giovedì 31 ottobre 2013

Così, giusto per ricordarlo

«La partita non è finita», dice a fortiori Silvio il Sordido. Per spiegarne le ragioni occorrerebbe fare come sempre fa Franco Cordero: un riassuntino della vicenda imprenditoriale e politica dell'egoarca dagli albori a oggi. Non ne ho voglia, presuppongo tutto quello che c'è da presupporre e arrivo al punto.
Sulle reti Mediaset vanno in onda tre spot autocelebrativi dell'azienda, tutti all'insegna dello slogan «Così, giusto per ricordarlo» (vedi anche qui e qua)
Mediaset ricorda, dunque, ma non ricorda tutto: è molto selettiva nei ricordi, ci sono molte omissioni, molti rimossi: occorrerà mica uno psicoanalista aziendale? Per parte mia, unitamente agli articoli sopra linkati, vorrei ricordare l'indimenticabile stagione dei decreti Berlusconi emanati, tra il 1984 e il 1985, dal governo Craxi, soprattutto riportando un estratto di un articolo di Vittorio Feltri scritto per l'Europeo dell'11 agosto 1990:
« Per quattordici anni, diconsi quattordici anni, la Fininvest ha scippato vari privilegi, complici i partiti: la Dc, il Pri, il Psdi, il Pli e il Pci con la loro stolida inerzia; e il Psi con il suo attivismo furfantesco, cui si deve tra l'altro la perla denominata 'decreto Berlusconi', cioè la scappatoia che consente all'intestatario di fare provvisoriamente i propri comodi in attesa che possa farseli definitivamente. Decreto elaborato in fretta e furia nel 1984 ad opera di Bettino Craxi in persona, decreto in sospetta posizione di fuorigioco costituzionale, decreto che perfino in una repubblica delle banane avrebbe suscitato scandalo e sarebbe stato cancellato dalla magistratura, in un soprassalto di dignità, e che invece in Italia è ancora spudoratamente in vigore senza che i suoi genitori siano morti suicidi per la vergogna »
Ora, a parte che il genitore non morì suicida per la vergogna, bensì alcuni anni più tardi, in esilio, per le complicazioni derivanti dal diabete, è indubitabile che l'intestatario, Berlusconi Silvìo, i propri comodi se li è fatti definitivamente. Ecco perché quando sostiene che la partita non è finita non ha torto: ancora l'arbitro non ha fischiato, ancora le gambe non sono state sollevate. Le sue.

mercoledì 30 ottobre 2013

La comunicabilità dell'esperienza


[La] natura della vera narrazione [...] implica, apertamente o meno, un utile, un vantaggio. Tale utile può consistere una volta in una morale, un'altra in un'istruzione di carattere pratico, una terza in un proverbio o in una norma di vita: in ogni caso il narratore è persona di “consiglio” per chi lo ascolta. Che se oggi questa espressione ci sembra antiquata, ciò dipende dal fatto che diminuisce la comunicabilità dell'esperienza. Per cui non abbiamo consiglio né per noi né per altri. “Consiglio”, infatti, è meno la risposta a una domanda che la proposta relativa alla continuazione di una storia (che è in atto di svolgersi). Per riceverlo, bisogna anzitutto saperla raccontare. (A prescindere dal fatto che un uomo si apre a un consiglio solo nella misura in cui sa far parlare la propria situazione). Consiglio, cucito nella stoffa della vita vissuta, è saggezza. L'arte di narrare volge al tramonto perché il alto epico della verità, la saggezza, vien meno. Ma si tratta di un processo che viene di lontano. E nulla potrebbe essere più sciocco che vedere in esso solo un “fenomeno di decadenza”, per non dire un fenomeno “moderno”; mentre è solo un accompagnamento di forze produttive storiche, secolari, che ha espulso a poco a poco la narrazione dall'ambito del parlare vivo e manifesta insieme, in ciò che svanisce, una nuova bellezza.»
Walter Benjamin,“Considerazioni sull'opera di Nicola Leskov”, Angelus NovusEinaudi, Torino 1962 (a cura di Renato Solmi), pag. 250-251 edizione Einaudi Tascabili, 1995.

Per ritornare a quanto di confuso ho scritto ieri, evidenzio questa frase: «un uomo si apre a un consiglio solo nella misura in cui sa far parlare la propria situazione». Sarà per questo che, della mia situazione, io ne parlo in maniera sì confusa? Perché non voglio aprirmi a un consiglio e passare a un'altra situazione? Semplicemente perché ho la presunzione che il mio parlare, il mio narrare, sia cosa viva, gratuita, apotropaica.
In altri termini, io tento di filtrare in narrazione i miei vissuti (pensieri, parole opere e omissioni  e la colpa la faccio morire vergine), non tanto per aprirmi ai consigli altrui, quanto per trarre un vantaggio immediato dal raccontarli. È chiaro che da ciò io tragga un utilenon sono mica un discepolo di Sacher Masoch. E tuttavia, di tale vantaggio, di tale utile, io non faccio un vanto, e non do consigli agli altri, perché la mia arte crepuscolare (datemi uno schiaffo), non è certo latrice di saggezza, ma solo di concupiscenza. Io scrivo perché concupisco: la scrittura ha per me una funzione erettile e un fine orgasmico. È anche per tale ragione* che, vicino alla tastiera, tengo sempre un pacchetto di fazzolettini. 

*Le altre due ragioni sono: per piangere; e per sputare, come se davanti avessi facce (non importa elenchi quali).

martedì 29 ottobre 2013

Un ramo storto

«Quale uomo che pensa non cerca un altrove?»*

Sono un legno storto che non ha alcuna passione di raddrizzare il prossimo storto quanto o più di me, né di farmi raddrizzare da coloro che tentano di convincermi che la mia stortura potrebbe essere guarita. Certo, mi piace leggere Seneca o Epitteto, ma solo nella misura che li riservo a me, mai mi sognerei di dire fai questo e fai quello, per essere felici basta seguire determinate istruzioni, segui pure il mio manuale della felicità. No, io ho difficoltà a seguire chiunque, persino quelli che - senza che essi lo sappiano o se lo sanno è uguale - considero miei maestri, assumo solo quanto mente corpo miei riescono ad assumere, informazioni che il mio egotismo elabora, a livello più o meno cosciente; e sia che riesca a sopire l'inquietudine, sia che invece il male di vivere m'incartocci come una foglia d'autunno (Eusebio), tutto ho voglia fuorché di dire perché sono felice oppure no.  Posso dire soltanto che sono cazzi miei e, se mi trattengo dal non dirlo, dovete sapere che dietro il mio sorriso compiacente si nasconde questa terminologia da trivio.

Eppure ho a cuore l'uomo in senso lato; patisco, dispero e compatisco (cit. Ceronetti) una misurata passione politica, anche se questa è data solamente dall'idea, in sé banale, che non siamo soli al mondo, che il solipsismo è una delle più grandi cagate intellettuali partorite da mente umana, roba da ricovero, per intenderci, e che quindi, dacché siamo animali sociali che abitano la città - e per città a questo punto va inteso, senza mezzi termini, il pianeta intero - non ci si può esimere da un pensiero politico, sia pure superficiale, perché dentro la città avvengono le condizioni del nostro vivere, del nostro essere tout court. 

E in questo mondo in cui la conoscenza è alla portata di tutti, quello che fa più specie a me in quanto individuo tendente a fare i cazzi miei, è proprio la totale presa per il culo di coloro che asseriscono di governare per il mio bene, inteso come il bene del cittadino, quando invece, da sempre, e spudoratamente (a parte qualche nobile eccezione) chi si è incaricato di governarci ha sempre esercitato il potere allo scopo di salvaguardare i propri interessi o quelli di una parte soltanto, e irrisoria, di terrestri.

Ma tutto questo non c'entra niente con quanto avevo in animo di dire. In animo ho il niente che si pavoneggia di essere qualcosa. Tanto quanto basta per continuare il mio percorso di nudo, storto ramo attaccato all'albero della vita. Non mi va di segarmi e farmi modellare da un desiderio analogo a quello di Geppetto. Di più: per evitare di uccidere la saggezza dei grilli, faccio finta che non parlino a me, ma a se stessi. Perché la salvezza viene da se stessi, mica dagli Ebrei

Le parole mentono così forte che hanno cessato di ingannare». Guido Ceronetti, “La salvezza non viene dagli ebrei - come il fungo, cresce improvvisa e senza perché”, saggio di postfazione a Léon Bloy, Dagli ebrei la salvezza, Adelphi, Milano 1994

lunedì 28 ottobre 2013

In cima, bandiera rossa

Seppur lentamente, sono giunto al termine del Libro Primo de Il Capitale.
Non è stata una lettura facile; tuttavia, è stata una delle letture più coinvolgenti ed entusiasmanti che abbia mai affrontato. Riguardo all'entusiasmo, ci tengo a precisare che non è che, ciò letto, mi senta pronto a prendere le armi e a fare la rivoluzione (allo stato presente, c'è un'unica arma che potrei scagliare, ma c'entra poco con la rivoluzione: un'ascia, tipo quella dei mohicani, da apporre sulla crapa incatramata del lurido, in piena fronte, spamm!). L'entusiasmo è dato dall'essermi arrampicato su una delle più alte vette del pensiero umano avendo la presuntuosa impressione di essere arrivato in cima (e la cima è tutta dentro i capitoli, non solo al termine del libro): ecco, da quassù si ha modo di vedere la realtà in un altro modo, a cominciare dal comprendere i meccanismi che regolano l'economia, la politica e i rapporti sociali.

