venerdì 28 febbraio 2014

365 padri

Ah, se i carcerati avessero 365 padri
e morissero tutti
un giorno dopo l'altro...
Potrebbero uscire per il funerale
e passare un anno fuori.

Alessandro Bergonzoni, L'amorte, Garzanti, Milano 2013

~~~
Se ricordo bene, ma non so se ricordo bene perché ho bevuto un po' troppo Rosso di Montepulciano che mi fa girare la testa, prima, a 8½, Cacciari e Crepet hanno detto, in soldoni, che in fondo è bene dare credito al “giovane” Renzi, perché la loro generazione, la generazione dei padri, ha fallito.
Cacciari e Crepet, due giorni liberi.

giovedì 27 febbraio 2014

Rivelazioni radioattive

Un grande Fabristol.

«Pochi giornali vi stanno facendo notare i fili che legano tutti gli avvenimenti. Si parla di rivoluzione, democrazia, diritti dei gay, dittatori. Sono tutte cazzate. Queste sono le classiche strategie delle democrazie occidentali per preparare l’opinione pubblica a interventi armati. Le democrazie hanno bisogno di scuse, di ragioni nobili per poter attaccare frontalmente e i giornali di regime preparano il terreno. In questo senso Putin ha ragione a parlare di propaganda occidentale in Russia. Basta vedere il caso dei diritti gay per le olimpiadi di Sochi. La comunità LGBT usata, sfruttata senza ritegno dagli USA per i loro sporchi disegni geopolitici. A nessuno importa un cazzo dei gay russi, in molti paesi arabi alleati degli USA li impiccano per dire. Ma quelli non fanno scandalo. Fanno scandalo solo alla vigilia del colpo di stato in Ucraina così che i giornali progressisti potranno dire che “abbiamo attaccato gli interessi della Russia perché maltrattava i gay”. Nessuno vi ha detto che mentre Putin era distratto da Sochi la Merkel sborsava 600 milioni all’opposizione ucraina, quella che assaltava i palazzi del potere con l’aiuto di unità parafasciste. E che dagli USA arrivavano centinaia di milioni di dollari per lo stesso motivo. Buttare giù un presidente regolarmente eletto ma che purtroppo era filorusso. La forza della rivoluzione, i poveri giovani trucidati dal dittatore! Peccato che le rivoluzioni funzionano solo quando sono finanziate da qualcuno. Merkel e Obama hanno sulle coscienze quei morti, burattini per i loro disegni geostrategici. E così dopo più di cento anni le potenze europee tornano in Crimea per togliere dalle mani russe Sebastopoli, il più grande sbocco al Mediterraneo per la flotta russa. »

(tanto noi s'ha Matteino, con du' twittate ei ferma i carrarmati, tu penzi icché).

(quanto siamo cazzoni con le mani: una sur core, quando sòna l'inno di stocazzo, e l'altra sur culo per parasselo.)

(ricordatevi di essere moderati nei toni)

(e di controllare che sul tappeto i problemi ci siano tutti, ché poi il tappeto si brucia in piazza con le michelin usate).

(non sarà mica che in Ucraina stiano venendo fuori, massicciamente, tutti gli effetti collaterali delle radiazioni di Cernobil?)

(Mi manca Andrej Tarkovskij. Stalker, uno dei film più belli che abbia mai visto)

I re di tutta la Terra, i governanti, i comandanti di eserciti, le persone più ricche e potenti andarono a rifugiarsi nelle caverne e tra le rocce dei monti, insieme a tutti gli altri, schiavi e liberi, e dicevano ai monti e alle rocce: - Cadeteci addosso e nascondeteci, che non ci veda Dio che siede sul trono e non ci colpisca il castigo dell'agnello, perché questo è, ormai, il grande giorno della resa dei conti: chi mai potrà sopravvivere?»)


(avviso ai naviganti: la caverna di Berlusconi è in Sardegna e il mausoleo ad Arcore: se crepa nell'una, chi lo porterà nell'altra? Gli iscritti ai club?)

(il potere: o dell'impossibilità di avere contezza dell'unicità di ogni vita umana: discorsone: ad usum Onu.)

Il Paese delle palle piene

Le Monde
A qualità non saprei dire, ma a quantità gli italiani non sono secondi a nessuno, in virtù del fatto che vi sono comprese anche le donne. In altri termini, quella italiana è una popolazione che può, a giusto titolo, vantarsi di aver le palle piene per lo squallore politico, economico e sociale del Penpaese.

- Penpaese? Sarebbe?
- Il Paese del Cazzo (e delle palle piene del popolo sovrano).

mercoledì 26 febbraio 2014

Kant, Grillo e il radicchio trevigiano che non colsi

«L'antica e famosa domanda, con la quale si credeva mettere i logici alle strette, e si tentava di portarli al punto, in cui essi dovessero o farsi cogliere in un futile circolo, oppure confessare la loro ignoranza, e quindi la vanità di tutta quanta la loro arte, è la seguente: che cos'è la verità? La definizione nominale della verità, secondo cui cioè essa risulta l'accordo della conoscenza con il suo oggetto, è qui concessa e presupposta; si desidera tuttavia sapere, quale sia il criterio generale e sicuro della verità di una qualsiasi conoscenza.
Il sapere che cosa si debba ragionevolmente domandare, è già una grande e necessaria prova di saggezza e di sagacia. Difatti, se la domanda è in sé assurda e richiede risposte superflue, essa allora, oltre ad umiliare chi la propone, ha talvolta anche lo svantaggio di indurre l'ascoltatore incauto a risposte assurde, e di offrire il ridicolo spettacolo (come dicevano gli antichi) di una persona che munge il becco, mentre un'altra tiene lo staccio.
Se la verità consiste nell'accordo di una conoscenza con il suo oggetto, questo oggetto deve in tal modo venir distinto da altri oggetti; una conoscenza è falsa, difatti, se non si accorda con l'oggetto a cui viene riferita, pur contenendo qualcosa che potrebbe certo valere rispetto ad altri oggetti».

Immanuel Kant, Critica della ragion pura, “Dottrina trascendentale degli elementi”, Parte II,
Logica trascendentale, Adelphi, Milano 1976, a cura di Giorgio Colli.

Domandare è lecito, rispondere eccetera.
- Perché a Beppe Grillo e a Casaleggio piace mungere il becco?
- Perché non riescono a tener fermo lo staccio. Hanno bisogno continuo di purificazione, ovverosia di espulsione degli impuri, perché non riescono a espellere abbastanza i lati oscuri del loro Sé.

Ci sarebbe da ragionare ancora sopra, ma rimando, sono stanco, come se fossi stato a Treviso a raccogliere radicchi.

martedì 25 febbraio 2014

O casta Stella

Premessa: delle vicende ucraine, so quanto mediamente sa un normale lettore, o radioascoltatore, o telespettatore, cioè abbastanza per avere un'idea, ma poco per aver l'ardire di manifestarla come se fossi un esperto o un inviato; premetto, altresì, che non nutro alcuna simpatia, né quindi difendo in alcun modo Janukovyč e che, anzi, sono istintivamente contento sia decaduto. -
Ho premesso questo perché stamani, in auto, saranno state le 7:50, mentre ascoltavo la rassegna stampa di Prima Pagina, Radio Tre, condotta questa settimana da Gian Antonio Stella, ho avuto un moto di indignazione (eufemismo), quando il noto giornalista ha pronunciato quanto segue:
«A proposito anche delle obiezioni della gentile signora che ieri mattina ha telefonato descrivendo la magnanimità, la grandezza di Janukovyč travolto dalla rivoluzione anti-democratica, lo stesso Francesco Battistini [sul Corsera] racconta la storia di una delle schifezze che vengono rinfacciate a Janukovyč...»

