbarmi meno, ma, quando lo facevo, cercavo disperatamente soggetti desiderabili diversi da quello che invece mi riempiva il cuore. Suppongo che questo fosse un residuo della mia educazione cattolica, almeno credo, a cui penso di avere rimediato. Forse perché ritenevo che masturbandomi pensandoci, il soggetto d'amore si deturpasse per causa mia. Che sciocco. Ci voleva, anni dopo, un'amica, di cui fui peraltro innamorato, a svegliarmi, ovvero a farmi considerare la cosa da un'altra prospettiva, in altri termini confessandomi che le piaceva toccarsi pensando a me. Io le dissi la stessa cosa e fu una gioia comunicarselo (e purtroppo non c'erano all'epoca né cellulari né skype). Ce lo scrivevamo (è il caso di dirlo) di pugno: come scorreva bene la stilografica sulle nostre profumate lettere d'amore.

mercoledì 29 maggio 2013

Doppio sogno

Qual è colui che suo dannaggio sogna
che sognando desidera sognare
sì che quel ch'è, come non fosse, agogna
(Inf. XXX, 136-138)

Avevo detto che volevo raccontare un sogno che avevo in parte trascritto di getto appena sveglio ieri mattina; ma poi mi sono detto - che senso ha raccontare un sogno così fuori contesto, senza nessuna prospettiva terapeutica, per estrarci chissà quali significati, in fondo i sogni non sono che parziali espressioni di desiderio e/o di angoscia, non mi sono mai lasciato condizionare da essi, né che mi avessero trasportato in dimensioni di vita da sogno, né che mi avessero precipitato in situazioni da incubo dal quale velocemente sortire con la veglia.
Non ha senso, dunque; ma proprio in virtù di tale insensatezza, indulgo nel consueto esercizio/vizio bloggeristico di pubblicare, perché sono un maniaco della rappresentazione.

Prima sequenza.
Una casa fatiscente situata in un palazzo del centro storico di un'imprecisata città. Scale del palazzo di pietra serena. L'enorme portone di legno coi battenti è aperto. Stanze piene di gente, come se fosse in corso una festa, un ricevimento. Dietro i tavoli imbanditi di cibo e bevande noto dei finestroni semiaperti che danno su una terrazza. Il servizio è a buffet. Mi servo di un analcolico all'arancia e, dato che non vedo alcun conoscente, esco in terrazza, per bere. Fuori piove ma non fa freddo. Osservo il viavai agitato di macchine e persone sotto la pioggia. Nel mentre compare un signore che mi si accosta e saluta cordialmente, come se lo conoscessi, ma non lo conosco, anche se, di primo acchito, faccio finta di ricordarmi di lui. Egli mi chiede se ho visto un video che circola in rete. Faccio cenno di no ma, per cortesia, domando di cosa si tratti. Egli mi spiega che il suo è un video tutorial in cui insegna l'arte della fellatio. Estrae dalla giacca lo smartphone e avvia il video perché vuole un mio parere. Un mio parere? Chissà da quale punto di vista se lo aspetta il mo parere. Appena il video parte con il signore protagonista che introduce la questione, faccio finta di ricevere una telefonata alla quale rispondo ad alta voce: «Ciao, carissima, come stai?»

Seconda sequenza.
Mi trovo in viaggio, in auto, da solo, aperta campagna, strada statale ben asfaltata, ampia visuale. Guido piano, non ho fretta (sembra la scena di ieri l'altro quando ho ritirato la nuova auto). Nella direzione opposta vedo arrivare, calme, tre auto. L'ultima della fila esce dalla sua corsia ed entra in quella di sorpasso proprio nel momento in cui stiamo per incrociarci. Con un colpo di sterzo faccio quello che posso per evitare lo scontro finendo completamente fuori carreggiata. Freno, mi fermo, mi angoscio per l'auto (non è l'auto nuova ma un'altra), ma non vedo danni. Poco più indietro, l'auto che stava per colpirmi si è fermata e sono scese tre giovani persone, due uomini e una donna. Uno di loro mi viene incontro. Comincio a imprecare contro di lui che mi ha costretto a tale manovra, gliene dico di tutti i colori. Lui si giustifica in questo modo, mettendosi comodo seduto sul paracarro: «Volevamo suicidarci e volevamo farlo urtando contro un'auto che, come la sua [la mia], sembrerebbe resistere al colpo». «Che cazzo dici, sei rimbecillito, esistono i muri per questo» e intanto inizio a picchiarlo con tutta la rabbia che ho in corpo, che aumenta a ogni colpo per la sua fottuta calma. È come picchiare un materasso, mi sembra, e io mi sento tanto impotente.

martedì 28 maggio 2013

Il Pil siriano è in crescita?

Una delle cose che più mi colpiscono del conflitto siriano è la quantità di soldi che il regime di Assad ha negli anni accumulato per permettersi, dopo tutti questi feroci mesi di bombardamenti e spari, anche di comprare nuovi, potenti missili dalla Russia. Ché la Russia è sì il primo alleato di Assad, ma certo non gliele dà a gratis le armi.

Nel risiko siriano lo stallo e il prolungarsi della guerra civile è, in gran parte, da attribuirsi alla volontà di potenza russa, al fatto che Putin ci tiene tanto a esercitare il ruolo di dominus della situazione; e un indebolito Assad (a sufficienza antiamericano) è preferibile a un regime che guardi con più favore agli Usa.
Tuttavia, non si capisce bene come Putin possa, allo stesso tempo, essere il primo alleato di Assad e uno dei migliori alleati di Israele. Ricordiamo infatti che, poche settimane fa, il presidente russo ha incontrato Netanyahu e il capo del Mossad a Sochi, sul mar Nero. Io non credo che, durante tale incontro, non abbiano discusso delle forniture di armi dalla Russia alla Siria, perché - pur stolida che sia - la politica di Putin non penso preveda la lingua biforcuta.

A parte.
Relativamente alla vendita di armi, seppur in altro contesto e scenario, è interessante notare come la Germania, zitta zitta toma toma, abbia venduto 34 suoi fiammanti Ghepard (carri armati per difesa anti aerea) al Brasile, che li ha acquistati in vista della prossima Confederations Cup (e dei Mondiali di calcio che, il prossimo anno, ivi avranno luogo).

Il fantasma della mia libertà

Esiste un solo modo per essere all'altezza delle proprie ambizioni: abbassarle. Livello rasoterra. Schiacciate al suolo ancora meglio. È quello che insegna il misticismo. Anche Battiato lo sa: è per questo che, sabato sera, in tv da Fazio, cantava a bassa voce, con un filo di voce. Tipico.
Stamani mi sono alzato di buon umore perché sono riuscito, forzandomi un po', a trascrivere un sogno. Ora non ho tempo e il sogno - non vale la pena di perderci altro tempo sopra. Certo che la mente fa strani balzi, mescolando situazioni e vissuti, stati d'animo, desideri, paure.
Bene, adesso è ora di compiere alcune operazioni

e cominciare la giornata.
Ma non era già iniziata?

lunedì 27 maggio 2013

Ago

Quando si è stanchi, non è facile scrivere. O meglio: quando si è consumati dal giorno trascorso, la mente cerca il riposo per riordinare in modo passivo gli accadimenti, senza bisogno di metterli in fila razionalmente, ma subendoli per ritrovarli, come una lunga fila di alberi tratti dalla interminabile statale percorsa, dal pino mugo al pino marittimo, gradazione botanica data dalla diversa altitudine.
Post sospeso, lasciato a mezzo di proposito. Profitto del sonno per cercare nel sogno un filo.