Inoltre, per come sono fatto, non potevo aspettare momento migliore per leggere Il Capitale. Non potevo (non dovevo?) né leggerlo prima, né aspettare ancora. E questo perché, a mio avviso modestissimo, l'attualità di Marx sta tutta, paradossalmente, nella sua estrema inattualità. Ovverosia: l'inattualità preserva Marx dall'essere risucchiato nel vuoto che caratterizza la politica non solo italiana, ma mondiale. E tanto più si afferma che Marx è un pensatore superato, tanto più la sua critica dell'economia politica supera e oltrepassa il pensiero scialbo che si barcamena tra lo sciamanesimo della crescita e l'umanesimo della decrescita.

P.S.
Per dare un esempio di visione, copio e incollo:
«Il sistema del credito pubblico, cioè dei debiti dello Stato, le cui origini si possono scoprire fin dal Medioevo a Genova e a Venezia, s’impossessò di tutta l’Europa durante il periodo della manifattura, e il sistema coloniale col suo commercio marittimo e le sue guerre commerciali gli servì da serra. Così prese piede anzitutto in Olanda. Il debito pubblico, ossia l’alienazione dello Stato — dispotico, costituzionale o repubblicano che sia — imprime il suo marchio all’era capitalistica. L’unica parte della cosiddetta ricchezza nazionale che passi effettivamente in possesso collettivo dei popoli moderni è il loro debito pubblico243a. Di qui, con piena coerenza, viene la dottrina moderna che un popolo diventa tanto più ricco quanto più a fondo s’indebita. Il credito pubblico diventa il credo del capitale. E col sorgere dell’indebitamento dello Stato, al peccato contro lo spirito santo, che è quello che non trova perdono, subentra il mancar di fede al debito pubblico.
Il debito pubblico diventa una delle leve più energiche dell’accumulazione originaria: come con un colpo di bacchetta magica, esso conferisce al denaro, che è improduttivo, la facoltà di procreare, e così lo trasforma in capitale, senza che il denaro abbia bisogno di assoggettarsi alla fatica e al rischio inseparabili dall’investimento industriale e anche da quello usurario. In realtà i creditori dello Stato non danno niente, poiché la somma prestata viene trasformata in obbligazioni facilmente trasferibili, che in loro mano continuano a funzionare proprio come se fossero tanto denaro in contanti. Ma anche fatta astrazione dalla classe di gente oziosa, vivente di rendita, che viene cosi creata, e dalla ricchezza improvvisata dei finanzieri che fanno da intermediari fra governo e nazione, e fatta astrazione anche da quella degli appaltatori delle imposte, dei commercianti, dei fabbricanti privati, ai quali una buona parte di ogni prestito dello Stato fa il servizio di un capitale piovuto dal cielo, il debito pubblico ha fatto nascere le società per azioni, il commercio di effetti negoziabili di ogni specie, l’aggiotaggio: in una parola, ha fatto nascere il giuoco di Borsa e la bancocrazia moderna.
Fin dalla nascita le grandi banche agghindate di denominazioni nazionali non sono state che società di speculatori privati che si affiancavano ai governi e, grazie ai privilegi ottenuti, erano in grado di anticipar loro denaro. Quindi l’accumularsi del debito pubblico non ha misura più infallibile del progressivo salire delle azioni di queste banche, il cui pieno sviluppo risale alla fondazione della Banca d’Inghilterra (1694). La Banca d’Inghilterra cominciò col prestare il suo denaro al governo all’otto per cento; contemporaneamente era autorizzata dal parlamento a batter moneta con lo stesso capitale, tornando a prestarlo un’altra volta al pubblico in forma di banconote. Con queste banconote essa poteva scontare cambiali, concedere anticipi su merci e acquistare metalli nobili. Non ci volle molto tempo perché questa moneta di credito fabbricata dalla Banca d’Inghilterra stessa diventasse la moneta nella quale la Banca faceva prestiti allo Stato e pagava per conto dello Stato gli interessi del debito pubblico. Non bastava però che la Banca desse con una mano per aver restituito di più con l’altra, ma, proprio mentre riceveva, rimaneva creditrice perpetua della nazione fino all’ultimo centesimo che aveva dato. A poco a poco essa divenne inevitabilmente il serbatoio dei tesori metallici del paese e il centro di gravitazione di tutto il credito commerciale. In Inghilterra, proprio mentre si smetteva di bruciare le streghe, si cominciò a impiccare i falsificatori di banconote. Gli scritti di quell’epoca, per esempio quelli del Bolingbroke, dimostrano che effetto facesse sui contemporanei l’improvviso emergere di quella genìa di bancocrati, finanzieri, rentiers, mediatori, agenti di cambio e lupi di Borsa243b.
Con i debiti pubblici è sorto un sistema di credito internazionale che spesso nasconde una delle fonti dell’accumulazione originaria di questo o di quel popolo. Così le bassezze del sistema di rapina veneziano sono ancora uno di tali fondamenti arcani della ricchezza di capitali dell’Olanda, alla quale Venezia in decadenza prestò forti somme di denaro. Altrettanto avviene fra l’Olanda e l’Inghilterra. Già all’inizio del secolo XVIII le manifatture olandesi sono superate di molto, e l’Olanda ha cessato di essere la nazione industriale e commerciale dominante. Quindi uno dei suoi affari più importanti diventa, dal 1701 al 1776, quello del prestito di enormi capitali, che vanno in particolare alla sua forte concorrente, l’Inghilterra. Qualcosa di simile si ha oggi fra Inghilterra e Stati Uniti: parecchi capitali che oggi si presentano negli Stati Uniti senza fede di nascita sono sangue di bambini che solo ieri è stato capitalizzato in Inghilterra.
Poiché il debito pubblico ha il suo sostegno nelle entrate dello Stato che debbono coprire i pagamenti annui d’interessi, ecc., il sistema tributario moderno è diventato l’integramento necessario del sistema dei prestiti nazionali. I prestiti mettono i governi in grado di affrontare spese straordinarie senza che il contribuente ne risenta immediatamente, ma richiedono tuttavia in seguito un aumento delle imposte. D’altra parte, l’aumento delle imposte causato dall'accumularsi di debiti contratti l’uno dopo l’altro costringe il governo a contrarre sempre nuovi prestiti quando si presentano nuove spese straordinarie. Il fiscalismo moderno, il cui perno è costituito dalle imposte sui mezzi di sussistenza di prima necessità (quindi dal rincaro di questi), porta perciò in se stesso il germe della progressione automatica. Dunque, il sovraccarico d’imposte non è un incidente, ma anzi è il principio. »

domenica 27 ottobre 2013

C'è Pantheon e Pantheon


Oggi, nelle pagine di Repubblica dedicate alla Leopolda, hanno pubblicato questa roba.
Ma come, mi sono detto, Renzi ha un Pantheon e io no? Di più: è non è il Pantheon la vecchia casa degli dèi che erano immortali? Ma allora ce l'ho anch'io, eccolo:


Avvertenza: gli spazi bianchi sono riservati agli attributi coi quali, a seconda dell'occasione e dell'umore, soglio aggettivare i nostri cari tre dèi cristiani.

sabato 26 ottobre 2013

Marziani su Terra

Oggi pomeriggio ho partecipato a una conferenza dell'astrofisico Giovanni Bignami. Niente di complicato, l'autore è stato molto divulgativo e si è limitato a presentare, per sommi capi, con l'immancabile ausilio di powerpoint, le tesi esposte nel suo libro, Il mistero delle sette sfere* (qui un breve sunto).

