mercoledì 31 luglio 2013

Mettere fuori gioco le teste di cazzo


Our time gets to be veiled, compromised
By the portrait's will to endure. It hints at
Our own, which we were hoping to keep hidden.
We don't need paintings or
Doggerel written by mature poets when
The explosion is so precise, so fine.
Is there any point even in acknowledging
The existence of all that? Does it
Exist? Certainly the leisure to
Indulge stately pastimes doesn't,
Any more. Today has no margins, the event arrives
Flush with its edges, is of the same substance,
Indistinguishable. "Play" is something else;
It exists, in a society specifically
Organized as a demonstration of itself.
There is no other way, and those assholes
Who would confuse everything with their mirror games
Which seem to multiply stakes and possibilities, or
At least confuse issues by means of an investing
Aura that would corrode the architecture
Of the whole in a haze of suppressed mockery,
Are beside the point. They are out of the game,
Which doesn't exist until they are out of it


versi tratti da John Ashbery, Self-Portrait in a Convex Mirror, The Viking Press 1975

Il nostro tempo comincia a essere velato, compromesso
dalla volontà del ritratto di durare. Lascia intravedere
la nostra stessa, che speravamo di tener nascosta.
Non abbiamo bisogno di dipinti o
di tiritere scritte da maturi poeti quando
l'esplosione è così precisa, così fine.
C'è un qualche senso poi nel riconoscere
l'esistenza di tutto ciò?
Esiste? Certamente il tempo a disposizione
per compiacersi di passatempi maestosi no,
non più. L'oggi non ha margini, l'evento arriva
di botto con i suoi bordi, è della stessa sostanza,
indistinguibile. “Gioco” è qualcos'altro;
esiste, in una società specificamente
organizzata a dimostrazione di se stessa.
Non c'è altro modo, e quelle teste di cazzo
che vorrebbero confondere ogni cosa con i loro giochi di specchio
che sembrano moltiplicare poste e possibilità, o
almeno confondere le idee per mezzo di un'aura
che investe e che corroderebbe l'architettura
dell'insieme in una foschia di scherno soppresso,
sono fuori tema. Sono fuori gioco,
che non esiste sino a che non ne sono esclusi.

Traduzione di Aldo Busi, Autoritratto in uno specchio convesso, Garzanti, Milano 1983

Strappo questi versi dalla loro sede nel tentativo, abbastanza vano, di capire il nostro tempo. L'immobilità del popolo sovrano è determinata dalla volontà di tirare a campare, più o meno bene, con quello che gli è dato. Tuttavia, anche se non ce ne siamo accorti, l'esplosione è già avvenuta, c'è stata una rottura epistemologica - che qualcuno, a giusto titolo, potrebbe anche chiamare rottura di coglioni - che è coincisa, in Italia soprattutto, con la spudoratezza del potere. Perdita totale di ritegno, di freni inibitori, nessun limite alla propaganda: i testa di cazzo hanno occupato tutti i posti di comando e sono riusciti a imbrogliare le carte, a confondere le idee, a rendere impraticabile qualsiasi alternativa di sistema.

Buchidiculo (assholes) che, da più di vent'anni, defecano sulla nazione impunemente con la complicità perversa di chi si riprometteva di esserne sciacquone. 

Per la verità, non volevo limitare il discorso all'Italia. Ma mi ha sempre fatto incazzare il fatto che l'Italia non abbia mai provato a essere un paese politicamente decente per vedere l'effetto che fa.
Poi, va da sé, comprendo che il problema è più generale, non solo italiano, e riguarda il sistema economico e sociale capitalista che ha rapito il pianeta e ci rende, noi umani non capitalisti - i rapiti - come affetti da una sorta di sindrome di Stoccolma: non vediamo alternativa ai nostri padroni, che non chiamiamo più padroni, no, tutt'al più presidenti.

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