Io nel pensier mi Twingo



Campagna romagnola, poco fuori Forlì, un tre ore fa, da poco uscito dal concessionario Renault* dove ho ritirato la suddetta.
Com'è rossa.

*L'ho comprata a Forlì perché, nel raggio di cento chilometri da casa mia, è stato il rivenditore autorizzato Renault a farmi l'offerta migliore.

domenica 26 maggio 2013

Una volta messo per iscritto


«“Le mie parole si accalcano disordinate, tutte in un punto solo” scrisse Cincinnatus. “Invidio i poeti. Dev'essere meraviglioso procedere veloci lungo una pagina e dalla pagina, dove solo un'ombra continua a correre, spiccare il volo, dritti verso l'azzurro. Il disordine, la sciatteria di una esecuzione, di tutte le manipolazioni, prima e dopo. Com'è fredda la lama, com'è liscia l'impugnatura della scure. Con carta smerigliata. Immagino che il dolore della separazione finale sarà rosso e chiassoso. Il pensiero, una volta messo per iscritto, diventa meno opprimente, ma alcuni pensieri sono come un tumore maligno: lo riconosci, il tumore, lo asporti e ricresce peggio di prima.”»
Vladimir Nabokov, Invito a una decapitazione, (1934), Adelphi, Milano 2004 (traduzione di Margherita Crepax, pag. 193)

Cincinnatus, il protagonista di questo romanzo, è in attesa di essere decapitato – ma non sa quando. 
Un tal Lucas è in attesa di scrivere, più o meno tutte le sere, un post, ma non sa mai bene quale. Lo saprà quando andrà a scriverlo, a comporlo, digitando sulla tastiera le parole necessarie.
«Il pensiero, una volta messo per iscritto, diventa meno opprimente». 
Qualcosa del genere accade anche a quel tale (che non scrive sul giornale - e va al minimo), ma non perché prima un pensiero opprimente lo abiti, piuttosto una voglia, l'uzzolo di dire qualcosa, come se in quel dire uscisse una parte di essere e prendesse la fuga, andasse per il mondo a rappresentare l'autore, ambasciatore senza pena, come se tale essere avesse in animo di conquistare una piccola porzione di spazio nella Babele del mondo.
La faccio troppo lunga e quando faccio così mi vengo a noia da solo. Cambio direzione. 
Ho scelto la strada dell'eclettismo, che non vuol essere una forma di enciclopedismo, perché il pensiero non diventi schiavo di se stesso, esca dal proprio habitus, prenda aria o dia aria alle finestre della mente, perché insomma non si incancrenisca in uno gnommero indistricabile, respiri, non speri di essere tagliato per essere sciolto (come i terribili nodi secchi dei lacci delle scarpe dei bambini).
E così esco da me prendendo a prestito parole altrui, assumendole come un farmaco, in attesa poi che entrino in circolo e facciano effetto, mi consentano una reazione.
Stasera ho reagito così, spero non con un rutto (Nabokov non è una pastiglia effervescente: è intramuscolare «Fire of my loins»).

Vitalisti colle palle sgonfie


Le Monde live
E nessuno che si sia buttato di sotto, così, per spirito di emulazione o per solidarietà a Dominique Venner.

sabato 25 maggio 2013

Antigone e le rondini

Piove, fa freddo e molti sono dispiaciuti (sono tra questi molti), ma poi penso a quanto possano girare le palle alle rondini.
Più alle rondini o ai Riva?
Mi stupisco - come oggi un pulcino infreddolito di rondine si stupisce del fatto che i genitori gli abbiano portato meno cibo - a leggere che il Tribunale della Repubblica di Taranto ha disposto ieri il sequestro di otto miliardi e cento milioni di euro alla famiglia Riva, proprietaria dell'Ilva. Cioè: io mi stupisco che esistano uomini proprietari di più di otto miliardi di euro (senza che in questi soldi sia considerata l'Ilva, tra l'altro).
Il sequestro - ha spiegato il procuratore Sebastio - riguarda solo in merito ai beni della società Riva Fire. Abbiamo tenuto conto della legge 231 (legge salva Ilva, ndr), e dunque il sequestro non colpisce i beni dell'Ilva. E questo provvedimento non intacca la produzione dello stabilimento. La ratio del sequestro è quella di bloccare le somme sottratte agli investimenti per abbattere l'impatto ambientale della fabbrica".
A pensarci bene, quanti oggi dei molti che si stupiscono del freddo continuo di fine maggio, si stupiscono altrettanto che una famiglia possegga tutta quella caterva di soldi? Pochi (sono tra questi pochi). 

Coro: «D'altronde, non è previsto alcun limite costituzionale alla ricchezza».
Antigone: «Esistono leggi non scritte che non riservano tutti gli insetti a un'unica famiglia di rondini».
Coro: «Chi mai potrà scriverle?».
Antigone: «Il sangue».

Intanto, i legali della Società per Azioni in oggetto hanno dato mandato ai propri legali d'impugnare la sentenza di sequestro.

Antigone: «Impugnassero stocazzo».
Coro: «Quale?».
Antigone: «Quello di quello stronzo di mio zio».

venerdì 24 maggio 2013

Amichevoli constatazioni

Il venerdì pomeriggio vado alla Coop. Faccio la spesa girando col carrello tra i reparti del supermercato. Non corro, m'attardo, nonostante spari i raggi infrarossi della pistola Salvatempo sui codici a barre dei prodotti che scelgo. 
Oggi, mentre mettevo dentro la borsa frigo (sono organizzato) alcuni vasetti di yogurt, vedo apparire accanto a me una giovane bionda in shorts, senza calze, maglietta fina, seno da perdere il senno. Resto incantato senza troppo dar vedere che guardo, sono cose che non si fanno dentro un supermercato, quando, da dietro, sento arrivare alle nari, un acutissimo e nausebondo puzzo di sudore. Chi cazzo sarà, mi dico, e mi volto e vedo a un dipresso un signore tra i trenta i quaranta, coi pantaloni neri e la camicia senza maniche nera, couperose alle guance, che avanza piano cercando, probabilmente, la sua marca di yogurt preferita.
Mi volto e vedo la bionda scostarsi repentinamente dallo scaffale frigo e dirigersi altrove, le labbra leggermente contratte, come ad accennare una smorfia di disprezzo. Mi preoccupo: non avrà mica pensato che fossi io a puzzare così e, immediatamente, faccio anch'io la bocca schifata aggiungendovi una labiale imprecazione, cercando in tutti i modi di scagionarmi e dare intendere che non sono io a puzzare a bestia così.
Non potendo, per ovvi motivi, seguire la bionda, mi spingo due o tre reparti più avanti, nella zona biscotti, tè e caffè, e approfitto di un momento di quasi solitudine per mettere, non visto (almeno credo), il naso dentro la maglietta per annusarmi le ascelle: sono in ordine, non è stato caldo abbastanza da sudare dopo la doccia di stamani - e poi, perdinci, anche quando puzzo mica puzzo così. Mi compiaccio. Già che ci sono espiro un po' aria sul dorso della mano e annuso. Va bene anche l'alito, almeno mi sembra, ho da poco bevuto un succhino d'albicocca. Potrei anche baciarla la bionda, si fa per dire.
Abbastanza soddisfatto di me, riprendo la spesa da dove l'avevo lasciata. Dopo poco, in altro reparto, mi ritrovo davanti la bionda. La vedo alzare lo sguardo e subito deviarlo: non può tornare indietro, si capirebbe che lo farebbe apposta. Io sono abbastanza sicuro di me (del mio odore, intendo) e avanzo, calmo, dal pomodoro in bottiglia giù giù sino alla pasta. A metà reparto, nella zona blu della Barilla, ci incrociamo: la vedo tenere basso lo sguardo, verso i cellentani quando, in cima, riecco apparire il signore di prima e la sua inequivocabile scia. La bionda alza lo sguardo cercando un rapido sguardo d'intesa, le labbra adesso volte al riso. Ricambio - ed entrambi fuggiamo, ognuno nella propria direzione, chi verso l'acqua di rose, chi verso l'acqua tout court.