Di ciò che ho ascoltato (e letto), mi preme riportare quanto ha detto (e scritto) sulla probabilità che un giorno l'uomo e la donna metteranno piede su Marte. Bene,
«il costo di questa prima visita a Marte, per tutta l'umanità, è di un trilione di dollari, o al massimo due, compresa ricerca e sviluppo, costruzione, collaudo e missione di andata e ritorno, da spalmarsi su un periodo di dieci-vent'anni».
Una cifra colossale, ma
«per un confronto, ricordiamo che secondo il rapporto SIPRI del 2011, il totale delle spese militari in tutto il mondo è di 1740 miliardi di dollari all'anno, più di 1,7 trilioni all'anno. Gli USA, da soli, hanno speso, solo nel 2011, 711 miliardi (circa il 41% del totale), da tre a quattro volte il costo di tutta la stazione spaziale internazionale con relativo Shuttle, un progetto che dura da trent'anni. Seconda per spese militari è la Cina, con 143 miliardi (in forte aumento), terza la Russia con 72 miliardi (anche qui in forte aumento), poi UK e Francia a pari merito con 62,5 miliardi; pochi altri fanno la parte del leone del resto: Giappone, India, Arabia Saudita, ecc. L'Italia ha speso, ufficialmente, 34,4 miliardi, ma, secondo il SIPRI, il numero dichiarato è “meno che trasparente”. E per fortuna che oramai da più di vent'anni è finita la guerra fredda tra le superpotenze... chissà se no. Decisamente, aveva ragione von Braun: un progetto di durata almeno decennale per una missione a Marte costa quanto un solo anno di spese militari». (Id., pag 121-122).
Peccato, alla fine della conferenza, il Bignami era disposto a rispondere alle domande del pubblico, ma io avevo un impegno e non ho potuto fare la mia, che scrivo ora : ci sono più probabilità che l'uomo vada su Marte o che l'uomo faccia diventare Marte la Terra?

*Il libro (edito da Mondadori, Milano 2013) è stato gentilmente regalato al pubblico dall'autore. Almeno credo, o da lui o dall'ente che ha organizzato la conferenza. Vicino a me c'era una scatola piena di volumi, ne ho preso uno, come tutto il pubblico (non pagante).

Comunicazione di servizio


Da alcuni giorni, non riesco a postare commenti ai post dei blog della piattaforma blogger.
Eppure, scritto il mio commento, dal menù a tendina, seleziono "account google"; ma quando clicco "pubblica", puf, sparisce tutto.
Me ne scuso coi blogger che seguo: il vaffanculo in prova non è certo per loro.

*

venerdì 25 ottobre 2013

Circonferenza vita

Technically Intimate
Di me rimane meno di quanto mi sarei mai aspettato se avessi avuto su di me aspettative e dato che mai nutrite ne ho, il risultato è sicuramente sopra zero. Tuttavia, poca importanza ha tutto questo, per me che cerco di capire il resto del mio io che si sottrae vivendo, a poco a poco, certo meno di un intero che non so quando mai sia potuto essere o potrà essere pienamente se stesso, sempre se ci sarà un punto nel grafico della mia vita che potrò individuare come mio Everest.

Sto arrampicandomi sugli specchi o discendendo sullo stesso scivolo che c'era nella piazza vecchia dov'io volavo giorno dopo giorno (e la pelle delle gambe che d'estate al sole si scottava)? – Insomma non so in quale versante del mio monte-vita io mi trovi, non capisco che tipo di fatica io stia compiendo se di salita o di discesa nei rimpianti.

Ma qualcuno mi disse in sogno che la vita non ha vetta, che tra nascita e morte non c'è un punto fuori di esse su cui disegnare un triangolo, i lati della vita sono tanti quanti sono i giorni e da lontano infatti l'unica figura distinguibile è una circonferenza dove nascita e morte si congiungono. Nel niente.

Se poi qualcuno in sogno mi rivela che esistono punti anche fuori della linea che trasportano i nostri vissuti in dimensioni sconosciute, non mi resta che prender questo qualcuno per il bavero e a brutto muso dirgli: dimostramelo, non m'ingannare coi tuoi giochini sulla fede sulla certezza che fuori della nostra linea ci sono punti infinitamente altri che collezionano circonferenze umane.

Per farsene cosa di tutte queste vite collezionate come francobolli o farfalle crocifisse con uno spillone per spremerne il cuore – triplo concentrato di cazzate cattiverie compassioni schiaffi carezze baci sputi abbracci o spinte forti giù diritto nel burrone. Basta. La parola si deve fare carne, come disse un macellaio sezionando i quarti della bestia. Io sono un quinto quarto. Costo poco.

Infine, mi torna in mente tutto lo spreco di materia che è stato necessario per ottenere il mio occhio che la vede, la mia mente che la pensa. E se, parimenti, potessi toccarla, non dico tutta, ma una buona parte (diffido in anticipo coloro che faranno ipotesi azzardate su quale sia la buona parte che, eventualmente, toccherei), allora sì che potrei sentirmi un dio. Un dio touch, come l'Iphone.

giovedì 24 ottobre 2013

Snowden parlamentare europeo a vita

Joan Cornellà
L'aereo su cui viaggiava il presidente Morales di ritorno in Bolivia è rimasto bloccato per oltre 12 ore a Vienna. Proveniva da Mosca, e Francia, Portogallo e Italia hanno negato l'autorizzazione al sorvolo e all'atterraggio sospettando che a bordo ci fosse Edward Snowden, l'informatore che con le sue rivelazioni ha dato il via al Datagate [via]
Questo accadeva circa quattro mesi fa. Una stagione.
Adesso Snowden è in Russia, nelle mani di un quasi candidato al nobel per la Pace. L'Unione Europea, Germania e Francia in testa, dopo aver dato un calcio nelle palle a Cameron, dovrebbero fare in modo che Snowden arrivi a Strasburgo, al Parlamento Europeo, per eleggerlo parlamentare a vita seduta stante (come fu eletto senatore a vita, a corsa a corsa, l'esimio professor Monti, il quale si dimetterà da tutto fuorché da senatore - è un professore intelligente).
Questa è l'unica risposta possibile, aldilà delle ripicchine, delle minaccine, delle ritorsioncine che non portereranno a nulla.

Ipotesi fantapolitichissima zerozerosettissima: appurato che gli Usa spiano er monno, mi chiedo: e se dietro tutto questo puttanaio ci fosse Putin (etimologicamente attendibile come ipotesi, no?), il quale sicuramente gongola della gaffe ammerdicana?

P.S.
La vignetta di Cornellà sopra esposta mi fa pensare alla potenzialità delle dita di Enrico Letta incontrando Kerry.

mercoledì 23 ottobre 2013

Dio ergastolano

"Per favore - ha detto Bergoglio ai cappellani- dite che prego per loro: li ho a cuore. Prego il Signore e la Madonna che possano superare positivamente questo periodo difficile della loro vita. Che non si scoraggino, non si chiudano". Un messaggio che, come dice il Papa, va comunicato col cuore: "dire loro con i gesti, con le parole, con il cuore, che il Signore non rimane fuori dalla loro cella, non rimane fuori dal carcere: è dentro, è lì. Potete dire loro questo: il Signore è dentro con loro; anche Lui è un carcerato, ancora, eh? Dei nostri egoismi, dei nostri sistemi, di tante ingiustizie che sono facili per punire il più debole, no? Ma i pesci grossi nuotano liberamente nelle acque, no? Nessuna cella è così isolata da escludere il Signore, nessuna: Lui è lì, piange con loro, lavora con loro, spera con loro".
È Dio un carcerato? A vita eterna? Se gliela doniamo noi la vita eterna. Se invece lo liberassimo nella sua inesistenza, fargli spazio nello spazio del possibile, togliergli ogni riduzione umana stupefacente e consolante, farne cenere. Gaia scienza. Dio è morto, Dio eccetera. E basta con questo Dio utensile pronto per accomodare tutte le umane situazioni. Dio cacciavite di un'umanità spanata. 
Più che mandare Dio in carcere con loro, farebbe meglio, il Papa, a procurare ai carcerati un paracleto (avvocato), rinomato, tipo il Coppi. Se proprio proprio non sono delinquenti come Berlusconi forse, in cassazione, anche Dio-Paracleto potrà fare qualcosa.
Ma chi è il paracleto?