Lì per lì, ho preso il telefono, ho composto il numero verde, 800050333, per chiamare la redazione, ma niente, ho provato sino alle 8:30, sempre occupato.

- Oh, Massaro, spiega: per cosa t'incazzi? Qual nefandezza avrebbe lo Stella commesso?

Deh!, gentil lettore devi pazientare e, cortesemente, leggere la seguente trascrizione tratta dal filo diretto con gli ascoltatori della stessa trasmissione Prima Pagina, Radio Tre, del giorno avante, lunedì 24 febbraio 2014. Conduttore, sempre Gian Antonio Stella. 

Terza telefonata.  (7':52"). Chiama una «gentile signora»:

Maria Elena da Milano: - La chiamo per intervenire sulla narrazione che è stata fatta in Ucraina, una narrazione che mi ha un po' preoccupato sia televisiva che giornalistica […] per due motivi: il primo, è perché io, insomma, ho letto “la dittatura è finita” cose di questo tipo, quando, per quanto io non nutra alcuna simpatica per Janukovyč; Janukovyč è stato eletto democraticamente quattro anni fa. E quando i giornali scrivono: “Il dittatore grida al golpe”, in realtà dovrebbero scrivere: “Il presidente legittimo parla di golpe” che, effettivamente, è quello che tecnicamente è avvenuto in Ucraina. Quindi, tutta questa narrazione del mostro, la costruzione del mostro: ho letto cose incredibili, tipo che aveva il gabinetto d'oro, ho visto le foto di questo gabinetto d'oro, salvo poi scoprire che questo gabinetto non era suo, non era affatto nella sua “reggia”, diciamo così, perché vorrei sapere invece come sono le altre degli altri capi di stato. Oppure, quando leggo l'infermiera che twitta: «Sto morendo», quando invece poi si scopre ch'è viva […] insomma tutta una serie di falsità spacciate per vere senza alcuna verifica. È un giornalismo così sciatto, così asservito che mi preoccupa veramente tanto. Ecco, questo volevo dire.
E poi, la descrizione di Julija Tymošenko come una eroina, quando parliamo di un'oligarca che nel periodo delle privatizzazioni negli anni '90 si è arricchita dal nulla ed è diventata una delle donne più ricche del suo paese, anzi la donna più ricca del suo paese, chiamata anche la principessa del gas, una donna che è stata condannata per malversazione, per aver fatto dei contratti di acquisto del gas sfavorevoli per il suo paese con la stessa Russia. Quindi, il parlamento, per farla uscire, ha dovuto votare una legge che cancellava quel suo reato dalla legislazione ucraina. Quindi stiamo parlando di questo, cioè, la narrazione di questi fatti, sui nostri giornali, sui nostri media è stata vergognosa, così come è stato in Siria, così come è stato in altri paesi.
E poi scusi, la seconda parte del mio intervento...

Gian Antonio Stella: - Sì, signora, concluda perché ci sono anche gli altri, solo per questo.

Maria Elena: - Sì, sarò molto rapida, anche perché sono curiosa di sapere cosa mi dirà lei. La narrazione a doppio registro. Quando noi vediamo in piazza manifestazioni così feroci, con l'utilizzo di armi,  la narrazione che viene fatta dai nostri giornali, dai nostri media è quella di eroi che scendono in piazza, di ribelli che cercano di liberare il loro paese dal dittatore. Quando vediamo i nostri ragazzi scendere in piazza, ovviamente non armati di pistole e di fucili come è avvenuto a Kiev, ma molto più tranquilli, che al massimo spaccano qualche vetrina o altro...

Gian Antonio Stella: - Signora, se lei non chiude le devo togliere la parola e non voglio farlo

Signora: - Sto parlando di libertà di espressione

Gian Antonio Stella: - Ho capito, e magari ci sono anche altri ascoltatori che vogliono parlare della stessa roba al posto suo, abbia pazienza.

Signora: - Allora io voglio parlare semplicemente di questa doppia narrazione: i nostri ragazzi sono dei criminali, quelli [i rivoltosi di Kiev] sono dei liberatori. La mia riflessione è finita.

Gian Antonio Stella: - Allora, che ci siano delle perplessità sul cammino scelto dai vari paesi ex comunisti nel loro tragitto verso la democrazia è fuori discussione. Che, a suo tempo, gli stessi giornali avessero parlato della Julija Tymošenko in maniera diversa da quella in cui si è parlato in questi giorni è anche questo vero. Però, come è sbagliato leggere la verità tutta da una parte, può essere sbagliato anche leggerla tutta dall'altra. Signora, mi perdoni: mi par di aver capito, a seguire le cronache di questi giorni, che la reazione del presidente in carica, sicuramente democraticamente eletto, è stata talmente sproporzionata con la scelta di far sparare sulla folla, che persino i suoi lo hanno sfiduciato.
Che poi il problema non si possa risolvere con una manifestazione e con gli scontri in piazza, questo è fuori discussione, né in Italia, né a Kiev. Ci sarà bisogno di nuove elezioni, con delle garanzie diverse che possano consentire sia a quelli che che vorrebbero restare legati alla Russia, sia a quelli che vorrebbero diventare più legati all'Europa di poter esprimere al meglio le loro opinioni. Non so se si andrà verso una balcanizzazione, mi auguro di no. Sicuramente, voglio dire, andare a difendere una persona eletta però piuttosto autoritaria che fa sparare sulla folla, vabbè. Che poi uno possa essere diventato così ricco da farsi una villa come quella che si è vista con lo zoo, eccetera eccetera, vabbè, insomma, mi sembra difficile. (13':34")

Precisazione: narrazioni (e vetrine) a parte (Maria Elena deve probabilmente essere una potenziale elettrice di Vendola o, meglio, semplice lettrice de Il Manifesto) la gentil signora - oltre a non aver mai difeso Janukovyč, ha sollevato due precise obiezioni a Gian Antonio Stella, il quale le ha clamorosamente eluse - e vabbè, ne ha il diritto, ma non aveva il diritto di travisarle.

È questo che mi ha fatto incazzare, anche perché ciò mi conferma in dei sospetti, ossia che tutta l'operazione giornalistica d'inchiesta e di denuncia di Gian Antonio Stella non serva a un beneamato cazzo, se non a rincalzare le coperte di coloro che il potere ce l'hanno già.
Infatti, nonostante La Casta abbia avuto più lettori di dieci libri di Bruno Vespa (dico a occhio), cosa è successo in Italia? Che i problemi non si possono «risolvere con una manifestazione e con gli scontri di piazza, questo è fuori discussione». Come a dire: bisogna fare le riforme. Come a confermare: continui tutto così che tanto poi io e Rizzo ci scriviamo un nuovo libro sopra e vaffanculo.

Se in Italia, soprattutto in Italia, l'indignazione non si trasforma in piazza che prende pneumatici e li brucia, cosa resta di essa? Una vittoria prima della Lega, ora dei Cinque stelle, una vittorina di partito di Renzi, e sempre al centro un delinquente, che non avrà fatto mai sparare sulla folla, ma rispetto al quale Janukovyč è una mezza sega. 