giovedì 23 maggio 2013

I vantaggi della pressione bassa

Segnalo all'attenzione del pubblico maschile... No, anzi: segnalo all'attenzione del pubblico tout court interessato a conoscere certuni aspetti della sessualità maschile. [via Erosblog]

P.S.
Domani vado in farmacia a misurarmi la pressione. Non al braccio.

Vola vola vola la violenza


Sì, classi sociali, divisione del lavoro, sfruttamento dell'uomo sull'uomo... Tutto è terribilmente complicato, anche a farla semplice, a spogliare il re e lasciarlo nudo, come un lombrico, bello pronto per essere beccato dal primo merlo che passa. 
La violenza è una determinazione dell'umano in quanto specie animale tra le altre, eppure diversa e non stiamo qui a farla lunga sul perché e come e quanto sia diversa, cogliamo al volo questo dato e via.
Ma la violenza intraspecifica dell'uomo (come vedete evito di parlare della violenza dell'uomo sulla natura, dettata da mere ragioni di sopravvivenza) è qualcosa di affatto particolare, a me viene sempre in mente la scena dei primordi, come magnificamente è stata rappresentata da Stanley Kubrick.

Gli umani, insomma, spesso si ammazzano. E ammazzarsi non è che sia tanto simpatico, il sangue che scorre provoca comunque un pensamento, una riflessione: non sarà mica che quella cosa rossa scorra anche dentro me? Calma, ragioniamo, inventiamo un totem, un dio, un qualcosa che possa frenare, contenere questa peste che ci contagia tutti. E giù riti religiosi a scorrere, sacrifici e umani (prima) e animali (poi), e preghiere, e voti. Meglio che muoia un uomo solo che perisca tutto il popolo. Massima politica per eccellenza, roba da sacerdoti e politici finissimi, appunto.

Ogni società si fonda sulla violenza e coloro che gestiscono questa violenza (ne hanno il monopolio giuridico) guidano la società.
Le leggi sono somministrazioni, a volte in dosi omeopatiche, a volte in dosi da manganello, della violenza incanalata nel perimetro dello Stato. Dire: «Io sono dalla parte della Legge», significa dire «Io sono dalla parte di un esercizio controllato della violenza da parte di un'Autorità riconosciuta». Ogni violenza che cozza, che lede, che graffia tale Autorità, è violenza fuorilegge.

La violenza contro un'Autorità costituita diventa legittima quando il paravento legislativo non è più sufficiente a coprire i reali interessi di classe (la classe che è al potere). 
Quello che frega, nelle moderne democrazie liberali, è che chi è al potere lo fa con una legittimità “democratica” garantita da costituzioni che si fondano su principi bellissimi.

Come si fa infatti a ribellarsi contro coloro che si richiamano alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani?
Il monopolio della violenza non è mai stato così al sicuro.

P.S.
Il titolo, oltre all'Ape Maia, mi rammenta questa meraviglia:

mercoledì 22 maggio 2013

Sposare la rivoluzione

Mark Maggiori
Che le cose stiano in questi termini è incontrovertibile.
Che pensare di riformare il sistema con gli strumenti concessi dalle attuali democrazie a sovranità popolare (ah, ah) limitata non sia possibile, mi sembra altrettanto chiaro.
Dunque, per sovvertire l'ordine sociale, per mettere in moto una reale e concreta lotta di classe che spenni le piume dell'attuale classe dominante globale, occorre la violenza.

Ma che tipo di violenza? In che misura? 

Dalla storia s'impara poco, ma bisogna essere tonti per non accorgersi che la lotta armata rivoluzionaria svoltasi in Europa nell'ultimo terzo di secolo del Novecento è stata un fallimento da non ripercorrere. Cattivo esempio di azione, non solo per il sangue innocente versato, ma anche perché nei momenti cruciali, soprattutto in Italia col rapimento di Aldo Moro, i “rivoluzionari” hanno dimostrato, oltre alla crudeltà, anche - e molta - stupidità strategica e politica.

Quindi, necessariamente, quel periodo storico e quei protagonisti, non possono servire da esempio (se non per non fare ciò che essi hanno fatto) - essi vanno scartati, soprattutto per un motivo: non credo che la lotta armata degli anni settanta abbia mai avuto un consenso esteso da parte della stessa classe che i terroristi avevano in animo di portare al potere.

Per questi motivi, il primo obiettivo dovrebbe essere: estendere la coscienza di classe, far comprendere alla classe degli sfruttati globali gli artifici che tengono in piedi il sistema a beneficio esclusivo di pochi sfruttatori.

Una delle ragioni del successo dell'odierna democrazia liberale dal dopoguerra a oggi è, infatti, di aver incontestabilmente garantito un certo benessere alla classe media dei dominati del primo mondo, sia per una politica economica fondata sul debito, sia perché, per alcuni decenni, la crescita e l'occupazione erano sempre in costante aumento.

Poi, per note ragioni, il giocattolo si è rotto e, a causa della globalizzazione (delocalizzazione delle imprese, libera circolazione mondiale delle merci e del denaro) a crescere enormemente in ricchezza e privilegi sono stati pochi a scapito di molti.

A naso*, mi sembra che, gradualmente almeno, questa coscienza del divario suddetto prenda costante piede. E la voglia di fare qualcosa (ma cosa?) nasce.

Allora, una delle prima cose da fare, è creare le condizioni perché la classe dei dominati (lavoratori dipendenti pubblici e privati, lavoratori autonomi, disoccupati, pensionati non super, gli studenti eccetera) possa convogliare questa coscienza in un'azione (violenta?).

A mio avviso, la prima azione politica, non so quanto violenta, potrebbe essere uno sciopero generale. Uno sciopero a oltranza, in tutti i settori dell'impiego, compreso quello delle forze dell'ordine. Una paralisi totale dell'Italia, dell'Europa del mondo cosiddetto libero (di scioperare). 

Tale sciopero, però, non dovrebbe essere convogliato e ammassato nelle piazze delle grandi città, ma esteso un po' dappertuttoper evitare, come sovente accade, di cadere nella solita trappola dello scontro con la Legge.