«In greco, parakletos è l'equivalente esatto dell'italiano avvocato, o del latino ad-vocatus. Il paracleto è chiamato presso l'imputato, la vittima, per parlare al posto suo e in suo nome, per servigli da difensore. Il Paracleto è l'avvocato universale, il preposto alla difesa di tutte le vittime innocenti, il distruttore di ogni rappresentazione persecutoria. È dunque lo Spirito di Verità, colui che dissipa le nebbie di ogni mitologia.
Vale la pena di chiedersi come mai Girolamo, questo formidabile traduttore che generalmente non manca di audacia, sia indietreggiato davanti alla traduzione di un nome comune così consueto come parakletos. Egli è letteralmente vinto dallo stupore. Non vede la pertinenza di questo termine e opta per una traslitterazione pura e semplice, Parakletus. Il suo esempio è religiosamente seguito nella maggior parte delle lingue moderne, per cui abbiamo Paracleto, Paraclet, Paraklet, ecc. Da allora in poi, questo vocabolo misterioso non ha smesso di concretare, con la sua opacità, non l'inintelligibilità di un testo in verità perfettamente intelligibile ma l'inintelligenza degli interpreti, quella stessa che Gesù rimprovera ai suoi discepoli e che si perpetua, e spesso si aggrava, nei popoli evangelizzati.
Sul Paracleto, beninteso, esistono innumerevoli studi, ma nessuno dà una soluzione soddisfacente, perché tutti definiscono il problema in termini strettamente teologici. Il prodigioso significato storico e culturale resta inaccessibile, e generalmente si finisce per concludere che, se è veramente avvocato di qualcuno, il Paracleto deve farsi avvocato dei discepoli presso il Padre. Questa soluzione invoca un passo della prima epistola di Giovanni: Ma se qualcuno ha peccato, noi abbiamo come avvocato presso il Padre Gesù Cristo, il giusto (1 Gv., 2, 1)... Parakletos.
Il testo di Giovanni fa di Gesù stesso un Paracleto. Nel Vangelo dello stesso autore, Gesù appare effettivamente come il primo Paracleto inviato agli uomini:
Io pregherò il Padre
ed egli vi manderà un altro Paracleto,
perché rimanga con voi per sempre,
lo Spirito di Verità,
che il mondo non può ricevere,
perché non lo vede e non lo conosce
(Gv., 14, 16-17).
Cristo è il Paracleto per eccellenza, nella lotta contro la rappresentazione persecutoria, giacché ogni difesa e riabilitazione delle vittime si fonda sulla potenza rivelatrice della passione ma, dopo la sua partenza, lo Spirito di Verità, il secondo Paracleto, farà brillare per tutti gli uomini la luce che è già presente nel mondo, e che gli uomini cercheranno il più a lungo possibile di non vedere.»
René Girard, Le bouc émissaire, Paris, 1982, ed. it. Il capro espiatorio, Adelphi, Milano 1987 pag. 319-320 (traduzione di Christine Leverd e F. Bovoli)

martedì 22 ottobre 2013

Oottobre a Calvino

I genitori, a volte, fanno finta di non ascoltare

Amica: «Hai finito di leggere il libro che voleva la prof?»
Figlia: «Sì.»
Amica: «A proposito: tu cosa hai letto?»
Figlia: «Marcovaldo».
Amica: «Ti è piaciuto? Di cosa parla?»
Figlia: «Di uno scemo che vuole trovare la natura in città».

Spiatemelo tutto

Non è il mio
Volevo dire a quelli della NSA che mi-ci spiano via web che ho rinunciato a farmi pompini da solo perché non sono molto elastico, non mi so piegare abbastanza nonostante da un annetto faccia ginnastica con regolarità, ma faccio una specie di body-building, costruzione del corpo, del mio corpo, un corpo che sarebbe tanto adatto a trarre beneficio dalle molteplici offerte del mercato se avesse avuto in sorte di partecipare al gran banchetto dei mangia a ufo il mondo, costituito da quel pugno di rottinculopezzidimerda che lo comandano a suon di quattrini, invidia sociale bella e buona, la mia, e se fossi sicuro di fare centro, sappiate, senza rischi di colpire un celerino del cazzo da millequattrocento euro al mese, ma uno da un milione di euro al giorno per intendersi, beh, sì, potessi, gli darei uno schiaffo da dio, sì da appiccicarlo al muro («perché gli schiaffi di dio appiccicano al muro tutti»), oddio, no, mica c'ho il fisico, io, per schiaffeggiare, non voglio mica fare come quello che andava per darle e poi finiva per pigliarle e poi il sangue le botte la violenza mi fanno orrore, rinuncio, sapessi farci col plutonio glielo somministrerei nel mate nel late nel tè e nel cafè, però, a tutte le Potestà a tutti i principati, come li chiama l'Evangelista - Linda fammelo tu quello che io da solo non sono stato capace di fare in esergo. Basta, inutile prendersela e sperare di tornare vergini: oramai sapete tutto di me, cosa vorrei ma non posso, cosa potrei ma non voglio, cosa faccio e non faccio, dove vado, quante seghe e su quali visioni, cosa compro o cosa rifiuto, cosa sogno e desiderio e cosa ho in uggia, quanto sono vincolato al mio stipendio tipo celerino di cui sopra, quanto vorrei pisciare in capo a Del Debbio, quanto sono inutile, insignificante, praticamente impotente tranne il menomo potere di digitare delle lettere sulla qwerty, dalla quale esce spesso fuori la traccia madreperlacea del mio vuoto.

P.S.
Obama, vaffanculo te e il Congresso. Chissà se la settimana scorsa a quel bischero di Letta tu gli hai accennato qualcosina della situazione spionistica  della vostra simpatica e tanto canagliesca agenzia di sicurezza, sì da non dover tra poco prenderti la briga di telefonargli come sei stato costretto a fare oggi a quell'altro con di Hollande. Vi domando: ma l'Italia, in sé e per sé, la spiate per sapere facilmente cosa fare per non fare cose sbagliate? Ci prendete come esempio per fare il contrario di quel che da noi viene fatto? E c'è bisogno di tessere una fitta e costosissima trama spionistica per sapere che noi siamo un paese di coglioni di destra o di sinistra o di fave democristiane al centro?

lunedì 21 ottobre 2013

Lo strato dei Lazzari

[*]
Sono rimasto molto impressionato da tal servizio fotografico; la luce di sottofondo, che si percepisce dietro il lucore occasionale dei riflettori, mi ha particolarmente inquietato, perché si nota proprio che, là dentro quei locali, la densità della popolazione dei lavoratori è estremamente ridotta. Il più grande magazzino del mondo dove circolano muletti automatizzati che rispondono ai comandi di un calcolatore centralizzato: tutto capitale costante che ingrossa il fiume in piena dei lavoratori dell'esercito industriale di riserva:
«Quanto maggiori sono la ricchezza sociale, il capitale in funzione, il volume e l’energia del suo aumento, quindi anche la grandezza assoluta del proletariato e la forza produttiva del suo lavoro, tanto maggiore è l’esercito industriale di riserva. La forza-lavoro disponibile è sviluppata dalle stesse cause che sviluppano la forza d’espansione del capitale. La grandezza proporzionale dell’esercito industriale di riserva cresce dunque insieme con le potenze della ricchezza. Ma quanto maggiore sarà questo esercito di riserva in rapporto all’esercito operaio attivo, tanto più in massa si consoliderà la sovrappopolazione la cui miseria è in proporzione inversa del tormento del suo lavoro. Quanto maggiori infine lo strato dei Lazzari della classe operaia e l’esercito industriale di riserva tanto maggiore il pauperismo ufficiale. Questa è la legge assoluta, generale dell’accumulazione capitalistica.» Karl Marx, Il Capitale, Libro primo, Capitolo 23, paragrafo IV.
A parte.
Sarei curioso di sapere quali passi del Breviario sono stati letti dal vescovo di Parma prima d'impartire la benedizione; benedizione che, a mio profano avviso, il vescovo avrebbe dovuto fare sollevato a mezz'aria da un montacarichi high-tech. 