In breve: il mio sospetto è che anche i cosiddetti migliori facciano parte del giro dei poteri costituiti. E che le caste di volta in volta additate siano soltanto dei meschini Janukovyč di turno, sui quali basta poco per concentrare il pubblico ludibrio, la rabbia, la sacrosanta voglia di rivolta - che a poco a poco si sgonfia e si secca come una merda di vacca su un prato in fior (Beckett). 
Se a Kiev basta un cesso di oro zecchino per scatenare una rivoluzione, perché a Roma non basta un Palazzo Grazioli o una sede di partito in via del Nazareno?

lunedì 24 febbraio 2014

La palla delle narrazioni


«L'uomo è nel senso più letterale uno ζῷον πολιτικόν non soltanto un animale sociale, ma un animale che solo nella società riesce ad isolarsi. La produzione dell'individuo isolato al di fuori della società - una rarità che può capitare ad un uomo civile sbattuto per caso in una contrada selvaggia, il quale già possiede in sé potenzialmente le forze della società - è un non senso come lo sviluppo di una lingua senza individui che vivano insieme e parlino tra loro». Karl Marx, 1857, Introduzione a «Per la critica dell'economia politica», Appendice A, edizione Einaudi, vol. **.

Dici: sono stanco, me ne frega un cazzo, non rompetemi, non ne vale la pena, fatemi uscire, non voglio ascoltare nessuno, voglio stare solo, fuori dal mondo, fuori dal casino... 
Constati: non è possibile. Ogni isolamento è impossibile, ci sono voci dappertutto, discorsi, idee, suggestioni, stimoli, provocazioni: tutto ciò ti trascina dentro il carcere della realtà. L'indifferenza, o meglio: la sufficienza è solo un atteggiamento di puerile autodifesa. Non tutto quel che accade ti riguarda, ma tutto quel che accade ti guarda, a vista, ti controlla, ti determina e ti fornisce narrazioni...

Che due palle tutte queste narrazioni, ma grosse, ahimè!, sapessi quanto, da orchite cerebrale. Narrano, i narratori, persino con le mani in tasca, in modo da verificare all'istante quanto, sgonfiandosele, vadano a gonfiarle a dismisura a coloro che gravitano nella stessa sfera mediatica.

Sono sempre più rare le contrade selvagge. Anche se vai in India, in un quasi congedo camusiano, spesato, spaesato, riverito, rivestito, abbronzato, fisicamente in forma a forza di fare palestra nell'attesa che qualche alta corte decida la tua condanna, non perché, come dicono i media italiani, sei stato coinvolto nell'uccisione di due pescatori, no, ma perché li hai ammazzati quei due pescatori, bene, sei lì che aspetti, tra un rinvio e l'altro e, zacchete, ti telefona una narrazione per dirti che sta narrando di te al Paese.
Più facile sfuggire alla giustizia che alle narrazioni.

Io, è vero, narro poco, poche idee pigre, divaganti, scarsamente produttive. 

Allo stesso livello delle mani

PARIS.- Cecile Scaillierez, French curator in charge of the painting department of the Louvre Museum, art historian specialized in the 16th painting, poses in front of Leonardo da Vinci's masterpiece Mona Lisa or "La Joconde" (in French). Protected by thick, extra-clear and non-reflective glass (“the best on the market”, emphasizes Cécile Scailliérez, the curator who has been caring for the Mona Lisa for the past twenty years and has even written a book about her), La Joconde is illuminated from below by a discrete spotlight integrated into the wooden podium encircling the painting and which contains a veritable electronic arsenal. The architect placed the famous painting so that viewers’ eyes would be at the same level as the Mona Lisa’s hands.
More Information: 
http://artdaily.com/

domenica 23 febbraio 2014

Un pene anticapitalistico

«L’amore è anticapitalistico. Ed è per questo che, anche quando tutto crolla, resiste e ci permette di sopportare la violenza dell’anonimato contemporaneo. E anche quando tutto intorno a noi tutto ci urla che siamo inutili e non serviamo a nulla, l’amore ci sussurra che non è vero, che non è così, che siamo speciali. L’unicità di quello sguardo che ci riconosce e che non ne vuol sapere niente di tutte quelle persone che cercano di occupare il nostro posto e di buttarci via. L’unicità di quelle parole – esattamente quelle – che ci accolgono la sera anche quando sono un po’ stanche e un po’ distratte. Solo perché “sono io”. Solo perché è “lui” o “lei”, come ci ricorda Montaigne in uno dei suoi saggi più belli. Ecco perché, è proprio in questo periodo di crisi, che abbiamo tanto bisogno dell’amore.» Michela Marzano, filosofa di Francia e deputata PD.

Non l'avrei mai detto ma, intimamente, sospettavo di avere un pene anticapitalistico. 
Sembra, il mio, un tipo pigro, costantemente appartato, che esce fuori e si manifesta solo in caso di necessità. Tuttavia, nonostante questo rimarchevole riserbo, esso è sempre pronto all'azione, sia di basso conio che di maggior vaglio, e non indugia a venire fuori e a sussurrare di sentirsi un essere “speciale”.
«L'unicità di quello sguardo che [lo] riconosce e che non ne vuol sapere niente» di tutti quegli altri cazzoni che cercano di occupare il suo posto e di buttarlo via. «L'unicità di quelle [mani] - esattamente quelle - che [lo] accolgono la sera anche quando sono un po' stanche e un po' distratte [...] Solo perché è “lui”, come ci ricorda [Rocco Siffredi] in uno dei suoi saggi più belli. Ecco perché, è proprio in questo periodo di crisi, che abbiamo tanto bisogno» di trombare o, al limite, anche soltanto di fare petting.

sabato 22 febbraio 2014

Non facciamo tante cerimonie

Edward Gorey

Ho letto e ascoltato alcuni lamentarsi che Renzi avrebbe potuto confermare questo o quel ministro (Kyenge, Bray, Bonino, i più gettonati per le lamentazioni; mi stupisce, altresì, che alcuno pianga l'assenza di Cancellieri). Il fatto è che Renzi si è trovato davanti a una scelta: tenersi il meno peggio oppure il peggio e basta. Ha scelto la seconda opzione. D'altra parte doveva accontentare a pieno il Nuovo Centro Destra (e infatti, per un Quagliarello che è uscito, tre enneciddini hanno ritrovato la riconferma del ministero che già ricoprivano nel precedente governo) e promuovere due ministri del Pd: Orlando dall'Ambiente alla Giustizia e Franceschini dai Rapporti col Parlamento ai Beni Culturali [*].
Inoltre, la scelta di Renzi nel cambiare i ministri che non avevano demeritato è motivata dal fatto che, se avessero continuato il loro “buon” lavoro, il merito sarebbe stato ancora di Letta nell'averli precedentemente scelti, e non suo.

Interessante è stato anche aver dato l'incarico di un ministero senza portafoglio a una donna in stato interessante; per di più, se non ho capito male, all'ottavo mese, proprio per dimostrare al mondo del lavoro che le donne possono andare a lavorare anche in quelle particolari condizioni, mica come tante fichelesse che non fanno a tempo a concepire che, zacchete!, ti mandano il certificato e stanno a casa quindici mesi [**]. Vedrete, Madia farà meglio di Rachida Dati, ministro francese ai tempi di Sarkozy, la quale dopo due o tre settimane dal parto, fu di nuovo pronta per svolgere la sua attività di ministro - e ci mancherebbe altro, sennò Marianna Madia che diamine di semplificatrice sarebbe? Anche in virtù del fatto che, quando uno diventa ministro, naturalmente si forma attorno una cerchia di sottosegretari e assistenti vari che ti vegliano la notte al posto tuo, volendo. 