*Non essendo, il mio, un naso da tartufi, nutro delle riserve sul mio naso. Credo, cioè, che la mia impressione sia dettata più da un pio desiderio che da una fondata analisi. Infatti, nonostante il divario esistente tra ricchi e poveri, che è manifesto a tutti, esso viene tollerato perché la classe dominante globale, tramite un uso sapiente dell'informazione (scuola, mezzi di comunicazione), ha introiettato nella moltitudine degli sfruttati l'idea che gli sfruttatori meritano di occupare il loro trono per il loro prestigio, la loro capacità, il loro acume, la loro cultura; di più: mediante l'esca del sogno americano, ovvero attraverso la possibilità aperta a tutti di avanzare nella scala sociale (grazie alla fortuna o all'ingegno), si è creata l'illusione che, potenzialmente, tutti - se meritevoli o scaltri - ce la possono fare.

A parte.
Un'altra cosa da tenere in considerazione: qualsiasi azione rivoluzionaria, pur con le migliore intenzioni e propositi di rovesciamento del sistema, se viene guidata élite, presto o tardi anch'essa riprecipita la società nella fossa dalla quale era stata sollevata. In altri termini, là dove si forma una "testa" si formano, sotto, tanti "coglioni". 

martedì 21 maggio 2013

Io non sono un noto scrittore*

*
Ma ho sempre preferito la Tour Eiffel a Notre-Dame per morire.

*Né tantomeno di estrema destra (nemmanco di destra semplice).

P.S.
Continuo la polemica contro quei cervelloni dei giornalisti nostrani che definiscono l'odierno suicida di Notre-Dame, un «noto scrittore». Scrive Le Monde:
«Dominique Venner s'est suicidé, mardi 21 mai, à Notre-Dame-de-Paris, à l'âge de 78 ans. Peu connu du grand public, ancien soldat perdu de l'Algérie française ayant renoncé à l'activisme au milieu des années 1970, il demeurait une figure influente et emblématique de l'extrême droite française ainsi qu'une référence pour plusieurs générations de ses militants»

Quei due sapevano a memoria dove volevano arrivare




Non ho mai visto nessuno fumare, baciare, amare così bene, insieme.
[via]


«One night in 1953, Bogie, John Huston and some other friends were shooting the breeze rather tipsily about life and its meaning and the question arose as to whether there was any time of their lives they’d like to live over again. All of them except Bogie came up with cynical answers. Somebody said, “God forbid”. Somebody else: that he’d only like to cancel out a couple of times. Then Bogie spoke. “Yes, there’s a time I’d like to relive- the years that I have had with Betty.”»

-Joe Hyams, Bogart & Bacall.

«I was a kid in love for the first time. I was easy for me - I knew nothing about pitfalls. I was giving nothing but myself and I could do that without qualm. Never in my life had or has a man cared so much for me, wanted so much to protect me, surrond me with life’s joys, share everything. It made me want to return the care- to show him it was possiblle to be really happy with a woman, to give him children. I was determined to do that.»

-Lauren Bacall

Uomo, figura, scrittore


Le Figaro
Le Monde
La Repubblica
Corriere della sera
Dai soli titoli, in Francia «un uomo»; oppure: «una figura [un esponente] dell'estrema destra si suicida a Notre-Dame de Paris».
In Italia, invece, uno “scrittore si suicida” e nel titolo anche le motivazioni cubitali.

Anche a livello giornalistico, tra Francia e Italia, esistono diverse gradazioni di laicità.

lunedì 20 maggio 2013

Sopravvivere ai desideri

Sono sopravvissuto ai desideri,
Ho disamato i propri sogni;
Sole mi restano le pene,
Che vengono di cuore vuoto.

Alle bufere di crudele sorte
Avvizzì la fiorente mia corona;
Io vivo triste, solitario,
E aspetto: verrà la mia fine?

Così, da tardo gelo colta,
Della bufera all'invernale fischio,
Sola sul ramo dispogliato
Palpita un'attardata foglia.

Aleksandr Puškin, 1821, in Poemi e liriche, Einaudi, Torino 1960 (traduzione di Tommaso Landolfi)

Io no, difficilmente, sopravviverò ai miei desideri, stante così le cose. Io, infatti, desidero forsennatamente, ma non so esattamente cosa, mi sento perso per questo, mi guardo intorno alla ricerca disperante di modelli degni di essere imitati e, cazzo!, non ne trovo alcuno.
I media pullulano di merdosi lacchè che indorano le supposte del potere per renderle più gradevoli alla plebe. Anche i tribuni della stessa sono penosi e più li guardo e più me ne allontano. 
Cosa mi resta allora da desiderare, a parte quelle due o tre piccole pulsioni che si dibattono tra mente e sesso e che soddisfo alla meno peggio? Niente che valga la pena per cui mettersi in gioco nell'arena dei desideri dati. Saltare di classe, come un parvenu qualsiasi, tipo quelli russi che si sono trovati con le azioni buone delle aziende statali post comuniste e sono stati bravi a leccare il culo della causa nazionalista giusta, trovarmi in uno yacht pieno di fighe e di caviale, mentre uno stronzetto di rockstar mi strimpella una canzonetta per il mio gusto, forse è questo che potrei desiderare? O forse potrei desiderare un pompino a ventosa della Santanchè? Ti piacerebbe. Non mi piacerebbe. Dipende dalle circostanze. È più facile che un cammello me lo faccia un pompino. Una cammella, meglio. 
Resto immobile. Non sono abbastanza intelligente, volitivo meno, le mie doti sono limitate come quelle di una foglia. Palpito, m'attardo e resto solo, dispogliato, e prima o poi mi depilo il pube per vedere l'effetto che fa. Chissà se poi mi ritorneranno i riccioli. Sennò piangerò.

domenica 19 maggio 2013

I mangiatori a ufo di Panebianco

Chiarissimo Professor Panebianco,

nell'antico stereotipo, tagliato con l'accetta, che sarebbe alla base dell'ostilità tra lavoratori dipendenti (soprattutto del settore pubblico) e lavoratori autonomi, Ella in quale categoria si colloca? In quella dei «parassiti e mangiatori a ufo» con la laurea?

Cordialmente 

P.S
Quando un politologo elabora stereotipi sociali senza decostruirli, viene da essi sovrastato - e, tale esercizio, fa dubitare altamente dell'utilità “scientifica” di tale disciplina finanziata, all'Università di Bologna come in altre università statali, coi soldi pubblici.

Gesto diurno di un blogger errante d'Europa

Chissà dove andrà a finire
tutto il dire
che è stato detto
tutto il fare
che è stato fatto
e ciò che si dirà
e ciò che si farà
tutto chissà dove finirà.

Ho un'idea: una discarica
ai confini dell'universo
una galassia attiva che faccia
di questa materia dispersa
dell'uomo energia.

Ma la mia idea non vale:
in fondo sarebbe normale
che tutto finisse nel niente
il detto il fatto il rimasto sospeso
nella mente del mondo.

Tutte le parole dette
e tutte le azioni compiute
è tutta materia finita
che rimbalza che c'è
che non c'è - e
tra le due possibilità
non vedo tutta questa differenza.

Se c'è una cosa che mi spiace
del morire e dell'essere nato
è non avere la possibilità
di sapere come ciò
che è iniziato finirà:
se sarà morte del sole
se sarà un buco nero
se la Terra diverrà
un unico sterminato cimitero.

