mercoledì 5 giugno 2013

L'uno, l'altra e viceversa

foto di Eugenio Recuenco
Tempo fa avevo un'amica. Con questa amica ci si scriveva. Scriversi era l'unico mezzo per conoscersi, dato che non ci conoscevamo di persona. Tuttavia, sapevamo che persone eravamo, l'uno per l'altra e viceversa, perché mediante la scrittura si riesce a manifestare ciò che si è più di quanto si riesca di persona. Scrivendosi si capisce subito se c'è sintonia, se c'è empatia, se c'è condivisione. Di persona, invece, prima di capirlo - salvo rari casi, di fatto eccezionali - si traccheggia sempre prima di entrare in contatto, si fanno mille moine, si gioca di pedina, prima di aprirsi e tentare un affondo passa tutta la fantasia. Così io e questa amica, entrambi desiderosi di entrare in comunione con una persona nuova che prima non conoscevamo, dopo poche lettere, meglio: dopo poche mail, siamo diventati così intimi e confidenti che pareva ci fossimo conosciuti da sempre, intuendo, l'una dell'altro e viceversa, le vicende che ci andavamo raccontando prima che ci fossero narrate, di come, cioè, le rivivessimo in una sorta di déjà vu.
Quante lettere, quanta vita trascorsa a leggere tali lettere abbiamo passato noi due. Vivevamo entrambi dentro le parole che ci scrivevamo. Eravamo onnipresenti durante il giorno, grazie anche a questi nuovi moderni mezzi di comunicazione che ci connettono praticamente in diretta e ovunque, senza tante attese né la mediazione dei servizi postali della nazione.
Ci si scriveva e ci si leggeva, rapidi, e subito si coglievano i pensieri dell'altro ben più profondamente di quanto possano fare, che ne so, due colleghi di lavoro che si parlano di lavoro, due amici che si incontrano in pizzeria, due coniugi che, stanchi, la sera rincasano e si chiudono ognuno dentro la propria privata voglia di riposare.
Quante parole, quante emozioni scambiate, a volte, anzi spesso, anche via chat! Ci sentivamo così vicini che, a volte, io perlomeno, ma credo che anche lei dato che me lo confessava, mi trovavo ad abbracciare la tastiera sulla quale anche adesso sto scrivendo: la sollevavo e la stringevo a me, sul petto, come se essa trasmettesse una specie di calore umano, quello delle mie dita, senz'altro.
Io e questa mia amica ci siamo scritti a lungo, per quasi due anni, sempre con la stessa intensità. Nondimeno, non ci siamo mai conosciuti di persona, per ovvie ragioni, la prima - e la più importante - è che sapevamo che, incontrandoci, non saremmo stati capaci di sillabare una sola parola di quelle che ci dicevamo. Nelle lettere, sovente, ci scappava persino la parola amore, figuriamoci, dunque. Amore? Amore dello scrivere, dello specchio riflesso dallo schermo di parole che ognuno scriveva per l'altro, sì, ma soprattutto per sé. Entrambi, infatti, eravamo consapevoli che ci scrivevamo soltanto per amare noi stessi: questo era lo scopo, mica altro. Potevamo noi darci appuntamento in non so dove, il tal giorno alla tal ora e incontrarci? Giammai. Certo, ce lo promettevamo, e tutte le volte, a turno, l'uno, l'altra e viceversa, trovavamo delle scuse per non essere andati all'appuntamento, tanto sapevamo che l'altro o l'altra non sarebbe stato presente - ma era così bello, così eccitante promettercelo, immaginarlo, andare a letto con l'agitazione giusta che impediva di addormentarsi tranquilli nel tepore solito del proprio letto consumato. Io mi ricordo perfettamente quelle notti passate a cercare di tenere ferma la fantasia, costringendomi a dormire in una posizione che poco mi si confà, prono, con la guancia destra a premere sul lenzuolo (quanti torcicollo). E la mattina seguente, prima ancora di prepararsi il caffè, correre al pc per vedere che invece della mail di conferma, ce n'era sempre una di disdetta, che a turno ci peritavamo di scrivere, per ripartire equamente le responsabilità.
Io e questa mia amica ci volevamo bene,  un bene dell'anima, ci raccontavamo i nostri sogni, i nostri desideri, le nostre speranze. Ci aiutavamo nei momenti d'incertezza e di sfiducia, facendoci reciproca forza. Stavamo così bene a scriverci insieme quando, improvvisa, è sorta una comune rottura di palle, una noia reciproca sì intensa e pervicace che, nel giro di due mail, ci siamo detti addio. Eravamo stanchi, l'uno dell'altra e viceversa. Non sapevamo più cosa scriverci, avendo esaurito tutto il vasto repertorio di sentimenti di amicizia e amore che, normalmente, una persona di media sensibilità possiede. E per rendere l'addio più definitivo e irreversibile, ognuno ha trovato una scusa efficace: lei mi ha fatto scrivere da un'amica che, per suo tramite, m'informa che lei ha perso la memoria e non si ricorda più ch'io sia; io, invece, ho risposto all'amica che le riferisse che, dopo una crisi spirituale repentina, mi sono chiuso in un convento e mi sono fatto frate. 
Io e la mia amica abbiamo smesso così d'essere amici e siamo diventati due perfetti sconosciuti.

1 commento:

Anonimo ha detto...

°°°
prima parte uguale. uguale sputata.
seconda, no.
nella mia, ha vinto la curiosità. mossa in svelamenti sempre più audaci.
fino all'appuntamento:
luogo affollato. d'accordo. senza segni distintivi. va bene! solo sesto senso. sì.
domani. 13.30. galleria Vittorio Emanuele ...

13.20. mi fermo in faccia alla libreria Garzanti. posizione strategica.
imbranato. ma vedo bene di riflesso e con la coda degli occhi
eccola. no.
è questa ... no.
13.35.
mi sfiora una figura. un'ombra. una sensazione. è lei

mi giro. è già oltre. si ferma: mi scusi ... lei ... è Claudio ?
sìii se le piace, risponde in un luminoso sorriso.
parole sottili. non sento.
faccio un passo. mi fermo. se ne stanno andando.
la vedo solo da dietro, in un delizioso tailleur.

no le ho più scritto. non mi ha più scritto.

°°°

claudio