Infine, una particolare menzione al booty di Maria Elena Boschi: la penserò, con tutte le conseguenze del caso.
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*Spero il ministro Giannini mi suggerisca per il Cern.
**Questo fenomeno accade particolarmente nel settore pubblico. A scanso di equivoci: io non metto in dubbio la validità delle ragioni che certificano il congedo maternità delle lavoratrici. Di più: se fossi io il legislatore, aumenterei considerevolmente i giorni di astensione “obbligatoria” retribuita al 100% sia durante la gravidanza che post parto - e ai prenditori di lavoro (pubblici o privati) che fanno pressioni di qualsiasi tipo alle donne incinte (o che vorrebbero rimanerlo ma che rimandano per paura di perdere il posto di lavoro) per non avvalersi degli imprescindibili diritti della maternità, ecco... gli farei baciare non la croce, no: ma la Costituzione.

venerdì 21 febbraio 2014

Fare il ministro: un mestiere immateriale

Riguardo al nuovo governo, mi limito solo a una domanda: Dario Franceschini sarà il prossimo ministro della cultura perché 
«ha pubblicato con Bompiani nel 2006 il romanzo Nelle vene quell’acqua d’argento, tradotto da Gallimard in Francia, dove ha avuto un successo di critica e vinto il Premier Roman di Chambery. Nel 2007 ha pubblicato, sempre per Bompiani, La follia improvvisa di Ignazio Rando, nel 2011 Daccapo e nel 2013 Mestieri immateriali di Sebastiano Delgado
Sarò un pettegolo maldicente ma, a mio modesto avviso, il neo-ministro Franceschini sembra ripercorrere la strada già battuta da un ex ministro della cultura, l'onorevole Sandro Bondi. Infatti, Bondi stesso, ispirato autore di componimenti poetici, dopo la separazione dalla moglie e il fidanzamento con una nuova compagna, ebbe la ventura di ricoprire tal cazzuto incarico, proprio come oggi Franceschini, separato anch'egli dalla moglie e da alcuni anni fidanzato con una signora che, attualmente, mi sembra sia consigliera comunale di Roma.
Questo per dire, insomma, che sovente in Italia il dicastero dei Beni e delle attività culturali e del turismo è destinato a gente che deve pagare gli alimenti, più mantenere alto il livello del testosterone - almeno credo.

160 miliardi di dollari cash

«L'attività mediante la quale viene formato il tesoro, è da un lato la sottrazione del denaro alla circolazione mediante una vendita costantemente ripetuta...» Karl Marx, Per la critica dell'economia politica.

«Come espresso più volte nell'ultimo periodo da Tim Cook, la volontà di Apple è di sfruttare l'enorme deposito di 160 miliari di dollari (cash) per grandi acquisizioni, specificando al contempo che progetti e prodotti che meritano l'attenzione della Mela si contano in un palmo di mano. Tesla è sicuramente tra questi» [via]

Dato che per il capitalista è impensabile redistribuire ai lavoratori il maltolto autorizzato dalla legislazione corrente (sia quella ove vige uno stato di diritto, sia quella ove vige un sistema autoritario), allora o tesaurizza - ma fino a un certo limite, Paperon de' Paperoni è una caricatura - o “investe”, divorando altri settori della produzione.

Vado con la fantasia e penso allo stabilimento Fiat di Termini Imerese. Tramite Wikipedia, rileggiamone la storia:

Lo stabilimento sorse nel 1970 nel territorio comunale di Termini Imerese grazie ad un consistente contributo della Regione Siciliana erogato al gruppo Fiat per ottenerne la localizzazione nel territorio; venne allo scopo creata la "Sicilfiat" una società a partecipazione regionale di cui la Fiat deteneva il pacchetto di maggioranza con il 60% delle azioni. Nel 1977 quest'ultima acquisì la totalità delle azioni per cui lo stabilimento divenne uno dei tanti del gruppo con una forza lavoro di circa 1500 addetti. Negli anni ottanta questa era salita fino a quota 3200 addetti scendendo poi, dagli anni novanta, fino ai 1900 dell'ultimo periodo di vita in seguito alle ripetute riorganizzazioni della forza-lavoro.
Ha prodotto nel tempo e successivamente la Nuova 500, la 126, la Panda, la Punto e in ultimo la Lancia Ypsilon.
In conseguenza della crisi del settore auto e del calo delle vendite del gruppo Fiat lo stabilimento di Termini Imerese venne inserito tra quelli economicamente poco competitivi secondo i piani aziendali, in quanto buona parte della componentistica per l'assemblaggio delle vetture era prodotta nel Nord Italia e ciò faceva aumentare i costi a causa del trasporto. Un altro motivo sfavorevole all'impianto è stato il fatto che, producendo un solo modello per volta, è rimasto strettamente legato nel calcolo produttivo al successo commerciale dell´auto prodotta[1]. Per questi motivi venne inserito tra gli stabilimenti da chiudere secondo il piano approntato dall'amministratore delegato del gruppo, Sergio Marchionne[2].
Il 26 novembre 2011 venne ufficializzata la chiusura della trattativa sulla parte economica riguardante gli incentivi alla mobilità per i lavoratori dello stabilimento, dismesso definitivamente dalla Fiat il 31 dicembre 2011[3].
Le tante le ipotesi sul salvataggio[4] dell'importante struttura sono rimaste (ancora alla fine del 2012) prive di riscontri oggettivi[5].

Vengo al punto, e do anch'io un suggerimento gratis al nuovo governo, fiducioso (si fa per dire) che sia accolto.
Previa la completa nazionalizzazione del suddetto stabilimento, Renzi telefoni a Tim Cook e proponga: 
«Oh Timme, voi della Apple buttateli qui parte dei vostri 160 miliardi di dollari per produrre un'autovettura completamente elettrica: la progettualità, le competenze e le maestranze sono già bell'e pronte; a risolvere le criticità logistiche ci pensiamo noi, non vi preoccupate: basta fare un fischio e la produzione riparte».
Io penso che, se accadesse, Della Valle riderebbe a crepapelle.

giovedì 20 febbraio 2014

Non sono un animalista


Sono stato precipitoso: manca un much, cioè: much more shins of his wife.

Mica mi manderà un drone?

L'Italia in corsa in

Ivo Pannaggi, Treno in corsa, 1922
Io da Grillo non mi aspettavo nulla, così come da Renzi non mi aspetto nulla. 
Io non aspetto, non spero, non m'illudo, per questa mia naturale avversione a sperare che l'Italia possa, politicamente, diventare intelligente (omaggio scipito al genio di Freak Antoni).
Tuttavia, Grillo ha fatto quello che doveva fare, solo poteva farlo con un pizzico di eleganza e di pazienza in più: avrebbe ottenuto lo stesso risultato, magari anche dando poca corda al coro di chi non aspettava altro che additarne la prepotenza, l'intolleranza, l'antidemocraticità.
E Renzi, invece, non ha fatto quello che doveva fare, vale a dire offrire, in diretta streaming, un accordo di governo ai Cinque Stelle - e non l'ha fatto perché manco se lo è immaginato questo film (anche più scarso del pessimo Bers-ani, in quanto a regia).
Nessuno più stupisce nessuno: tutto è, praticamente, déjà-vu. Per cui, niente fretta: vedremo Renzi all'azione, fare due o tre cose che accontenteranno Berlusconi e poi, quanto prima, forse dopo il semestre europeo, dimettersi e invocare le elezioni.