Il detto e il fatto
potranno qualcosa
al di fuori della storia?
Fuori del tempo e dello spazio
ci sarà di noi memoria?
Metto una mano sull'incurvatura
del braccio e compio il classico
gesto che consola.

sabato 18 maggio 2013

Autoscatti baconiani







Il Papa ama tutti, anche l'ambasciatore del Lussemburgo

Ieri l'altro, Papa Francesco ha incontrato gli ambasciatori del Kyrgyzstan, di Antigua e Barbuda, del Gran Ducato di Lussemburgo e del Botswana e gli ha fatto questo discorso. Ne estraggo alcuni brani:
Mentre il reddito di una minoranza cresce in maniera esponenziale, quello della maggioranza si indebolisce. Questo squilibrio deriva da ideologie che promuovono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria, negando così il diritto di controllo agli Stati pur incaricati di provvedere al bene comune. Si instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone unilateralmente e senza rimedio possibile le sue leggi e le sue regole. Inoltre, l’indebitamento e il credito allontanano i Paesi dalla loro economia reale ed i cittadini dal loro potere d’acquisto reale. A ciò si aggiungono, oltretutto, una corruzione tentacolare e un’evasione fiscale egoista che hanno assunto dimensioni mondiali. La volontà di potenza e di possesso è diventata senza limiti.
Sarebbe bello se tale discorso, eventualmente, lo facesse, quando capita, anche agli ambasciatori degli Stati Uniti d'America, della Germania, del Giappone, della Gran Bretagna eccetera, più che altro per dar maggior risalto alla sua critica dell'attuale sistema economico.
Ma è una critica la sua?
No.
È un buffetto, non mette in causa nulla, sollecita soltanto chi detiene il potere a comportarsi meno schifosamente, di modo che i poveri sopravvivano e non si estinguano, ché sono la materia prima da sfruttare e per i ricchi e, in fondo, anche per la Chiesa.
Dietro questo atteggiamento si nasconde il rifiuto dell’etica, il rifiuto di Dio. Proprio come la solidarietà, l’etica dà fastidio! È considerata controproducente: come troppo umana, perché relativizza il denaro e il potere; come una minaccia, perché rifiuta la manipolazione e la sottomissione della persona. Perché l’etica conduce a Dio, il quale si pone al di fuori delle categorie del mercato. Dio è considerato da questi finanzieri, economisti e politici, come non gestibile, Dio non gestibile, addirittura pericoloso perché chiama l’uomo alla sua piena realizzazione e all’indipendenza da ogni genere di schiavitù. L’etica – un’etica non ideologica naturalmente – permette, a mio parere, di creare un equilibrio e un ordine sociale più umani. In questo senso, incoraggio gli esperti di finanza e i governanti dei vostri Paesi a considerare le parole di san Giovanni Crisostomo: «Non condividere con i poveri i propri beni è derubarli e togliere loro la vita. Non sono i nostri beni che noi possediamo, ma i loro» (Omelia su Lazzaro, 1, 6 : PG 48, 992D).
L'etica dà fastidio? Quale etica, vivaddio? Quella che conduce a Dio, secondo il Papa; forse che l'Etica di Spinoza andrebbe bene? 
Ai finanziari che poi sosterrebbero che «Dio non è gestibile» il  Papa dovrebbe offrire un corso accelerato di finanza e religione organizzato dalla Pontificia Università Lateranense, per mostrare loro come la Chiesa sia maestra nella gestione del Signore dell'Universo qui in terra, sfruttandone la materia in modo oculato e proficuo.
Cari Ambasciatori, sarebbe auspicabile realizzare una riforma finanziaria che sia etica e che produca a sua volta una riforma economica salutare per tutti. Questa tuttavia richiederebbe un coraggioso cambiamento di atteggiamento dei dirigenti politici. Li esorto ad affrontare questa sfida, con determinazione e lungimiranza, tenendo conto naturalmente della peculiarità dei loro contesti. Il denaro deve servire e non governare! Il Papa ama tutti, ricchi e poveri; ma il Papa ha il dovere, in nome di Cristo, di ricordare al ricco che deve aiutare il povero, rispettarlo, promuoverlo. Il Papa esorta alla solidarietà disinteressata e a un ritorno dell’etica in favore dell’uomo nella realtà finanziaria ed economica.
Che tale predica sortirà pochi effetti sulla crisi economica e finanziaria lo si nota anche dalla maniera in cui il Papa si rivolge ai  “dirigenti politici”: egli si limita ad esortarli, anziché a convincere il gregge dei fedeli ad esonerarli dal potere che (tali potestà) hanno; potere che, ineluttabilmente, esercitano nella perdurante affermazione degli interessi di classe dei ricchi a danno e pena dei poveri. Insomma, chieder loro «un coraggioso cambiamento di atteggiamento» equivale a domandargli di segare il robusto ramo di privilegi dove sono seduti. E i potenti della terra non sono mica simpatici o fessi come Gatto Silvestro o Wile Coyote (vorrei citare anche Bersani, ma lasciamo perdere).
Non si capisce poi come il Papa ami tutti, nello stesso modo, ricchi e poveri: Gesù almeno lanciava minacce e maledizioni ai ricchi (Luca, 6, 24-26):

Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già la vostra consolazione.

Guai a voi che ora siete sazi,

perché avrete fame.
Guai a voi che ora ridete,
perché sarete afflitti e piangerete.
Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi.
Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti.

Perché a Papa Francesco non è venuto in mente di citare, appunto, tali versetti? Sarebbero apparsi troppo “satanici” per gli ambasciatori?

Il Papa esorta inoltre...
i dirigenti delle realtà finanziarie a prendere in considerazione l’etica e la solidarietà. E perché non potrebbero rivolgersi a Dio per ispirare i propri disegni? Si formerà allora una nuova mentalità politica ed economica che contribuirà a trasformare la dicotomia assoluta tra la sfera economica e quella sociale in una sana convivenza
...ma si sbaglia: infatti, chi muove l'economia del mondo da sempre ha gli occhi puntati verso Dio: al Dio di tutte quelle confessioni che garantiscono ai poveri affamati il riscatto nell'aldilà; in fondo, a stare bene in pochi in questo cazzo di mondo, rende gremite le tribune del paradiso. In altri termini: i ricchi hanno il grande pregio di produrre caterve di beati: concentrando la ricchezza in poche mani, si apre una platea enorme di diseredati che hanno fame e sete di giustizia, sì, ma che le troveranno non certo in questo mondo, ma in quello di là a venire, dopo la morte.
Tale logica mi fa anche comprendere come mai il Papa ami anche i ricchi; sono loro i veri angeli del Signore: una minoranza che si danna l'anima per salvarla ai più.

venerdì 17 maggio 2013

Domande così

Dopo le elezioni, i giornalisti fecero a gara a intervistare Dario Fo, Celentano, persino Pippo Baudo. Volevano un parere su Grillo. I  i giornalisti antiberlusconiani da Dario Fo si aspettavano altresì che li rassicurasse circa l'eventuale alleanza col Pd. Sappiamo com'è andata.

