domenica 13 ottobre 2013

Non mi passa altro per la mente, credimi

«Dio, che giornata eterna! Bah! che giornata. Vuoi sapere che ore sono, secondo il mio fuso? Le quattro del pomeriggio. Ehi, se tu fossi qui adesso, sorellina, mamma, figlia, amante (nipote, zietta, nonnina) forse potremmo chiacchierare un po' e rannicchiarci vicini – niente porcherie. Solo incastrarci a cucchiaino. Forse mi lasceresti appoggiare il faccione grigio tra le dolci parentesi alate delle tue scapole, non mi passa altro per la mente, credimi. Lo so che sei una creatura innocente. Una che non fuma, non beve e non scopa tanto in giro, scommetto. Mi sbaglio? È per questo che ti amo... In ogni modo, per come la vedevo io, le alternative realistiche di cui disponevo erano sei. Mettermi subito a letto, con un po' di scotch e qualche Serafim in corpo. Tornare all'Happy Isles e vedere come se la cavava la piccola Moby. Chiamare Doris Arthur. Acchiappare uno spettacolo hard core dietro l'angolo, sulla maledetta Settima Avenue. Uscire a ubriacarmi. Restare e ubriacarmi.»
Martin Amis, Money, (1984), Einaudi, Torino 1999 (traduzione di Susanna Basso).


È troppo tempo che non mi ubriaco, porca puttana, e non so neanche perché. O meglio, lo so, il perché: perché l'ultima volta che mi sono ubriacato, dopo, sono stato così male, ho vomitato l'anima, ho perso quasi i sensi, e il mal di capo conseguente mi ha tormentato per un'intera giornata. Quindi evito, in primo luogo per i postumi. Ma anche perché, in fondo, lo stato euforico non mi dice più un cazzo, disinibito lo sono abbastanza, e l'ottundimento mentale causato da alcol o droghe lo trovo analogo a quello determinato dalla fede (a differenza che, quest'ultima, una volta assunta, ha effetti più a lungo termine, quasi sempre al termine). Insomma, uscire fuori di sé non mi sembra il caso, ci sono troppi effetti collaterali. Meglio divertirsi con quanto già siamo, maschere senza maschera, mendicanti in cerca di piacere e di consolazione tra le dolci parentesi alate delle scapole altrui.

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