Se non sarà così, ovvero se sarà peggio o meglio - ma io non mi aspetto nessun peggio o meglio, anzi: forse un po' peggio, anche se peggio di così, vero... - pazienza. Sappiate comunque che il mio oroscopo politico è più attendibile di quello del Branko: forse perché tutte queste nuvole del cazzo impediscono di veder le stelle? 

mercoledì 19 febbraio 2014

La fogna in senso letterale

«La poesia e la fogna, due problemi / mai disgiunti». Gottfried Benn, Morgue*

La poesia ha perso peso perché non è più a cielo aperto, scorre sotterra, non è più gettata fuor di finestra: al pari delle deiezioni, finisce negli scarichi, un colpo di sciacquone e addio, fischi nel buio, cenni, tosse e sportelli abbassati... 

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Mai come oggi il linguaggio del potere ha assunto una natura antipoetica: è comprensibile da tutti, di primo acchito; per esempio, Renzi, quando parla, lo capisce anche un bambino, non ha bisogno di parafrasi, di traduzioni, del Battaglia. Soprattutto: non ha bisogno di una seconda lettura, di un secondo ascolto, le parole che dice scivolano via come le acque chiare e le acque scure. E non c'è niente di più antipoetico di un parlare che non ha bisogno di essere riletto, ridetto, ripensato.



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Io quando parlo, mi capisco? Quando scrivo, mi comprendo? Non è tanto il giocolare, c'è tanta serietà, vedeste il cipiglio, tipo quello del carabiniere che guarda le tette all'Efe.



«Lo stesso bisogno dell'aria aperta cessa di essere un bisogno nell'operaio; l'uomo ritorna ad abitare nelle caverne, la cui aria però è ormai viziata dal mefitico alito pestilenziale della civiltà, e ove egli abita ormai soltanto a titolo precario, rappresentando esse per lui ormai una estranea potenza che può essergli sottratta ogni giorno e da cui ogni giorno può esser cacciato se non paga. Perché egli questo sepolcro lo deve pagare. La casa luminosa, che, in Eschilo, Prometeo addita come uno dei grandi doni con cui ha trasformato i selvaggi in uomini, non esiste più per l'operaio. La luce, l'aria, ecc., la più elementare pulizia, di cui anche gli animali godono, cessa di essere un bisogno per l'uomo. La sporcizia, questo impantanarsi e putrefarsi dell'uomo, la fogna (in senso letterale) della civiltà, diventa per l'operaio un elemento vitale. Diventa un suo elemento vitale il completo e innaturale abbondono, la natura putrefatta». Karl Marx, “Bisogno, produzione e divisione del lavoro”, Terzo Manoscritto, in Manoscritti economico-filosofici del 1844, Einaudi, Torino 1968 (a cura di Norberto Bobbio).
§§§
*Ho trovato il verso in una lettura di Mario Bortolotto, Consacrazione della casa, Adelphi, al quale debbo anche il ricordo en passant di Petrassi. Un doppio Goffredo, dunque.

Non venite a parlarmi di bellezza

A Fabio Fazio, o meglio: a Francesco Piccolo che ieri sera ha parlato di bellezza.


galileo Bontà d'animo! Forse intendete dire che, dal momento che non c'è più niente, che tutto il vino è bevuto e che le loro labbra sono secche, non gli resta che baciare la tonaca! Ma perché non c'è più niente? Perché mai l'ordine che regna in questo paese è l'ordine che esiste in un magazzino vuoto? Perché non v'è altra necessità che quella di lavorare fino a crepare? In mezzo a vigneti carichi di grappoli, ai campi folti di grano! Sono i vostri parenti contadini quelli che pagano le guerre scatenate dal vicario del pio Gesù in Spagna e in Germania! Perché Gesù ha posto la terra al centro dell'universo? Ma perché la cattedra di Pietro possa essere il centro della terra! È solo di questo che si tratta. Avete ragione voi: non si tratta dei pianeti, ma dei contadini dell'Agro Romano. E non venite a parlarmi dell'alone di bellezza che emana dalla vecchiaia! Sapete come si sviluppa la perla nell'ostrica? Un corpo estraneo insopportabile, per esempio un granello di sabbia, penetra dentro al guscio, e l'ostrica, per seppellire quel granello, secerne calce; e in questo processo rischia la morte. Allora, dico io, al diavolo la perla, purché l'ostrica resti sana! Le virtù non sono appannaggio unicamente della miseria, caro mio. Se i vostri genitori vivessero prosperi e felici, potrebbero sviluppare le virtù della prosperità e della felicità. Oggi, invece, i campi esausti producono coteste virtù di esaurimento, ed io le rifiuto. Amico, le mie nuove pompe idrauliche potrebbero operare miracoli ben maggiori di tutto quel grottesco affaccendarsi oltre l'umana capacità... Crescete e moltiplicatevi! perché le guerre spopolano i territori e i nostri campi sono sterili. Bisogna dunque proprio mentire alla tua gente? 

Bertolt Brecht, Vita di Galileo, Einaudi, Torino 1970, traduzione di Emilio Castellani

Continuare a mentire con le migliori intenzioni, nel presupposto cioè di non farlo, di raccontare la realtà, le sue ferite e, nondimeno, le speranze, la voglia di riscatto, la voglia di riparare l'Italia malata...
Quanto meglio sarebbe mandarla affanculo, l'Italia, per intero, in diretta sul palco dell'Ariston. L'Italia, pronunciata con orgoglio, collutorio delle testedicazzo, tipo i merdosi che da anni ci mettono davanti Forza e poi quelli che fanno le riunioni di partito premettendo e cantando, con la mano destra sul core, l'inno nazionale, ohi, Mameli, ohi.
Tirate fuori l'uccello e pisciate sul palco, cazzoni. Oppure pisciatevi addosso e che si veda bene la gora allargarsi sui pantaloni. Che bello spettacolo sarebbe, la bellezza dell'orina.

lunedì 17 febbraio 2014

Sono pronto per fare il ministro

Walter Pichler
A volte, non sempre, ma a volte stanchezza di pensare mi prende, stanchezza di analizzare, di gettare uno sguardo dirimente nelle cose là fuori, in quella che alcuni si ostinano, io pure, a chiamare realtà. Come se m'assalisse un'insipiente voglia di fuggire la realtà, di rifugio in uno stato di alterazione e perturbamento, in una passione che separi l'essere dal reale per avvilupparlo in spire ingannevoli. Ma non sono fatto così, non sono strutturato per sciogliermi in un'alterità, quale che sia; trattenuto a terra da considerazioni spurie, come se il mio io sorvegliasse tutti gli stati di coscienza, ne fosse padrone. In buona sostanza, non riesco a uscire da me, a darmi, anche solo per un attimo e per scommessa, a qualcosa che mi faccia sentire l'adesione totalizzante a un assoluto. Meglio così, per carità. Ho provato a credere in qualcosa (una fede, un amore, un'idea), ma l'entusiasmo non ha prevalso - piuttosto l'indolenza, unica dea dalla quale ogni tanto mi lascio possedere.
Abulia, accidia, apatia, melanconia: queste le mie doti prevalenti. Veramente non potrei mai dire che in una determinata attività, scopata a parte (e poi nemmeno in quella che non s'avessero a fare figure di merda), «metterò tutta l'energia di cui sono capace». Energia. Jovanotti ha rovinato una generazione intera con l'energia stocastica.

Eppure, intorno, vedo tanta gente che si dà da fare, anche facendo male o facendo un cazzo, però fa, s'impegna in prima persona, si sente pronta soprattutto a guidare o anche a essere guidata. 