Il senatore Zanda, se non sbaglio, fu incaricato da Bersani di fare il negoziatore coi parlamentari grillini. Alla luce della sua intervista ad Avvenire, si può sostenere che i negoziati continuano sotto banco? Cioè a dire: data la fragilità politica dell'attuale governo che può andare in frantumi da un momento all'altro, è ipotizzabile che un altro tipo di governo tra diversi, Pd + M5S, sia questa volta proponibile, oppure il Presidente della Repubblica impedirà (vorrei dire nuovamente) questo tentativo, sciogliendo le camere?
Ma se presidenti di Camera e Senato dessero parere contrario (sulla base di un accordo politico tra Pd e M5S testé ipotizzato), Napolitano non avrebbe il potere di sciogliere lo stesso le camere, favorendo, volente o nolente, per l'ennesima volta Berlusconi, vero?

giovedì 16 maggio 2013

Opzioni

Ieri, per ragioni di lavoro, mi trovavo in una cittadina etrusca in riva al mare. Durante una pausa, io e una collega, la quale ha il vezzo di sminuire la portata erotica del suo culo e del suo seno, andiamo a prendere un caffè in un bar segnalato da altre colleghe che poco prima vi erano state.
All'ingresso, sotto l'ampia veranda del bar, seduti su dei comodi canapè, una decina di carristi dell'esercito italiano consumava la propria pausa. La collega si ritrova – vi ho già detto perché – numerose paia di occhi puntate addosso e, mentre per un attimo medito di prenderla sotto braccio, sì da aumentare l'intensità degli infrarossi che la spogliavano, mi sono voltato e ho sentito addosso io gli occhi da lupa (cit.) di una carrista, capelli scuri e coda di cavallo, seduta da sola su uno sgabello di quelli alti, all'americana, mentre sorseggiava una coca con dentro una fetta di limone, unica donna tra i suoi commilitoni. Non amo il genere donne in divisa ma questa, nonostante la mimetica, trasmetteva una femminilità potente, del tipo di donna che sa chiedere quello che vuole, anche le palle dell'eventuale partner di turno. Questa la mia impressione, almeno, più frutto dei miei attuali desiderata che di un efficace intuito come di chi la sa lunga (io non la so lunga).
E vabbè. Entriamo e ci dirigiamo al bancone. L'illuminazione è scarsa e il barista indossa una t-shirt nera con il logo del bar medesimo. Chiediamo due caffè e, nell'attesa, anziché dare di gomito alla collega, scherzando sugli sguardi che l'hanno attraversata, domando dove sia il bagno, ché mi scappa forte, e quindi.
Passo così veloce dalla semioscurità del salone del bar alla luce intensa dell'antibagno. Davanti a me due porte e tre simboli: maschi e femmine/handicap – e non capisco proprio il collegamento. Chiaramente, apro quella coi baffi e, che schifo: il wc è colmo di carta igienica zuppa e giallastra, sotto si nota roba marrone che non vuole andare giù, lo scarico di plastica dello sciacquone non c'è, c'è solo un rubinetto dentro l'incasso del muro, sul quale un ragno di mezzo ettogrammo ha tessuto una grossa ragnatela. Non ce la faccio, non posso tirare fuori il pene qui e pisciare, che puzza, no. Esco. Scusatemi, ma mi scappa forte: apro la porta con gonna e carrozzina: il cesso è pulito – e ti credo, e c'è pure un lavandino con sapone liquido di marsiglia. Chiudo la porta e tiro il chiavistello ma è difettoso. Pace. C'è calma, decido di farla. Ah, come si sta meglio. Con cura prendo un po' di carta igienica pulita e la passo per precauzione sul bordo. Ho la mira buona ma non si sa mai. Ho la coscienza sporca, ma la voglio lo stesso pulita, sotto certi aspetti. Tiro lo sciacquone. Mi lavo le mani e, mentre me le sciacquo, la porta si apre: la militare.

Ecco, a questo punto mi si propongono due opzioni. Continuare il racconto stando ai fatti, oppure stando alle eventualità che potevano verificarsi ma non si sono date, se non nella mia immaginazione. In breve, non so se continuare io la narrazione, oppure se è preferibile farmi sostituire da quel tale che si ostina a chiamarsi Lucas.
Sarà meglio ci dorma su.

A costo zero

Caso voglia che, mentre imburravo una fetta di pane toast e, dipoi, ne immarmellatellavo un'altra, pensavo al governo Letta, nella misura dei provvedimenti che potrebbe prendere a costo zero ora, subito, immediatamente con un decreto legge da imporre al prossimo consiglio dei ministri - e la prima cosa che m'è balzata in mente è via il Porcellum, subito.
Noto con favore che ho avuto lo stesso pensamento di Civati (da lui postato alle 7:18, io circa un'ora più tardi). Inutile dire che spero gli diano retta, se non al governo, almeno in parlamento. 
Secondo me, quel che resta del gruppo parlamentare del Pd, compresi i 101 dalmati, dovrebbe per intanto appoggiare il disegno di legge di abrogazione del Porcellum firmato dal - meraviglia! - senatore Calderoli.

mercoledì 15 maggio 2013

Da un lettore ai lettori

Un lettore mi scrive:

«Non so se il problema sia soltanto mio e se dipenda da qualche ragione che ora non so immaginare, ma desideravo informarti che da qualche settimana entrare a leggere i tuoi post mi risulta difficile: il  testo non scorre, si richiede di recuperare la pagina web, e via così...
Ti risulta che altri riscontrino difficoltà simili?»
Cari altri, succede anche a voi? Se sì, magari scrivo alla piattaforma Blogger per domandare lumi. Grazie.

Libretto rosso: di circolazione



Approdi del comunismo, in salsa capitalista.
Chissà, forse a Cuba, con una Maserati, ci farebbero una discoteca mettendo sullo stereo a palla



A parte:
Non capisco perché Berlusconi, invece di lamentarsi populisticamente contro il rigorismo economico della Merkel, non prenda anche lui, o meglio, faccia prendere anche lui da suoi dipendenti a mazzate la propria Audi A8. Dite che è blindata? Vabbè, esiste anche il tritolo volendo.

A parte bis...
...che non c'entra nulla con l'oggetto del post, ma c'entra con Berlusconi, il quale, dopo la requisitoria del pm Boccassini ha dichiarato: «Falsità ispirate dall'odio: non avranno mai la mia testa». Avranno il suo cazzo? Come scalpo, intendo.

martedì 14 maggio 2013

Una questione d'abitudine


A parte le cose che trapelano nella superficie dei titoli, io non ho seguito per niente il processo in oggetto. A naso, do ragione a Giulio Mozzi che ha trovato due perle nella*** nel commento alla  requisitoria operato dalla redazione dell'Ansa (vedi qui).
Quindi, è può essere presumibile che Berlusconi abbia buone ragioni per sostenere che in tale requisitoria vi siano delle “falsità” (ma saranno i giudici a stabilirlo). Con fatica, capisco altresì che Berlusconi dica vi sia “odio” da parte della Boccassini nei suoi confronti: chi non lo ama, lo odia - lui ragiona così, usando, per l'ennesima, volta, il suo lessico familiare. Quello che proprio non comprendo è perché abbia aggiunto «povera Italia»: in che senso «povera Italia»? “Povera” perché la requisitoria del Pubblico Ministero Boccassini è rivolta all'Italia? O è la Boccassini, in quanto rappresentante ufficiale del potere giudiziario della Repubblica, a rendere povera l'Italia? O forse perché Berlusconi s'identifica col corpo dello Stato e si autocompatisce?
Misteri: per parte mia ritengo che con «povera Italia» bisogna intendere questo: “povera quella nazione che da vent'anni non riesce a evacuare dal proprio intestino una simile tenia politica, economica, culturale - nonostante vi si siano prospettate diverse purghe che parevano efficaci, ma niente: è una (millenaria) questione d'abitudine; che non abbia a ingrassare troppo sto Paese”.



