mercoledì 23 ottobre 2013

Dio ergastolano

"Per favore - ha detto Bergoglio ai cappellani- dite che prego per loro: li ho a cuore. Prego il Signore e la Madonna che possano superare positivamente questo periodo difficile della loro vita. Che non si scoraggino, non si chiudano". Un messaggio che, come dice il Papa, va comunicato col cuore: "dire loro con i gesti, con le parole, con il cuore, che il Signore non rimane fuori dalla loro cella, non rimane fuori dal carcere: è dentro, è lì. Potete dire loro questo: il Signore è dentro con loro; anche Lui è un carcerato, ancora, eh? Dei nostri egoismi, dei nostri sistemi, di tante ingiustizie che sono facili per punire il più debole, no? Ma i pesci grossi nuotano liberamente nelle acque, no? Nessuna cella è così isolata da escludere il Signore, nessuna: Lui è lì, piange con loro, lavora con loro, spera con loro".
È Dio un carcerato? A vita eterna? Se gliela doniamo noi la vita eterna. Se invece lo liberassimo nella sua inesistenza, fargli spazio nello spazio del possibile, togliergli ogni riduzione umana stupefacente e consolante, farne cenere. Gaia scienza. Dio è morto, Dio eccetera. E basta con questo Dio utensile pronto per accomodare tutte le umane situazioni. Dio cacciavite di un'umanità spanata. 
Più che mandare Dio in carcere con loro, farebbe meglio, il Papa, a procurare ai carcerati un paracleto (avvocato), rinomato, tipo il Coppi. Se proprio proprio non sono delinquenti come Berlusconi forse, in cassazione, anche Dio-Paracleto potrà fare qualcosa.
Ma chi è il paracleto?

«In greco, parakletos è l'equivalente esatto dell'italiano avvocato, o del latino ad-vocatus. Il paracleto è chiamato presso l'imputato, la vittima, per parlare al posto suo e in suo nome, per servigli da difensore. Il Paracleto è l'avvocato universale, il preposto alla difesa di tutte le vittime innocenti, il distruttore di ogni rappresentazione persecutoria. È dunque lo Spirito di Verità, colui che dissipa le nebbie di ogni mitologia.
Vale la pena di chiedersi come mai Girolamo, questo formidabile traduttore che generalmente non manca di audacia, sia indietreggiato davanti alla traduzione di un nome comune così consueto come parakletos. Egli è letteralmente vinto dallo stupore. Non vede la pertinenza di questo termine e opta per una traslitterazione pura e semplice, Parakletus. Il suo esempio è religiosamente seguito nella maggior parte delle lingue moderne, per cui abbiamo Paracleto, Paraclet, Paraklet, ecc. Da allora in poi, questo vocabolo misterioso non ha smesso di concretare, con la sua opacità, non l'inintelligibilità di un testo in verità perfettamente intelligibile ma l'inintelligenza degli interpreti, quella stessa che Gesù rimprovera ai suoi discepoli e che si perpetua, e spesso si aggrava, nei popoli evangelizzati.
Sul Paracleto, beninteso, esistono innumerevoli studi, ma nessuno dà una soluzione soddisfacente, perché tutti definiscono il problema in termini strettamente teologici. Il prodigioso significato storico e culturale resta inaccessibile, e generalmente si finisce per concludere che, se è veramente avvocato di qualcuno, il Paracleto deve farsi avvocato dei discepoli presso il Padre. Questa soluzione invoca un passo della prima epistola di Giovanni: Ma se qualcuno ha peccato, noi abbiamo come avvocato presso il Padre Gesù Cristo, il giusto (1 Gv., 2, 1)... Parakletos.
Il testo di Giovanni fa di Gesù stesso un Paracleto. Nel Vangelo dello stesso autore, Gesù appare effettivamente come il primo Paracleto inviato agli uomini:
Io pregherò il Padre
ed egli vi manderà un altro Paracleto,
perché rimanga con voi per sempre,
lo Spirito di Verità,
che il mondo non può ricevere,
perché non lo vede e non lo conosce
(Gv., 14, 16-17).
Cristo è il Paracleto per eccellenza, nella lotta contro la rappresentazione persecutoria, giacché ogni difesa e riabilitazione delle vittime si fonda sulla potenza rivelatrice della passione ma, dopo la sua partenza, lo Spirito di Verità, il secondo Paracleto, farà brillare per tutti gli uomini la luce che è già presente nel mondo, e che gli uomini cercheranno il più a lungo possibile di non vedere.»
René Girard, Le bouc émissaire, Paris, 1982, ed. it. Il capro espiatorio, Adelphi, Milano 1987 pag. 319-320 (traduzione di Christine Leverd e F. Bovoli)

1 commento:

Anonimo ha detto...

...io l'ho detto dal primo giorno che jorgemario è una purissima radica di paracleto - ma non l'ho argomentato così perché non volevo mettermi in cattiva luce con san girolamo.