mercoledì 27 novembre 2013

Evangelii odium


«Lenin era un grande conoscitore e ammiratore di Clausewitz […] Ciò che Lenin poteva apprendere da Clausewitz, e imparò fino in fondo, non è soltanto la famosa formula della guerra come continuazione della politica. È anche quell'altra nozione riguardante il modo di distinguere l'amico dal nemico e che questo è la cosa più importante perché definisce non solo il tipo di guerra ma anche il tipo di politica. Solo la guerra rivoluzionaria è, per Lenin, la guerra vera perché si fonda sulla inimicizia assoluta. Tutto il resto è gioco convenzionale» […]
«La guerra dell'inimicizia assoluta non conosce alcuna limitazione. Essa trova la sua giustificazione e il suo senso proprio in questa volontà di arrivare alle estreme conseguenze. La sola questione che resta è dunque questa: esiste un nemico assoluto, e chi è in concreto? Per Lenin la risposta era immediata, e la sua superiorità su tutti gli altri socialisti e marxisti deriva proprio dall'aver preso sul serio il concetto di inimicizia totale. Il suo nemico assoluto, vero, era l'avversario di classe, il borghese, il capitalista occidentale e il di lui ordine sociale di ogni paese ove esso fosse al potere. Sapere chi era il proprio nemico fu il segreto dell'eccezionale forza d'urto di Lenin. Per questo capì così bene il partigiano. Questi, nel mondo moderno, era diventato il vero irregolare e perciò stesso la più forte negazione dell'ordine capitalistico esistente: egli era chiamato a realizzare l'inimicizia reale».
Carl Schmitt, Teoria del partigiano, (Berlino 1963), Il Saggiatore, Milano 1981, pag. 39-41 (traduzione di Antonio De Martinis).

Mi sono imbattuto nella saga familiare del patron dell'Esselunga.

Uno sputtanamento così franco non può non suscitare simpatia – e quindi: un plauso allo sfogo di Caprotti che ha rotto gli argini del canone borghese famiglia-panni sporchi. Anche i ricchi piangono.

Nondimeno, va rilevato, le faide familiari provocate da questioni di soldi capitano anche in famiglie dai capitali ben più miseri. Quindi, scandalizzarsi e fare il moralista sostenendo che il denaro è lo sterco del diavolo è un compito che lasciamo volentieri nelle mani del Papa.

Già, oggi è stata pubblicata l'esortazione evangelica papale, nella quale, tra le varie cose, viene anche detto qualcosa di condivisibile:
« Parlando delle sfide del mondo contemporaneo, il Papa denuncia l’attuale sistema economico: “è ingiusto alla radice”. “Questa economia uccide” perché prevale la “legge del più forte”. L’attuale cultura dello “scarto” ha creato “qualcosa di nuovo”: “gli esclusi non sono ‘sfruttati’ ma rifiuti, ‘avanzi’”. Viviamo “una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale” di un “mercato divinizzato” dove regnano “speculazione finanziaria”, “corruzione ramificata”, “evasione fiscale egoista”. »
Bene, bravo, bis. E poi? E ora che si fa? Si prega? S'invoca il gaudio evangelico e l'amore del prossimo sperando che i ricchi si convertano tutti e lascino i loro averi non ai figli, ma alla Chiesa, ché poi ci penserà Lei a fare del bene agli esclusi?

No. Se un sistema economico è ingiusto alla radice, esso va combattuto alla radice. E limitarsi alla denuncia dei suoi vizi, senza indagare le cause che li pongono in essere, non impedisce al sistema di continuare a essere vizioso.

Per quanto riguarda l'economia, credere che le responsabilità siano individuali è roba da catechisti ingenui. Non è colpa dell'avidità degli individui che il capitalismo è ingiusto alla radice. Prendiamo Caprotti: non sarà uno stinco di santo (ha pure divorziato!), però, corbezzoli, quanta beneficenza. E questo grazie ai suoi 62 anni di lavoro... lui sì che si è meritato la fortuna che ha avuto.

62 anni di lavoro: ha lavorato più di un Papa.

Bene, è sicuro che nessun altro dipendente di Esselunga abbia lavorato altrettanto tempo. Però due sì, anche di più, ma questo è un dettaglio. Non è un dettaglio, invece, che due o duecento o duemila persone che hanno lavorato poniamo 35 anni (a essere ottimisti) per 40 ore a settimana (altro ottimismo), ferie comprese, non siano riuscite minimamente a eguagliare l'intero quantitativo di capitale di un solo uomo, ad esempio Caprotti. Perché? 
Perché lui è più bravo? Ma mettiti, evangelicamente, una pietra al collo.
Perché l'uno è proprietario dei mezzi di produzione, ecco tutto, e gli altri no. Gli altri hanno venduto a prezzo di mercato la loro forza lavoro.
E quindi non potranno essere né troppo cattivi (litigare coi propri figli!) né troppo buoni (fare tutto quel bendiddio di carità).
Tutt'al più, potranno istigare alla prostituzione le proprie figlie e, come beneficenza, inviare un sms di 2 euro per le Filippine.

Per concludere, riallacciandomi al brano sopra riportato: se si vuole realmente combattere l'ingiustizia che fonda l'attuale sistema economico, occorre iniziare a prendere sul serio il concetto di inimicizia totale. È probabile che solo ritrovando un sano odio di classe - scevro da ogni dialettica del risentimento - si riesca a muovere una efficace lotta politica. Al momento, però, prevale ancora l'emulazione (con poco ricambio: dato un Caprotti, si ottengono i Caprotti figli), il servilismo, il fatalismo impotente. 

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