domenica 20 ottobre 2013

Il companatico e la frutta

Se uno volesse riassumere sinteticamente cosa ha scritto oggi nel suo editoriale il professor Ernesto Galli Della Loggia, potrebbe sbrigarsela così: L'Italia è un irredimibile Paese di merda.
Secondo Ernesto Galli Della Loggia, infatti, «L'Italia sta precipitando nell'abisso», e questo non è dovuto soltanto crisi economica; le cause sono molteplici, ravvisa il professore, elencando sommariamente quelli che sono, a suo dire, i principali punti di crisi e tutte (o quasi tutte) «le incapacità e le debolezze», della società italiana. Si va dalla scuola alla magistratura, dalla burocrazia alla politica, dalla società civile persa dietro gli smartphone allo scollamento tra Nord e Sud del Paese. Queste e altre ancora le critiche sferzanti che il professor Ernesto Galli Della Loggia riserva al Paese. Quella che, tuttavia, mi ha impressionato di più, è le seguente:
«Una volta tanto, però, bisognerà pur parlare di che cosa è stato, e di che cosa è, il capitalismo italiano. Di coloro che negli ultimi vent’anni hanno avuto nelle proprie mani le sorti dell’industria e della finanza del Paese. Quale capacità imprenditoriale, che coraggio nell’innovare, che fiuto per gli investimenti, hanno in complesso mostrato di possedere? La risposta sta nel numero delle fabbriche comprate dagli stranieri, dei settori produttivi dai quali siamo stati virtualmente espulsi a opera della concorrenza internazionale, nel numero delle aziende pubbliche che i suddetti hanno acquistato dallo Stato, perlopiù a prezzo di saldo, e che sotto la loro illuminata guida hanno condotto al disastro. Naturalmente senza mai rimetterci un soldo del proprio. Né meglio si può dire delle banche: organismi che invece di essere un volano per l’economia nazionale si rivelano ogni giorno di più una palla al piede: troppo spesso territorio di caccia per dirigenti vegliardi, professionalmente incapaci, mai sazi di emolumenti vertiginosi, troppo spesso collusi con il sottobosco politico e pronti a dare quattrini solo agli amici degli amici.»
Oh, finalmente, qualcuno che, dai piani alti di via Solferino, tira qualche pelino del culo a quei rottinculo dei capitalisti nostrani i quali, oltre a fare ciò che sono obbligati a fare nella logica del sistema capitalistico, aggiungono alle pratiche legali garantite dalla Costituzione, anche pratiche antisociali che cozzano contro il secondo comma dell'articolo 41 della Costituzione (se il primo comma dichiara che «L'economia privata è libera», il secondo afferma che essa «Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.»), con la complicità della politica e, a volte, della magistratura, organi statali che, quasi sempre, dimenticano che esiste un terzo comma nello stesso articolo, che recita:
«La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.» 
Fini sociali un cazzo.
Ma non divaghiamo, torniamo dentro la Loggia Dei Galli.
Mi piacerebbe, anzi no: non mi piacerebbe, non ho voglia captarlo benevolmente: rifaccio. 
Vorrei sapere, insomma, se nella striminzita critica “morale” (quella costituzionale l'ho fatta io, per completezza), dell'imbelle (e vorace) capitalismo nostrano, il professore include anche i cosiddetti soci del Patto del Sindacato che posseggono quote considerevoli della proprietà del giornale dov'egli editorialeggia. Curiosità legittima, la mia, perché apprezzo molto coloro che hanno il coraggio di sputare nel piatto dove mangiano. Il companatico e la frutta. 

Vedere, ascoltare

Prima, da Fazio, ho visto e ascoltato il prof. Nuccio Ordine e ho capito perché è più facile per un italiano diventare un famoso saggista in Francia che in Germania (o in Inghilterra).
Poi ho visto e ascoltato Cuperlo e credo che alle primarie andrò a votare per (questa non è difficile).
Infine ho visto Riccardo Muti, un po' trasandato, occhi semichiusi, ma piacevole è stato ascoltarlo parlare e dirigere Verdi. E Lando Buzzanca*.


*A fine intervista, presentando il Va’ pensiero eseguito all'Opera di Roma nel 2011 insieme al pubblico, il maestro Muti ha detto che, tra i tanti del pubblico che cantavano, colui che ha più faticato a contenere nel suo entusiasmo è stato, appunto, Lando Buzzanca.

venerdì 18 ottobre 2013

Bravi ragazzi

Fare beneficenza è indubbiamente preferibile a fare le testadicazzo, questo i signorotti capitalisti di oggi l'hanno capito - ed è un gran progresso vederli girovagare per i luoghi ameni dell'Italia dispensando il volgo con nobili gesti, anziché macchiarsi di turpi nefandezze.
Un plauso quindi a due giovani galantuomi, i quali, ognuno a suo modo, tentano frequentemente di riscattare la loro condizione sociale di ricchi sfondati (!) con iniziative meritorie come quelle che li vedono (il Matteo in bicicletta) o li vedranno (il Lapo, che sta pensando a una fondazione) impegnati.
Sono persuaso che lo spirito umanitario che li anima e sprona sia provocato da una sorta di tenue senso di colpa che li pungola in quegli sporadici momenti in cui si domandano: «Ma che cazzo ho fatto per meritarmi tutto questo?». Per evitare l'ineluttabile risposta: «Niente», essi, previa scrollatina del parasimpatico, e previa telefonata ai loro segretari particolari per farsi ricordare il cazzo niente che hanno da fare, riflettono, magari in compagnia di amici o amiche o ruffianelli vari, su quale gesto eclatante ma mica poi tanto, potrebbe riportarli per un po' a galla sulla scena mediatica nostrana, sì da mostrare al mondo che loro sono cittadini impegnati che lottano insieme a noi.
Io amo questo tipo di persone, perché non ne conosco alcuna di persona. Sono un tipo fortunato con le amicizie, io.

giovedì 17 ottobre 2013

Il diritto di acquisire diritti

Saltuariamente, mi capita d'inciampare in alcuni scandali del malaffare italico legalizzato e, com'è come non è, per non sbattere il muso in terra, cerco di proteggere la caduta con una fitta rete di pensieri populisti. Oggi ho tessuto questa, sui diritti acquisiti.
In una società liberal-democratica, i diritti acquisiti sono acquisiti una volta per tutte e amen. È il caso delle pensioni, ossia: coloro che hanno maturato la pensione sulla base di determinate normative, devono sicuramente veder garantite e rispettate le condizioni previdenziali che tali normative di legge preconizzavano. Che, invece, nel corso degli anni, alcune generazioni di lavoratori abbiano visto e vedano cambiare in corsa i criteri per ottenere anch'essi la pensione - criteri che avevano sottoscritto al momento in cui hanno iniziato a versare i propri contributi previdenziali - beh, anche questo è un dovere, garantito costituzionalmente, di prenderlo nel didietro di traverso, senz'altro lubrificante che quello delle lacrime della Fornero.
Insomma, i diritti acquisiti sono garantiti costituzionalmente: cioè a dire, anche se il parlamento (ah, ah) legiferasse, ad es., per far diventare tutte le pensioni d'oro delle pensioni d'argento, la Corte Costituzionale direbbe che no, la cosa non si può fare, perché, appunto, i diritti acquisiti sono acquisiti. 
Il guaio vero, però, l'assurdità, a mio avviso, è che il diritto di acquisire i diritti acquisiti, invece, non sia parimenti costituzionalmente garantito.  
E questa è un'aporia costituzionale bella e buona, dacché da una parte ci sono certuni che devono sottostare alla Legge del Menga, mentre cert'altri, più fortunati (?), che sottostanno alla Legge del Volga e questo, indubbiamente, cozza contro l'articolo 3.

Saucy Salamander


Pssst...La Salamandra Sbarazzina è pronta per uscire insieme a noi.


mercoledì 16 ottobre 2013

Divieto di tramonto

Mark Rothko, Untitled (No. 11). Estimate: $25-35 million. Photo: Christie's Images Ltd 2013.

Mark Rothko comincia a piacermi perché oggi, per la prima volta, da quando mi capita di osservare i suoi quadri, mi sento coinvolto, trascinato dentro l'opera. Ho mal di testa, sono stanco, ho una fottuta voglia di andare a dormire, non riesco a connettere, a collegare i fatti miei particolari con i fatti di cronaca, mi sento fuori contesto, svuotato di significanza, mi tornano a gola i porri, non li digerisco bene, volevo lasciare la pagina bianca perché ho la mente stanca che si rifiuta di trovare pensieri trasformabili in scrittura, in immagine, in silenzio.
Ecco, la striscia bianca del divieto su un tramonto a dirmi che non posso tramontare, che devo restare al di qua dell'orizzonte, perché la vita tutta intera è aldiqua, inutile tuffarsi nell'altrove, le isole non trovate sono state trovate tutte. Non c'è alcun tesoro che si nasconde dietro al sole, dato che il tesoro è già tutto nella luce.

martedì 15 ottobre 2013

Potranno sempre stamparli?

«Effettivamente la sera del 26 settembre 1943, il presidente della comunità israelitica di Roma e quello dell'unione delle comunità italiane […] erano stati convocati per le ore 18 all'ambasciata germanica. Li ricevette, paurosamente cortese e distinto, il maggiore delle SS Herbert Kappler, che li fece accomodare e, per qualche momento, parlò del più e del meno in tono di ordinaria conversazione. Poi entrò nel merito. Gli ebrei di Roma erano doppiamente colpevoli: […] come italiani per il tradimento contro la Germania e come ebrei perché appartenenti alla razza degli eterni nemici della Germania; perciò il governo del Reich imponeva loro una taglia di 50 chilogrammi d'oro da versarsi entro le 11 di martedì 28. In caso di inadempienza, razzia e deportazione in Germania di 200 ebrei, praticamente poco più di un giorno e mezzo per trovare 50 chili d'oro.
Alle difficoltà che i due rappresentanti ebrei cercarono di opporgli, il maggiore ribatté che, a titolo di agevolazione, avrebbe fornito lui gli automezzi e gli uomini per la ricerca dell'oro.
“I due Herren non accettavano? Va bene, come non detto”, ma in via sempre di largheggiare prorogava di un'ora il termine di consegna. Gli fu domandato quale fosse la valutazione dell'oro in lire: il Kappler capì subito l'antifona. “Di lire italiane”, rispose, “il grande Reich non ne aveva bisogno. E comunque”, sorrise “quando gliene occorressero, poteva sempre stamparle”.»

