sabato 15 giugno 2013

Desiderare la felicità


Elio Vittorini, Uomini e no, (1945) edizione Mondadori, Milano 1975. 
No, non è per questo, anche se non sono la ragazza, quindi non so se mi è lecito rispondere. Il senso della vita non è necessariamente legato alla felicità. La felicità è un accessorio, a volte di lusso, a volte determinato dall'insipienza o dall'idiozia. Non è necessario essere felici, e che due palle essere felici. Come fai ad accorgerti che sei felice? Come puoi pretendere, presuntuosamente, di dichiarare al mondo “Io sono felice, questo è quello che conta”? Non bisogna lottare per la felicità, insomma. Per la giustizia, meglio. Ma la giustizia rende felici? No, rende consapevoli che esistono nel mondo, non solo privato, circoscritto al sé, delle ingiustizie, delle storture, delle sopraffazioni, diciamo («Mi sento tanto D'Alema quando dico “diciamo”». «Non lo dire, allora»).
Ma esiste una Giustizia valida per tutti, che potrebbe essere perseguita senza determinare altra ingiustizia? No; il perché è facile da intuire, vi prego di risparmiarmi lo sforzo di spiegarlo.
«Sforzati con un esempio minimo, soprattutto perché la tua intuizione non sia fraintesa».
«Ok, ci provo. Ogni “rivoluzione” determina un'ingiustizia per chi la subisce. Se «la storia di ogni società finora esistita è storia di lotta di classe» (cit.), va da sé che ogni classe che lotta per un tipo di giustizia diverso, sarà considerato ingiusto dalla classe avversa».
«Dunque, a buon diritto, può dichiararsi felice soltanto colui che appartiene alla classe dominante? E, di conseguenza, la classe dei dominati è composta da infelici?»
«Sotto l'aspetto della vita comoda, sì. Ma lascia da parte il concetto di felicità e concentrati su quello di giustizia. Il problema fondamentale della storia dell'umanità è che, finora, ogni classe dominante (in maggiore o minore gradazione) ha determinato sempre una condizione d'ingiustizia e, se vuoi, d'infelicità nella classe dei dominati, tenendo conto che, quest'ultima, è la classe alla quale appartiene la moltitudine di umani».
«Intendi dire che il dominio appartiene sempre e comunque a una élite?».
«Sì. Che il potere appartenga al popolo è la farsa più raffinata della rivoluzione borghese (nonché, a suo tempo, di quella socialista sovietica, cinese, eccetera, rivoluzioni sì popolari ma che, nel volgere di pochi anni, hanno prodotto infelicità, ovvero ingiustizia per il popolo)».
«E dunque, secondo te, una corretta realizzazione di giustizia popolare diffusa si potrebbe ottenere solo a scapito della giustizia riservata alle oligarchie (politico-finanziarie) al potere?».
«In un certo senso sì, ma non per riprodurre, sotto l'egida di altre divise (o casacche), lo stesso schema».
«In pratica se vai dai Riva o dai Lucchini o dai Marcegaglia o dagli Squinzi o dai Barilla o dagli Agnelli o dai Berlusconi (per restare in Italia) e gli togli, a tutti, equamente, il quasi tutto che hanno accumulato (lasciandogli solo un po' di pelo sui coglioni), compi sì un'ingiustizia, ma limitata e  a favore di una più ampia giustizia».
«Sì. Tutto questo però senza garantire la felicità al popolo. Cioè, togliamo loro tutto, ma lasciandogli pure, ad esempio a Lapo e a Marina, la felicità».
«Certo che non sarebbe male come prospettiva».
«Allora, orsù».

P.S.
Post ispirato dal ritorno di Minerva Jones, nello specifico dal titolo di questo suo post.

3 commenti:

Minerva ha detto...

Uhm... non so come prenderlo - e comunque quando hai queste reazioni mi fai paura ;-)

Luca Massaro ha detto...

Paura perché propongo una depilazione forzosa dei superabbienti? ;-)

Minerva ha detto...

Naturalmente :-D