Come se avessero bisogno di essere o di avere un faro, come se ci fosse gusto a vivere nella gradazione, nel comando, nell'ordine impartito o ricevuto. Boh - e l'acca questa volta non è muta.

domenica 16 febbraio 2014

Diventare grandi opportunisti

«Le rivoluzioni [le rottamazioni] le fanno gli uomini in carne e ossa, non i santi, e tutte finiscono per creare una nuova casta privilegiata. Io le posso assicurare che, se non avessi saputo approfittare delle circostanze e ancora fossi là, a lavorare i campi del Michoacán come mio padre, non mi lamenterei. Il fatto è che sono qui e sono più utile al Messico come imprenditore che come contadino. E ci sarebbe un altro a pretendere quelle prebende, a occupare il posto che io occupo, a fare quello che faccio io. Anche noi eravamo parte del popolo, e le nostre case, i nostri giardini, le nostre automobili, in un certo senso, erano il trionfo del posto. Inoltre, questo è un paese che si addormenta molto presto, però si sveglia anche all'improvviso: chi avrebbe saputo dire, in quei giorni, che cosa sarebbe successo l'indomani? Bisognava mettersi al sicuro. E per riuscirci, ce la siamo giocata. Niente a che vedere con quella politichina facile di adesso. Allora, in primo luogo, c'era il bisogno di palle, in secondo luogo di palle, in terzo luogo di palle. Per fare affari, dovevi essere dentro fino al collo nella politica ed essere molto coraggioso. Allora non c'erano imprese a partecipazione americana che ti proteggevano contro qualsiasi eventualità. Allora ce la giocavamo ogni giorno. E così ci siamo inventati il potere, Cinefuegos, il vero potere messicano, che non si basa sull'uso della forza. Lo può vedere anche lei com'è diventata falsa l'immagine del messicano sottomesso alla tirannia. Non occorre. Lo dimostra il fatto che da trent'anni non ci sono più atti proditori. Quello di cui c'era il bisogno era un'altra cosa: arrampicarsi fino al collo del paese, piegare gli altri, diventare i grandi opportunisti. Così, senza rischio di rivolte, ottieni ammirazione. Niente è più ammirato in Messico di un grande opportunista.»

Carlos Fuentes, L'ombelico della luna, (titolo originale, La región más transparente, 1958), ed. italiana il Saggiatore, Milano 2000 (traduzione di G. Quintero e L. Dapelo, pag. 105-6)

Uno spietato grigiore

 la Repubblica odierna / pagina di politica interna 

Sono pagine sulla crisi, su quello che farà Renzi. Si raccolgono impressioni e considerazioni del mondo imprenditoriale che conta. Mai che intervistino uno o due o tre o quattro lavoratori, un disoccupato, un artigiano o un commerciante veri e non presidenti di categoria, un operaio, uno scrittore che non sia Baricco, 'sti pezzenti.

Però dopo si rifanno, doppio paginone di Antonio Gnoli per intervistare Valentino Zeichen - e quanto segue vale il prezzo del giornale. La domanda, ahimè tagliata, se non ricordo male, mi sembra sia:

Le fa paura la povertà?


La libertà di non fare un cazzo non è uguale per tutti: v'è differenza tra quella di un poeta degno della Bacchelli e quella del nipote di un capitalista che presiede la Fabbrica ex italiana di automobili Detroit. 
Un suo pari, per spicciole ragioni di controllo del Corsera, lo ha testé definito un «poveretto» e «imbecille». Sul secondo attestato di stima non escludo possa trovarmi d'accordo, mentre sul primo nutro forti perplessità.

sabato 15 febbraio 2014

L'io mondo

[all'Uovo oggi, lui forse sa perché e se non lo sa né lo immagina glielo dirò nei commenti]

Non so perché ritenga più intimamente giusto che l'io si sottragga alle chiamate mondane - anche se tutto è mondano, tutto è mondo, nel senso di privo di buccia - anziché mostrarsi, fiero, altero, sicuro di sé come se, in quel momento di sguardi e di ascolto concentrati su di lui, l'io ricevesse un sovrappiù, un sovraccarico di esistenza, roba che si potrebbe anche pesare un tanto al chilo sul piatto della vanità. 
È l'età del ritegno e non dell'impudenza. È l'età in cui uno pensa che la propria faccia non meriti più il rischio di diventare faccia a culo, rischio che, per gli impudenti, è facile correre; soprattutto, lo corrono diuturnamente tutti coloro che trattano i dubbi come si trattano i gas intestinali, un peto e via liberi, quale che sia il prossimo nei dintorni.
È il caso mio - non dei peti, ovvero anche di quelli ma non in questo caso, bensì dell'io che si trattiene e fatica a esporsi - poi mi pento, poi mi dico, potevo fare il bel fico, mettermi in vetrina e mostrare gli effetti speciali di cui sono capace, panico compreso.
Il fatto è che io non riesco più a mostrarmi senza la mediazione o la maschera della scrittura, perché - nonostante mi sforzi di colmarlo - tra scrittura e dicitura esiste uno iato, il detto fugge via dalle labbra senza l'intercessione dello sguardo e l'ausilio della correzione. Quando parlo, controllo rapidamente le parole con il sillabario della mente, ne verifico il significato, le approvo o le rigetto e, mentre tutto questo, più o meno rapidamente, si svolge nel mio cervello, l'interlocutore pensa: ma che cazzo volevi dire, Massaro, di preciso, perché non sei chiaro, anzi sei fumoso, farraginoso, a volte timoroso, come Pietro il giorno del rinnegamento,  come se tu tema che tramite la tua parlata si stabilisca che tu sei uno sporco galileo: «Certo anche tu sei di quelli: la tua parlata ti tradisce!» (Mt, 26, 73). Stai imprecando troppo, Massaro,  calmati. 
Sì, mi calmo, mi calmo, è facile calmarmi: trasformo la voce in digitazione mormorando le parole davanti allo schermo, virgole comprese. E a volte, anzi: quasi sempre, una virgola ben assestata, mi fa sentire meglio di un vaffanculo.

P.S.
Caro sguardo che se t'avessi visto prima avrei parlato, giuro, contraddicendo spudoratamente quanto soprascritto: sappi che t'avrei mirato per ore e ore come si mira un affresco di Piero della Francesca per farsi risucchiare dalla prospettiva.

venerdì 14 febbraio 2014

Fuori dei manicomi


«La situazione in cui versa questo paese è la più spaventosa che si possa immaginare, la macchina del nostro stato è manovrata da incredibili idioti... molte cose, anzi tutto è ridicolo in questo paese, lo ammetto... naturalmente è patetico, una commedia... è che uno qui sa perfettamente che muore, che muore a poco a poco, che è malandato e deve morire... e a me vengono i brividi quando ci penso, caro Zoiss... ma nessuno sa cosa fare, nessuno riesce a fare qualcosa... quando, facendo questi terribili bilanci, uno non riesce a dormire, non riesce a prender sonno e dice a se stesso che la patria non è altro che una volgare e brutale idiozia... per la sua impudenza... i bambini […] giocano e vivono completamente ai margini degli eventi, mentre gli adulti diventano dei bruti, si spengono, in effetti non esistono più... Chi sul letto di morte riesce a scrivere una commedia o una vera pièce comica, a quello è riuscito tutto. Dentro ai manicomi c'è la pazzia riconosciuta da tutti, ha detto il suo signor tutore, fuori dei manicomi c'è la pazzia illegale... ma il tutto non è che follia.»

