lunedì 3 giugno 2013

La fame del magnate

Oggi, in appello, è stato condannato un magnate. Te magna.
Mi ha colpito cosa ha detto il suo avvocato italiano dopo la sentenza:
«Adesso quale imprenditore straniero investirà in Italia? Schmidheiny investì molto sulla sicurezza, spese 75 miliardi dell’epoca e non ne ebbe profitto. Ora è stato condannato 18 anni. È un incentivo?».
Ora, lasciando per un attimo da parte il fatto che è da un po' di anni che gli imprenditori stranieri non investono in Italia (per varie ragioni, sia perché impediti dalla “politica”, vedi i casi Alfa Romeo ed Alitalia; sia perché preferiscono comprare aziende italiane già qualificate in campo internazionale, vedi la Nuova Pignone), quanto è ragionevole ritenere che la suddetta sentenza allontani il capitale straniero dall'Italia? Solo in un caso, ben individuato dal pm Guariniello, il quale ravvisa che, tale sentenza,
«è un punto di riferimento per tutte le cause di disastro ambientale. [Essa] può aprire prospettive anche per l’Ilva di Taranto, per la Francia (dove sono aperte altre cause sugli effetti dell’amianto sulla salute, ndr) e per altri casi simili in Italia e nel Mondo».
In altri termini, i capitalisti (stranieri e non) cominceranno a preoccuparsi (un pochino, certo) solo se un gigante come l'Ilva finirà per essere nazionalizzato, ovvero espropriato per ripagare lavoratori e città di Taranto dei danni provocati dalla più grande acciaieria d'Europa: che il profitto sia reincanalato in un ciclo virtuoso di reale beneficio e progresso della società e non di rimpinzamento di una manica di pezzi di merda ingordi che fuggono all'estero. Ma io sogno.
Riuscirà un potere dello Stato, quale la Magistratura, nel suo esercizio specifico di far rispettare le leggi che lo Stato stesso si è dato, a spaventare davvero il capitale? Abbi dei dubbi, tu.

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