Ieri, ascoltando Moni Ovadia leggere su Radio Tre 16 ottobre 1943 di Giacomo Debenedetti, mi ha colpito il brano sopra riportato; e, oggi, leggendo il post odierno di Olympe de Gouges, ho capito perché.
Effettivamente, gli americani non sono i tedeschi, non sono “cattivi”, non hanno eterni nemici, si sanno anche piegare a certe sconfitte, e le guerre, solitamente, le fanno per dare, non per conquistare. Il dollaro è, da decenni, la moneta di riferimento internazionale, con il quale si misura il valore delle cose. Ma cosa c'è dietro il dollaro? Dopo la fine degli accordi di Bretton Woods, nient'altro che la garanzia d'essere il denaro stampato dalla più grande potenza economica e militare.
«Il “valore” dei prezzi di carta che dovrebbero rappresentare la ricchezza di questo mondo è, a dir poco, dieci volte il valore reale. Vale a dire che il 90% della circolazione è costituito di carta priva di controvalore, di coperture effettive. Non è una cosa nuova, inedite sono le dimensioni del fenomeno. Spesso non si tratta nemmeno di carta, ma di semplici registrazioni contabili. Se stampare moneta senza copertura può comportare qualche beneficio interno, sui mercati esteri non funziona se la propria moneta non è considerata valuta di riferimento internazionale, come succede al dollaro, e se non ha alle spalle la prima potenza economica e militare del pianeta. Ma anche in tal caso, prima o poi, il mercato chiede il conto. La Russia già da alcuni anni si libera dei titoli di debito Usa, e la Cina è in procinto di farlo, se già non lo fa.»
«Prima o poi il mercato chiede il conto». E se lo chiederà, il mio timore è che gli americani risponderanno come il Kappler rispose ai rappresentanti della comunità ebraica romana. Vale a dire, se i possessori di tutti i dollari mondiali si presentassero in massa a comprare l'America, cosa risponderanno quelli di Washington? Che non ne hanno bisogno di quei dollari? Che possono sempre stamparli?

lunedì 14 ottobre 2013

Fama, Shiller e Hansen vecchi stregoni

Sul bosone o sui racconti della Munro (devo leggerli) e, altresì, sui sistemi chimici complessi o sul trasporto di molecole all'interno delle cellule non oso mettere becco e accolgo con favore chi è stato insignito del premio Nobel.
Per l'economia è un altro discorso: dato lo stato comatoso in cui versa l'economia mondiale, non vedo le ragioni obiettive per l'assegnazione di tale premio, se non nella fottuta logica capital-mercantilistica. Benché io non capisca un cazzo dei meccanismi di frode finanziaria che lo buttano nel culo al popolo in favore dei quei merdaioli dei capitalisti (più o meno liberaldemocratici o dispotici che siano), basta veramente poco per accorgersi che le motivazioni addotte per l'assegnazione del premio Nobel per l'economia cozzano totalmente con l'idea nobile, che sta alla base dell'istituto, di premiare coloro che apportano «considerevoli benefici all'umanità»

Certo, il Premio Nobel per l'economia è stato ampiamente criticato e, vengo a sapere dalla voce wikipediana, ne è stata proposta anche l'abolizione. Ma perché abolirlo? La scienza economica potrebbe veramente apportare considerevoli benefici all'umanità se fosse svincolata dalle ragioni del capitale e abbracciasse le ragioni umane tout court. In altri termini, anziché premiare la scienza economica ancella dei «succhia forza-lavoro altrui» (cit. Il Capitale, Libro I, cap. 22) dovrebbe essere portata agli onori quell'economia che trovasse soluzioni scientifiche a favore degli sfruttati, dei malpagati, dei frustrati, dei sottomessi, dei derubati («E ti amo Mariù») - una scienza economica, insomma, che fosse critica dell'economia politica dominante... peccato che il premio Nobel post mortem non può essere assegnato.

domenica 13 ottobre 2013

Non mi passa altro per la mente, credimi

«Dio, che giornata eterna! Bah! che giornata. Vuoi sapere che ore sono, secondo il mio fuso? Le quattro del pomeriggio. Ehi, se tu fossi qui adesso, sorellina, mamma, figlia, amante (nipote, zietta, nonnina) forse potremmo chiacchierare un po' e rannicchiarci vicini – niente porcherie. Solo incastrarci a cucchiaino. Forse mi lasceresti appoggiare il faccione grigio tra le dolci parentesi alate delle tue scapole, non mi passa altro per la mente, credimi. Lo so che sei una creatura innocente. Una che non fuma, non beve e non scopa tanto in giro, scommetto. Mi sbaglio? È per questo che ti amo... In ogni modo, per come la vedevo io, le alternative realistiche di cui disponevo erano sei. Mettermi subito a letto, con un po' di scotch e qualche Serafim in corpo. Tornare all'Happy Isles e vedere come se la cavava la piccola Moby. Chiamare Doris Arthur. Acchiappare uno spettacolo hard core dietro l'angolo, sulla maledetta Settima Avenue. Uscire a ubriacarmi. Restare e ubriacarmi.»
Martin Amis, Money, (1984), Einaudi, Torino 1999 (traduzione di Susanna Basso).


È troppo tempo che non mi ubriaco, porca puttana, e non so neanche perché. O meglio, lo so, il perché: perché l'ultima volta che mi sono ubriacato, dopo, sono stato così male, ho vomitato l'anima, ho perso quasi i sensi, e il mal di capo conseguente mi ha tormentato per un'intera giornata. Quindi evito, in primo luogo per i postumi. Ma anche perché, in fondo, lo stato euforico non mi dice più un cazzo, disinibito lo sono abbastanza, e l'ottundimento mentale causato da alcol o droghe lo trovo analogo a quello determinato dalla fede (a differenza che, quest'ultima, una volta assunta, ha effetti più a lungo termine, quasi sempre al termine). Insomma, uscire fuori di sé non mi sembra il caso, ci sono troppi effetti collaterali. Meglio divertirsi con quanto già siamo, maschere senza maschera, mendicanti in cerca di piacere e di consolazione tra le dolci parentesi alate delle scapole altrui.

Mostrarmisi tutta intera la vita degli uomini

«MENIPPO. E giusto è quanto immagini, amico. Perciò, salito come ti è possibile sulla luna, viaggia con la mente in mia compagnia e con me osserva tutta per intero la disposizione delle cose sulla terra. E pensa in primo luogo di vedere la terra molto piccola, molto più minuta – precisiamo – della luna, al punto che, curvatomi ad un tratto per vedere, non riuscii per un bel po' ad appurare dove fossero le così alte montagne e il così grande mare; e se non avessi veduto il Colosso di Rodi e la torre di Faro, tieni per certo che la terra non l'avrei affatto riconosciuta. Ma invece quelle costruzioni, superiori alle altre in altezza, e l'Oceano che brillava appena al sole mi indicarono che ciò che vedevo era la terra. E una volta che ebbi puntato e fissato lo sguardo, ecco mostrarmisi tutta intera la vita degli uomini, non solo popolo per popolo e città per città, ma anche, e chiaramente, nelle singole persone di coloro che navigavano, che facevano la guerra, che coltivavano i campi, che amministravano la giustizia, e nelle donne, negli animali e, insomma in quanti esseri nutre “la terra donatrice di biade”.»
Luciano, Icaromenippus sive Hypernephelus, traduzione italiana in Id., Dialoghi, a cura di V. Longo, vol. II, Utet, Torino 1986

La tecnica è arrivata ad un punto che la meravigliosa visione lunare di Menippo è stata ampiamente superata da una più stupefacente visione terrestre. In altri termini, non importa salire sulla luna per osservare la disposizione delle cose sulla terra: per vedere per intero la vita degli uomini, «popolo per popolo e città per città», basta aprire gli occhi e non lasciarsi condizionare dalle vulgate correnti. Le informazioni sono state raccolte, la situazione è chiara: le persone continuano a navigare, alcune delle quali anche a rischio della propria vita; altre si fanno la guerra; altre ancora lavorano nei campi, nelle officine, negli uffici; altre non lavorano affatto o perché disoccupate (la moltitudine) o perché sfruttano il lavoro altrui (la classe sociale al potere) - e chi amministra la giustizia lo fa su principi che sono stati ribaltati:
«La Costituzione pone il lavoro a fondamento, come principio di ciò che segue e ne dipende: dal lavoro, le politiche economiche; dalle politiche economiche, l’economia. Oggi, assistiamo a un mondo che, rispetto a questa sequenza, è rovesciato: dall’economia dipendono le politiche economiche; da queste i diritti e i doveri del lavoro.» Gustavo Zagrebelsky, Fondata sul lavoro, Einaudi, Torino 2013
E nonostante la terra doni un più elevato numero di “biade”, esse vengono masticate o appartate da un esiguo numero di crapuloni indefessi (che si declinano in varie maniere, a seconda delle tradizioni locali: dallo sceicco arabo petroliere al capital-comunista cinese, dallo speculatore americano al magnate russo, dal profumiere e sciampista francese al pattumiere televisivo italiano - senza dimenticare, armatori, trafficanti, predicatori e papi), lasciando affamati un incredibilmente alto numero di esseri, animali e donne compresi (infatti, in molta parte di mondo, le donne, essendo averi, faticano a diventare esseri).