Thomas Bernhard, Ungenach, Frankfurt am Mein 1968, ed. italiana Einaudi, Torino 1993, traduzione di Eugenio Bernardi.


Il 24 aprile 2013, Enrico Letta salì al Quirinale per ricevere l'incarico di formare il governo a bordo di una Fiat Ulisse.
Il 14 aprile 2014, Enrico Letta è salito al Quirinale per rassegnare le dimissioni da presidente del consiglio dei ministri a bordo di una Lancia Delta
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Esclusivo: Renzi esce di casa a Pontassieve, prende il treno regionale alla stazione, scende a Fi SMN (ricordi Pupo?), va a piedi al Palazzo Vecchio. Avviso per Aldo Grasso: Renzi non porta la maglietta della salute sotto la camicia come Landini. Ripeto: Renzi non porta la maglietta della salute sotto la camicia come Landini. Per la cronaca: oggi a Pontassieve c'era il sole, giuro. Raccolti anemoni e margherite.
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John Elkann: almeno il padre scriveva articoli per Nuovi Argomenti quando erano eterodiretti da Moravia, Sciascia e Siciliano. Alain: era meglio se quel giorno ti facevi una sega, ma sappi bene che non è colpa tua, ché non ricadano sui padri le colpe dei figli e viceversa, ognuno è responsabile della propria stronzaggine individuale.
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Berlusconi stima Renzi perché non è comunista: praticamente non disistima nessuno dentro il Partito Democratico, da sempre.
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Mi dispiace tanto per la Cancellieri che aveva tanto a cuore la salute dei carcerati in attesa di giudizio: nondimeno, sono convinto che Ella avrà avuto l'accortezza di lasciare il numero del suo cellulare a tutti i capi secondini d'Italia, sì da allertarla nel caso in cui, ché anche una parolina buona da ex ministro meglio che niente è.
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Toto ministri: il nuovo dicastero dedicato all'innovazione sarà dato a Mantellini, altrimenti lo defollowa - e Renzi preferisce che tu gli sputi in un occhio piuttosto che defollowarlo.

giovedì 13 febbraio 2014

Da un punto di vista politico

SOCRATE Ma bada ora anche a questo altro problema che ci piomba addosso e vedi come potremo fargli fronte.
TEETETO E quale?
SOCRATE Il seguente: «Può darsi che uno che una volta sia divenuto conoscitore di qualcosa, e abbia e mantenga il ricordo di questa cosa, è possibile che allora quando se ne ricorda non conosca proprio quello di cui si ricorda?» Io la tiro per le lunghe, a quanto pare, mentre voglio domandare soltanto se uno, imparando una cosa, non la conosca mentre se ne ricorda?
TEETETO E come, Socrate? È una insensatezza quella che dici.
SOCRATE Forse che io do i numeri? Bada bene: non dici che vedere è provare sensazione e che la vista è sensazione?
TEETETO Io sì.
SOCRATE Dunque chi ha visto una cosa non è divenuto conoscitore della cosa che ha visto, secondo il discorso di poco fa?
TEETETO Sì.
SOCRATE Ebbene? Non la chiami qualcosa la memoria?
TEETETO Sì.
SOCRATE Di qualcosa o di nulla?
TEETETO Di qualcosa, certamente.
SOCRATE Dunque di ciò che qualcuno imparò e di cui ebbe sensazione, non è propria di queste cose la memoria?
TEETETO E dunque?
SOCRATE E ricorda talvolta uno quello che ha visto?
TEETETO Se ne ricorda.
SOCRATE Se ne ricorda anche a occhi chiusi, oppure nel fare questo se ne dimentica?
TEETETO Ma è assurdo, Socrate, sostenere questo.

SOCRATE Ma occorre sostenerlo, se vogliamo salvare il ragionamento di prima, se no si squaglia.
TEETETO Anch'io lo sospetto, Socrate, ma non comprendo del tutto. Dimmi tu il come.
SOCRATE In questo modo; noi diciamo: colui che vede diventa conoscitore di ciò che vede; si è concordato infatti che vista, sensazione e conoscenza sono la stessa cosa.
TEETETO Certamente.
SOCRATE Colui che vede ed è diventato conoscitore non vede, a occhi chiusi, ricorda sì, ma non vede la stessa cosa. Non è così?
TEETETO Sì.
SOCRATE Ma questo «non vede» equivale a «non sa» se è vero anche che «vede» equivale a «conosce».
TEETETO È vero.
SOCRATE Accade dunque che chi è divenuto conoscitore di una cosa, anche se la ricorda ancora, non la conosce, dal momento che non la vede. Cosa che dicevamo essere assurda se mai avvenisse.
TEETETO È molto vero quel che tu dici.
SOCRATE Pare dunque che combini un qualcosa di impossibile, se uno sostiene che conoscenza e sensazione sono la stessa cosa.
TEETETO Pare di sì.
SOCRATE Occorre dunque ammettere che l'una e l'altra cosa sono diverse.
TEETETO È probabile.

Platone, Teeteto, 163c-164c  

Da un punto di vista politico, la memoria non serve a niente. 
Da un punto di vista politico, è meglio avere un cane da portare a passeggio, al mattino, con l'aggiunta di raccoglierne le feci. 
Da un punto di vista politico, la voce del verbo fare equivale all'essere, sì, ma essere cosa? Da un punto di vista politico, io penso a una merda, ma è il mio pensiero debole (non nel senso di Vattimo) che mi fa pensare certe cose, anche se, converrete, fare la merda non è in sé sbagliato, soprattutto per concimare il terreno della storia.
Da un punto di vista politico, la nebbia o una notte senza luna.
Da un punto di vista politico, nell'universo c'è più buio che luce, hai voglia a illuminare il cielo di moccoli.

mercoledì 12 febbraio 2014

Fingering (disambiguation)

[a Kate]

Quello che sembra disfarsi sono le membra e impedirsi di dirsi che tutto quello che fugge è ruggine che resta e fa spessore tenue rapido che sceglie e s'infila nell'impensato mentre la sostanza s'informa e tu non hai mai creduto essa potesse sostanziarsi nell'assenza quando il desiderio scivola e spiove e scorre e s'accumula nei borri nei fossi mentre s'ingrossa il patimento smorto il non sapere se conviene prendersela per cosa meglio di no e avvitarsi come edera a un palo della luce perché ci sono momenti nella vita in cui bisogna mostrarsi illuminati a meno di non esserlo già fulminati dal dubbio che tutto sia vano che l'epoca non sia la nostra e che lo spazio di manovra dell'io sia limitato a un punto a un principio a uno sputo a uno scontrino sbiadito che riporta la tua insussistenza  la tua cenere quello stupendo sapore di caffè che t'invade la mente dopo pasto e quel lieve movimento di labbra che percepiscono la gioia della salivazione l'umidità del bacio e la fragilità dello sguardo che si stanca facilmente a guardare continuamente negli occhi l'interlocutore perché sa che la mente fa meno fatica a fingere che a dire la verità in quanto nascondere ciò che si è è un'arte alla portata di tutti mentre esprimere se stessi sino in fondo è complicatissimo richiede uno sforzo che io francamente non mi sono mai sognato di intraprendere dacché sono un accidioso per natura e infingardo per cultura e le mie mani gira e rigira se proprio devono scegliere di muoversi o stare ferme ti accarezzano che non è un'azione lo sai lo sapete accarezzare non è un'azione è il verbo.

