giovedì 7 novembre 2013

The labour of the poor being the mines of the rich

Potesse l'umanità vivere gli ultimi giorni della sua esistenza tutta allo stesso pari e livello dei deportati d'Arcore o, in minore, del figlio della Cancellieri che ha succhiato legittimamente - grazie alla sua madre santa, ogni onore e gloria al matriarcato - un po' di dolce pus del capitale di una manica di imprendocorruttori trapassati in giudicato.
Grattarsi le palle o il monte di Venere senza fare un cazzo o fica altro da mane a sera. Pensieri zero se non quelli legati al tempo che passa e suoi relativi corollari, riflettere intorno al senso della vita da una chiara posizione di privilegio e scazzo, giocare alla roulette russa ma in luogo della pistola usare un vibratore. Situazioni.
Tuttavia, anche a fortissimamente volerlo, per tutti gli umani non ci sarà mai tale condizione di sbrodolamento gaudente continuo, ché senza servitori oppure schiavi - senza insomma qualcuno che in qualche modo si prende la briga di lavorare per noi umani uncazzofacenti - il godimento avrà vita breve, la merda alle pareti del water qualcuno dovrà pure levarla, nonostante le idee delle signore luise, qualcuno dovrà pure portarci libagioni e offrirci tutto quello che le nostre mani lubriche non saranno capaci di fornire per farci sopravvivere.

«Se qualcuno avesse 100.000 acri e altrettante lire sterline di denaro e altrettanto bestiame, che cosa sarebbe l'uomo ricco senza il lavoratore se non egli stesso un lavoratore? E come i lavoratori arricchiscono la gente, allo stesso modo tanto più lavoratori, tanto più ricchi... Il lavoro del povero è la miniera del ricco». John Bellers, Proposals for raising, 1696 (citato da Karl Marx, in Il Capitale, Libro Primo, cap. 23, pag. 756 edizione Einaudi).
Ed è in ragione di tale impossibilità, del diventare tutti non dico ricchi, ma uncazzofacenti stipendiati benone, tipo quelli che si raduneranno al Consiglio Nazionale di Forza Italia, o al congresso per le primare del Partito Democratico,  che, mezzo assonnato, digitando quasi in uno stato onirico, invoco lo sciopero generale di tutti coloro che per vivere devono lavorare o dovrebbero ma non possono perché sono disoccupati, o hanno dovuto lavorare e adesso sono in pensione ma non in pensione come quel aarrgghh di Lamberto Dini - uno sciopero, in breve, che paralizzi la società lasciando tutti i puzzoni sospesi sul cesso e appesi all'ultimo foglio di carta igienica.

2 commenti:

Olympe de Gouges ha detto...

purtroppo, caro Luca, ciò che proponi, provocatoriamente e però giustamente, non è possibile per un semplice fatto, ovvero il povero uno sciopero lo può sopportare per qualche giorno, poi il bisogno s'impone. il ricco, perché tale, può resistere ad uno sciopero molto più a lungo, anche perché trova sempre qualche crumiro che gli porta la carta igienica. dunque l'arma dello sciopero può essere efficace per un tempo molto limitato e per obiettivi limitati. per combattere la guerra di classe servono armi più decisive. non tanto per eliminare i ricchi, ma i presupposti stessi della grande ricchezza da un lato e del grande bisogno dall'altro. fintanto che ciò non accadrà va bene anche lo sciopero. ma non a scuola ;)

Luca Massaro ha detto...

Come degli Amleti, prima di diventare completamente folli, speriamo di scoprirle queste armi per colpire il bersaglio giusto sia fuori che dietro il sipario.