Per concludere: l'immaginazione di volare per osservare la terra dall'alto è da tempo diventata realtà; l'immaginazione di abitarla secondo giustizia, uguaglianza e libertà resta ancora un'utopia. E tutto questo solo perché ci sono tecniche che ci si impedisce di utilizzare. Quali? Fare i cannibali a Davos, per esempio.

sabato 12 ottobre 2013

¡Ya Pasta!


Ho appena comprato questo chilogrammo di pasta perché fa rima con Massaro.
L'ho pagata 4,60 euro, più o meno quanto un e-book, «con un prudente margine d'incerto».

Pagata poco? Pagata troppo? Pagata il giusto?
Spero solo che, unitamente alle pregiate miscele di grano duro selezionato, sia stata effettivamente usata “acqua purissima”, magari non del Sarno. 

venerdì 11 ottobre 2013

Air Mail


- Vorrei scrivere due parole al Partito Democratico.
- Prego.
- Vaffanculo.
- Ma non aveva detto due parole?
- Vaffanculo. Ecco la seconda.
- Come mai tanta acredine?
- Perché mi fanno senso.
- In che senso?
- Senso, nel senso di schifo politico.
- Proprio ora che sembrano vincenti?
- Proprio ora che sembrano vincenti.
- Ma vincenti contro chi, e in quale partita?
- Me lo ha detto lei che sembrano vincenti. A me non sembrano.
- Forse non lo sono.
- Non lo sono.
- Ma se non lo sono, perché dunque lei li manda a fare in culo?
- Non mi piacciono i riassunti, sappiamo come sono andate le cose, dal governo Monti sino ad oggi, passando per la riforma Fornero (crepasse, la riforma), le elezioni vinte alla camera per un pelo di ascella depilata (che pur hanno consentito tutta quella maggioranza antidemocratica alla Camera dei deputati dovuta al porcaio calderollum), l'infantilismo di Bersani nel suo mandato esplorativo, la vicenda tragicomica che ha portato all'assurda rielezione di Napolitano, il governo delle larghe intese - tutto ciò mi sembra sufficiente per un vaffanculo.
- D'accordo, ma tutto questo, come anche lei ha testé detto, può essere inglobato in un vaffanculo unico. In altri termini, perché lei lo raddoppia?
- Ha presente la questione Poste italiane che entra nel capitale di Alitalia?
- Sì, è cronaca di ieri e di oggi.
- Ecco, mi sono venuti in mente Roberto e Matteo Colaninno, ed stato facile far decollare un altro vaffanculo, par avion.

giovedì 10 ottobre 2013

Cazzo Pound

via
P.S.
Chissà se aveva la fava dorata.

Il lago degli occhi

Quando si parla di cose non essenziali, che non toccano quello che m'interessa veramente, mi piace essere coinciso sino all'estremo, perché preferisco perdere tempo per niente - per esempio veder gocciare sul pavimento un ombrello allo stipite della porta, osservare che tipo di piccolo lago si forma e, quando appare il Bajkal, sono tutto felice - che, invece, tirarla per le lunghe, farsi ridire le stesse cose come se non fosse stato sufficiente averle ascoltate una volta, quando per capirle bastava uno sguardo, dio come ti fasciano bene il sedere cotesti jeans, ma veniamo al punto, ho detto che mi piace esser coinciso.
E così, dopo che ci siamo detti quello che ci dovevamo dire, in modo preciso e dettagliato, è inutile girare a vuoto ripetendo lo stesso concetto, usando parole diverse. Parliamo d'altro, se non del tuo sedere, almeno dei tuoi occhi che vedono si fissano volentieri nei miei quando io parlo (almeno così mi dice vanità), proprio come i miei si appiccicano ai tuoi quando parli tu. 
Forse per questo temi che quello che ci siamo detti, ovvero quello che abbiamo ascoltato l'uno dell'altra, l'una dell'altro, non l'abbiamo compreso perché eravamo distratti, cioè: io, ti è parso, ero distratto, perché parlando cercavo di far sì che i miei occhi non rivelassero quanto avevano apprezzato i tuoi occhi e il tuo culo; e tu, di contro, cercavi, parlando coi tuoi occhi, di farmi capire che il mio sforzo era vano, i miei occhi non erano stati capaci di nascondere quello che veramente volevano dire, cioè che il tuo culo era bello e i tuoi occhi di più e che in essi mi ci sarei voluto tuffare, come fossero un lago; per tale motivo, in un momento particolarmente topico della questione non essenziale che ci ha fatto conoscere, i tuoi occhi si sono apertamente fatti lago, sì, il Bajkal per l'appunto, però quello d'inverno, ricoperto in gran parte di ghiacci: «E prova a tuffarti adesso, coglione. Non ti distrarre e sta' attento a quello che dico».

mercoledì 9 ottobre 2013

Il giramento che dispensa

Ho un giramento di palle impressionante, ma non capisco perché. Le sento frullare, come pale di elicottero: tra un po', temo, prenderò quota. Per andare dove? Non saprei, forse sopra Roma, sopra le vie che attraversano i palazzi del potere. E di lassù orinare, così, come viene viene, 
colpire qualcuno di importante, relativamente importante, ivi comprese le guardie per andar di corpo, dentro i loro auricolari del cazzo pieni di cerume.
Mi fanno schifo le cuffiette a supposta che s'infilano dentro le cavità auricolari, passarsele poi, tra umani, piene di magari fosse miele altrui. Sono sempre stato uno schizzinoso, tranne che per i cunnilingus a colei che un tempo amai perdutamente - mi ricordo le faringiti e le raucedini interminabili di quel periodo -; e meno male ella mi lasciò, sennò avrei fatto la fine di Micheal Douglas con qualche miliardo in meno.

Bello questo scrivere qui per rallentare il giramento. Come la centrifuga di una lavatrice a fine corsa, il mio animo si è rappacificato, non fa più rumore o scotimento, è pronto per uscire dal cestello, stendersi e asciugarsi a questo balcone. Vado a prendere le mollette, prima che tiri vento e cada giù.

Felicità è...

... fare rifornimento e sapere che, per ogni pieno, pagherò un caffè a un cassintegrato in deroga e/o a un pensionato con la minima.
http://m.repubblica.it/mobile/r/economia/dettaglio/bozza_conti_pubblici/2013-10-09/68227814?gx=e3s1
UPDATE ore 19:11
via
da smartfono non mi vengono bene i post e quindi mi smentisco da solo, ché sono un tesoro.

martedì 8 ottobre 2013

Bisogna mangiare

«Sono ad acqua e tre cappuccini al giorno dalla mezzanotte di domenica. Ci resterò finché il Senato, intendo dire l’Aula del Senato, avrà approvato una riforma elettorale che cancelli il Porcellum, restituendo ai cittadini la possibilità di scegliere i parlamentari e garantendo dopo il voto una maggioranza chiara a chi vince: senza accordi e trattative tra forze che alle elezioni erano opposte tra loro».
Massimo rispetto per la rinnovata decisione dell'onorevole Roberto Giachetti. La legge elettorale fa schifo, e forse occorrono gesti estremi per imporre costantemente all'attenzione politico-mediatica l'esigenza di sbarazzarsene quanto prima.
Mi domando, tuttavia, se il digiuno di Giachetti sia un gesto estremo. Mi rispondo che no, non lo è, in quanto uno digiuna per settimane senza che questo lo metta in uno stato compassionevole tale che parlamento e governo provvedano a modificare il porcellum.
Paradossalmente, per accelerare il tutto, anziché fare lo sciopero della fame, Giachetti dovrebbe imporsi di mangiare tanto quanto i protagonisti de La grande Bouffe mangiano. 


Ecco, egli dovrebbe accomodarsi alla buvette di Montecitorio e mangiare vassoi di purè in continuazione. Chissà se qualcuno del suo partito lo aiuterà a cambiare l'aria. E la legge elettorale.