*** Update: 
Mi scuso se, in un primo momento, non avevo specificato che Giulio Mozzi stava criticando tale articolo di redazione e non la requisitoria in sé.
Ringrazio di rinterzo Luigi Castaldi che, mediante stimolo di questo suo post, mi ha fatto rileggere meglio quanto avevo linkato.

lunedì 13 maggio 2013

Prova d'artista

Paul McCarthy, White Snow, Balloon Dog (red), 2013. Vinyl-coated nylon
- Non è sempre possibile tenere alto il livello della comunicazione.
- Va bene, allora tienilo basso.

Un piccolo rutto, affatto simpatico, sortì dalla bocca del blogger, effetto di un orzo caldo intiepidito da latte freddo, dolcificato con miele di castagno, bevuto dopo una passeggiata in una fresca sera di maggio dal cielo stellato con annessa affilata falce di luna.


domenica 12 maggio 2013

Lavino

Sono in catalessi. Ho bevuto un vino dell'Etna che aveva troppi solfiti - ci credo. Poi mi vengono strani pensieri, erutto e frullo nella rete a casaccio, sapete come accade, da un link a un altro di foto con le donne ignude, ho trovato una tipa dalle tette enormi travestita da Satana: non pensavo che il diavolo, oltre alle pentole, facesse le tette, capezzoli compresi.
I capezzoli sono eccitanti e chissà perché, da un punto di vista evolutivo, li abbiamo anche noi uomini: per suggere che, sudore? I capezzoli sono altresì eccitabili, ma - se non sbaglio - non c'è paragone tra la sensibilità maschile e quella femminile: è come confrontare un ghiacciaio con un vulcano (il K2 con l'Etna, appunto).
Domanda politica: durante il ritiro della compagine governativa presso l'Abbazia di Spineto, ci sarà qualche ministro che avrà una (anche minima) attività sessuale? Sarebbe interessante saperlo, anche per indovinare la tenuta del governo. Il sesso, è risaputo, consente a chi lo pratica di fare squadra, di trovare affiatamento, non solo col proprio partner ma anche con se stessi, e per questo sarebbe interessante anche sapere chi si limita a una bella e sana masturbazione tra le candide lenzuola del resort toscano. Io devo dire la verità: dopo aver conversato con Alfano o con Lupi, se non potessi sfogarmi sessualmente, diventerei così nervoso da eruttare lapilli e lava.
Vado a bere un bicchier d'acqua che questo vino.

sabato 11 maggio 2013

Camminare attraverso noi stessi

Il da fare, il da farsi, il riempirsi la bocca di parole che si fanno, si sfanno, si sciolgono come crema, come fiordilatte, e non usate il burro per i rapporti anali che i grassi animali non vanno mescolati, o uomini, vetrine, smartphoni che ripigliano cortei casomai qualcuno alzasse la mano, alzasse picconi, piccioni, tortore, bersaglio mancato, bruttissimo esempio di umanità in piazza a dire, io la storia non la capisco, è anche meglio perché se la capissi mi prenderebbe lo sconforto, pareva tutto così facile, e tutto si è svolto invece secondo difficoltà previste, io oggi ho avuto da fare e non sono potuto scendere in piazza e sono entrato in una oreficeria, quanta gente, la fila, da non crederci, persino una coppia di anziani che ha speso seicento euro per un anello, cioè lui, il signore ha regalato alla credo di lui moglie un anello d'oro da seicento euro in contanti, era per le nozze d'oro, sono contento per loro, la signora sceglieva l'anello tremando, il signore alle sue spalle teneva i soldi dentro una busta, probabilmente quella della posta, aveva un cappello e un gilet da pescatore, hanno eletto un traghettatore, non poteva e non voleva sottrarsi, sai che differenza, ed è pure filosofo in pectore, e io da uno che è filosofo mi aspetto eccome che sappia sottrarsi, dividersi, scomporsi, fare a meno di sé, Epiphany, come questa di Stephen Dedalus:
«Io credo, O Signore, aiuta la mia incredulità. Cioè, aiutami a credere o aiutami a discredere? Chi aiuta a credere? Egomen. Chi a non credere? L'altro».¹
E poco prima:
«Ogni vita è una moltitudine di giorni, un giorno dopo l'altro. Noi camminiamo attraverso noi stessi, incontrando ladroni, spettri, giganti, vecchi, giovani, mogli, vedove, fratelli adulterini. Ma sempre incontrando noi stessi. Il drammaturgo che ha scritto l'in-folio di questo mondo e l'ha scritto male (ci dette prima la luce e il sole due giorni dopo), il signore delle cose quali esse sono che i più romani tra i cattolici chiamano dio boia*, è senza dubbio tutto intero in noi tutti, palafreniere e beccaio, e sarebbe anche ruffiano e becco se non fosse che nell'economia del cielo, predetta da Amleto, non ci sono più matrimoni, poiché l'uomo glorificato, angiolo androgino, è sposa di se stesso».²
L'economia del cielo è scesa tutta sulla terra e ogni cosa che accade va in cerca della sua giustificazione.  Anche noi, maghi dell'autoindulgenza, ci convinciamo che tutto va bene così, così dicono, gli altri, e ci crediamo, ridio boia, lontani da Egomen.

¹J. Joyce, Ulisse, Nono episodio, Scilla e Cariddi, La Biblioteca (edizione Meridiani Mondadori, pag. 293)
² Ibidem (pag. 292).
*In italiano nel testo.

venerdì 10 maggio 2013

La mucca da mungere

Stamani, mentre mi asciugavo, dopo la doccia dopo la palestra, nello spogliatoio, a qualche panca distante da me, due uomini (credo entrambi carabinieri, almeno uno lo so per certo) conversavano sui vantaggi e svantaggi del fare missioni all'estero, volontari.
Uno sosteneva che ci stava pensando, ma non certo per la gloria, soprattutto per fare qualche soldo in più - ma non in Afghanistan, troppo pericoloso, meglio scegliere missioni all'estero meno rischiose. 
L'altro confermava la pericolosità afgana, in virtù della sua esperienza: raccontava, infatti, di esserci stato in passato, alcuni mesi, e bisognava tutti giorni stare attenti alle mine e alle imboscate. Dunque, continuava, ci vuole una forte motivazione per andare là. Meglio il Kosovo, allora: in fondo là ci si limita a qualche posto di blocco. 
«Certo che hanno fatto una bella porcata nei Balcani, li hanno fatti scannare, e tutto perché non c'è petrolio. Gli americani intervengono celermente solo dove c'è petrolio».
E l'altro: «Se la crisi economica peggiora, faremo anche noi la fine dei Balcani: ma in fondo pare sia quello che vogliono, la guerra. È il meccanismo della crisi che porterà a ciò, perché solo la guerra garantirà la ripresa, altro che discorsi: una volta azzerato tutto, vedrai quanta creazione di posti di lavoro per ricostruire sulle macerie».
 «Ma che guerra vorranno che sia? Quella che basta premere un bottone e ciao?» 
«No, quella è anti-economica: i signori della guerra amano situazioni tipo la Siria, l'Afghanistan, robe così, distruzioni non apocalittiche. Il potere non può comprimere a lungo il malcontento, né reprimerlo coi manganelli. S'inventeranno qualche guerra, è necessario».

