martedì 29 ottobre 2013

Un ramo storto

«Quale uomo che pensa non cerca un altrove?»*

Sono un legno storto che non ha alcuna passione di raddrizzare il prossimo storto quanto o più di me, né di farmi raddrizzare da coloro che tentano di convincermi che la mia stortura potrebbe essere guarita. Certo, mi piace leggere Seneca o Epitteto, ma solo nella misura che li riservo a me, mai mi sognerei di dire fai questo e fai quello, per essere felici basta seguire determinate istruzioni, segui pure il mio manuale della felicità. No, io ho difficoltà a seguire chiunque, persino quelli che - senza che essi lo sappiano o se lo sanno è uguale - considero miei maestri, assumo solo quanto mente corpo miei riescono ad assumere, informazioni che il mio egotismo elabora, a livello più o meno cosciente; e sia che riesca a sopire l'inquietudine, sia che invece il male di vivere m'incartocci come una foglia d'autunno (Eusebio), tutto ho voglia fuorché di dire perché sono felice oppure no.  Posso dire soltanto che sono cazzi miei e, se mi trattengo dal non dirlo, dovete sapere che dietro il mio sorriso compiacente si nasconde questa terminologia da trivio.

Eppure ho a cuore l'uomo in senso lato; patisco, dispero e compatisco (cit. Ceronetti) una misurata passione politica, anche se questa è data solamente dall'idea, in sé banale, che non siamo soli al mondo, che il solipsismo è una delle più grandi cagate intellettuali partorite da mente umana, roba da ricovero, per intenderci, e che quindi, dacché siamo animali sociali che abitano la città - e per città a questo punto va inteso, senza mezzi termini, il pianeta intero - non ci si può esimere da un pensiero politico, sia pure superficiale, perché dentro la città avvengono le condizioni del nostro vivere, del nostro essere tout court. 

E in questo mondo in cui la conoscenza è alla portata di tutti, quello che fa più specie a me in quanto individuo tendente a fare i cazzi miei, è proprio la totale presa per il culo di coloro che asseriscono di governare per il mio bene, inteso come il bene del cittadino, quando invece, da sempre, e spudoratamente (a parte qualche nobile eccezione) chi si è incaricato di governarci ha sempre esercitato il potere allo scopo di salvaguardare i propri interessi o quelli di una parte soltanto, e irrisoria, di terrestri.

Ma tutto questo non c'entra niente con quanto avevo in animo di dire. In animo ho il niente che si pavoneggia di essere qualcosa. Tanto quanto basta per continuare il mio percorso di nudo, storto ramo attaccato all'albero della vita. Non mi va di segarmi e farmi modellare da un desiderio analogo a quello di Geppetto. Di più: per evitare di uccidere la saggezza dei grilli, faccio finta che non parlino a me, ma a se stessi. Perché la salvezza viene da se stessi, mica dagli Ebrei

Le parole mentono così forte che hanno cessato di ingannare». Guido Ceronetti, “La salvezza non viene dagli ebrei - come il fungo, cresce improvvisa e senza perché”, saggio di postfazione a Léon Bloy, Dagli ebrei la salvezza, Adelphi, Milano 1994

2 commenti:

Anonimo ha detto...

"Posso dire soltanto che sono cazzi miei e, se mi trattengo dal non dirlo, dovete sapere..."

leggo e non sempre non capisco, ma non desisto - non voglio non ammettere che non è merito mio.

Luca Massaro ha detto...

tra un po' rispondo ché ho trovato qualcuno che lo spiega meglio il mio non dire un