lunedì 26 agosto 2013

Lucas doing his homework


Stamani ho scoperto questo dipinto e mi sono incantato, sono andato indietro nel tempo, mi sono rivisto prima bambino, poi ragazzo e anche ora, in una supponente età di mezzo, dentro il mio lavoro, una finestra, uno scrittoio, uno schermo e una tastiera al posto dei fogli svolazzanti e gli occhi che, sovente, si socchiudono per far decollare l'immaginazione.
E le mani in tasca, pure, perché l'immaginazione ha bisogno di sensorialità, di toccare ciò che vede nel ricordo o nella costruzione fantasiosa di possibili (o impossibili) vissuti. A volte, qualcosa tra le mani cresce ed è buon segno, il presentarsi di un piacere che vivifica dopo che, col tempo e l'esercizio, ha smesso di mortificare. 
Cullarsi dentro una solitudine controllata, l'esser circondato da oggetti che riflettono il pensiero - ecco, questo ho sempre amato sin da piccolo, e non ho mai capito, mai, chi non sopporta neanche un minuto di restare solo. Per me la solitudine - come diceva qualcuno ma non ricordo chi - è spagnola, nel senso di soledad, parola che contiene il sole e non la chiusura, il calore percepito del proprio corpo e non il freddo, la capacità di autoabbracciarsi e di assumere, come Belacqua (tanto amato da Samuel Beckett), una posizione intrauterina, la navigazione nel liquido amniotico della quotidianità.
Oramai sono nato, e il caso e la necessità (insieme a determinate condizioni sociali)  hanno favorito, in me, una sorta di eudemonismo, di apprezzamento del vivere in sé, nella convinzione che sia una fortuna essere piuttosto che non. Ho avuto culo, chissà, e spero di continuare ad averlo quanto basta per non perdere la testa e proclamare vangeli. Tra l'infinitamente piccolo e viceversa sentirsi nel mezzo, anche e soprattutto dentro la circonferenza che contiene tutti gli umani, tra i pochi pezzi di merda al centro che consumano il mondo e la moltitudine periferica dei disperati, quelli che fanno numero ma non sono o vorrebbero non essere, persi dentro fame e guerre, barconi e gradini delle stazioni ferroviarie occidentali. 
Le mani continuano a frugare, con insistenza. Ora stop, è bene apra gli occhi e la smetta. Questo autocompiacimento (che in fondo è un autoassolversi) è stucchevole. Per fortuna, il bagno il vicino. Per curare l'orgoglio, credete, non c'è niente di meglio che lo sciacquone.

2 commenti:

guardaitreni ha detto...

Bello

Luca Massaro ha detto...

Grazie A., piacere ritrovarti.