lunedì 4 novembre 2013

Desiderio e potere

«Hanno detto a chi le interrogava e le assisteva nell'interrogatorio, non vogliono essere chiamate né bambine né prostitute: non si sentono né l'una né l'altra. Gli psicologi forensi hanno scritto nelle loro relazioni, dopo i colloqui, più o meno così: “L'idea di sé di queste ragazze corrisponde ad un'età molto maggiore di quella anagrafica. Anche l'aspetto  -  l'abbigliamento, gli accessori, i tatuaggi, il trucco - tradisce l'ansia di apparire adulte. In ogni caso non si percepiscono come vittime di violenza sessuale, hanno al contrario l'impressione di dominare la situazione. Sono loro che tengono in pugno le persone che incontrano e a cui chiedono denaro, pensano. Sono loro che decidono che cosa fare e con chi, percepiscono gli uomini come deboli, ne parlano con disprezzo e sarcasmo, non attribuiscono al fatto di cedere il corpo in cambio di denaro nessun disvalore. Considerano anzi il fatto di suscitare desiderio una forma di potere”. È un potere, suscitare desiderio.» Concita De Gregorio, “Gli amori disperati”, La Repubblica.
L'intera storia della vicenda la trovate nell'articolo. Una storia molto triste. Provo a uscirne, dalla tristezza, e a concentrarmi sull'estratto riportato, in particolare su questa frase: le ragazze «considerano [...] il fatto di suscitare desiderio una forma di potere». Boom. Tanta saggezza e non hanno ancora conseguito il diploma di maturità. Dove avranno imparato tale segreto? Chi glielo avrà rivelato? Quali modelli avranno seguito - perché di una cosa siamo sicuri, è vero: non lo avranno scoperto da sole questo segreto, ma lo avranno visto in azione da qualche parte il potere del desiderio. Dove? In televisione (un video maialotto su mtv), al cinema, ai concerti, su facebook? Non ha importanza, basta poco, basta il fiuto, come accadde a Salomè, il desiderio è come un'onda radio che trova sempre antenne capaci di ricevere e trasmettere, alla propria mente, il segnale.

Altra cosa. Prendiamo due estremi, questo delle due ragazze minorenni che facevano sesso a pagamento di loro spontanea volontà (lasciamo perdere quanto la volontà di una minorenne possa risultare “spontanea”), e quello di due ragazze della stessa età, ad esempio pakistane o indiane (di religione o musulmana o indù) che sono costrette a sposarsi per procura e a diventare schiave dei loro mariti. Bene, quale dei due destinacci infami è meno peggio?

Sarò un irresponsabile¹, tuttavia mi sembrano meno vittime le due regazzine di Roma perché, apparentemente, hanno scelto loro come usare e sfruttare il capitale costituito dal loro corpo; insomma, sono state libere di e non costrette a prostituirsi² (nondimeno, vanno perseguiti senza equivoci coloro che le hanno coadiuvate a svolgere tali pratiche prostitutive, e altrettanto tanto gli utilizzatori finali).

¹Irresponsabile perché ho due figlie (terza media, quinta elementare: non sono i loro nomi e cognomi), le quali, dato il contesto storico-sociale, hanno molta più probabilità di comportarsi come le due ragazze di Roma, di quanta invece io le costringa a sposare per procura un un imam, un brahmano, un rabbino o un pastore anglicano. Potrei, ancor più irresponsabilmente, pormi questa domanda: tra una figlia che decide di diventare puttana per mantenersi il telefono e una figlia che mette il velo perché si è innamorata di un imam, cosa preferirei scegliere? Faccio prima a rinunciare alla patria potestà.

²Come sono state (e sono) costrette, invece, moltissime giovani peripatetiche dell'Europa dell'Est o di altrove.

6 commenti:

giovanni ha detto...

Il paragone corretto rimane comunque quello tra una ragazza che decide di prostituirsi qui o altrove, non tra la libertà di farlo e l'obbligo a indossare qualcosa.
Oppure: tra lo schiavizzare qualcuno qui e altrove.
Quegli abiti non tutelano e non sono concepiti per tutelare nessuno, ma per soggiogare.
Infine: mi darebbe più dolore sapere che mia figlia rinunci alla libertà piuttosto che ne faccia un uso "spregiudicato".

Luca Massaro ha detto...

Sì, hai ragione, il mio è stato un raffronto goffo che mira(va) soltanto a un parallelo tra la possibilità di vita tra ragazze che vivono in contesti storici, sociali ed economici diversi.

giovanni ha detto...

Nell'ultima frase mi sono fatto coniugare i verbi dal gatto.

Anonimo ha detto...

...io non saprei come spiegare a una ipotetica figlia che andare a fare la commessa in una butik (dove, eventualmente, se il marito della padrona ti tocca il culo sarà comunque meglio far finta di nulla) è PIÙ DIGNITOSO che prostituirsi.

vedo che a te le parole non mancano certo, dunque in bocca al lupo...
:)

Romeo ha detto...

"Un un imam" unito - oggi mi viene da unire le parole - diventa ununimam, che a me fa venire associata l'unanimità materna, mentre per il padre si sa che le cose sono assai più difficili - lo raziocino va forte in pianura ma arranca in altura, così me par che fai lo duro per indurir lo core, Lucas: a certe cose lo pensier n'arriva de carne y de sangue - va de parola.

Luca Massaro ha detto...

@ rs.
Il lupo del Baltico?

@ Romeo
quasi quasi lo lascio il raddoppio dell'indeterminativo... ;-)