mercoledì 26 giugno 2013

Una quasi lettera a Barbara Spinelli

Stimata Barbara, un tempo leggevo i suoi editoriali con più partecipazione e, a volte, entusiasmo perché essi svolgevano in me una tonificante azione pedagogica, fornendomi strumenti interpretativi per comprendere quale fosse la vera anima del liberalismo democratico europeo.
Come vede, uso l'imperfetto, non perché non creda che i suoi editoriali non possano svolgere in altri tale azione “educativa”. Il fatto è che, a mio avviso, il liberalismo laico e illuminato, del quale lei è una delle più prestigiose interpreti, non è e non sarà mai sufficiente a combattere i guasti del sistema economico attuale, che sta precipitando l'Europa e il mondo verso la barbarie. Questo perché il liberalismo delle democrazie europee, sia esso di matrice conservatrice oppure socialdemocratica, non ha fatto e non fa altro che avallare la legittimità della proprietà privata dei mezzi di produzione, e la divisione incolmabile tra lavoro e capitale.
L'unico modo per mitigare le storture del sistema economico presente è stato quello ben noto di far indebitare gli Stati nazionali. Mediante il debito pubblico, infatti, dal dopoguerra fino a pochi anni or sono, sono stati garantiti numerosi diritti “sociali”: sanità pubblica, pubblica istruzione, viabilità, sicurezza, cultura, eccetera; tutte quelle componenti, insomma, per cui vale la pena che lo Stato esista. Il problema è che al debito enorme che gli Stati hanno prodotto, consegue il credito di questi verso determinati investitori che mettono a frutto il plusvalore accumulato dalla classe dominante per mezzo dello sfruttamento legalizzato della merce lavoro. Dove cazzo li mettevano - e mettono - i soldi a iosa i grandi manipolatori della finanza mondiale? Chi tiene per le palle gli Stati in modo “legittimo”, liberale, democratico?
Il dramma del liberalismo - e di tutte le costituzioni democratiche e liberali che a esso s'ispirano - è che è stato totalmente fagocitato dal capitalismo e dalla classe dominante. Il liberalismo è l'alibi attraverso cui la maggioranza dei cittadini, che non fanno parte dell'oligarchia capitalista, è tenuta a debita distanza dalle decisioni veramente politiche e sociali - e questo accade, si badi bene, rispettando il principio supremo dell'eguaglianza politica e giuridica stabilita da ogni costituzione democratica che si rispetti. E qui sta il punto: l'eguaglianza politica e giuridica sono lettera morta davanti alla diversità del potere economico; potere che si fonda, ribadiamolo, sull'arbitrarietà della proprietà privata* e sulla divisione tra lavoro e capitale, tra chi possiede e chi è posseduto, tra chi non ha altro da vendere che la propria forza lavoro e chi compra tale forza non pagandola mai il reale dovuto (ed è ciò che determina la formazione del plusvalore).
Gli Stati liberali, gentile Barbara, devono fare i conti con il paradosso che Marx rimproverava debitamente a Proudhon:
«Davvero bisogna essere sprovvisti di ogni conoscenza storica per ignorare che i sovrani di tutti i tempi hanno subìto le condizioni economiche, e non sono mai stati essi a far legge in questo campo. La legislazione sia politica che civile non fa che pronunciare, che verbalizzare, la volontà dei rapporti economici».**
È la volontà dei rapporti economici che fa redigere impunemente a JPMorgan la sua analisi critica sui sistemi politici del Sud Europa. Infatti, perché, di contro, non ci sono Stati sovrani che scrivono rapporti critici e dettagliati sulle banche d'affari, magari anche perseguendole giuridicamente con determinate leggi?
Il punto è che il liberalismo oggi, per uscire dalle sabbie mobili in cui è stato cacciato, deve aggrapparsi alla teoria economica e sociale di Karl Marx. Non per raddrizzare il legno storto dell'umanità, ma per darlo in testa alla classe sociale dominante che, di tale legno, ne sta facendo cenere.

*Considero arbitraria ogni proprietà privata che è, di fatto, ambiente pubblico, ovvero che invade e soffoca il pubblico; vedasi, per restare in Italia, la Fiat, Mediaset, l'Ilva, Cir, Mediobanca,
eccetera eccetera.

**K. Marx, Miseria della filosofia, 1846-47.

3 commenti:

siu ha detto...

Avrei difficoltà ad aggiungere o togliere anche una sola virgola: forte, chiaro e condivisibile, con tutto anche il mio rammarico per la giustamente apprezzata figlia di Altiero.

luigi castaldi ha detto...

Ma sì, dittatura del proletariato, qui e subito.

Luca Massaro ha detto...

Basterebbe una democrazia proletaria, senza un Capanna dittatore, va da sé.

E tuttavia...
In virtù di nessuna appartenenza partitica o movimentistica, e senza alcuna indulgenza per ciò che il socialismo reale è stato (ed è, grottescamente, ancora), occorre una nuova sintesi marxiana, tipo quella legata all'evoluzionismo che ha fatto incontrare Darwin e Mendel.
Ecco, Marx ce l'abbiamo, proviamo non a costruire un paradiso, ma un'ipotesi di società liberale dove non ci sia scampo per chi prende per il culo la parola libertà.