I Pastoni

«Settembre, andiamo è tempo di scrivere un romanzo»


Poco fa, su Fahreneit, meritoria trasmissione culturale pomeridiana di Rai Radiotre, quando il conduttore ha letto il suddetto elenco di autori e libri, ho pensato questo: ma quanti cazzo di  romanzi - poiché, se non erro, sono romanzi - vengono pubblicati in Italia? Altolà: non è un discorso di invidia o di gelosia perché qualcuno ha pubblicato romanzi presso editori famosi, magari facendosi anche pagare, e io no. Non è questo. Io non ho scritto, né scrivo (neanche credo scriverò) romanzi. Io mi preoccupo perché questi romanzi qualcuno dovrà pur prendersi la briga di leggerli. E sono tanti. Sono migliaia di pagine, milioni di parole. Per cosa, in fondo? Certo, per gli scrittori, più o meno di professione, questo è un lavoro più o meno remunerato. Quanto remunerato? E, allo stesso tempo, le case editrici quanto guadagnano mediamente con tali pubblicazioni? La Mondadori, per esempio, per recuperare il salasso di mezzo miliardo e passa di euro che deve rendere alla Cir di De Benedetti, quante copie di Francesco e Carmine Abate e/o Eraldo Affinati dovrà vendere? Sono temi importanti, questi. 
Penso anche a Bompiani che ha avuto il merito di pubblicare Betty di Roberto Cotroneo, libro sicuramente ispirato da numerosissime tazze di verde bevute durante freddissimi backstage autunnali. Penso inoltre a Minimum Fax che ha pubblicato di Alessio Torino, Urbino, Nebraska: siamo sicuri sia Alessio e non Alassio? 
Un plauso a tutti indiscriminato per i titoli originalissimi e accattivanti. Un posto anche per me; Il posto delle donne; Niente che sia al suo posto: forse che, per le difficoltà di trovare posto negli scaffali, lo hanno fatto nei titoli? E poi: Il pianeta senza baci (e senza bici); Il bacio del pane: quante pene. E ancora: L'albero e la vacca, Il casale (settore primario), La fabbrica del panico (settore secondario), Elogio del ripetente (terziario avanzato). Infine, il titolo - ispirato sicuramente dall'acronimo di Istituto Tecnico Industriale Statale - che li riassume tutti: Inutile Tentare Imprigionare Sogni. Meglio decapitarli, subito.

lunedì 7 ottobre 2013

Fondono e filano

«Fondersi in un Comune unico significa ottenere i contributi economici che la Regione ha destinato come forma di incentivo agli accorpamenti amministrativi e avere diritto all'esenzione dei limiti imposti dal patto di stabilità per i primi tre anni. E per i cittadini l'unico fastidio sarà quello di dover cambiare la residenza quando scadranno i loro documenti»
In Toscana c'è stata questa roba. Io ho partecipato, e come elettore, e - novità - come scrutatore. Mia prima volta, infatti, il fare lo scrutatore. Alcuni anni fa chiesi all'anagrafe comunale come si faceva a diventarlo e loro mi dissero bastava fare la richiesta ché mi mettevano in lista. La feci, ma non ero mai stato sorteggiato. Neanche questa volta, a dire il vero. Soltanto, il sorteggiato ha rinunciato e io sono stato nominato scrutatore di sostituzione a un secondo (o terzo?) sorteggio. Mi hanno comunicato la cosa mercoledì scorso per telefono, mentre ero al lavoro. In verità ero titubante, non sapevo se accettare o no, quando una cara collega, con il suo straordinariamente persuasivo accento napoletano, mi ha tolto dagli indugi: «Ma tu sei scemo? Ti danno trecento euro e stai un giorno senza venire a lavorare». Non ho titubato più, anche se, mi hanno detto poi al seggio, gli euro saranno centoventi. Pazienza: mi farò dare il resto dalla collega: una pastiera potrà bastare.

Mi sono divertito? Mi sono divertito, anche se non c'era un gran che da fare. 52% totale votanti delle tre sezioni (dov'ero io la media un po' più bassa). Più donne votanti che. Tra esse ho contato una quindicina di suore vestite di bianco, dell'ordine dei camaldolesi o dei domenicani. Una mi ha chiesto se il sì significasse l'unione. Ho sorriso, Cristo, ho sorriso. Ci sono stati, dipoi, anche un paio di preti e un aspirante imam. Il resto laici, molti simpatici, come un signore classe 1925 che, orgogliosamente, ha proclamato che lui ha sempre votato dal referendum per la Repubblica in poi, anche se ha quasi sempre perso. «Anche alle ultime elezioni?» domando incuriosito. «Soprattutto a quelle, porcoddiaccio, che s'era anche arrivati primi». E un altro che voleva votare davanti a noi senza entrare nella cabina («Perché dev'essere un segreto se voto sì?», «Sì, lo deve essere si accomodi»), e un altro ancora che, alla domanda di un collega scrutatore sul come andasse la vita in generale, lui, sorridente, ha risposto: «Mah, più o meno bene, finché si cammina senza puntelli». L'enigma della Sfinge.

Le sezione elettorale era composta da: presidente di seggio, segretario, scrutatori (4, me compreso). Classi sociali anche qui. Va be', il presidente è stato molto democratico e ha lavorato insieme a noi del terzo stato. Registravamo i partecipanti al voto nei registri divisi per genere. Maschi e femmine. I trans ancora non sono previsti dallo Stato perché potrebbero aver diritto a votare due volte alla stessa tornata elettorale?

Rivedere una parte di facce del popolo. Dall'imprenditore vestito firmato, all'operaio che è venuto in tuta da lavoro. Dalla milf col viso tirato e le tette rifatte, alla signora con la permanente color mogano. Medici, insegnanti, ortolani, macellai, pensionati, geometri, autisti, aspiranti ingegneri, baristi, studenti, giornalisti, ufologi, paracadudisti (cit.), eccetera.

Oggi pomeriggio, alle 15:01, scrutinio. Io mi sono occupato di estrarre le schede dall'urna e di consegnarle al presidente per la lettura dei SÌ o dei NO (o dei "forse", uno ha votato entrambe le opzioni; più due nulle e una bianca).
Hanno vinto i SÌ con una percentuale bulgara (quasi l'80%).

Attenzione. Questi sono referendum popolari consultivi, nei quali vengono interpellati i cittadini elettori su un'eventuale proposta di accorpamento di due comuni limitrofi, aventi un certo numero (limitato, credo sotto i cinquemila) di abitanti . La decisione finale spetta, comunque, al Consiglio regionale, il quale, dato l'esito, credo terrà in debito conto la volontà popolare e promulgherà, prossimamente, l'unione.
Boh.
Già sotto il fascismo (anni '30) i due comuni furono uniti d'imperio, ma per poco: dopo tre anni di litigiosità amministrativa e campanilistica, anche i rigidi gerarchi fascisti furono costretti a ridividere ciò che di fronte al Duce avevano unito.
Sono passati tanti anni e tanta acqua sotto i ponti dell'Arno. Vedremo. Io, per la cronaca, ho votato sì perché sono curioso di sapere dove andranno a sposarsi due comuni. In Chiesa o in Municipio?

sabato 5 ottobre 2013

Descrizione della mia nebbia

Giovanni Giudici, O beatrice, Mondadori, Milano 1972
Prima giornata di autunno intenso, di quel nebbione che s'infila persino tra le mutande a inumidire il pelo ivi costretto. Vorrei parlare di sesso, ma parlare di sesso è noioso perché si raccontano sempre balle, mai si valicano i confini del proprio desiderio. Allora di cosa parlo, di politica? Più noioso che parlare di quella cosa che farebbe con essa rima se politica non fosse una parola sdrucciola, ma piana. Sono perso, non ho filosofie da spiegare, a meno che filosofia non sia stato quel leggero tirarsi su la maglietta tanto quanto basta da scoprire la pelle del tuo fianco sinistro. Chi è quel tu? Mistero fitto, più della nebbia, ma cazzo quanto avrei voluto, abbracciandoti, metterti la mano lì. Non potevo, sono cose che non si fanno e ti saresti più stupita di me, che stupido sono, se ci penso. Sicché ho preso l'auto, pioveva anche, ma ho regolato la velocità dei tergicristalli al minimo

così da avere l'impressione che le lacrime restassero all'esterno. Lacrime? No, magari fosse facile piangere a comando, fare uscire la nebbia che si ha dentro. Ciò nonostante ho detto lo stesso basta, «paghi chi deve, io chiedo scusa del disturbo», sono un superficiale, se penso oggi a Lizzani, come pensai ieri a Monicelli e ieri l'altro a Primo Levi (un abbraccio forte a tutti) oddio, no, ho le vertigini, esco restando dentro, muoio la mia vita in modo innaturale, succo di mirtillo e noce di burro buono alla mattina, ché vivere la morte mi fa venire il torcicollo. E se un giorno o l'altro torna il sole me lo prendo.