martedì 22 aprile 2014

Trompe-l'œil

Stasera devo passare di qui a dire qualcosa di falso perché sono stanco di dire sempre la verità nient'altro che la verità. La menzogna è più produttiva, più romantica, garantisce delle soluzioni aperte, mentre la verità costringe a dire sempre il vero, mai il verosimile, l'improbabile, l'incerto, il presumibile, l'immaginario.
E così vi dico che cosa ho immaginato oggi. 
Saranno state le due di pomeriggio più o meno e parcheggio l'auto in una leggera salita di collina accanto a una struttura ospedaliera.
Ho un appuntamento per una visita di controllo (qui potrei entrare nel dettaglio, ma lascio nel vago per non dover esser costretto a esser sincero). 
Scendo dall'auto e, nello stesso momento, passa una donna, bella, dalla faccia stanca, che trasporta a fatica due sporte di plastica colme di spesa. La guardo e lei mi guarda come se stesse per chiedermi qualcosa. Io aspetto questo qualcosa che non esce dalla sua bocca, ma insiste comunque nel guardarmi, anche se non ha fermato il suo lento cammino mentre io mi metto il giubbotto leggero e prendo il borsetto con i miei effetti impersonali.
Chiudo l'auto e mi dirigo per l'appunto nella stessa direzione della donna. La affianco velocemente e la supero ché ho un passo più svelto. Nondimeno mi volto e lei mi sorride e la vedo muovere le labbra come per dirmi qualcosa che non comprendo.

- Dice a me?
- Pensavo che volessi chiedermi qualcosa.
- No, ma se vuole le chiedo se vuole un aiuto a portare le borse.
- Perché vai alla stazione?
- No, vado qui in questa struttura a lato, ho una visita da un dottore.
- Io devo andare a Prato, tu vai a Prato?
- No, l'ho già detto dove vado. Ho un appuntamento. Tra cinque minuti.
- E poi mi porti alla stazione?
- Potrei portarti alla stazione [sono passato al tu anch'io], ma nel caso dovresti aspettarmi perché non so esattamente quanto ci metterò, sai, i dottori, mica sempre sono puntuali.
- Potrei aspettarti un quarto d'ora. Io mi chiamo Leila.
- Potresti aspettarmi un quarto d'ora. Io mi chiamo Luca.
- Ma dopo un quarto d'ora io devo andare perché devo essere a Prato entro una certa ora.
- E certo, che fai, aspetti me? Io non vado a Prato, io potrei casomai portarti alla stazione.
- Mi potresti portare domani alla stazione allora. Io esco dal lavoro sempre a questa ora.
- Sì, ma io non sarò qui a questa ora domani, né dopodomani, forse tra un mese o che ne so, io sono qui quasi per caso, come ti ho incontrata per caso.
- Ma io sono stanca, tanto.
- Si vede: hai una faccia tanto bella quanto stanca.
- Tu sei buono.
- Io non sono buono, è il mio guardarti che mi rende buono. 
- E come mi guardi?
- Non certo come guarderei tuo fratello.
- Non ho fratelli.
- Era un modo di dire.
- Io vado alla fermata dell'autobus che tra poco ce n'è uno che passa e non vorrei perderlo.
- Ci mancherebbe. I dottori tanto non sono mai puntuali.
- Ciao.
- Ciao.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

a me non la si fa, caro mio:

la macchina l'avevi lasciata in discesa, confessa.
magliaro.

Alberto ha detto...

Immaginazione vera. E non è un paradosso.

siu ha detto...

E "verità" che suona spesso come una moneta falsa.

Luca Massaro ha detto...

@ r.s.
Ti posso assicurare che il muso era in salita. Però non ho precisato volutamente se, a piedi, ho proseguito per quel verso o di coda.

@ Alberto.
Grazie, è un complimento che ricevo volentierissimo.

@Siu
L'hai detto tu: mi fido.

siu ha detto...

A scanso di equivoci: mi riferivo in generale a certa verità, impaludata, che spesso non è molto più di un guscio vuoto. Mentre, come dice Alberto, c'è verità nell'immaginazione, a volte... ad esempio quando si tratta della tua :-)