Dato che mi ero già asciugato e rivestito, e dato che la loro era praticamente una conversazione pubblica, mi volto verso loro e noto - presuntuosamente - che una mia opinione sarebbe gradita. E, riprendendo un passaggio dell'Intervista sul potere di Antonio Carioti a Luciano Canfora, letta poco prima sul mio Kindle, questa:
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dico: «L'enormità del divario tra chi ha di più e chi di meno è un dato di fatto, ma non si capisce perché tutto questo venga accettato come ineluttabile. La massa popolare, in Occidente soprattutto, forse perché lobotomizzata dal consumismo e dai media, non aspira più a mungere il capitale come si deve, né esistono partiti politici che propongano tale mungitura. Ma quanto conviene ai capitalisti di tenere tutto il latte per sé? Cosa cazzo se ne fanno? Quando saranno circondati da zombi affamati, dove si rifugeranno?».
Uno dei due, in procinto di andare, per chiudere con una battuta la conversazione, risponde:
«Nei loro yacht, debitamente attrezzati per stare al largo anche anni interi: quando saremo tutti morti di fame, potranno tornare e fare razzia di quello che resta».
Sorrido e saluto e, dirigendomi verso l'armadietto, mi mordo la lingua per non aver ribattuto:
«Già. Speriamo non vi costringano a fargli da guardia».

giovedì 9 maggio 2013

I colli fatali della storia

Lev Trotsky, Storia della rivoluzione russa, Sugar, Milano 1964
«La caratteristica più incontestabile della rivoluzione è l'intervento diretto delle masse negli avvenimenti storici. Di solito è lo Stato, monarchico o democratico, a dominare la nazione: la storia è fatta dagli specialisti del mestiere: monarchi, ministri, burocrati, parlamentari, giornalisti. Ma nei momenti cruciali, quando un ancien régime diventa insopportabile alle masse, le masse infrangono gli ostacoli che le separano dall'arena politica, rovesciano i loro rappresentanti tradizionali e con il loro intervento gettano le basi di un regime nuovo. Lasciamo giudicare ai moralisti se sia un bene o un male. Per parte nostra, prendiamo i fatti come si presentano, nel loro sviluppo oggettivo. La storia della rivoluzione è per noi, innanzi tutto, la storia dell'irrompere violento delle masse sul terreno dove si decidono le loro sorti.»

Ma l'irrompere delle masse è sempre guidato da qualcuno, il capo rivoluzione, Robespierre o Lenin, il quale, volente o nolente, emerge dalla massa e la conduce verso il nuovo regime; nuovo regime in cui le masse avranno perso il loro effetto di lava dirompente, saranno raffreddate e contenute dentro il perimetro di una nuova legalità.

«In una società coinvolta in un processo rivoluzionario, le classi si combattono. È quindi del tutto evidente che le trasformazioni che si determinano tra l'inizio e la fine di una rivoluzione nelle basi economiche della società e nel sostrato sociale delle classi, non sono affatto sufficienti a spiegare il corso della rivoluzione stessa, che, in un breve lasso di tempo, rovescia istituzioni secolari, ne crea di nuove, per rovesciarle ancora. La dinamica degli avvenimenti rivoluzionari è determinata direttamente da rapidi, intensi e appassionati mutamenti nella psicologia delle classi esistenti prima della rivoluzione.»

Finora la storia narra come il rovesciamento delle istituzioni secolari, tramite rivoluzione di massa, abbia determinato la nascita di nuove istituzioni; esse sono riuscite, in poco tempo, a ingabbiare la massa dentro un apparato in cui essa perde, gradualmente, tutto il suo potere “rivoluzionario” cedendolo, necessariamente (?), a un'élite, a un'oligarchia ben temperata che (ri)costruisce intorno a sé tutto il sistema di protezioni e perduranti garanzie che andranno a perpetuare un nuovo sistema di potere, mettendo le masse fuorigioco.

«Il fatto è che una società non muta le proprie istituzioni via via che si determinano i bisogni, allo stesso modo in cui un artigiano rinnova i suoi strumenti. Al contrario: in pratica, la società considera le istituzioni che la opprimono come un dato stabilito per sempre. Per decenni la critica di opposizione serve solo come valvola di sicurezza al malcontento delle masse ed è una condizione di stabilità della struttura sociale: per esempio, tale significato ha assunto, in linea generale, la critica della socialdemocrazia. Occorrono circostanza assolutamente eccezionali, indipendenti dalla volontà dei singoli individui o dei partiti, per liberare il malcontento dai vincoli della mentalità conservatrice e per spingere le masse all'insurrezione.»

Che Trotsky prefiguri anche il ruolo di Beppe Grillo in questo nostro frangente storico è pacifico.
Approfittiamo per riflettere intensamente su questo: anche noi, società più o meno civile, consideriamo le istituzioni che ci opprimono (secondo varie modalità) «come un dato stabilito per sempre»? Leggiamo ancora:

«I rapidi mutamenti di opinione e di umore della masse nei periodi rivoluzionari derivano dunque, non dalla duttilità e dalla mobilità della psiche umana, ma dal suo profondo conservatorismo. Poiché le idee e i rapporti sociali rimangono cronicamente in ritardo rispetto alle nuove condizioni oggettive, sinché queste condizioni non determinano un'esplosione, ne conseguono in periodi rivoluzionari, bruschi cambiamenti di idee e di sentimenti che cervelli polizieschi concepiscono puramente e semplicemente come il risultato dell'attività dei “demagoghi”.»

Le nostre idee e i nostri rapporti sociali sono cronicamente in ritardo rispetto alla realtà delle cose. Ostinarsi col riformismo è una delle più grandi fesserie, perché solo la morte riforma. Il problema, come superbamente intravvede Trotsky, è che saranno le condizioni oggettive a determinare un'esplosione sociale – e da qui il rinnovato pericolo che a far da detonatore a tali esplosioni siano i classici «cervelli polizieschi», i migliori garanti dello status quo sotto forma di una amara e violenta presa per il culo.

«Le masse danno inizio ad una rivoluzione non sulla base di un piano organico di trasformazione sociale, ma con la sensazione profonda di non poter più sopportare il vecchio regime. Solo gli strati dirigenti della loro classe dispongono di un programma politico, che tuttavia ha bisogno della verifica degli avvenimenti e dell'approvazione delle masse. Il processo politico essenziale di una rivoluzione consiste esattamente nel fatto che la classe acquista coscienza dei problemi posti dalla crisi sociale e le masse si orientano attivamente secondo il metodo delle approssimazioni successive. Le diverse fasi del processo rivoluzionario, concretizzate dall'affermarsi di partiti sempre più estremisti, traducono una spinta delle masse verso sinistra che continuamente si rafforza, sinché questo slancio non si infranga contro ostacoli oggettivi. Allora comincia la reazione: disillusione in certi ambienti della classe rivoluzionaria, accentuarsi dell'indifferenza, e, successivamente, consolidamento delle forze controrivolzionarie. Questo, almeno, lo schema delle vecchie rivoluzioni.»

E non esistendo più un partito che disponga un programma politico di lotta di classe, si sta qui e si sopporta stocazzo di ancien régime, anche perché tutto sommato si sta più o meno ancora bene, siamo il popolo d'Europa con la più alta percentuale di case di proprietà se non vado errando, frutto di una lungimirante politica di tenuta per le palle sociale che risale al dopoguerra (la casa bene sacro! mi ricordo un dettagliato post malviniano che però non ho appuntato).

A parte.
Il 9 maggio è la giornata della memoria delle vittime del terrorismo. 
Inoltre, il 9 maggio 1936, dal balcone centrale di Palazzo Venezia, Mussolini proclamò «la riapparizione dell'Impero sui colli fatali di Roma».