martedì 11 febbraio 2014

Rivoluzioni e no




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...«la libertà davvero, che consiste nell’essere il cittadino, per mezzo di giuste leggi e di stabili istituzioni, assicurato, e contro violenze private, e contro ordini tirannici del potere, e nell’essere il potere stesso immune dal predominio di società oligarchiche, e non sopraffatto dalla pressura di turbe, sia avventizie, sia arrolate»...

Se il problema dev'essere proprio il semestre europeo, visto che c'è tempo, considerato che avere l'incarico della Presidenza del Consiglio d'Europa una volta prima o una volta dopo non cambia praticamente niente, l'Italia può fare passo, cioè chiedere ai paesi membri dell'Unione di fare uno scambio, tipo scambiare il 2° semestre di quest'anno contro quello del 2015? Dove risiederebbero le difficoltà, forse che le diplomazie europee non sono elastiche per tali questioni? In fondo, si tratta di favorire uno dei paesi fondatori dell'Unione, non altro, perdipiù, credo, a costo zero.

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A me fanno ridere coloro i quali si adirano perché sostengono che, dal putiferio mediatico, che getta discredito sul Presidente della Repubblica, l'unico a trarre giovamento politico sarà Berlusconi. Che ingenui. A parte il fatto che Berlusconi, oltre che da Del Debbio e D'Urso, trae giovamento politico anche da una scorreggia vestita, il problema è - come sempre - il Partito Democratico che, dalla sua fusione a freddo, sostiene sempre che «viene prima il Paese, bisogna salvare il Paese» parole con le quali, del 2011, accolse senza indugi la proposta Napolitano di partecipare al governo Monti, parole con le quali, sinora, anziché salvare l'Italia, ha mantenuto a galla, politicamente, uno dei suoi massimi piombi. In altri termini: aldilà delle ragioni emergenziali contingenti, l'interventismo presidenziale ha avuto e ha luogo perché il Pd non aveva una proposta politica precisa e coerente, sia nel ‘lontano’ 2011 che nel ‘vicino’ 2013, ma anche adesso, nonostante il presunto e comunque precipitoso e fumoso attivismo del neosegretario - attivismo, si badi, tutto volto a non essere «immune dal predominio di società oligarchiche, e non sopraffatto dalla pressura di turbe, sia avventizie, sia arrolate».

lunedì 10 febbraio 2014

Minaccianti tempeste

«E ora non bisogna nascondersi ciò che si cela nel grembo di questa cultura socratica! Un ottimismo che si crede senza limiti! Ora non bisogna spaventarsi se i frutti di quest'ottimismo maturano, se la società, fatta lievitare fin nei più profondi strati da una siffatta cultura, trema gradualmente tra rigogliosi ribollimenti e bramosie, se la fede nella felicità terrena di tutti, se la fede nella possibilità di una tale civiltà universale del sapere si converte a poco a poco nella minacciosa pretesa di possedere una tale felicità terrena alessandrina, nell'evocazione di un euripideo deus ex machina! Si noti bene: la cultura alessandrina ha bisogno, per poter esistere durevolmente, di una classe di schiavi; ma essa, nella sua concezione ottimistica dell'esistenza, nega la necessità di una tale classe e va perciò gradualmente incontro, quando sia esaurito l'effetto delle sue belle parole di seduzione e di rassicurazione della “dignità dell'uomo” e della “dignità del lavoro”, a un'orrenda distruzione. Non c'è niente di più terribile di una classe barbarica di schiavi che abbia imparato a considerare la sua esistenza come un'ingiustizia e che si accinga a far vendetta non solo per sé, ma per tutte le generazioni. Chi oserà, contro tali minaccianti tempeste, fare appello con animo sicuro alle nostre smorte e stanche religioni, che sono degenerate fin nelle loro fondamenta in religioni dotte? In questo modo il mito, presupposto necessario di ogni religione, è già dappertutto paralizzato, e anche in tale sfera ha preso il sopravvento quello spirito ottimistico che abbiamo or ora indicato come il germe distruttivo della nostra società.» 
Friedrich Nietzsche, La nascita della tragedia, Adelphi, Milano 1990, pag. 120-121 versione di Sossio Giametta.

Di passata, si potrebbe obiettare a Nietzsche che l'islam ancora tanto smorto e stanco non è, visto il fermento integralista che lo anima e la (conseguente?) forte presa sulle masse - ma non è questo il punto, mi sembra limitato focalizzare l'attenzione di quanto sopra scritto sulle religioni dotte.
Opportuno, invece, mi sembra individuare nella cultura alessandrina la cultura borghese tout court, la quale, precipitata nel pozzo delle sue contraddizioni, ha «esaurito l'effetto delle sue belle parole di seduzione e di rassicurazione della dignità dell'uomo e della dignità del lavoro»; malauguratamente, quindi, date le promesse mancate, la cultura borghese ha scatenato le «minaccianti tempeste» delle orde barbariche che si accingono a far vendetta. Questo, intuisce Nietzsche, contiene in sé «il germe distruttivo della nostra società», la quale, rispetto alle società arcaiche, non può più giocare il jolly del capro espiatorio che convoglia su di sé la rabbia e la violenza della folla (è per tale ragione che «il mito, presupposto necessario di ogni religione, è già dappertutto paralizzato»)*. La violenza rimane in campo, non può che essere parzialmente circoscritta dentro i confini del rito (i rituali moderni di vario tipo non sono certo efficaci come quelli d'antan), ma si fa fatica a trattenerla, può esplodere e invadere la società da un momento all'altro.
Orbene, se non si può «fare appello» al religioso, a chi rivolgersi? Alla politica? All'economia? Oppure alla Critica dell'economia politica?

*Per questo, se non erro, a Nietzsche non sarebbe dispiaciuto un ritorno ai sacrifici umani.

Oggi è piovuto una volta sola

Medio idiozie

via

Mediologicamente, oggi sono stato colpito da:
Uno.


Due:
dal siparietto che Fazio ha intrattenuto con Clooney, Damon e Dujardin per la presentazione di un film che sicuramente (a volte, è più forte di me, i miei pregiudizi prevalgono) farà cagare.

Tre:
Pasta di semola di grano duro di una marca per me sconosciuta, presumo di bassa qualità; olio Friol; tonno Rio Mare; un barattolo di Nutella (non si vede la marca, una fortuna per la Ferrero, ma s'intuisce comunque possa essere Nutella); patatine fritte San Carlo; un litro di latte Granarolo; delle barchette di salumi Citterio; unica verdura: degli scalogni.
Nonostante le pessime condizioni delle carceri in Italia, credo mangeranno meglio in cella.

Quattro.
I referendum in Svizzera: in uno hanno vinto per un soffio i Sì alla limitazione dell'immigrazione, mentre in un altro è stato
bocciato invece il referendum sull'aborto. Il 70% dei votanti ha detto no all'iniziativa che chiedeva che l'interruzione di gravidanza e l'embrio-riduzione non fossero più coperte dall'assicurazione obbligatoria di base. Il governo svizzero e la maggioranza del parlamento avevano raccomandato di respingere la proposta intitolata "Il finanziamento dell'aborto è una questione privata" promossa da un comitato interpartitico, composto essenzialmente di cristiani conservatori. 

Cinque.
Danimarca, abbattuta la giraffa Marius nello zoo di Copenaghen | euronews, mondo

Non sono animalista più di quanto sia umanista, ma mostrare in pubblico - un pubblico composto anche da bambini - il corpo di una giraffa, abbattuta con un colpo di pistola, e poi sezionarla e darla in pasto ai leoni, mi sembra veramente degno del miglior Peter Greenaway de Lo zoo di Venere.